Il seguente saggio intende fornire un primo - provvisorio ma suggestivo - sguardo d’insieme sulle zone libere partigiane sorte nella Provincia di Piacenza nel corso dell’estate-autunno del 1944.

Si chiarisce subito tuttavia, che si tratta di un lavoro che non ha la pretesa di essere definitivo. Piacenza, provincia «agli estremi margini dell’Emilia Romagna» sconta la sua perifericità anche nella mancanza di studi sistematici sul periodo resistenziale, compiuti negli anni passati in altre province emiliane, e anche nella difficoltà di reperimento delle fonti, disperse in più fondi tra Archivio di Stato, vari archivi comunali, istituti ed associazioni. Riflesso di questo vuoto di indagine a livello locale è il fatto che spesso, nelle pubblicazioni a carattere nazionale nate dall’intento di censire le zone libere, la provincia di Piacenza risulta notevolmente sottodimensionata. L’unica zona libera mappata in studi più o meno recenti [Legnani 1978; Vallauri (ed.) 2013; Augeri 2014]] è la cosiddetta «Repubblica di Bobbio», che in provincia rimane sicuramente l’esperienza di autogoverno partigiano più nota, grazie alla presenza a Bobbio di diversi intellettuali capaci non solo di provvedere alla gestione politica e amministrativa, ma anche di dar vita ad un florido laboratorio ideale sulle sorti della nuova Italia libera dal fascismo.

Nonostante queste prime difficoltà appariva doveroso, all’interno di un tavolo coordinato di studi sulle zone libere in Emilia Romagna, illustrare anche la realtà piacentina, così ricca di esperimenti e sperimentazioni.

Il quadro così tracciato è apparso, nonostante alcune lacune e domande irrisolte, di grande interesse. Nella ricostruzione proposta si è fatto costantemente riferimento alle fonti documentali che è stato possibile reperire e consultare, integrandole con la memorialistica e la bibliografia, che però richiedeva un di più di problematizzazione per le evidenti complessità che presenta.

Di fondamentale importanza sono stati i testi di Giuseppe Prati, comandante della Divisione Valdarda, [Prati 1980 e 1994], che a partire dagli anni Ottanta ha ricostruito la sua vicenda partigiana, Due stagioni in Val Nure [Pancera 2005], e La Repubblica di Bobbio, redatto nel 1977 da Michele Tosi, storico e allora direttore degli Archivi Storici Bobiensi. Dei tre volumi, che presentano comunque elementi d’interesse, specie laddove documenti delle formazioni partigiane oggi non più reperibili vengono riprodotti in allegato, quello di Tosi appare il più curato, con un ragionato lavoro di confronto tra le fonti. Tutti e tre i testi risentono comunque della volontà degli autori di mostrare quanto anche la Resistenza piacentina - a torto bistrattata - avesse saputo dar vita a «Repubbliche partigiane» simili a quelle più famose dell’Ossola, della Carnia, di Montefiorino. Emblematico ed esemplificativo di un atteggiamento diffuso l’utilizzo che il Tosi fa del termine «Repubblica» per definire l’esperienza bobbiese: termine importante e ben connotato, del quale però non si è trovata traccia all’interno della documentazione. D’altronde lo stesso Italo Londei, uno dei principali animatori della Resistenza locale, nella sua raccolta autobiografica [Londei 1960] non utilizza mai questo altisonante termine, preferendo sempre la dicitura di «zona libera».

Nella trattazione si è scelto di suddividere la Provincia tra valli orientali - Val d’Arda e Val Nure - controllate da formazioni garibaldine, e valli occidentali - Val Trebbia e Val Tidone - sotto il controllo delle formazioni di Giustizia e Libertà; e ci si è voluti limitare alle esperienze dell’estate-autunno 1944, tralasciando altre esperienze amministrative vissute dalle formazioni partigiane e dalle popolazioni delle valli a partire dal febbraio 1945 fino alla Liberazione. Una sezione a parte è dedicata al ruolo di controllo e coordinamento portato avanti dal Commissariato Civile per i Comuni liberati e liberandi dalle formazioni partigiane istituito nell’ottobre 1944 dal Cln provinciale di Piacenza con l’intento di supervisionare le attività delle giunte di governo dei Comuni liberati. L’estate del 1944 è infatti per le formazioni partigiane della XIII Zona (corrispondente al territorio provinciale) un momento di eccezionale crescita ed espansione: le forze della Resistenza si trovano a controllare tutta la parte appenninica della Provincia - circa i ¾ del suo territorio - e a dover far fronte alle esigenze di rispristino della vita politica, amministrativa e civile dei numerosi Comuni liberati.

Un grosso limite che si è riscontrato è stata la difficoltà di circoscrivere precisamente i confini delle zone libere, in continuo e veloce cambiamento, lavoro per il quale sarebbe necessario un completo e comparato spoglio di tutti gli archivi dei Comuni interessati.

1. «Il rinnovamento morale e materiale del Paese che ha inizio dal Libero Comune» [1]. Le zone libere partigiane e i Comuni liberati delle valli orientali

La parte orientale dell’Appennino piacentino è costituita da due valli principali, la Val Nure e la Val d’Arda, separate da una serie di valli secondarie attraversate da una fitta rete di affluenti minori: la Val Riglio, la Val Vezzeno, la Val Chero e la Val Chiavenna. Con quest’ultima confina la Valle d’Arda, la più orientale del ventaglio di vallate che compongono l’Appennino piacentino, che confina con la provincia di Parma nella sua parte alta, mentre nella parte bassa a fare da cuscinetto con il parmense è la piccola Val d’Ongina.

Più selvaggia e impervia è invece la Val Nure, che si estende più in profondità nell’Appennino, con rilievi montuosi più erti ed inaccessibili, ottimo rifugio per le formazioni partigiane in caso di rastrellamento. Sempre l’alta Val Nure - insieme al vicino Appennino parmense - rappresenta la meta naturale degli sganciamenti delle formazioni della Val d’Arda, più sbilanciate a valle verso la pianura e la Via Emilia.

In entrambe le valli piacentine orientali lo sviluppo e l’affermazione del movimento partigiano locale portano, nell’estate del 1944, alla formazione di due ampie zone libere che si è scelto di analizzare parallelamente, nonostante rimangano sempre ben distinte. Questa decisione nasce non solo dal fatto che in entrambe le zone operino formazioni garibaldine (mentre nella parte occidentale della Provincia si muovono le formazioni di Giustizia e Libertà) ma soprattutto in considerazione dell’uniformità cronologica della storia delle due valli, che conoscono uno sviluppo del movimento partigiano pressoché contemporaneo e vengono investite in modo quasi sempre simultaneo dalle azioni di rastrellamento nazifascista.

Queste poche uniformità non devono però far dimenticare le differenze tra le due zone.

Se in entrambe le valli orientali operano infatti brigate garibaldine - fatta eccezione per la 61a Brigata Mazzini, operativa in Val Nure da agosto a dicembre 1944 - si tratta comunque di formazioni dalle caratteristiche marcatamente differenti.

In Val d’Arda troviamo un panorama resistenziale piuttosto coeso e coordinato, più restio ad accettare il ruolo di coordinamento del Comando unico provinciale. Più magmatica la situazione della Val Nure, dove nascono diverse formazioni - molto mobili, poco organizzate, anche se molto combattive - che spesso hanno però vita breve, si sciolgono alla svelta, frequentemente cambiano zona di attività, e che trovano nel Comando unico - in seguito insediato a Bettola, principale centro della valle - un punto di riferimento indispensabile nel coordinamento e nella gestione della logistica e spesso anche dell’azione militare.

Un’altra importante differenza è dettata dalla conformazione geografica della Provincia, che informa i rapporti che le due valli instaurano con i centri della pianura. La Val Nure insiste sulla stessa città di Piacenza, della quale si trova direttamente alle spalle (e quel legame era allora rafforzato dalla presenza di una linea ferroviaria diretta Piacenza-Bettola). È quindi la meta privilegiata per la salita in montagna degli antifascisti della città e degli esponenti del Cln, che dall’agosto del 1944 si trasferirà appunto a Bettola.

La Val d’Arda, al contrario, si trova in una zona più decentrata rispetto a Piacenza, e finisce per vivere di vita propria, intessendo relazioni politiche, economiche e sociali maggiormente slegate dal capoluogo e dalle sue dinamiche. La valle e i suoi monti gravitano piuttosto su Fiorenzuola, principale centro abitato della provincia dopo il capoluogo, e costituiscono il naturale retroterra montuoso per tutti quei comuni di pianura situati lungo il Po tra Piacenza e Cremona, e anche per la stessa provincia lombarda. Paesi della fertile Valle Padana, caratterizzati da un’agricoltura industrializzata e protagonisti, nel biennio rosso, di forti tensioni politiche e sociali, stroncate da uno squadrismo aggressivo e feroce. È da queste zone e dalla stessa Fiorenzuola, che in Val d’Arda saliranno diverse persone animate di un sentimento antifascista radicato, consapevole, maturo.

Due valli diverse quindi, ma nelle quali si sviluppano due ampie zone libere, la cui storia si è scelto di analizzare in parallelo suddividendone la cronologia in tre macro-fasi:

  • la nascita (maggio-luglio 1944), momento nel quale si verifica nelle valli orientali piacentine una prima occupazione di porzioni di territorio da parte delle forze della Resistenza, che perdura fino ai rastrellamenti estivi dell’ Operazione Wallenstein;
  • la maturità, ovvero il momento delle zone libere vere e proprie (agosto-dicembre 1944 per la Val Nure, agosto-gennaio 1945 per la Val d’Arda), in cui si ha la costituzione di entità autonome anche dal punto di vista amministrativo, fino al rastrellamento dell’inverno 1944-45;
  • la ripresa (febbraio-aprile 1945), con la riconquista del territorio e il tentativo di ricostruzione delle esperienze dell’estate precedente in vista dell’imminente Liberazione; periodo che presenta caratteri peculiari e che non sarà qui ulteriormente approfondito.
La nascita: Il sindaco “Selva”, piccole prove di libertà

Nel corso della primavera 1944 si manifesta nelle valli orientali una forte spinta al passaggio da renitenza alla leva a Resistenza armata, con lo stabilizzarsi - dopo un primo periodo di grande mobilità di individui e gruppi - di formazioni partigiane dotate di una certa consistenza ed efficienza militare, che giocheranno da lì a poco un ruolo fondamentale nella formazione e gestione delle zone libere.

In Val d’Arda si tratta di gruppi di disertori, di ex-militari sbandati dopo l’armistizio dell’8 settembre, di giovani renitenti delle classi 1924/25, di ex-prigionieri di guerra scappati dai vicini campi di prigionia, che si erano aggregati spontaneamente nelle zone più alte della valle - a Sperongia di Morfasso, a Settesorelle, a Monastero, sul monte Santa Franca. Queste prime bande si uniscono in un’unica formazione, grazie al sapiente lavoro di coordinamento messo in atto dall’ex capitano del Regio Esercito Wladimiro Bersani “Capitano Selva” per conto del Cln provinciale. È così che nell’aprile del 1944 sul Monte Lama nasce la 38a Brigata Garibaldi che raccoglie sotto la guida carismatica del comunista “Selva” elementi per lo più autoctoni, che ben conoscono la valle e i suoi abitanti.

In Val Nure a svolgere la funzione di aggregazione delle prime bande che già dall’autunno 1943 si erano formate numerose è il nostromo della Marina Militare Italiana Ernesto Poldrugo “Istriano”, che con il suo gruppo si sposta, nella primavera del 1944, dalla zona del Monte Penna, in provincia di Parma, verso il Piacentino, in Val Nure, attestandosi sul Monte Nero. Sarà questo risoluto gruppo, al quale si uniranno presto elementi locali provenienti da alcune bande di disertori, a compiere le prime significative azioni armate. Nello stesso periodo un altro gruppo si attesta tra la Val Nure e la Val Trebbia, a Peli di Coli, costituendo la 60a Brigata Garibaldi Stella Rossa: a guidarla Milič Dusan “Montenegrino”.

Il 17 maggio 1944 gli uomini dell’ “Istriano” espugnano il presidio di Ferriere, allentando così la pressione del fascismo repubblicano sull’alta Val Nure.

Lo stesso giorno in Val d’Arda, sul monte Lama, la 38a Brigata riceve il primo lancio alleato: con quelle armi, il 24 maggio, gli uomini di “Selva” attaccano il presidio di Morfasso, liberando l’alta Val d’Arda. Si tratta delle prime azioni che rivelano il passaggio da una fase di occultamento a una fase di conflittualità aperta in cui i partigiani si mostrano - apparendo apertamente sulla scena pubblica - e di-mostrano la propria presenza, anche attraverso azioni ad alto valore rappresentativo.

25 Maggio 1944. I partigiani tornano a Morfasso, liberata il giorno precedente, dopo un’azione contro la caserma della GNR di Rustigazzo (Archivio Museo della Resistenza Piacentina).
25 Maggio 1944. I partigiani tornano a Morfasso, liberata il giorno precedente, dopo un’azione contro la caserma della GNR di Rustigazzo (Archivio Museo della Resistenza Piacentina).

È il caso di Morfasso libera, dove viene gettata una prima base per la presa in carico delle amministrazioni locali, grazie a Wladimiro Bersani. La sua consapevolezza politica, il suo ruolo di dirigente del movimento clandestino e del Partito Comunista, la sua competenza in fatto di diritto amministrativo, gli impongono infatti di sfruttare l’occasione per riempire quel gesto di un grande significato politico. In quel frangente “Selva” assume per conto del Cln l’incarico di sindaco di Morfasso e comunica alle autorità provinciali - prefettura, questura, procura - l’insediamento della nuova amministrazione:

A tutte le autorità di Piacenza. Informo che oggi l’amministrazione del comune di Morfasso viene assunta dal comando della 38a Brigata Garibaldi intitolata Piacenza. Avverto che la zona è presidiata ed accettiamo battaglia dai tedeschi. Non intendiamo spargere sangue italiano, ma avverto, però, che se italiani in veste di fascisti venissero su, saranno trattati come traditori e fucilati. F.to Paolo Selva [Prati, 1994: 57].

Morfasso sarà così ricordato, nelle memoria pubblica e nella bibliografia, come «il primo Comune liberato d’Italia» [Prati, 1987]; e, da quel 24 maggio 1944, fungerà da base logistica per la Resistenza, che incalza i presidi della Repubblica sociale in modo sempre più martellante. Già il 25 maggio viene attaccato e sconfitto il presidio di Rustigazzo, in Val Chero. Il 27 maggio viene liberata Vernasca [2]. Il 20 giugno un distaccamento partigiano proveniente da Bardi, con l’appoggio di alcuni elementi della zona di Vernasca, attacca la caserma di Lugagnano, principale centro della vallata. In questo caso si tratterà non di un’occupazione duratura ma di una breve puntata, dal momento che il giorno stesso i nazifascisti accorreranno in forze per rioccupare il paese, ma che dimostra come la Resistenza possa scendere dai monti, minacciando anche i presidi dei grossi centri del fondovalle.

Parallelamente anche in Val Nure le forze partigiane muovono i primi passi sul cammino della progressiva liberazione della valle. Il 27 giugno il gruppo dell’”Istriano”, dopo una sanguinosa battaglia in cui cadono due partigiani, libera il comune di Farini d’Olmo. Ad uno dei caduti, Ferdinando Guerci “Caio”, sarà intitolata la Brigata che proprio quel giorno si costituirà: la 59a Brigata Garibaldi Caio. Da lì, con una serie di ripetute «spallate» alle quali partecipano anche gli uomini della Stella Rossa, si tenta - invano - di liberare Bettola. Anche in Val Nure si realizza così una situazione di spaccatura analoga a quella valdardese: fino a Bettola il potere della Repubblica sociale tiene, da lì in su, nell’alta valle, i partigiani controllano il territorio e le vie di comunicazione.

All’inizio del luglio 1944 la Val d’Arda appare spaccata, con l’alta valle e la fascia più orientale (la costa di Vernasca) controllate dalle forze della Resistenza, mentre gli abitati di Lugagnano, Gropparello e Castell’Arquato, nonostante le continue azioni di disturbo, rimangono saldamente in mano ai nazifascisti.

In questa prima fase, se sicuramente comincia a manifestarsi un interesse partigiano per il controllo del territorio, specie nelle sue zone più alte, appare difficile parlare di vere e proprie zone libere. Ad eccezione della pur significativa esperienza di Morfasso, dove è forte la tensione alla nomina di cariche politiche e civili che nelle formazioni partigiane e nel Cln trovassero legale legittimazione - uno dei primi atti del sindaco-comandante Bersani consiste proprio nell’attribuzione delle funzioni di ufficiale di Stato Civile a Roberto Rapaccioli, al quale sono demandati i compiti di primaria necessità relativi ad atti di nascita e morte, pubblicazioni di matrimonio e rilascio di certificati, decisione che viene notificata «per opportuna norma» a prefettura, questura e procura [Prati 1980, 50] - l’occupazione dei territori rimane puramente militare e non ci sono elementi che inducano a pensare che la Resistenza fosse in grado di gestire in toto la vita civile.

Seppure in crescita costante, la stessa consistenza numerica delle formazioni partigiane è in questa fase ancora piuttosto esigua: ciò sarà reso evidente dall’impatto con il rastrellamento che interesserà le valli orientali - e tutto il settore sud-ovest dell’Appennino toscoemiliano - a partire dal luglio 1944. Nell’ambito dell’operazione Wallenstein - che, con una serie di radicali rastrellamenti, tenta di «ripulire» il territorio dalla presenza partigiana, liberare le vie di comunicazione appenniniche e rastrellare manodopera da deportare in Germania - le Valli del Nure e dell’Arda verranno rioccupate e riconquistate al controllo delle formazioni nazifasciste. Nelle Wallenstein si verifica una «saldatura tra il reclutamento della manodopera per il Reich e la lotta antipartigiana, con requisizioni di beni e deportazione delle popolazioni rurali, destinate agli Arbeitslager in Germania» [Poggioli 2006, 253]. A questa operazione militare le brigate delle valli orientali non cercheranno nemmeno di opporsi, mettendo in atto una veloce ed efficace tattica di sganciamento ed occultamento; bisognerà attendere la fine del mese e l’abbandono della zona da parte dei reparti tedeschi per vedere i partigiani rialzare la testa.

In Val d’Arda l’impatto della Wallenstein porterà con sé una conseguenza ancor più drammatica: il 19 luglio a Tabiano di Lugagnano Wladimiro Bersani, il comandante della 38a Brigata, il primo sindaco di Morfasso liberata, cade in combattimento, lasciando una formazione già in crisi per gli avvenimenti bellici orfana di quella figura che aveva saputo tenere insieme le varie anime della Resistenza valdardese. Il nuovo comandante, colui che presiederà a nuove e più mature forme di controllo del territorio liberato, sarà Giuseppe Prati, ex sottoufficiale di Morfasso.

La maturità: le zone libere di Val Nure e Val d’Arda

Alla fine di luglio 1944 i rastrellatori si ritirano, spesso attestandosi su posizioni ancora più arretrate rispetto a quelle occupate prima delle Wallenstein. I reparti della Gnr, lasciati soli a presidiare il territorio, temono gli attacchi di un movimento partigiano in inevitabile crescita grazie alle adesioni dei tanti renitenti nascosti sulle montagne.

In Val Nure Bettola viene abbandonata, la Gnr si attesta a Ponte dell’Olio, giusto all’imbocco della vallata. È un’occasione imperdibile. La 60a e la 59a occupano velocemente la zona. Bettola diventa da quel momento la capitale della Resistenza piacentina, sua sede elettiva e centro vitale. Lì, nei locali del Consorzio agrario, si insedia il Comando unico della XIII Zona, guidato dall’anarchico Emilio Canzi “Ezio Franchi”. Nella sede del Municipio si insedia il Cln provinciale, uscendo così dalla clandestinità della pericolosa attività cittadina. Il Preventorio Chiapponi, situato sulla strada che congiunge le Valli Nure e Arda, diventa un imponente ospedale partigiano. Presso la Tipografia Baldini il Cln mette in funzione anche una vera e propria zecca partigiana, dove coniare pezzi cartacei del valore di 500, 1000, 5000 lire «pagabili dal Libero governo italiano alla fine della guerra» [Pancera 2005, 55-56; Prati 1994, 144].

Divenuta così sede delle massime istituzioni e organismi provinciali della Resistenza, Bettola diventa il vivace centro di una zona libera che si estende nell’Alta Val Nure - insistendo anche sui territori comunali di Farini d’Olmo e Ferriere - e si trasforma in un laboratorio di sperimentazione di nuove forme di gestione e organizzazione della società.

Si forma anche un’amministrazione civica: la giunta provvisoria, guidata dal dottor Guido Perletti, si insedia l’8 agosto 1944, sotto l’impulso delle formazioni partigiane e del Cln. Oltre a cercare di amministrare e gestire la difficile situazione di una valle in guerra, distante ed ormai slegata dal resto del Paese, avrà il compito di intraprendere un cammino che porterà alla riunione, il 2 ottobre 1944, di un Consiglio comunale vero e proprio, presieduto da Carlo Bianchi, figura di spicco del Cln comunale bettolese. Sarà lui a provvedere alla nomina della giunta e del sindaco, il ragionier Cesare Agnelli. L’amministrazione così composta si occuperà innanzitutto di «amministrare la fame» con delibere relative a razionamento, calmieramento, raccolta e distribuzione di legna, carburanti e generi alimentari, ripristino di un sistema efficiente di riscossione delle imposte. Nei Comuni montani sovrastanti, Farini d’Olmo e Ferriere, vengono nominati dal Cln provinciale dei Commissari, che gestiranno la vita amministrativa in stretta collaborazione con le altre istituzioni insediatesi a Bettola libera [Pancera 2005, 66].

Estate 1944. Partigiani a Bettola libera.
Estate 1944. Partigiani a Bettola libera.

L’8 agosto 1944, proprio mentre a Bettola si riunisce la prima giunta provvisoria, un evento inaspettato scuote la vicina Val d’Arda. Mentre la 38a Brigata Garibaldi, ancora in crisi dopo la morte del leader Wladimiro Bersani, stenta a trovare stabilità e nuova verve offensiva, un’iniziativa isolata dà impulso alla riconquista della valle, che vivrà da quel giorno una nuova stagione di autogoverno. Si tratta della liberazione del paese di Gropparello, decisa, organizzata e gestita dal gruppo di partigiani locali, addensatosi sul Monte Santa Franca attorno alla carismatica figura di Primo Carini “Pip”. È lui a dare l’ordine di attaccare la caserma repubblicana di via Marano, che viene conquistata dopo alcune ore di combattimenti. Per la Resistenza valdardese di tratta di un passo importante: posto in posizione strategica il paese di Gropparello controlla l’accesso ad una vasta zona collinare e montuosa e, di fatto, forma un cuscinetto di protezione che copre i numerosi distaccamenti posti a monte, eliminando consistenti pericoli d’incursione.

Controllare Gropparello vuol dire anche, per i partigiani della Val d’Arda spostare significativamente in avanti il baricentro della propria zona operativa, consentendo di compiere incursioni direttamente sulla Via Emilia e sulle principali arterie di comunicazione della pianura, nonché nei centri abitati di San Giorgio, Carpaneto, Pontenure, Podenzano. Ma soprattutto significa controllare - e parallelamente sottrarre al controllo nazifascista, e alla ormai drammatica sete di mezzi e risorse della Repubblica sociale - i pozzi di gas e petrolio dell’importante centro minerario di Montechino. La «gasolina» di Montechino - che per la sua rara purezza permette l’utilizzo diretto senza previa raffinazione - andrà ad alimentare gli automezzi partigiani, migliorando spostamenti e comunicazioni.

L’entusiasmo per la riuscita liberazione di Gropparello funge da catalizzatore di altri fermenti che si muovono in Val d’Arda, agendo da elemento scatenante di una rapida riorganizzazione delle forze partigiane dislocate in tutta la valle. Uno dopo l’altro i distaccamenti riprendono rapidamente posizione anche nella zona di Morfasso e Vernasca, e prima della fine del mese anche Lugagnano viene abbandonata dalla Gnr e occupata dalla Resistenza.

Gli uomini della 38a Brigata Garibaldi si trovano così a dover organizzare, gestire e difendere un’ampia zona libera che si estende dai confini con la provincia di Parma alla Val Nure, dalla montagna fino alle prime colline, molto vicine alla Via Emilia e ai grandi centri della pianura. La «Zona Libera di Val d’Arda», come molto più tardi la definirà Giuseppe Prati, comandante della 38a, arriva a comprendere il territorio di 4 Comuni (Vernasca, Lugagnano, Morfasso e Gropparello), con un totale di più di 20.000 abitanti, e viene presto dotata di veri e propri confini presidiati. Tra Lugagnano e il contermine paese di Castell’Arquato - che anche dopo l’abbandono da parte dei repubblicani non conoscerà esperienze di amministrazioni comunali sorte sotto l’egida delle formazioni partigiane - viene infatti costruita una barriera fisica che delimita i confini della zona libera e segna i limiti del territorio controllato dalla Resistenza. Una situazione di grande espansione e attività della Resistenza valdardese, che finisce per preoccupare fortemente i contingenti della Rsi, anche per la rilevanza logistico-militare della zona libera:

Nel pomeriggio del 23 corrente la borgata di Castell’Arquato (PIACENZA), importante dal punto di vista politico e militare, perché antistante a quella di Lugagnano e a quella successiva di Vernasca, è stata occupata dai banditi. A monte delle prime due località vi è la diga di Mignano, che fornisce di acqua e di energia elettrica buona parte della Provincia. L’occupazione di questi paesi minaccia Fiorenzuola Val d’Arda, centro industriale ed agricolo sito sulla via Emilia ed ancora le località di San Damiano, ove è un importantissimo campo di aviazione, e di Carpaneto che fanno quasi antemurale alla difesa della città e soprattutto alle numerose polveriere che, a partire da Carpaneto come un ventaglio giungono a Piacenza. La situazione si aggrava di giorno in giorno per la crescente attività dei banditi. Impellente la necessità di procedere ad una azione forte contro il ribellismo di quella zona che va acquistando eccezionale importanza dal punto di vista logistico-militare […] [3].

A Gropparello intanto - unico dei 4 Comuni che ha visto in anni recenti uno sforzo di spoglio sistematico e catalogazione del materiale archivistico relativo al periodo resistenziale - una della prime azioni intraprese dal comando partigiano dopo la liberazione del paese è la nomina di un’amministrazione civica in sostituzione del commissario prefettizio della Rsi. Sindaco viene nominato il conte Lodovico Pallastrelli, figlio di un ex deputato liberale, mentre viene riconfermato il segretario comunale, Bianchi Lorenzo.

L’attività amministrativa di quei mesi di «potere partigiano» risulta, dall’analisi dei pochi documenti rimasti nell’archivio del comune di Gropparello, divisa tra elementi di continuità ed atti di manifesta rottura delle pratiche del regime repubblicano.

Continuità soprattutto nell’espletamento di quelle pratiche di assistenza in coordinamento con gli enti sanitari ed assistenziali, di cui alcuni cittadini del paese erano beneficiari: diversi i documenti che attestano una corrispondenza normale, quasi sorprendentemente «cordiale» tra il comune di Gropparello e gli enti provinciali, se non per l’intestazione dove al posto di «Commissario Prefettizio» compare la dicitura di «Commissario del Comune» [4].

Anche in Val d’Arda, come già a Bettola, la prima contingenza che l’amministrazione del comune liberato di Gropparello si trova a dover gestire è la fame: si seguono pratiche per sfollati, vedove, bisognosi, si tenta di combattere il mercato nero e garantire - contro le spinte all’accaparramento e alla sofisticazione di produttori e rivenditori - qualità e quantità dell’approvvigionamento alimentare, soprattutto dei generi di prima necessità, sempre in accordo con le forze della Resistenza locale [5].

La zona libera che si sviluppa in Val d’Arda nell’estate del 1944 vedrà infatti instaurarsi uno strettissimo legame tra formazioni partigiane locali e amministrazione del territorio. I confini della zona libera corrispondono all’area operativa di manovra della formazione, che alla fine di ottobre si costituirà in I Divisione garibaldina Piacenza W. Bersani, forte di tre brigate: la 38a, la 141a e la 142a, alle quali si deve aggiungere la 62a, operante nella zona più orientale della valle.

Una compagine dotata di grande efficienza militare, capace di inficiare in modo incisivo l’azione bellica e la rete logistica dell’esercito nemico grazie alle numerose ed agguerrite squadre volanti che compiono martellanti puntate offensive sulla Via Emilia, ma capace di rivestire anche una grande importanza politica, con 4 amministrazioni civiche che, pur nate dalla volontà degli organismi della Resistenza, rivendicano da subito una propria autonomia e indipendenza. Come a Vernasca, dove la giunta civica decide di gestire in modo autonomo dalla vita delle formazioni l’ordine pubblico attraverso una Polizia comunale, che «per darle valore di alto civismo non verrà retribuita», e che risponde direttamente al sindaco [6].

Grazie alla loro organizzazione e conoscenza del territorio le formazioni della Val d’Arda saranno protagoniste del più imponente e meglio riuscito tentativo di difesa contro le offensive che i nazifascisti lanciano verso le zone libere della XIII Zona. Dopo la grande espansione dell’estate infatti, la Provincia si trova ad essere controllata in gran parte dalle formazioni partigiane, con una serie di liberi Comuni che si estende da est a ovest per tutto l’Appennino. La situazione della Provincia in questa fase presenta una netta spaccatura tra la città di Piacenza e i paesi di pianura che la circondano - che rimangono le uniche enclaves del potere nazifascista - e l’Appennino libero, con le 4 valli direttamente controllate dalle diverse brigate partigiane, che incoraggiano la formazione di giunte e amministrazioni libere. Nel novembre del 1944 il transito di autoveicoli «sulla Via Emilia e sulle strade che adducono ai Comuni della zona di collina» viene vietato dal Capo della Provincia «onde evitare il pericolo che i veicoli […] abbiano ad essere depredati o addirittura asportati da elementi fuori legge che con fugaci apparizioni infestano la zona» [7]. Per riacquistare il controllo di Piacenza, dei suoi importanti snodi stradali e ferroviari, alla fine di novembre 1944 i nazifascisti scatenano quello che viene ricordato come il grande rastrellamento invernale - un’ operazione in grande stile che impegna circa 18.000 effettivi, tra truppe tedesche, repubblicane e «mongoli» della Ostlegionen Turkestan [Dondi 2004, 281] - contro i capisaldi della resistenza piacentina, che, circondati progressivamente da ovest ad est con una mortale manovra a tenaglia, cadono uno dopo l’altro.

Le dimensioni del movimento partigiano, appesantito dai numerosi afflussi di reclute dell’estate, la convivenza e la collaborazione con la popolazione civile, la gestione delle amministrazioni e delle strutture comunali di gran parte del territorio collinare, rendono difficile pensare di riproporre quella tecnica di sganciamento ed occultamento che aveva funzionato in luglio, quando i partigiani erano pochi e ancora legati ad un ottica di guerriglia e clandestinità.

Da occidente ad oriente, partendo dalla Val Tidone - la prima ad essere investita dalle forze nazi-mongole il 23 novembre 1944 - le brigate piacentine cercano disperatamente di opporsi ad un’avanzata che sembra inarrestabile. Le formazioni delle valli occidentali subiscono in pieno l’impatto della potenza militare tedesca e sono costrette a disperdersi.

Annientate le brigate partigiane delle Valli Tidone e Trebbia, i rastrellatori puntano decisi su Bettola. Il Comando unico cerca di organizzare uno sbarramento difensivo, schierando le formazioni della Val Nure - Stella Rossa e 61a Brigata Mazzini (costituita dai reparti della 59a Brigata Garibaldi Caio rimasti nel piacentino dopo il trasferimento del resto della formazione nella VI Zona ligure, avvenuto a metà agosto) e ciò che rimaneva delle formazioni ripiegate dalla Val Trebbia e dalla Val Tidone. Un tentativo inutile. Le preponderanti forze nemiche sbaragliano le difese partigiane e il 2 dicembre 1944 Bettola viene occupata. Il Comando unico si sposta in alta Val Nure. La capitale della Resistenza piacentina smobilita le sue istituzioni [8].

Nei giorni immediatamente seguenti la Val d’Arda viene investita in pieno dalla forza d’urto del rastrellamento, ma gli uomini di Prati riescono a mettere in atto un’efficace tattica difensiva, per proteggere la zona libera e i suoi abitanti.

Il primo tentativo di sfondamento avviene nella zona di Groppallo, nelle giornate del 3 e 4 dicembre, quando le forze nazifasciste tentano di passare il Nure all’altezza di Farini d’Olmo per accerchiare la Divisione Val d’Arda. Ma i comandi hanno predisposto proprio in quel settore un forte sbarramento, con distaccamenti della 38a, della 141a, della 142a e della 62a brigata guidati dal Commissario politico della Divisione Pio Godoli “Renato”.

Dopo due giorni di intensi attacchi con artiglieria e tentativi di incursione i rastrellatori desistono e si ritirano sulla sponda sinistra del Nure [Prati 1980, 252].

Altro fragoroso impatto avviene all’altezza del Preventorio, ma anche in questa occasione i distaccamenti posti a difesa della zona respingono l’assalto dopo ore di feroci combattimenti.

Il 6 dicembre l’ultimo fallimentare tentativo di sfondamento: una colonna forte di centinaia di uomini e mezzi corazzati tenta la sortita dal fronte nord e si muove frontalmente da Castell’Arquato in direzione Lugagnano. I distaccamenti della 38a e della 62a brigata posti a difesa della zona lasciano avanzare il nemico per poi - con una sagace manovra strategica - inchiodarne l’avanzata sul fondo valle, tenendolo sotto tiro dalle favorevoli postazioni situate sul Monte Giogo e sulla strada tra Lugagnano e Vernasca.

Da quel momento, per circa un mese, la pressione nemica sul settore orientale della provincia si arresta, forse per la grande efficienza militare dimostrata dalla Resistenza valdardese, forse anche per la stanchezza e le esigenze di riorganizzazione dei rastrellatori, che controllavano ormai in forze tutto il settore centro-occidentale.

Resta il fatto che per ben tre volte la Val d’Arda ha respinto gli attacchi e rimarrà per un po’ l’unica zona libera del piacentino, oltre all’alta Val Nure dove i rastrellatori, stanziati a Bettola, non si spingono se non per brevi puntate. La snervante attesa dell’inevitabile attacco finale - in grado di piegare definitivamente la Resistenza piacentina - terminerà il 6 gennaio 1945, quando reparti nazifascisti equipaggiati appositamente per i combattimenti invernali si abbatteranno sulla zona occupandola in pochi giorni, nonostante la forte resistenza opposta anche questa volta dalle brigate della Val d’Arda in ogni settore dei combattimenti.

La prima grande esperienza di libertà e autogoverno conosciuta dalle valli orientali nell’estate-autunno del 1944 finisce così a causa dell’inarrestabile rastrellamento invernale, come già un mese prima era successo nelle vallate occidentali. 

2. «Questi primi lembi di terra liberati dalle forze autonome e sane degli italiani liberi» [9]. Le zone libere partigiane e i Comuni liberati delle valli occidentali

Le valli occidentali - Val Trebbia e Val Tidone, con la secondaria Val Luretta - formano nella storia della Resistenza piacentina un tutt’uno, un ambiente omogeneo, coeso e fortemente coordinato. Questa uniformità è evidente per tutti i mesi della lotta di Liberazione, fino all’ultima grande riorganizzazione delle formazioni partigiane avvenuta all’indomani del rastrellamento invernale, quando il controllo della XIII Zona viene suddiviso definitivamente tra le tre Divisioni che si erano venute costituendo nei mesi precedenti: la Divisione Valdarda, la Divisione Valnure e la Divisione Piacenza, che unisce, appunto, in un’unica zona operativa, le ampie valli del Trebbia e del Tidone.

L’uniformità delle valli occidentali è data soprattutto dal fatto che in esse opera durante tutta la guerra di Liberazione un’unica formazione Giustizia e Libertà (Gl), rigorosamente inquadrata militarmente e organizzata in senso gerarchico dal comandante Fausto Cossu, ex tenente dei Carabinieri. A formare il suo stato maggiore sono - salvo rarissime eccezioni - ex ufficiali del Regio Esercito, e tutta l’attività della formazione appare ricalcare i modi e le forme delle rigide consuetudini della vita militare.

La zona di operazione della Divisione Gl si estende in Val Trebbia e Val Tidone fino ai confini con la provincia di Pavia e nell’Oltrepò pavese dove, fino alla riorganizzazione successiva al rastrellamento invernale, si muovono tre brigate saldamente agli ordini di “Fausto”.

Anche per quanto riguarda la strategia militare la formazione di Cossu presenta dei caratteri peculiari. Pur essendo rifugiato insieme ad altri Carabinieri disertori nella cascina dell’Alzanese - luogo ameno situato nella parte più alta del comune di Piozzano - fin dal gennaio 1944 Fausto attuerà una strategia fortemente attendista, aspettando diversi mesi prima di entrare in azione. Le sue priorità, più che il disturbo della presenza nazifascista sul territorio, sono la crescita della formazione - tramite una capillare opera di convincimento dei militari, specie Carabinieri, delle caserme dislocate sul territorio - e la conquista di una leadership forte, attraverso la sottomissione, l’assorbimento, finanche l’annientamento delle bande partigiane concorrenti formatesi nelle valli occidentali [Dondi, 2004].

Un punto di svolta - a livello militare, logistico, simbolico - è la presa di Bobbio, grazie alla quale le formazioni di Fausto si trovano a dover controllare un antico ed importante centro situato in posizione strategica, sulla strada statale 45 che rappresenta il collegamento tra l’Emilia e Genova, tra la Pianura Padana e il mare. Si tratta di un’azione importante che impone un cambio di strategia alla linea cauta fino a quel momento perseguita da Cossu, e che dota il territorio di pertinenza della formazione Gl di una capitale forte, capace di fungere da centro logistico e base operativa.

La presa di Bobbio avviene il 7 luglio 1944 in maniera incruenta. Sentendosi ormai accerchiati a causa dell’intensificarsi delle azioni di attacco e sabotaggio - tra le quali l’occupazione di Coli, paese di discreta importanza situato sulle colline a ridosso di Bobbio - i fascisti repubblicani decidono di evacuare l’antico centro monastico, fatta eccezione per due piccoli contingenti di militi della Rsi lasciati a presidio del paese. Di questa situazione approfittano due intraprendenti leader partigiani locali, Virgilio Guerci, artefice della presa di Coli, e il Tenente degli Alpini Italo Londei, che insieme a pochi altri disarmano i nemici e si insediano in città. L’azione è decisa e gestita senza l’appoggio del comandante Fausto, che però sfrutta quell’occasione per mostrarsi alla popolazione in veste di comandante dell’esercito partigiano vittorioso [Londei, 1960].

A quel punto Bobbio viene a costituire una sorta di sbarramento: alle sue spalle, rapidamente ripulita dalla presenza nazifascista, si può sviluppare un’ampia zona libera che si estende nella media e alta Val Trebbia e in Val d’Aveto fino al territorio genovese. Proprio per la disomogeneità e l’enorme estensione del suo territorio, che riunisce sia aree abitate e collinari, sia impervie regioni montuose, la neonata zona libera viene divisa, dal punto di vista militare ed amministrativo, in due sottozone - la A e la B - dotate di autonomia, ma capaci di agire in maniera coordinata. Solo la zona A ricadrà nel territorio della XII Zona e sarà controllata dalla formazione Giustizia e Libertà di Fausto Cossu. La Zona B, che comprende un impervio territorio che si estende dalla confluenza di San Salvatore addentrandosi nelle valli a ridosso di Genova, viene inglobata nella VI Zona e controllata dalla formazione Cichero di Aldo Gastaldi “Bisagno”.

Bobbio diventa così il centro di una zona libera che insiste sui Comuni della media e alta Val Trebbia e dell’alta Val Tidone.

Tra le zone libere piacentine «la Repubblica di Bobbio» - come la definirà Michele Tosi nel suo volume del 1977 - è sicuramente quella che ha goduto di maggior fama e alla quale si è data maggiore importanza in termini di visibilità e indagine storica. Probabilmente questo è dovuto a due ordini di cause. Va innanzitutto ricordato che Bobbio nel panorama provinciale non è un paese appenninico come altri ma riveste, sin dall’epoca medioevale, una grande importanza come vera e propria città, centro amministrativo e diocesano, con una secolare tradizione di autogoverno. Fino agli anni Venti Bobbio gode dello status di «circondario» e vanta la presenza di strutture giudiziarie, amministrative, sanitarie delle quali gli altri paesi sono sprovvisti. Inoltre, forse in misura maggiore rispetto alle altre zone libere piacentine, Bobbio diventa non soltanto il banco di prova di nuove forme amministrative e di gestione politica, ma soprattutto un laboratorio di elaborazione ideale e di dibattito intellettuale rispetto a quella che dovrà essere la nuova Italia post fascista, grazie alla presenza di intellettuali di spessore nazionale che danno vita ad una fervente attività editoriale. Due le tipografie che in Bobbio liberata lavorano a pieno ritmo per dare alle stampe 3 periodici partigiani: “Il partigiano”, facente riferimento alla III Divisione Garibaldi Cichero; “Il Garibaldino”, delle Brigate Garibaldi Oltrepò Pavese e “Il grido del popolo”, organo della Divisione Gl. Particolare rilievo assume la presenza a Bobbio di Giovanni Serbandini “Bini”, giornalista e attivista clandestino perseguitato dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, dopo la guerra parlamentare e direttore dell’edizione genovese de “L’Unità”.

Attorno a lui si riunisce un valido corpo redazionale fatto di articolisti, disegnatori, tipografi. A Bini viene assegnato di comune accordo dai comandanti delle Zone A e B il compito di costituire una comune sezione «Stampa e Cultura» delle formazioni partigiane, che svolgesse compiti di propaganda e di educazione politica e democratica [Tosi 1977, 31-36 ]. Altra figura di spessore che collabora alla redazione de “Il grido del popolo” è Bianca Ceva (insieme al fratello Umberto, tra i primi militanti di Giustizia e Libertà), che con diversi pseudonimi firma articoli di grande spessore intellettuale ed antifascista, portando così «non solo ai partigiani, ma alle popolazioni della zona fino a Piacenza la voce della libertà e del coraggio, la radice di quelle idee che stanno alla radice del movimento» [Ceva 1954, 187-188].

È il comandante Fausto che si preoccupa di contattare «le persone più dotate e antifasciste» [Tosi 1977, 41] per coinvolgerle nella costituzione di un nuovo Consiglio comunale, che si insedia a Bobbio il primo agosto 1944.

Il primo atto consiliare di costituzione della nuova giunta enuncia così i principi ideali e legislativi sui quali si sorregge l’attività amministrativa:

IL COMMISSARIO DEL COMUNE DI BOBBIO

Premesso che in seguito all’occupazione da parte di forze armate di questa zona della Val Trebbia, il Comitato di Liberazione Nazionale, nel luglio scorso, dichiarata la decadenza del Commissario Prefettizio, sentiti i rappresentanti di diversi partiti politici locali e sulla designazione dei medesimi, conferiva al sottoscritto deliberante, assistito da un Vice-Commissario e da una giunta comunale la reggenza politico-amministrativa di questo Comune; che d’intesa col Comandante Militare il tre corr. veniva indirizzato ai Cittadini il seguente proclama: «CITTA’ DI BOBBIO. Cittadini! Il Comitato di Liberazione Nazionale, sentiti i rappresentanti dei diversi partiti politici locali, ha proceduto alla nomina di un nuovo Commissario. È toccato a me, in questo momento particolarmente grave, l’onore di assumere l’incarico della reggenza politico-amministrativa di questo Comune […]. Da alcune settimane si è iniziata in questa ridente cittadina un’era nuova, l’era che fa seguito ad un regime totalitario negatore delle più sacrosante aspirazioni alla libertà, usurpatore dei più sacrosanti diritti dell’uomo alla vita. È sorta l’alba di una vita nuova; i grandi del Risorgimento ci hanno toccato ancora una volta nel più profondo dell’anima e del cuore: ci additano rinnovellati e purificati nel loro esempio che fu di martirio, di sacrificio, di combattimento, la via alla rinascita spirituale e materiale per il bene superiore della Patria e del Popolo […]. Cittadini! Viva l’Italia, Viva la libertà! Il Comandante Militare: FAUSTO - Il Commissario: ANTONIO BRUNO PASQUALI»; che per rendere possibile, durante l’attuale periodo eccezionale e fino che dai poteri competenti non sia diversamente disposto, il funzionamento dell’Amministrazione Comunale, è anzitutto necessario determinare secondo i principi che anteriormente al 1922 ispiravano la costituzione degli Enti Locali le attribuzioni dei singoli organi preposti alla medesima […];

DISPONE

1° Le attribuzioni del Commissario sono quelle che secondo il T.U. della Legge Comunale e Prov. 4 febbraio 1915 n.148 spettano al Sindaco e, salvo quanto disposto dal successivo n. 3, quelle che spettano alla Giunta Municipale. […] Il Commissario ha pieno potere deliberante per ogni affare che rifletta i rapporti col Comando Militare e non consenta, per sua natura, dilazione […];

5° Per quanto riflette il bilancio Comunale, l’imposizione di nuovi tributi, o l’inasprimento di quelli esistenti, e gli affari di interesse generale che, a giudizio della Giunta, presentino particolare gravità, sarà sentito l’avviso di un Consiglio costituito da cittadini scelti dalla stessa giunta […].

[Tosi 1977, 42-44]

In questo primo atto consiliare appare evidente nelle operazioni di nomina dei membri della nuova giunta, la ricerca di criteri di rappresentatività su base partitica, analoghi a quelli che avevano guidato la formazione dei locali Cln. Una rappresentatività particolare, dato che non sempre è possibile nei piccoli o medi paesi dell’Appennino trovare rappresentanti per tutti i partiti che vanno a comporre l’unità ciellenistica, e che d’altra parte si vuole includere nelle amministrazioni anche coloro che, pur non essendo legati ad alcun aggregato partitico, sono detentori di competenze utili in campo amministrativo e di gestione della cosa pubblica. A Bobbio come negli altri Comuni liberati l’impressione generale è che ci si dia da fare per trovare persone «studiate», in possesso di un titolo di studio - avvocati, dottori, ingegneri - non eccessivamente compromesse con il regime e in grado, per un motivo o per l’altro, di dare un qualche contributo all’amministrazione cittadina. Quella di Bobbio è una giunta nella cui nomina è preponderante il ruolo del Cln provinciale e dei comandi partigiani locali, ma che dimostra subito la volontà di agire in modo autonomo e porsi come referente per la popolazione e la gestione amministrativa. Così come è evidente la volontà di allargare la base del consenso popolare nei confronti dei nuovi organi di governo: non solo viene organizzato un momento pubblico in cui si chiede alla cittadinanza riunita di ratificare la giunta scelta, ma per quanto riguarda le materie più delicate - come l’imposizione fiscale - si fa riferimento ad un consiglio di cittadini che dia pareri orientativi. Una decisione che appare anche riflesso della volontà di distacco dal regime, i cui severi provvedimenti in materia di imposizione fiscale, ammasso e requisizioni avevano generato malcontento e rimostranze.

Sarebbe stato uno degli esponenti della giunta, Giuseppe Peveri, presidente di Corte d’Appello di Bologna, già Pretore di Bettola, poi Consigliere di Cassazione, a redigere - stando a quanto riportano memorie e bibliografia - una costituzione per la zona libera orbitante intorno a Bobbio, della quale però non è possibile trovare alcuna traccia, dal momento che sarebbe stata distrutta nelle imminenze della rioccupazione nazifascista del paese.

Contro la capitale della zona libera occidentale viene infatti scagliato, alla fine di agosto 1944, un rastrellamento mirato [Tosi 1977, 56].

Dapprima i partigiani della formazione Gl cercano di difendere il paese dall’attacco dei nazifascisti provenienti da Varzi, bloccando il Passo del Penice. Le forze della Resistenza, agli ordini di Fausto, resistono quasi due giorni poi, quando i nemici tentano di risalire anche la statale 45, Fausto - temendo l’accerchiamento - ordina di ripiegare e ritirarsi. Il 27 agosto tutte le formazioni presenti a Bobbio e nei dintorni si mettono al riparo, disperdendosi ad est e a ovest, tra la Val Nure e l’alta Val Tidone. [Ceva 1966].

È la fine della prima esperienza di autogoverno bobbiese, un’esperienza che riprenderà nel tardo ottobre successivo, quando i partigiani occupano di nuovo la città lasciata libera dalle forze nemiche. Ancora una volta la causa è da ricercare probabilmente nella paura dell’accerchiamento, e nella costante emorragia di uomini dalle fila della Repubblica sociale a quelle partigiane. All’indomani della riconquista nazifascista dell’agosto a presidiare la città erano infatti rimasti gli Alpini della Divisione Monterosa, addestrati in Germania. A loro si rivolge, con una martellante opera di propaganda a mezzo stampa [10] Italo Londei, che arriverà a formare una nuova brigata, la 7a Alpini Aosta, composta principalmente dai disertori della Monterosa, dislocata a Lagobisione.

Saranno loro a rioccupare per conto della Resistenza Bobbio, lasciata libera il 22 ottobre 1944. Stavolta l’entusiasmo è minore: «in Bobbio non era più possibile trovare alcuna persona che volesse interessarsi direttamente e in posizione scoperta della cosa pubblica. I vari civili, per lo più esponenti di partiti politici, che già l’avevano fatto prima della battaglia del Penice, non volevano più essere compromessi» [Londei 1960, 42-43]. A riunire i membri della giunta popolare e rimettere in funzione l’attività amministrativa saranno le «innate capacità oratorie» del comandante Fausto, ma soprattutto un grande compito di riorganizzazione, coordinamento e supervisione dell’attività amministrativa sarà messo in atto dal Commissariato Civile Straordinario, l’organo al quale il Cln provinciale demanda la funzione di sorvegliare e indirizzare la vita politico-amministrativa nei Comuni liberati. Nell’autunno 1944 infatti l’Appennino piacentino - da occidente ad oriente, formando una sorta di ventaglio - ricade sotto il controllo diretto delle forze della Resistenza, che si pongono il problema di gestire l’ampio territorio in maniera efficiente e coordinata.

3. Il Commissariato Civile per i Comuni Liberati e Liberandi

Con un decreto datato 4 ottobre 1944 il Cln provinciale con sede a Bettola

considerata la necessità di normalizzare la vita politico-amministrativa ed economica dei comuni liberati dalle formazioni partigiane […];

viste le leggi e le disposizioni attualmente vigenti nell’Italia ancora oppressa dal dominio tedesco-fascista […];

ritenuta la necessità di abolire di tali leggi e disposizioni solo quelle che contrastano con le leggi emanate dal Governo legale […];

NOMINA

due Commissari Civili con funzioni di controllo e di coordinamento delle attività politico-amministrative ed economiche delle Amministrazioni locali di tutti i Comuni liberati e liberandi delle formazioni partigiane [11].

Il Decreto n. 1 pone così una base giuridica che regolamenti il rapporto tra poteri civili e poteri militari presenti sul territorio dei comuni liberi, stabilisce i poteri e i doveri dei Commissari Civili, decreta la riapertura delle agenzie di credito, degli uffici postali e il ripristino della tassazione diretta.

Contestualmente vengono «considerati decaduti tutti i podestà e tutti gli Amministratori di Enti di diritto pubblico dei Comuni liberati e liberandi dalle formazioni partigiane».

I Commissari nominati dal Cln provinciale sono: Mario Beretta di Pianello Val Tidone, al quale sono affidati i Comuni liberati e liberandi posti sotto il controllo delle formazioni Gl, corrispondenti alle valli Trebbia e Tidone; e Carlo Cerri “Luigi Giorgi”, avvocato, classe 1890, esponente dell’antifascismo cattolico e primo segretario provinciale della Democrazia Cristiana nel dopoguerra, che coordinerà i comuni liberati e liberandi dalle formazioni garibaldine, cioè le valli del Nure e dell’Arda [12].

Inizia così la travagliata attività dei Commissari Civili Straordinari. A loro toccherà il compito di «curare che tutti gli organi politici-amministrativi ed economici abbiano a funzionare regolarmente e che ad essi siano preposti uomini non compromessi col regime fascista e che siano di ineccepibile moralità» [13]; procedere alla nomina delle cariche comunali, che nell’impossibilità di indire regolari ed uniformi elezioni amministrative saranno ratificate attraverso «plebiscito popolare sulla pubblica piazza»; occuparsi dell’approvvigionamento alimentare della popolazione civile; vigilare sul corretto ripristino di un equo sistema di esazione fiscale - sia delle imposte dovute al comune, che saranno amministrate dal sindaco sotto la supervisione del Commissario, sia di quelle dovute alla Provincia e al Governo, che saranno versate su un distinto libretto e gestite dal Cln provinciale [14]; «verificare la presenza di vani vuoti sul territorio comunale per la sistemazione di profughi, famiglie di partigiani, sinistrati ecc.». In questa difficile opera i Commissari dovranno poter contare sul «senso di civico patriottismo dei cittadini delle terre liberate», ma in caso esso latiti «potranno avvalersi delle forze armate partigiane per i provvedimenti previsti dalle leggi vigenti» [15].

Funzioni essenzialmente prefettizie dunque e di costruzione di forme - ancora embrionali e provvisorie - di vita democratica: in particolare il Cln provinciale sollecita i Commissari «perché favoriscano l’intervento della popolazione per convalidare la nomina delle autorità civili e politiche del paese» [16].

Si getta così qualche luce sulle forme di elezione delle cariche politico-amministrative dei Comuni liberi, cariche che vengono probabilmente proposte, controllate, cooptate - non è possibile stabilire in che misura - dalle formazioni partigiane e dal Cln, provinciale o comunale, ma per le quali si cerca di ottenere, prendendo le distanze sia in senso pratico che morale dalle precedenti amministrazioni fasciste e «repubblichine», una sorta di ratifica popolare proto-democratica.

Resta comunque, forse per un retaggio fascista, forse per le impellenti «esigenze di carattere militare», una grande sproporzione di poteri tra cariche politico-amministrative - sindaci e giunta - e cariche prefettizie nominate dal centro - quelle dei Commissari - ai quali spetta il compito di imporre gli orari del coprifuoco, rilasciare i lasciapassare che consentano l’ingresso e l’uscita dalla zona libera, assicurarsi che «tutti i fascisti repubblicani dei Comuni liberi, finora tollerati» lascino la zona entro il 1 novembre 1944», «vegliare sull’andamento di tutte le pubbliche amministrazioni […] sulle quali ha potere di scioglimento e sospensione» [17].

Un’attività che i Commissari svolgeranno con entusiasmo e spirito d’abnegazione, cercando di coordinare le esigenze delle formazioni partigiane con quelle delle popolazioni civili e delle loro amministrazioni. Come ricorda il Commissario Beretta occorre infatti «per coordinare la vita civile dei singoli paesi in un tutto unico concreto che gli amministratori dei Comuni liberi siano animati da un senso di collaborazione spinto al sacrificio, senso di umana fratellanza per chi soffre, per la miseria, per i perseguitati dal nazifascismo», inoltre «devono avere uno spirito di fratellanza paterna per i giovani che nella nostra zona sopportano tutti i disagi possibili ed impossibili per l’ideale della libertà, devono prodigarsi per l’assistenza alle loro famiglie», il tutto animati dall’inossidabile speranza «di esser presto liberi in terra libera» [18].

Gli fa eco il Commissario Giorgi, che nell’atto di assumere le proprie funzioni così si rivolge, tramite pubbliche affissioni, ai cittadini dei Comuni da lui controllati:

I momenti eccezionalmente gravi che il Paese attraversa non consentono la proposizione, e meno l’attuazione, di speciali programmi. Ma io sento che verrei meno alla fiducia di cui sono stato onorato, e ai doveri che la mia coscienza di italiano e di cittadino mi impone, ove, sulle direttive del Cln, non tendessi ogni mio sforzo alla pratica soluzione dei molteplici problemi urgenti e contingenti che interessano questa laboriosa e generosa popolazione: il che è pure un programma, e l’unico possibile. E però faccio appello al patriottismo, allo spirito di disciplina e di sacrificio della popolazione stessa, che in tal modo e a tal fine è invitata a collaborare. Il risorgimento, e cioè il rinnovamento morale e materiale del Paese, che ha inizio dal libero Comune, meta cui ogni cittadino deve tendere con tutte le sue forze dopo l’immane sciagura, e per cui tuttora combattono nelle formazioni partigiane i nostri giovani migliori lo esige per esserne degni [19].

Un’esperienza non scevra di difficoltà, incomprensioni, frustrazioni. Diversi sono nella documentazione i riferimenti a rapporti non sempre facili tra formazioni partigiane, popolazione e Commissari Civili [20], ma anche le tracce della magmatica confusione di una situazione che mutava di giorno in giorno.

Scrive il Commissario Beretta, nella prima delle sue relazioni settimanali al Cln provinciale: «La situazione dei comuni da coordinare è un po’ caotica, e non facile dato anche il campanilismo che esiste tra comune e comune» e addirittura «la situazione della zona non si riesce a chiarirla con molta facilità, né si riesce a disciplinarla» [21].

L’attività dei Commissariati Civili, con sede rispettivamente a Bettola, per le valli orientali, e a Pianello, per le valli occidentali, verrà coadiuvata da due Vice-commissari, nominati intorno al 20 novembre 1944 per aumentarne l’efficacia operativa su un territorio vasto [22]. La stessa esigenza che sta alla base anche della decisione del Cln provinciale di spostare la sede del Commissariato Civile per le zone di Gl da Pianello a Bobbio «con l’intento di offrire […] la possibilità di disciplinare più accuratamente, nella nuova sede meno periferica, l’amministrazione dell’ampia zona controllata dalle formazioni patriottiche» [23]. Un provvedimento che rimarrà lettera morta a causa del grande rastrellamento invernale, che il 23 novembre sorprenderà Beretta mentre, con la sua famiglia e lo staff ristretto del Commissariato, si sta spostando nella nuova sede. Da’ lì inizia una serie di peregrinazioni nelle zone rimaste libere, che via via si restringono, fino allo scioglimento del Commissariato occidentale [24]. Poco dopo, con la rioccupazione di Bettola e delle valli orientali, cessa le sue funzioni anche il Commissariato presieduto da Cerri.

Finisce così la prima esperienza dei Commissariati Civili per i comuni liberati e liberandi dalle formazioni partigiane, un’esperienza di breve durata, della quale rimane difficile verificare e valutare le effettive realizzazioni, ma che rappresenta all’interno della Resistenza piacentina un importante momento di riflessione ed elaborazione politica sulle nuove modalità di gestione dello Stato e delle comunità locali. Un’esperienza alla quale si riallaccerà direttamente la Resistenza piacentina quando, terminata la bufera del rastrellamento e nelle imminenze della Liberazione, ripristinerà con un nuovo assetto - specchio dei caratteri più istituzionali che la Resistenza aveva assunto - l’istituto giuridico del Commissariato Civile, questa volta è unico per tutta la Provincia, nominando Carlo Cerri “Luigi Giorgi”, della Democrazia Cristiana, assistito da tre Vice-commissari nominati rispettivamente da Partito d’Azione, Partito Socialista e Partito Comunista [25].

Quella del Commissariato Civile rimane un’esperienza limitata dal punto di vista temporale, seppur gravida di grande creatività politica e senso del futuro. Lo testimoniano, con tutta la loro forza, le parole che il Commissario Cerri, unitamente al comandante unico Canzi rivolge il 6 novembre 1944 alle classi della scuola di Bettola libera, riunite per l’inaugurazione del nuovo anno scolastico:

La riapertura delle scuole nelle zone liberate, oltre a darci un chiaro esempio del potere organizzativo degli organi partigiani dirigenti, ha anche un altro significato fondamentale. Così come è sorto il nuovo comune liberato e la nuova stampa libera, occorre oggi la nuova scuola liberata da ogni influsso estraneo e dannoso alla sua funzione educativa, in cui l’istruzione è di nuovo intesa come funzione morale non asservita ad interessi politici o personali. La scuola è stata una delle istituzioni più influenzate dal Regime fascista: la sua funzione aveva perduto ogni carattere di universalità, di moralità, di umanità […]. Si tendeva a suscitare nei giovani un tronfio orgoglio nazionale che servisse a far strumenti di guerra, non uomini […]. Di fronte a questi fatti il compito della nuova scuola incontra difficoltà grandissime. Si tratta di ridarle quel carattere che essa ha perduto in venti anni di fascismo […]. Ma siamo certi che questi insegnanti, coscienti della loro missione educativa sui giovani, sapranno superare le non lievi difficoltà morali e materiali e creare una scuola improntata ad uno spirito di umanità, consono a quello che anima i puri eroi della patria nuova [La Rosa 1958, 159-160; Carrà 1987].


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E verrà l’alba. Il Valoroso: una vita partigiana, Piacenza: Vicolo del Pavone

Note

1. Carlo Cerri “Luigi Giorgi”, Commissario Civile per le zone liberate e liberande dalle formazioni garibaldine, 28/10/1944, in Archivio di Stato di Piacenza, fondo Cln, II, 12.

2. Notiziario Gnr del 29/05/1944, p. 41, Archivio Fondazione Micheletti, fondo Notiziari Gnr.

3. Notiziario Gnr del 26/08/1944, p. 45, Archivio Fondazione Micheletti, fondo Notiziari Gnr.

4. A titolo esemplificativo si veda: Il Commissario del Comune all’Amministrazione provinciale, 06/09/1944 in Archivio Comune di Gropparello, faldone cat. 2 (1943/46).

5. Si veda ad esempio: Il Commissario politico alla rivenditrice latte di Sariano, 05/10/1944, Archivio Comune di Gropparello, faldone cat. 11 (1944); Il Comando dei partigiani alla Ditta Davoli e figli - Centovera, 24/10/1944, Archivio Comune di Gropparello, faldone cat. 11 (1944).

6. Archivio del Comune di Vernasca, cartella 7/8, faldone 1945.171 “Deliberazioni di Consiglio e Giunta formati nel periodo partigiano dal 26 novembre 1944 al 3 giugno 1945”.

7. Il decreto del Capo della Provincia che disciplina il traffico degli autoveicoli, in “La Scure”, 4/11/1944.

8. Emilio Canzi al Comando generale Alta Italia, 5/11/1945, Archivio ANPI Piacenza, fondo Comando unico, cat. A3.

9. Mario Beretta (Commissario Straordinario Civile della zona controllata dalla Divisione Giustizia e Libertà), a Cln provinciale, relazione 3 ottobre - 10 ottobre 1944, Archivio di Stato di Piacenza, Fondo Castignoli, II, 5.

10. Archivio di Stato di Piacenza, Fondo Cln, f. II, b. 5 (Stampa e propaganda).

11. Cln della Provincia di Piacenza, Decreto n.1, in Archivio ANPI Piacenza, Fondo Comando unico, cat. A1. Cfr. “Il grido del popolo”, 21/10/1944.

12. O.d.g. del Cln provinciale di Piacenza, 2/11/1944, in Archivio di Stato di Piacenza, fondo Castignoli, IV, 13. Si veda anche Archivio di Stato di Piacenza, Fondo Cln, II, 11 (Amministrazione Civile).

13. Mario Beretta, Norme amministrative di carattere generale e provvisorio per l’amministrazione dei Comuni liberati dai partigiani, s.d., Archivio di Stato di Piacenza, fondo Castignoli, II, 9.

14. Mario Beretta ai sindaci di Agazzano, Borgonovo, Nibbiano, Pianello, Piozzano, Ziano, s.d., Archivio di Stato di Piacenza, fondo Castignoli, IV, 9.

15. Mario Beretta, Norme per il riassetto del territorio controllato dai partigiani, s.d., Archivio di Stato di Piacenza, fondo Castignoli, II, 9.

16. O.d.g. del Cln provinciale di Piacenza, 24 novembre 1944, in Archivio di Stato di Piacenza, fondo Castignoli, IV, 1.

17. Mario Beretta, Norme amministrative di carattere generale e provvisorio per l’amministrazione dei comuni liberati dai partigiani, s.d., Archivio di Stato di Piacenza, Fondo Cln, II, 11.

18. Mario Beretta ai sindaci, s.d., Archivio di Stato di Piacenza, fondo Castignoli, IV, 9.

19. Carlo Cerri “Luigi Giorgi”, Commissario Civile per le zone liberate e liberande dalle formazioni garibaldine, 28/10/1944, in Archivio di Stato di Piacenza, fondo Cln, II, 12.

20. Si veda ad esempio: Relazione del Tenente “Antonio”, in Archivio ANPI Piacenza, fondo Divisione Piacenza, C2; Relazione settimanale del Commissario Mario Beretta al Cln provinciale, 3-10/10/1944, in Archivio di Stato di Piacenza, fondo Castignoli, II, 5.

21. Ibidem

22. Cln provinciale (Bettola) a Mario Beretta (Pianello) - Nomina Vice-commissario, 20/11/1944, in Archivio di Stato di Piacenza, fondo Castignoli, IV, 9.

23. Cln provinciale (Bettola) a Mario Beretta (Pianello)- Cambiamento di sede, 20/11/1944, in Archivio di Stato di Piacenza, fondo Castignoli, IV, 9.

24. Mario Beretta al Cln provinciale e p.c. al Comando della I Divisione Piacenza - Rapporto sul periodo di rastrellamento, 1/03/1945, in Archivio di Stato di Piacenza, fondo Cln, II, 11.

25. Verbale della riunione tenutasi a Farini dal 26 al 30 marzo 1945, in Archivio di Stato di Piacenza, Fondo Cln, II, 13.