Introduzione

Nel periodo tra la seconda guerra mondiale e il Sessantotto, gli studenti degli atenei italiani svilupparono un sistema di rappresentanza democratica, locale e nazionale, senza precedenti e – per molti aspetti – senza un seguito dopo la contestazione [Urbani 1966; Catalano 1969; Orsina e Quagliariello (eds.) 2005]. L’Organismo rappresentativo studentesco bolognese (Orub) ebbe un’attività vivace e rilevante in vari settori della vita universitaria e cittadina, e diversi iscritti all’Alma Mater ebbero responsabilità nella rappresentanza universitaria nazionale.

Il presente contributo si propone di analizzare lo sviluppo del mondo associativo universitario bolognese nel periodo considerato, cercando di evidenziare il ventaglio di attività praticate e il rapporto con autorità accademiche e altre componenti dell’ateneo. I gruppi studenteschi dell’Alma Mater si trasformarono più volte in questi vent’anni, contestualmente ai mutamenti del mondo universitario, ai cambiamenti socio-culturali-economici del Paese e al rapido susseguirsi delle leve studentesche. Se attorno al 1945 la molla che spinse i giovani ad impegnarsi in queste organizzazioni era legata soprattutto alla volontà di ricostruire, in tutti i sensi, il tessuto universitario, con l’inizio degli anni Cinquanta e l’arrivo all’università di generazioni nuove, meno strettamente condizionate dal fascismo e dalla guerra, le caratteristiche dell’attività associativa cambiarono.

A livello nazionale, si possono perciò distinguere almeno tre fasi, che verranno analizzate di seguito nel caso di studio bolognese: la prima fu quella della rinascita postbellica, la più spontanea, caratterizzata più dal recupero della tradizione goliardica prefascista che dai legami con le componenti politiche. Gli studenti universitari italiani, usciti dall’esperienza dei Gruppi universitari fascisti – già efficacemente indagata a livello nazionale come in sede locale [La Rovere 2003; Duranti 2008; Salustri 2008; Salustri 2009] – e da quella, altrettanto rilevante, della guerra, si riorganizzarono dando vita a Organismi rappresentativi studenteschi (Ors) in ogni ateneo, eletti da tutti gli iscritti, i cui delegati andarono a comporre l’Unione nazionale universitaria rappresentativa italiana (Unuri), fondata nel dicembre 1948 a Perugia. L’idea era quella di curare gli interessi degli iscritti in diversi ambiti, tra i quali: lezioni, esami, piani di studio, questioni burocratiche, attività sportive, culturali e ricreative, rapporti con le autorità accademiche, assistenza. Si trattò fin dall’inizio di un’attività “politica” in senso lato, di cui gli universitari erano consapevoli, ma i nuovi gruppi nacquero all’insegna dello slogan «fuori i partiti dall’università», per rivendicare la propria autonomia rispetto alle principali fazioni e partiti.

La seconda fase iniziò con gli anni Cinquanta, quando l’attività degli atenei tornò a regime e pure la rappresentanza studentesca ormai appariva consolidata. Tale seconda fase vide un lento ma costante incremento degli elementi politici e sindacali all’interno delle organizzazioni universitarie che, tuttavia, mantennero il proprio impegno nel portare avanti le tradizioni goliardiche [Catalano 1969, 167-170], sviluppando una struttura interna simile a quella parlamentare (i “Parlamentini”), con una maggioranza relativa cattolica – l’Intesa – e una forte minoranza laico-marxista, l’Unione goliardica italiana (Ugi). Quest’ultima, nata come portavoce degli studenti laici e a lungo dominata da tendenze radicali, dopo il 1955, con la progressiva confluenza di socialisti e comunisti in seguito allo scioglimento del Centro universitario democratico italiano (Cudi), subì una svolta verso la sinistra marxista, che portò alla fuoriuscita liberale, con la conseguente creazione dell’Associazione goliardi indipendenti (Agi) [Pastorelli 2015; Emiliani 2016; Urbani 1966, 119-130]. I gruppi di destra si coordinarono nel Fronte universitario di azione nazionale (Fuan), legato al Movimento sociale italiano (Msi), a partire dal maggio 1950. Sia a livello nazionale, sia in molte singole università, il governo studentesco fu a lungo condiviso dalle due compagini maggiori, in una sorta di proto-centrosinistra ricco di difficoltà e battute d’arresto.

Il sistema rappresentativo studentesco non ebbe mai un riconoscimento giuridico, nonostante il duplice tentativo, a metà anni Cinquanta, di alcuni deputati liberali [Urbani 1966, 19-21; 220-233] [1]. Ciononostante, le autorità accademiche considerarono a lungo gli Ors quali legittimi rappresentanti degli universitari, a prescindere dal fatto che gli studenti fossero ammessi solo al Consiglio dell’Opera universitaria, che gestiva l’assistenza [2]. Un riconoscimento de facto della rappresentanza studentesca venne con la “legge Ermini” (18 dicembre 1951, n. 1551), per la quale 1.000 lire delle tasse annuali di ogni iscritto dovevano essere versate all’organismo locale per il suo funzionamento [Urbani 1966, 31-32] [3]. A Bologna, in realtà, già nell’immediato dopoguerra era stato stabilito un contributo studentesco a favore del neonato organismo rappresentativo [4].

Alla base del mancato riconoscimento giuridico degli Ors vi fu un’insufficiente volontà politica: la dirigenza dei vari atenei era interessata ad avere un interlocutore ben definito in ambito studentesco, tuttavia, nella concezione elitaria dell’istruzione superiore ben presente fino agli anni Sessanta, gli iscritti erano considerati come un soggetto “minore” nell’accademia, con voce in capitolo solo in pochi settori marginali, perciò un soggetto rappresentativo giuridicamente riconosciuto avrebbe potuto condurre a richieste di maggiore democraticità nella gestione delle università.

Con gli anni Sessanta, infine, prese avvio un terzo periodo, il più turbolento, che avrebbe portato la rappresentanza studentesca alla dissoluzione. I cambiamenti economici, sociali, culturali e politici del Paese entrarono nell’università e contribuirono a cambiarne il volto, con un numero di iscritti sempre crescente – a Bologna gli iscritti raddoppiarono tra il 1945 e il 1968 [Malfitano 2013, 928], una nuova generazione di studenti ormai formatisi completamente nel dopoguerra, con caratteristiche socio-culturali e provenienze geografiche diverse rispetto al passato. Meno significativa l’evoluzione della composizione di genere del corpo studentesco: di certo la percentuale di donne iscritte all’università aumentò negli anni qui considerati, passando da circa il 19% del 1945-46 al 30% di inizio anni Sessanta, per poi crescere sempre di più; tuttavia gli studenti coinvolti più o meno direttamente nelle attività della rappresentanza, goliardica o politica che fosse, rimanevano quasi esclusivamente uomini [5].

Nonostante l’evidenza dei cambiamenti in atto e le dichiarazioni ufficiali dei deputati studenteschi, gli organismi rappresentativi, irrigiditi su posizioni sempre più ideologiche e autoreferenziali, persero il contatto con la base studentesca, non furono in grado di evolversi abbastanza in fretta e finirono per essere travolti dal fenomeno contestatario.

Oltre alla componente politica del mondo studentesco, in alcune sedi – e Bologna era una di queste [Boschetti 1988; Lo Savio 1989] – erano ancora vive e sentite le tradizioni goliardiche, nonostante il tentativo – vano – del fascismo di sradicarle. Il rapporto tra le diverse componenti della rappresentanza studentesca può essere utilizzato come una sorta di termometro dell’evoluzione di quest’ultima: ogni cambiamento era accompagnato da una ridefinizione e rielaborazione dell’elemento goliardico tradizionale. Se è vero che con il passare del tempo questo settore andò riducendosi in favore di altre attività, è altrettanto vero che a mutare era proprio il modo attraverso il quale gli studenti universitari si confrontavano con il proprio passato. Subito dopo la fine della guerra c’era la voglia di recuperare le tradizioni studentesche che il regime fascista aveva tentato di reprimere, la goliardia era vista come simbolo di una libertà perduta che dopo un ventennio si voleva riaffermare. Negli anni successivi questo carattere andò affievolendosi e la goliardia iniziò a dividere gli studenti poiché per molti divenne sinonimo di disimpegno politico, fino a provocare un vero e proprio scontro a partire dalla metà degli anni Sessanta.

I primi gruppi studenteschi bolognesi dopo il 1945

Pure a Bologna la nascita dell’associazionismo universitario dopo il 1945 è legata alla vicenda del Gruppo universitario fascista, che nella città emiliana svolse un ruolo rilevante già ampiamente analizzato [Salustri 2009]. Inoltre, fu il fascismo a istituire l’Opera universitaria (r.d.l. 28 novembre 1928, n. 1478), organo deputato anche dopo la guerra alla gestione dell’assistenza allo studio, nella quale gli studenti avrebbero avuto un ruolo attivo. I giovani che frequentarono le università tra la seconda metà degli anni Venti e gli anni Trenta ebbero la possibilità di confrontarsi con una realtà associativa che – al di là delle valutazioni di merito – non era esistita prima negli atenei italiani. Usciti dalla dittatura e passati attraverso la guerra, quegli stessi studenti o i loro immediati successori poterono avviare una riflessione più consapevole su quella vicenda, cercando di conservarne gli elementi di novità positiva e rigettandone gli aspetti di coercizione autoritaria maggiormente legati al Partito e al regime fascista. Inoltre, non era mancato l’apporto degli universitari bolognesi al movimento di Liberazione, sia in formazioni partigiane di ogni tipo operanti in parti diverse del territorio italiano, sia all’interno dell’ateneo, con l’organizzazione già prima della caduta del regime di gruppi antifascisti, soprattutto «di idee democratiche e vagamente socialiste» [Boschetti 1988, 87]. Perciò, dopo il 1945 non era pensabile un ritorno alle forme organizzative studentesche dell’Italia liberale, poiché era diversa l’Italia, erano diverse le università italiane e – soprattutto – erano diversi gli studenti universitari italiani.

Già pochi mesi dopo la fine del conflitto sorsero i primi gruppi che univano i valori della vecchia goliardia con elementi di una moderna rappresentanza democratica [Malfitano 2013; Cammelli e Casadei 1991]. All’inizio la riorganizzazione dell’attività accademica rappresentò uno dei principali impegni: numerosi documenti mostrano contatti con il rettorato per reimpostare lezioni, esami e altre pratiche quotidiane. Le prime associazioni si spesero molto per consentire ai numerosi iscritti, che a causa della guerra non avevano potuto frequentare l’università, di recuperare il tempo perduto; si impegnarono inoltre nel tentativo di coordinarsi a livello nazionale: ci sono svariati inviti per incontri, congressi, appelli da altri atenei d’Italia (e non solo [6]), segno della consapevolezza di dover trovare forme aggregative che travalicassero il contesto locale.

La situazione dell’associazionismo a Bologna fu riassunta dal rettore in una nota al Ministero della Pubblica istruzione del gennaio 1946. Il Circolo goliardico petroniano era descritto come «esumazione della vecchia Associazione goliardica – in corso […] di trasformazione» con un programma «a scopo culturale e ricreativo». C’era poi la sezione locale della Fuci, con un programma «a carattere prevalentemente confessionale», e l’Associazione universitaria dell’Immacolata, che Edoardo Volterra considerava molto vicina alla Federazione universitaria cattolica. Inoltre, l’elenco comprendeva un «Comitato Regionale Reduci Prigionia – Sez. Studenti universitari» e la «Parrocchia Veneta», componente della goliardia tradizionale che riuniva gli studenti veneti. Da notare, infine, la presenza nell’ateneo di sezioni di Dc, Pri, Pd’A, Pci, Psi e Pli [7]. Anche nell’Annuario accademico 1945-46 si trovava una descrizione delle associazioni studentesche, ricostituitesi «con scopi assistenziali, politico-sociali, culturali e sportivi»; i principali gruppi risultavano «il Circolo Goliardico Petroniano, trasformatosi in un secondo tempo in Magistratus Fictonis, il Circolo “Marcello Malpighi” aderente alla Fuci ed il Curd», Circolo universitario repubblicano democratico di ispirazione marxista [8].

Accanto a organismi già piuttosto organizzati e collegati a soggetti politici e associativi preesistenti o esterni al mondo accademico, troviamo tentativi – a volte effimeri – più spontanei, tutti interni all’esperienza universitaria e legati al grande entusiasmo che si respirava nel rinnovato clima di libertà postbellica. È evidente che questi ultimi avevano caratteristiche meno definite, sia dal punto di vista politico, sia nelle loro finalità. Uno di questi fu di certo il Circolo goliardico petroniano, fondato il 25 maggio 1945 «a scopo culturale, ricreativo, sportivo», per riproporre le vecchie tradizioni goliardiche in totale «indipendenza da qualsiasi organizzazione che sia al di fuori della Università, e dai diversi Partiti». Tra gli animatori principali vi fu Guido “Bobo” Rossi, che avrebbe svolto negli anni successivi un ruolo fondamentale, non solo a Bologna, nei primi organismi rappresentativi. Nel febbraio 1946, proprio su proposta di Rossi, il Circolo goliardico venne sciolto e sostituito dall’associazione che avrebbe svolto un ruolo predominante nel panorama dell’ateneo emiliano per più di dieci anni: il Magistratus fictonis, da “fittone”, il paletto di pietra che serviva a sbarrare l’accesso ai veicoli ad una strada, adottato fin dall’inizio del secolo dai goliardi come simbolo fallico [Boschetti 1988, 94-96].

La concezione del gruppo era tipica di molte organizzazioni universitarie dei tardi anni Quaranta: fare politica negli atenei, rappresentare e garantire gli interessi di tutti gli iscritti, tenendo però fuori la politica nazionale e i partiti, oltre a tramandare le tradizioni goliardiche. Il Magistratus era sorto con l’avallo della Federazione giovanile socialista bolognese e avrebbe aderito all’Ugi, nata nel gennaio 1947 con l’idea di essere una «piattaforma liberale, libertaria, liberalsocialista, repubblicana con la quale si rifiuta la presenza […] dei partiti negli atenei» [Emiliani 2016, 14-15; 43-48; 123]. I goliardi bolognesi si proposero quindi come alternativa agli schieramenti marxisti; come a quelli cattolici, su tutti la Federazione universitaria cattolica italiana (Fuci), già molto radicata avendo operato pure nel periodo fascista [Pomante 2015].

Sempre ad inizio ‘47, il Magistratus pubblicò un opuscolo informativo di grande interesse per comprenderne natura e attività. L’associazione si autodefiniva «indipendente, apartitica, aconfessionale»; intendeva ricreare «la Famiglia Goliardica» combattuta dal fascismo, dando sostegno morale e materiale agli universitari. Le principali attività promosse andavano dalle serate danzanti a mostre d’arte con opere degli studenti; dall’assistenza quotidiana agli iscritti (burocrazia, esami, laboratori) alle agevolazioni per i più bisognosi e/o meritevoli, con prestiti, fornitura di libri e dispense; dal servizio mensa e foresteria, all’assistenza sanitaria, fino alle attività sportive e ricreative. La nuova associazione si incaricò poi di promuovere le prime edizioni della Festa delle matricole del dopoguerra [9], che segnarono un ritorno a tutti quei riti e anche a quegli eccessi che avevano caratterizzato la goliardia prefascista, costringendo il Senato accademico ad intervenire [10]. D’altronde nel Magistratus erano confluite le vecchie “balle” regionali, gruppi di studenti provenienti dalla stessa regione, esistenti fin dall’inizio del Novecento, che si dovettero almeno in parte adeguare alla nuova natura dell’associazionismo universitario [Boschetti 1988, 101-107]. Con il passare del tempo, la componente tradizionale della goliardia confluì nel Sacer venerabilique fictonis ordo [Boschetti 1988, 163; 190], mentre gli studenti più interessati alla parte politica dell’attività rimasero nel Magistratus per impegnarsi nell’Organismo rappresentativo universitario bolognese (Orub). Quest’ultimo era riconosciuto di fatto dalla dirigenza accademica come legittimo rappresentante degli studenti, tanto che nell’Annuario accademico 1948-50, alla sezione “Organismi e associazioni studentesche”, se ne trova una descrizione precisa: «Nel maggio 1948 […] a seguito di elezioni generali si costituiva l’Orub […]. Esso costituisce l’ente rappresentativo di tutti gli studenti iscritti all’Ateneo» e «aderisce all’Unione Nazionale Universitaria Rappresentativa Italiana (Unuri)» [Urbani 1966, 48-52] [11].

Il primo appuntamento elettorale del dopoguerra si era tenuto già nel maggio 1946 per scegliere i membri del Congresso universitario bolognese. Il Magistratus fictonis, nonostante fosse sorto solo pochi mesi prima, ottenne il 61% delle preferenze (37 delegati), circa il doppio della lista Intesa, nella quale predominavano gli studenti fucini (19 delegati). La lista del Curd-Università nuova, con gli studenti comunisti, ottenne solo 4 delegati [Boschetti 1988, 110]. Un risultato di questo tipo è difficilmente comparabile con quelli, nella stessa Bologna, delle elezioni politiche per l’Assemblea Costituente tenutesi poche settimane dopo, dove il Pci ottenne poco meno del 34%, il Psiup il 28% e la Dc meno del 22%: il Magistratus era un organismo eterogeneo, senza rapporti diretti con entità politiche, eppure nell’ambito peculiare dell’ateneo ottenne più del 60% dei voti; l’Intesa ebbe un risultato migliore di quello del partito cattolico in città, mentre la lista d’ispirazione comunista uscì sconfitta nonostante la forza del Pci sul territorio. Nel confronto tra rappresentanza studentesca e politica locale è necessario tenere conto delle differenti realtà sociali, economiche e culturali dei due bacini elettorali, tanto più nel 1946, quando i gruppi universitari erano agli albori:§

se si pensa che le Università Italiane sono state […] frequentate da una popolazione scolastica che non riflette in alcun modo […] la stratificazione della società italiana, è facile constatare come ci si riferisca a un “campione” per nulla rappresentativo dell’intero “universo” nazionale [Urbani 1966, 96-114].

L’Orub nei primi anni Cinquanta

La fase di strutturazione e consolidamento dell’associazionismo universitario bolognese si concluse con gli anni Quaranta, come in tutti gli atenei italiani. La prima metà del decennio successivo rappresentò il momento più stabile nella vita di tali organizzazioni, che poterono dedicarsi all’attività ordinaria. In un opuscolo redatto in vista delle elezioni per il VII Congresso del 1952, l’Orub descriveva sé stesso e le proprie attività, a beneficio soprattutto delle matricole, partendo dall’art. 7 del proprio Statuto:

L’Orub costituisce la Rappresentanza unica ed ufficiale di tutti gli iscritti all’Università di Bologna, nei confronti del Corpo Accademico, degli Organi universitari e civili, degli Organismi Rappresentativi delle altre sedi, e dell’Unuri [12].

Si precisava che l’organismo non era «un sindacato studentesco, perché non esistono diversità di interessi tra gli studenti e le Autorità Accademiche»: i rappresentanti degli universitari intendevano collaborare con tutte le componenti della comunità accademica, mantenendo «l’assoluta libertà di idee e opinioni» e concependo l’università non solo come luogo dove ottenere una laurea, ma momento formativo più ampio, atto a fornire «un bagaglio di esperienze di vita». Non sarebbero mancati momenti di tensione con la dirigenza accademica, ma confrontando questa fase con gli anni Sessanta, emergono una migliore sintonia d’interessi e una maggiore volontà di collaborazione.

L’Orub era legittimato da elezioni studentesche annuali cui tutti gli iscritti all’Alma Mater potevano partecipare, come elettori e come eleggibili all’interno di liste concorrenti che, sulla base dei voti ottenuti, costituivano il Congresso, l’organo legislativo [Urbani 1966, 34-35]. A sua volta esso eleggeva un Consiglio esecutivo e un Segretario generale: seppur con nomi diversi, queste strutture erano simili a quelle esistenti in quasi tutti gli atenei italiani in quel periodo. Ognuno dei consiglieri era incaricato di una specifica attività: cultura; relazioni con l’estero (Crue, Centro relazioni universitarie con l’estero); stampa; questioni di facoltà; sport (Cusb, Centro universitario sportivo bolognese); assistenza (con tre rappresentanti al Consiglio dell’Opera universitaria) [Urbani 1966, 19] [13].

Due anni dopo le prime elezioni del 1946, i rapporti di forza all’interno dell’associazionismo bolognese erano cambiati: l’Intesa aveva la maggioranza relativa con 1.518 preferenze (19 rappresentanti), una cinquantina di voti in più del Magistratus (1.467) che però ebbe lo stesso numero di delegati e, soprattutto, alleandosi con il gruppo Rumagna, anch’esso parte dell’Ugi (618 voti e 8 seggi), riuscì a mantenere la maggioranza del Congresso [14]. Da sottolineare il dato sull’affluenza: 4.752 votanti su 15.533 iscritti, il 30,6%. Può sembrare una percentuale bassa, in realtà è piuttosto elevata se confrontata con quelle registrate in altri atenei, sebbene restino ancora da indagare le ragioni per le quali gli universitari abbiano frequentato poco le urne universitarie [Urbani 1966, 87-99; Cammelli 1990, 163-190]. Tra il 1950 e il 1954 il prospetto dei risultati elettorali fu il seguente:

  % Voti riportati Seggi attribuiti
  1950 1952 1954 1950 1952 1954
Magistratus fictonis 31,14 29,61 45,0 20 16 28
Rumagna 9,35 9,82 10,92 5 6 6
Intesa universitaria 32,55 33,97 27,74 20 21 17
Iniziativa goliardica 9,19 10,33 8,68 5 6 5
Gioventù goliardica 12,19 12,96 5,36 7 8 3
Università libera 5,52 6,01 2,2 3 3 1

Tab. 1: Risultati elettorali Orub 1950-1954

Le due associazioni principali risultavano – come un po’ in tutta Italia – l’Intesa e il Magistratus fictonis (Ugi) che, alleandosi con il gruppo Rumagna, riusciva a governare l’organismo bolognese. Nel 1954 il Magistratus incrementò il proprio elettorato di oltre quindici punti percentuali (mentre l’Intesa ne perse circa sei), a causa del progressivo confluire dei voti socialisti e comunisti in uscita dall’agonizzante Cudi in tutti gli atenei italiani, peraltro non senza malumori all’interno dell’Ugi stessa [Urbani 1966, 155-161; Emiliani 2016, 89-92]. Per quel che concerne gli altri gruppi, Iniziativa goliardica era l’organizzazione degli studenti comunisti, Gioventù goliardica era vicina al Fuan e al Msi, mentre Università libera era composta di elementi monarchici. I dati relativi all’affluenza appaiono in crescita: 4.406 (28,8%) votanti nel 1950; 4.959 (35,5%) nel 1952; 6.229 (47,4%) nel 1954 [15]. Infine può essere utile porre a confronto i risultati elettorali dell’Orub con l’andamento nazionale dei diversi gruppi negli stessi anni:

a.a. Intesa Ugi Cudi Fuan Mon. Altri
1951-52 31,27 33,12 7,67 17,24 1,42 9,26
1952-53 33,8 35,67 7,28 15,78 1,23 6,24
1953-54 31,22 39,71 7,23 14,88 2,46 4,5

Tab. 2: Media risultati elezioni studentesche in Italia 1951-54

L’Ugi a Bologna aveva una rappresentanza superiore alla media nazionale, con due associazioni affiliate, che espressero anche esponenti nazionali per l’Unione; viceversa i dati relativi all’Intesa sono abbastanza simili. Non stupisce che gli studenti comunisti nella città emiliana avessero maggiore successo rispetto a quello ottenuto a livello nazionale, mentre i gruppi di destra nell’Alma Mater avevano un consenso più alto rispetto a quello ottenuto dal Msi a livello comunale e regionale, sebbene fossero sottorappresentati rispetto alla media universitaria nazionale [Urbani 1966, 76].

I rappresentanti degli studenti tra assistenza, contributi e dirigenza accademica

Come accennato, il ventaglio delle attività dell’organismo rappresentativo bolognese era piuttosto ampio, tuttavia in questo caso ci si soffermerà su due aspetti, peraltro tra loro collegati, nei quali maggiormente poterono incidere le associazioni universitarie, in stretto contatto con i vertici dell’Alma Mater: l’assistenza agli studenti e la definizione dei contributi per gli iscritti. Il primo, un tradizionale e legittimo ambito di intervento per gli Ors, che sarebbe diventato sempre più rilevante con l’incremento degli iscritti; il secondo, uno spazio di parola (ancora non di decisione) conquistato dagli studenti negli anni Cinquanta. Per quasi vent’anni dopo la fine della guerra, il rettore e i vari consessi si dimostrarono favorevoli all’attività dell’Orub, nel quale vedevano un interlocutore affidabile [16]. I membri dell’organismo, dal canto loro, non mancarono di collaborare con le autorità, soprattutto nell’Opera universitaria.

L’assistenza era l’unica attività nella quale gli studenti ebbero un ruolo riconosciuto dalla legge e, sebbene le Opere universitarie fossero state istituite alla fine degli anni Venti, a partire dal 1945 vi fu un progressivo coinvolgimento degli studenti nelle loro decisioni. Inoltre andò ridefinendosi il concetto stesso di “assistenza”, che iniziò a perdere i caratteri di puro assistenzialismo per tendere verso il soddisfacimento di diritti riconosciuti a tutti i cittadini anche nell’ambito dell’istruzione superiore.

In quest’ottica possono essere lette pure le indagini promosse dall’Orub per conoscere le caratteristiche di coloro che rappresentavano, quantitative e qualitative. I rappresentanti degli universitari utilizzarono tali strumenti per indirizzare la propria azione, mentre oggi questi documenti sono diventati fonti di informazioni sul corpo studentesco, nazionale e/o locale, affiancandosi ad analoghe iniziative dell’Istituto centrale di statistica. Nel 1956, uno dei delegati dell’Orub nel Consiglio dell’Opera universitaria, Ferrante Pierantoni, coordinò una ricerca per «ottenere le necessarie conoscenze per una efficace realizzazione della politica del “Diritto allo studio” […] come superamento del concetto di “assistenza scolastica”». Ci si proponeva di portare avanti «una ricerca sociologica sulla popolazione studentesca dell’Università di Bologna», approvata dal rettorato [Ariotti 1960, 3-4], dimostrando che, almeno tra gli iscritti, stava maturando la consapevolezza della necessità di estendere il diritto allo studio a tutti con provvedimenti sistematici.

Le modalità di svolgimento e i risultati di tale inchiesta furono pubblicati nel 1960 a cura di Roberto Ariotti, che su incarico dell’Orub completò e interpretò i dati rilevati. Quello che ne emerse fu una sorta di fotografia del corpo studentesco nell’anno accademico 1956-57, con il numero degli iscritti, in corso e fuori corso, uomini e donne, divisi per facoltà e per anno di corso; l’analisi dei titoli di studio in ingresso, anche in base ai corsi di laurea selezionati; le regioni e le province di provenienza; i tassi di abbandono in base alle facoltà e agli anni di corso. Il tutto, anche secondo l’interpretazione di Ariotti, apparve attendibile e rappresentativo, soprattutto se posto a confronto con simili rilevazioni effettuate dall’Istat [Ariotti 1960, 19]. Ciò che qui maggiormente interessa è l’attenzione dei rappresentanti degli studenti alla condizione sociale degli iscritti, mediante i dati relativi all’attività professionale ed al grado di istruzione dei genitori, analizzando la situazione dei fuori-sede e degli studenti lavoratori; con la conclusione che l’università era ancora «in gran parte strumento di conservazione delle leve del potere nelle mani di quelle categorie sociali che già le detengono» [Ariotti 1960, 29].

Collegato a quello dell’assistenza, era il tema della definizione delle tasse e dei contributi imposti agli studenti, cui l’Organismo fu sempre molto sensibile [17]. Con la legge 18 dicembre 1951, n. 1551, art. 12, Senato accademico e Consiglio di amministrazione, responsabili della definizione della quota dei contributi in base alle proposte delle facoltà, furono tenuti a sentire il parere dei rappresentanti studenteschi. Nel marzo 1952 il rettore garantì ai delegati dell’Orub il rispetto della nuova norma, e poche settimane dopo gli studenti ottennero la possibilità di esporre il proprio punto di vista al Consiglio di amministrazione [18].

Nei primi anni le autorità accademiche interpellarono l’Orub solo a ridosso della discussione e quest’ultimo non sempre fu in grado di prendere posizione sulle situazioni delle facoltà, ma con il tempo la procedura diventò consuetudine [19]. In linea di massima i rappresentanti degli studenti erano contrari all’aumento dei contributi, poiché avrebbe dovuto «essere lo Stato e non la classe studentesca, ad assumere l’onere di finanziare l’Università», tuttavia non furono rari i casi in cui l’Orub avallò determinati incrementi, soprattutto se chiaramente motivati [20]. Nemmeno il Senato accademico e il Consiglio di amministrazione accettavano pedissequamente le richieste delle facoltà, per quanto nelle loro decisioni i pareri studenteschi non incidessero più di tanto [21]. Si trattava comunque di un piccolo passo verso quella democratizzazione nella gestione degli atenei che gli Ors chiedevano sempre più spesso; un passo che le autorità accademiche bolognesi – a differenza di quelle di altri atenei – subirono senza particolari tentativi di opposizione.

Con il passare del tempo, però, il dissenso dei delegati studenteschi ai continui – seppur non ingenti – aumenti dei contributi, si fece più forte, poiché si ravvisava una tendenza a «far pesare sugli studenti non solo tutti gli aumenti di costi e di attività, ma anche le spese necessarie più alla ricerca scientifica che non all’attività didattica» [22]. Nel 1962, l’Orub chiese un’approfondita indagine su tutti i contributi e le tasse imposti agli studenti, dato che questi dovevano pagare «contributi di migliaia di lire per laboratori ed esercitazioni esistenti solo sulla carta» [23]. Dei risultati di tale studio non c’è traccia nei documenti ufficiali, e la situazione continuò a peggiorare, con incaricati e assistenti spesso alleati dell’Orub: «la tendenza ad accollare agli studenti il maggior peso finanziario dell’attività didattica costituisce un inaccettabile espediente per eludere il problema del finanziamento delle Università» [24]. Studenti, assistenti e incaricati sapevano che la questione andava posta a livello centrale più che alle autorità accademiche, quasi costrette a rivalersi sugli iscritti in mancanza di finanziamenti dello Stato, ma è significativo che anche in questo ambito si creasse un’alleanza con le fasce più basse della docenza, cosa peraltro considerata illegittima dal Senato accademico [25].

L’analisi di questi specifici ambiti d’azione della rappresentanza studentesca è utile ad evidenziare quelli che erano i rapporti tra essa, i docenti (di vario tipo) e la dirigenza accademica. Nel periodo di maggiore legittimità, l’Orub si pose nei confronti del rettore e del Senato accademico come un interlocutore serio e affidabile, cercando di rispettare le regole del gioco e adempiere ai compiti che gli spettavano. Ciò fece sì, in linea di massima, che il decennio trascorse senza scossoni significativi poiché si era instaurato un clima di reciproco riconoscimento, che sarebbe poi andato scomparendo nel momento in cui i rappresentanti degli iscritti iniziarono ad avanzare richieste sempre più difficili da accettare per i vertici dell’università.

L’evoluzione dell’associazionismo universitario negli anni Sessanta

Il Magistratus fictonis, laico-liberale, legato alla tradizione goliardica, rimase l’associazione di riferimento per tutti gli anni Cinquanta, ma alla fine del decennio la situazione mutò, come si evince dai risultati elettorali, per quanto incompleti e derivati da una fonte indiretta [Urbani 1966, 77-83]:

Anno Intesa Ugi Cudi Agi Fuan Altri
1955-56 26,23 55,74 8,2 -- 6,55 3,28
1956-57 n.d. n.d. n.d. -- n.d. n.d.
1957-58 26,66 58,33 8,30 -- 6,66 0,05
1958-59 38,22 48,33 6,66 -- 6,66  
1959-60 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d.
1961-62 40,00 15,00 -- 25,00 6,66 13,34
1962-63 35,00 13,39 -- 35,00 11,60 5,01

Tab. 3: Risultati elezioni studentesche Bologna 1955-1963

Dopo aver raggiunto il picco del consenso nel 1958, i gruppi legati all’Ugi subirono un successivo crollo, del quale si avvantaggiarono i cattolici dell’Intesa e i liberali dell’Agi, usciti dall’Unione goliardica quando i marxisti avevano iniziato a prendere il sopravvento. Nello stesso periodo, da una costola sinistra del Magistratus, su iniziativa di Carlo Coniglio e Luca Meldolesi, nacque l’Unione goliardica bolognese (Ugb), che in breve tempo divenne l’unica declinazione felsinea dell’Ugi [Pastorelli 2015, 56-61; 98]. Pur restando nell’Orub, il Magistratus iniziò ad essere visto – dalla stessa dirigenza accademica – sempre più sbilanciato verso l’attività goliardica tradizionale [26], che proprio allora stava creando le maggiori difficoltà di ordine pubblico [27], per quanto rettori e presidi – consapevoli del radicamento di queste tradizioni a Bologna – si rivelarono piuttosto indulgenti nei confronti degli iscritti denunciati in occasione delle Feste delle matricole, sempre finanziate dall’ateneo [28].

Dall’inizio degli anni Sessanta la parabola degli organismi rappresentativi cambiò in tutta Italia, con una crescente caratterizzazione ideologica che li rese più rigidi. Questo avvenne in modo particolare nell’Ugi, dove la componente marxista, confluita dopo lo scioglimento del Cudi nel 1955, prese il sopravvento su quella liberale-radicale, spostando l’associazione su posizioni di carattere più sindacale [Urbani 1966, 191-197]. Dato che a Bologna le associazioni affiliate all’Unione goliardica erano le più rappresentative, tale fenomeno nell’università felsinea si manifestò in modo particolarmente evidente ed ebbe come conseguenza la separazione con i gruppi che si richiamavano alla tradizione goliardica e allo slogan «fuori i partiti dall’università». Altra conseguenza della trasformazione fu una lenta ma costante perdita di contatto con la base studentesca, che stava a sua volta cambiando; i nuovi problemi dell’università vennero affrontati sempre meno ricorrendo agli organismi rappresentativi e sempre più con proteste e occupazioni, spesso per questioni settoriali.

A Bologna la prima agitazione importante si registrò nel dicembre 1964, quando l’Orub aderì ad uno sciopero dell’Unione nazionale assistenti universitari (Unau) e dell’Associazione nazionale professori universitari incaricati (Anpui). Il rettore Felice Battaglia cercò di tenere separate le due proteste, garantendo ai rappresentanti degli studenti la massima attenzione alla risoluzione dei loro problemi «ben diversi da quelli dei professori incaricati» [29]. Ciononostante, la sera del 16 dicembre, «scalando muri e traversando cortili, smontando vetri, togliendo maniglie, forzando porte, ecc., circa 150 studenti» occuparono la sede centrale. Già in questa occasione, almeno secondo l’impressione del rettore, i rappresentanti dell’Orub persero momentaneamente il controllo della situazione: «mentre loro [l’Orub] erano riuniti in assemblea, è pervenuta la notizia che la Università era già stata occupata. La situazione è così loro sfuggita di mano». Quando i presidi entrarono nell’ateneo si raggiunse il culmine della tensione, con il sequestro del direttore amministrativo Sebastiano Mazzaracchio. Il Senato accademico, riunito d’urgenza, avviò una trattativa con l’Orub che richiese una sorta di immunità per gli occupanti; una volta rassicurati a riguardo, gli studenti rilasciarono il direttore ponendo fine all’occupazione [30]. La rappresentanza studentesca, dopo un iniziale sbandamento, riuscì a riprendere in mano la situazione, ma da questo episodio si possono ricavare segnali di indebolimento del sistema rappresentativo creato nel 1948. Buona parte del corpo studentesco non si sentiva più rappresentato dalle vecchie organizzazioni e iniziò a volersi impegnare direttamente; altri, che viceversa non intendevano darsi alla politica, preferirono rifugiarsi in organizzazioni goliardiche tradizionali. Gli Ors, che per i quindici anni precedenti avevano tentato di tenere insieme i due aspetti, iniziarono perciò a perdere il proprio senso di esistere.

La contestazione e la fine dell’Organismo rappresentativo universitario bolognese

Quella iniziata il 26 gennaio 1967, riguardante l’aula Magna e l’istituto di Fisica, per una gestione più partecipata dell’accademia, pur non essendo la prima occupazione, può essere considerata l’avvio del Sessantotto bolognese. Per questi episodi, i verbali del Senato accademico rappresentano una fonte preziosa poiché, con i presidi riuniti in seduta quasi permanente, tali documenti diventano una sorta di cronaca scritta degli eventi, seppure dal punto di vista della dirigenza accademica [Dessì 2013, 267-268].

Quando iniziò l’occupazione, il Senato si rivolse – come aveva sempre fatto – all’Orub, ma questa volta il presidente dell’organismo dovette ammettere «la situazione di disagio creatasi in seno all’associazione dopo le dimissioni della Giunta». Privi del proprio interlocutore, ormai delegittimato, i presidi si recarono direttamente dagli occupanti, senza riuscire a ottenere risultati positivi [31]. Nei giorni successivi l’occupazione si espanse, e il Senato reagì con un ordine del giorno nel quale le autorità accademiche si rendevano disponibili ad accettare molte delle richieste degli occupanti, a patto che si chiarisse con quale soggetto del campo studentesco trattare [32]. La confusione tra Orub e assemblee rese più difficile la soluzione della vertenza, tanto più che si unirono all’agitazione i docenti incaricati e gli assistenti, chiedendo l’ammissione di loro rappresentanti nei Consigli di facoltà e la creazione di Comitati consultivi di corso di laurea per sentire gli studenti.

Questo sostegno ridiede fiato all’Orub, che tuttavia, nel promemoria consegnato al Senato sentiva il bisogno di riaffermare la propria posizione di unico e legittimo rappresentante degli studenti a tutti i livelli, evitando così di «incentivare i colpi di Assemblea troppo spesso di composizione variabile», oltre a chiedere l’istituzione dei Comitati di facoltà e di ateneo, per «dare unità e coordinamento alle richieste provenienti dalle Facoltà e dai corsi di laurea», e «la presenza consultiva di un assistente e di uno studente nel Consiglio di Facoltà» [33]. Questi nuovi organismi – accolti in linea di massima dal Senato – avrebbero dovuto «esprimere pareri e formulare proposte su qualsiasi argomento riflettente l’attività di Facoltà o del corso di laurea», eccezion fatta per le questioni riguardanti le cattedre e gli incarichi di insegnamento. I Consigli di facoltà non erano tenuti a conformarsi alle richieste dei Comitati, ma avrebbero dovuto motivare le proprie decisioni [34]. Era un’importante concessione a studenti, assistenti e incaricati, che per legge non potevano entrare nei Consigli di facoltà; e in altri atenei, a partire dalla vicina Università di Padova, tali richieste trovarono un netto rifiuto da parte di rettore e presidi.

La vicenda dei Comitati è utile a mettere in evidenza tre aspetti: la debolezza dell’Orub che faticò a non farsi scavalcare dalle assemblee di facoltà; l’alleanza tra le associazioni studentesche, l’Anpui e l’Unau, caratteristica di tutti gli anni Sessanta, che aiutò l’Ors a riacquistare il controllo della situazione; la disponibilità del Senato accademico ad accogliere le richieste della protesta. Quindi, se da un lato le prime assemblee spingevano la rappresentanza in una direzione più “movimentista”, dall’altro essa necessitava del riconoscimento e del sostegno della dirigenza accademica per poter sopravvivere. Non era una condizione sostenibile a lungo.

Il colpo di grazia all’Orub arrivò con l’episodio più significativo del Sessantotto bolognese, la cosiddetta occupazione dei “70 giorni”. Il 14 febbraio 1968, l’Istituto di Fisica fu occupato per denunciare l’autoritarismo accademico, chiedere libertà di discussione e nuovi metodi di insegnamento, con un effetto a catena in molti altri istituti dell’ateneo. Il Senato reagì prendendo contatti con la forza pubblica e cercando in parallelo di comprendere la situazione delle varie facoltà, rivolgendosi però ad assemblee o comitati studenteschi, e non più all’Orub. La dirigenza accademica dovette constatare l’estremizzazione delle richieste provenienti dagli studenti e la pretesa delle assemblee di vedersi riconosciute come interlocutrici legittime. Di fronte a tale fenomeno, i docenti chiesero agli studenti di nominare dei delegati e avviare trattative, secondo un metodo consolidato, ma ottennero risposte negative. Non è quindi un caso che nelle settimane successive si dimettessero sia il direttore dell’Istituto di Fisica, Marcello Ceccarelli, sia soprattutto il rettore Battaglia, al di là della motivazione ufficiale legata ai «gravi motivi di salute» [35].

Ciononostante, a fine marzo la maggior parte dei presidi si dichiarò ancora favorevole ad una soluzione di compromesso, con il solo Gianfranco Cimmino, preside di Scienze, a chiedere l’intervento della forza pubblica [36]. Il 9 aprile l’assemblea della sede centrale inoltrò le proprie richieste al rettorato, indicando «nella conquista di uno spazio politico autonomo interno all’Università […] il riconoscimento del Movimento studentesco come movimento politico autonomo», oltre ad una serie di rivendicazioni specifiche, tra le quali il versamento alle assemblee dei fondi fino a quel momento devoluti all’Orub [37]. La risposta del Senato arrivò il 17 aprile 1968, dopo una lunga discussione soprattutto sull’ultimo punto, ma alla fine vi fu l’accoglimento – a maggioranza – delle richieste: l’occupazione si sarebbe prolungata fino al 2 maggio, settanta giorni dopo il suo inizio [Ceccarelli 2004; Dessì 2013, 269]. L’episodio sancì la fine dell’esperienza dell’organismo rappresentativo bolognese, sconfessato dagli stessi studenti che preferirono impegnarsi direttamente a tutela dei propri interessi attraverso le assemblee. Proprio nel momento in cui l’università andava trasformandosi e ci sarebbe stato maggiore bisogno di una rappresentanza legittimata, quest’ultima si dissolse, rivelandosi debole e attenta solo alle questioni politiche interne [Pastorelli 2015, 24].

Conclusioni

Con le vicende del 1968, a Bologna – come in tutti gli atenei italiani – si concluse la parabola degli organismi rappresentativi così come si erano configurati dal dopoguerra. La situazione nell’Alma Mater appare un po’ diversa rispetto a quella di altre sedi, poiché i dirigenti accademici bolognesi concessero ai rappresentanti degli iscritti molto più spazio di quello garantito altrove. Ciononostante gli studenti non riuscirono ad evitare la crisi delle proprie strutture e finirono anch’essi travolti dall’onda contestataria. In realtà il movimento studentesco non fece altro che affondare definitivamente un sistema di rappresentanza che era in crisi già da diversi anni per motivi soprattutto interni, perciò sarebbe sbagliato attribuire alla contestazione la responsabilità della morte degli Ors. Viceversa, si potrebbe dire che l’incapacità di rinnovamento dei vecchi rappresentanti fu una delle cause del malcontento studentesco che portò al Sessantotto.

Ciò che lo sviluppo dell’associazionismo lascia emergere è che se tra anni Quaranta e Cinquanta i gruppi studenteschi riuscirono a cogliere e ad adeguarsi ai cambiamenti della società e della politica italiana (prima che dell’università), e anzi in alcune occasioni li anticiparono, con gli anni Sessanta tale legame con il mondo esterno all’accademia si perse, i giovani che gestivano l’Orub si chiusero nelle loro questioni da politici in erba diventando autoreferenziali come i loro colleghi un po’ in tutta Italia. È qui che si consumò la spaccatura con la base studentesca, che con la contestazione si ribellò non solo al potere accademico ma pure ai propri rappresentanti legittimi, ormai del tutto incapaci di comprendere le nuove esigenze dei nuovi iscritti. Le agitazioni che iniziarono nella primavera 1966 spazzarono via un sistema ormai agonizzante: le diverse associazioni vennero scavalcate dalle assemblee che non ne riconoscevano il ruolo, rifiutando il concetto stesso di delega e di rappresentanza. L’Orub – così come Unuri, Ugi, Intesa e Agi a livello nazionale – si dissolse tra 1968 e 1969, lasciando un vuoto che le assemblee di facoltà riuscirono a colmare solo per un breve periodo; negli anni Settanta l’impegno si spostò fuori dall’università, senza che al suo interno ci fosse un soggetto in grado di tutelare gli interessi degli studenti.


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Note

1. D.d.l. 1523, 16 marzo 1955, firmato da Giovanni Malagodi, Aldo Bozzi e Francesco Colitto (Pli). Decaduto con la fine della legislatura e ripresentato il 20 settembre 1958 (d.d.l. 267), non sarebbe stato approvato nemmeno nella III legislatura.

2. D.l. 14 febbraio 1948, n. 168, art. 3.

3. Il contributo corrispondeva a meno del 5% del totale delle tasse.

4. Cfr. Archivio storico dell’Università di Bologna (d’ora in poi ASUB), Verbali Consiglio di amministrazione (CdA), 1948-49, 1° agosto 1948, pp. 105-106.

5. Per le percentuali di donne sul totale degli iscritti, cfr. ASUB, Annuario accademico dell’Università di Bologna, ad annum.

6. Ivi, b. 2, f. 4 Associazioni studentesche (1945-1946), Invito I congresso internazionale degli studenti a Praga, 28 settembre 1945.

7. Cfr. ivi, il rettore al ministro della Pubblica istruzione su associazioni studentesche, 21 gennaio 1946.

8. Ivi, Annuario accademico dell’Università di Bologna, a.a. 1945-46, p. 115.

9. Cfr. ivi, Verbali Senato accademico (SA), 1945-1949, 28 febbraio 1946, pp. 109-110.

10. Cfr. ivi, 28 luglio 1948, pp. 325-326; 20 dicembre 1948, pp. 377-382.

11. Ivi, Annuario accademico dell’Università di Bologna, 1948-1950, p. 167.

12. Ivi, Pos. 64, b. 3, f. 5 Orub (1952-54), Fascicolo informativo Orub.

13. Cfr. ibidem.

14. Cfr. ivi, Pos. 64, b. 3 Associazioni studentesche. Varie (1948-56), Risultati elezioni studentesche, 11 marzo 1948.

15. Ivi, Pos. 64, b. 4, f. 1 Associazioni studentesche (1948-56), s.d., Risultati elezioni degli anni 1950-1952-1954.

16. Si veda, ad esempio, la considerazione in cui erano tenute le richieste degli studenti in Senato accademico: ivi, Verbali SA, 1949-57, 18 ottobre 1949, p. 4; 7 dicembre 1949, p. 16.

17. La prima protesta del dopoguerra (febbraio 1950) scaturì dall’intenzione di alcune università di aumentare i contributi di laboratorio. Cfr. ivi, Verbali SA, 1949-57, pp. 23-26.

18. Cfr. ivi, Verbali CdA, 1952-54, 29 marzo 1952, pp. 79-80; 16 maggio 1952, pp. 99-101.

19. Si veda, ad esempio: ivi, Verbali SA, 1949-57, 10 luglio 1956, pp. 348-349; Verbali CdA, 1952-54, 15 luglio 1953, pp. 393-395.

20. Si veda, ad esempio: ivi, Verbali SA, 1962-64, 17 luglio 1964, pp. 399-402.

21. Si veda, ad esempio: ivi, Verbali CdA, 1956-57, 27 luglio 1956, pp. 162-164; Verbali SA, 1964-66, 16 giugno 1965, pp. 115-118.

22. Ivi, Verbali CdA, 1960, 30 luglio 1960, pp. 355-361.

23. Ivi, 1962, 28 luglio 1962, pp. 507-515.

24. Ivi, 1964-65, 20 luglio 1964, p. 248.

25. Ivi, Verbali SA, 1962-64, 17 luglio 1964, pp. 399-402.

26. Si veda, ad esempio: ivi, 1957-59, 28 novembre 1958, p. 192.

27. Si veda, ad esempio: ivi, 1957-59, 8 luglio 1959, p. 298.

28. La prima volta che il Consiglio rifiutò un contributo per la Festa delle matricole fu nel 1967. Cfr. ivi, 1967, 26 giugno 1967, p. 180; 28 luglio 1967, p. 271.

29. Ivi, 1964-66, 17 dicembre 1964, p. 20.

30. Ivi, pp. 20-23.

31. Ivi, 1967-68, 27 gennaio 1967, pp. 39-40.

32. Ivi, 31 gennaio 1967, pp. 41-42.

33. Ivi, 15 febbraio 1967, pp. 46-49.

34. Cfr. ivi, 2 marzo 1967, pp. 62-64.

35. Ivi, 22 marzo 1968, p. 343.

36. Ivi, 28 marzo 1968, pp. 345-348.

37. Ivi, 17 aprile 1968, pp. 351-352.