1. Introduzione

Nella primavera del 1982, in preparazione della mostra Dietro le barricate. Parma ’22 inaugurata l’anno successivo, una troupe dell’Archivio nazionale cinematografico della Resistenza [1] (Ancr) in collaborazione con l’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Parma (Isrec Parma), registrò 18 videointerviste a protagonisti e testimoni della resistenza antifascista dell’agosto 1922, quando i rioni popolari dell’Oltretorrente e del Naviglio-Saffi insorsero, respingendo migliaia di fascisti al comando di Italo Balbo e altri ras [Cioci, Vitale 2022; Dietro le barricate 1983; Minardi 2012; Montali 1998].

Quarant’anni dopo, nel 2022, in occasione del centenario della celebrazione delle barricate di Parma, Acnr, Isrec Parma e Centro studi movimenti di Parma, con il sostegno del Comune di Parma e sotto la direzione scientifica di Guido Pisi, hanno avviato un progetto di indicizzazione e di digitalizzazione di quelle testimonianze: Memorie magnetiche. Gli esiti sono stati presentati il 26 novembre 2022, presso il Palazzo del Governatore di Parma; da questa data, il materiale audiovisivo è fruibile liberamente sul canale YouTube Dietro le barricate Parma 1922 [2]. Le clip sono una versione ridotta delle interviste, dalla durata compresa tra i 10 e i 20 minuti, estratti da filmati integrali lunghi mediamente un’ora, questi ultimi disponibili facendo richiesta agli istituti responsabili del progetto. Ogni sequenza è corredata da schede biografiche e da indici analitici, realizzati da Lorenzo Tore, Carlo Ugolotti e Domenico Vitale.

Si tratta di un prezioso materiale d’archivio che presenta tutte le potenzialità – e i limiti – delle fonti orali; una documentazione unica nel suo genere che crediamo possa fornire un contributo stimolante allo studio e alla divulgazione della storia di quegli anni. In questo articolo ci proponiamo di offrire alcuni spunti per l’analisi delle videotestimonianze seguendo diverse direttive metodologiche: culturale, politica e mediale.

2. Un progetto di trasmissione di storia sociale

Il 21 settembre del 1997 si è inaugurato in piazzale Rondani, all’ingresso del quartiere dell’Oltretorrente, un nuovo luogo di trasmissione della memoria collettiva. Un luogo «carico di risonanze e di rappresentatività» [Passera 1997], in cui è stata eretta «una pietra che parla» [3], un monumento, quello alle barricate del 1922, la cui cerimonia inaugurale «si svolse tra bandiere tricolore, gonfaloni delle associazioni partigiane e le note dell’inno di Mameli suonato dalla banda cittadina tra gli applausi dei partecipanti, del sindaco e dell’allora vicepresidente del Consiglio dei ministri Walter Veltroni» [La Fata 2007]. L’opera, ideata dall’architetto Luca Monica, intende trasmettere la memoria della resistenza popolare al fascismo durante le cinque giornate d’agosto del 1922. Il monumento è composto da tre “lavagne” in granito che richiamano quegli eventi e i loro protagonisti, gente di ogni età e condizione sociale, per lo più provenienti dalle classi lavoratrici, i cui nomi sono riportati in ordine alfabetico, proprio a segnalare simbolicamente l’unitarietà della comunità sociale. A cent’anni da quegli avvenimenti, si ha modo di ritornare sui rioni più ribelli e sui luoghi in cui si eressero le barricate grazie alle “memorie magnetiche” dei protagonisti di quelle giornate, e i cui nomi sono incisi sul granito. Uno degli obiettivi del lavoro di raccolta delle testimonianze è esplicitato da Anna Paola Olivetti e Paola Zanetti, tra le ideatrici del progetto di raccolta: «tenere in considerazione non solo le memorie dei fatti dell’agosto 1922 ma registrare gli elementi relativi alle vicende politiche precedenti e le modalità della vita quotidiana» [Olivetti, Zanetti 1983], ponendo cioè l’attenzione sugli aspetti “altri” dell’avvenimento storico in sé. In linea con il presupposto di ricerca è possibile leggere le videotestimonianze attraverso molteplici prospettive tra le quali quella culturale e sociale; un documento di storia con la “s minuscola”, un bacino di racconti di storia sociale sugli usi e costumi di Parma d’inizio secolo – e sulla vita “di là dall’acqua” –: testimonianze sulla sfera domestica e sui giochi più comuni (le sassate tra Bendetén e Barnabòt, il giorno del gerlo, la trottola e gli ossén [ossicini]), su ricorrenze e feste patronali (la fiera di San Giuseppe), sulla salute e l’alimentazione, sul corteggiamento e la vita di coppia, sui mestieri (garzoni, sarti, panettieri, ferrovieri, ecc.) e sulla provenienza dei membri della comunità oltretorrentina o rionale. Fin dalla prima visione è evidente quanto, nella memoria dei 18 intervistati, sia vivo il ricordo di una resistenza dal basso e di classe. Da una parte la vita di tutti i giorni, dall’altra l’eccezionalità dell’avvenimento storico; da un lato il singolo nella comunità, dall’altra la comunità che prescinde dall’esperienza del singolo. E ancora, da una parte il racconto della partecipazione attiva alla resistenza contro la spedizione fascista; dall’altra il racconto di come si percepirono quelle giornate nel Parmense, come nel caso della testimonianza di Giovanni Mezzadri [4], residente all’epoca dei fatti a Tizzano Val Parma che racconta di come fu vissuto l’arrivo degli squadristi nel capoluogo.


Un racconto simile lo si può riscontrare anche nella testimonianza di Zita Azzoni, nella quale si racconta del coprifuoco e del rumore degli spari uditi dall’abitazione di piazzale dalla Rosa [5]. Le testimonianze si rivelano inoltre di grande interesse per lo studio della conformazione urbana e topografica della Parma popolare dell’epoca. È possibile ascoltare la testimonianza su via dei Farnese nei racconti di Giuseppe Azzi, di borgo Torto in quella di Dante Gorreri e di quelli che furono borgo della Carra e borgo Minelli, prima dell’abbattimento per volontà del podestà di Parma, Mario Mantovani, in quel ciclopico progetto di riedificazione urbana propagandato dal regime come “risanamento” del quartiere [Gambetta 2020]. L’entusiasmo dei testimoni è palpabile nel momento di passaggio dalla resistenza del 1922 alla Resistenza del 1943–’45, intervallo di tempo alle volte colmato dal ricordo della facilità con cui si finiva nella rete persecutoria della polizia fascista: un sistema oppressivo che trasformava gli abitanti dei rioni popolari in osservati speciali, confinati, incarcerati, esuli. I nomi di buona parte dei testimoni delle videointerviste furono inseriti, durante gli anni del regime, nel casellario politico della Questura di Parma [Giuffredi 2004]. Memorie magnetiche è un progetto detonatore di “storie nella storia” delle barricate antifasciste, come la testimonianza di Otello Neva, intervista tra le più ricche e lunghe, che racconta, tra i vari episodi, delle letture fondamentali per la sua formazione – da Il Capitale di Marx ed Engels all’Isola dei pinguini di France, da Barbusse a Tolstoj e Oriani, – oltre a Il tallone di ferro di London nascosto da una falsa copertina dei Promessi sposi di Manzoni.

3. Un’analisi politica delle videotestimonianze

Nelle videotestimonianze uno dei temi preminenti è quello politico: le modalità di partecipazione, le speranze, le delusioni, la violenza e i problemi organizzativi. Nelle parole e nella memoria dei testimoni prevale una rappresentazione duale della realtà politica, un “noi” e un “loro” corrispondenti approssimativamente al paradigma antifascista/fascista [6]. Questa lettura spesso risente di una rielaborazione ex post, mediata dall’esperienza resistenziale e, soprattutto, dal ruolo che il Partito comunista ha avuto nell’inquadrare il mito delle barricate all’interno di un vero e proprio mito delle origini dell’antifascismo – e del comunismo – locale [Gambetta, Giuffredi 2007]. Tutto ciò ha portato, nella memoria del dopoguerra, ad una sorta di semplificazione narrativa di quel “campo antifascista”, smussandone dissidi e conflitti interni e restituendo l’immagine di un fronte compatto, a capo del quale troviamo Guido Picelli con i suoi Arditi del popolo; epica in seguito fatta propria dal Pci e che avrebbe offerto al Partito i crismi di legittimazione storica e politica. Spesso, anzi, in una estrema formula di reductio ad unum, nei racconti di alcuni testimoni, troviamo il soggetto generico de “il popolo” o de “il popolo dei borghi” a rappresentare la totalità del fronte antifascista, sineddoche funzionale alla retorica comunista.

Tra i tanti filoni che si potrebbero tracciare dall’ascolto delle videotestimonianze, proprio quello relativo alla storia e alla memoria dei comunisti appare particolarmente significativo, anche in ragione del fatto che 8 delle 18 interviste sono rilasciate da uomini provenienti da quell’area politica. Nel 1922, a pochi mesi dalla sua fondazione, il Pcd’I a Parma era in termini numerici il più piccolo tra i soggetti politici attivi in provincia, contando qualche centinaio di aderenti [Bottioni 1981; Sicuri 1998]. A tal riguardo, un interessante sguardo sui primi, timidi, passi dei comunisti in città ci è dato da Regolo Negri [7], che nella sua intervista racconta delle prime riunioni in osteria, in un clima semiclandestino, alla presenza di pochissimi militanti.

È proprio il tema del rapporto tra i comunisti parmigiani e Guido Picelli, nel 1922 deputato socialista e comandante degli Arditi del popolo, a emergere con forza in molte testimonianze. Questi infatti vedevano in Picelli un importante punto di riferimento e alcuni di loro fin da subito vollero aderire a questa formazione di difesa proletaria, costituita in città nell’estate del 1921. Queste intenzioni furono però frustrate dall’intervento del Comitato esecutivo del Partito comunista e dall’allora segretario nazionale, Amadeo Bordiga, che vietò ai comunisti parmigiani di entrare negli Arditi del popolo, costringendoli a organizzare proprie squadre armate autonome, con le quali parteciparono alle barricate dell’agosto 1922. Lo stesso Bordiga negò, o meglio pose il veto, sull’iscrizione di Picelli al Partito comunista, iscrizione che rimase sospesa per diversi mesi [Sicuri 1987; Sicuri 2010]. Di questo dissidio, che in quei mesi esplose violentemente, portando perfino ad importanti espulsioni come quella del primo segretario locale del Pcd’I, Umberto Filippini, troviamo il più delle volte generiche tracce nelle testimonianze. Un’eccezione è rappresentata dall’intervista ad Arduino Giuberti [8], che nella seconda metà del ’22 fu segretario della Federazione parmense del Partito comunista, il quale si sofferma dettagliatamente sul “caso Picelli”.

Infine, è interessante notare quanto spazio, all’interno di queste testimonianze, occupi il racconto dell’attività di un gruppo così piccolo, e a quel tempo relativamente marginale, come quello comunista. Una rappresentazione deformata degli equilibri politici del 1922, che per certi versi retrodata il protagonismo che il Pci avrà negli anni successivi.

Queste considerazioni sparse mostrano come una attenta analisi di queste videotestimonianze possa offrire importanti contributi non solo nel ricostruire il clima politico dell’epoca, ma anche nell’analizzare le soggettività e le memorie di quella cruciale fase storica.

4. Le videotestimonianze come film: un approccio di analisi mediale

Un ultimo aspetto da considerare riguardo questo corpus di testimonianze digitalizzate è quello relativo alle peculiarità intrinsecamente mediali dei video raccolti. I materiali audiovisivi presentano delle specificità che li diversificano dalle fonti testuali: la combinazione di elementi visivi e sonori arricchisce le testimonianze di informazioni che travalicano la dimensione scritta e grafica di una fonte documentale. Detta combinazione va pertanto considerata al momento dell’analisi. Lo storico Roger Chartier [Chartier 2015] ha ricordato quanto spesso le fonti storiche siano spesso “mute”: attraverso di esse possiamo arrivare a una conoscenza del passato che è però priva della “vivacità” che la voce umana restituisce durante il racconto diretto.

Le interviste di Memorie magnetiche immortalano sulla pellicola i gesti, le espressioni e le esitazioni dei testimoni; l’immagine fotografica è infatti capace di soddisfare quello che il teorico del cinema André Bazin [Bazin 1999] ha chiamato il complesso “della mummia” cioè il desiderio degli umani di eternarsi al di là dell’ineluttabile trascorrere del tempo, e quindi della morte. Le video interviste cristallizzano per sempre i movimenti e le voci dei testimoni dei fatti del 1922; fondamentale è dunque considerare le testimonianze non solo come veicolo di informazioni storiche ma come atti performativi in cui i gesti e il rapporto personaggio/ambiente producono altre forme di sapere, oltre a quello strettamente contenutistico. Dobbiamo quindi analizzarle non solo come vettori di racconti storici ma come veri e propri prodotti filmici: non limitarci a considerare i contenuti che da esse traspaiono ma anche esplorare le loro componenti di natura mediale. Da queste specificità possiamo stabilire la difformità che fanno emergere un archivio audiovisivo da uno strettamente testuale.

Le clip, costruite su un rapporto dialogico intervistatore/intervistato, presentano innanzitutto delle ricorrenti caratteristiche narratologiche e di messa in scena che si concretizzano in un atto performativo dei testimoni, posti di fronte all’obbiettivo. Il loro racconto occupa spesso il centro della scena e la domina, l’intervistatore invece dichiara la sua (presunta) invisibilità venendo posto fuori dal quadro lasciando penetrare nel soundscape solamente la sua voce che incalza e stimola le risposte. Ogni intervista presenta una medesima struttura drammaturgica che viene poi via via rimodulata in base ai singoli interventi: per prima cosa viene interrogato il vissuto particolare e personale (origini familiari, luogo di nascita) per poi ampliare la prospettiva ad aspetti più generali dei fatti del 1922 (barricate, ascesa del fascismo) e spesso terminano con la richiesta di interpretazioni personali o di carattere storiografico (rapporto tra primo antifascismo e Resistenza) e perfino di giudizi sull’attualità.

Dentro questa griglia narrativa ricorrente, vediamo ora come le componenti visive e sonore permettano di desumere altre informazioni. Partendo dalla dimensione linguistica: è interessante notare come il dialetto parmigiano venga spesso usato e contrapposto all’italiano. Alcuni testimoni usano entrambi i linguaggi alternandoli, altri si esprimono esclusivamente in dialetto. Queste scelte espressive (spesso inconsce) denotano la stratificazione dei contesti di provenienza dei vari protagonisti ma anche i loro diversi percorsi professionali e di vita: pur essendo originari quasi tutti dell’Oltretorrente, chi ha ricoperto cariche pubbliche o mestieri di alto profilo tende ad abbandonare la parlata dialettale mentre chi è rimasto legato a professioni manuali o non ha ricevuto una scolarizzazione persevera a esprimersi in parmigiano. Il dialetto viene anche usato “strategicamente” dagli intervistati per dare ulteriore enfasi espressiva a certi passaggi: se prendiamo l’intervista a Carlo Biggi, perlopiù in italiano, in un dato momento si passa all’espressione dialettale quando gli viene chiesto se conosceva Guido Picelli. Infervorato, il testimone dice «A gh’è mäl ch’a l’ò conossù» [Certo che l’ho conosciuto], ribadendo il suo legame con il capo degli Arditi. Dopo quest’affermazione, torna all’italiano per spiegare il suo rapporto con Picelli ma questa “esplosione” di dialetto rivela il suo orgoglio nella scelta di militare nelle formazioni antifasciste. Il parmigiano viene usato anche per dare vivacità agli aneddoti: quando i testimoni raccontano degli episodi particolari “interpretano” i personaggi facendoli parlare in dialetto. L’intervista diventa un vero e proprio performance act: si veda, ad esempio, quando Orazio Bortesi racconta il suo viaggio con Picelli a Noceto o quando Otella Neva “inscena” il suo incontro con il fondatore degli Arditi di Parma. L’approccio performativo è rintracciabile anche attraverso la gestualità, utilizzata dai testimoni a fini esplicativi (Giuseppe Azzi che mostra come funzionava un gioco dell’epoca), o la modulazione vocale per enfatizzare alcuni passaggi narrativi (Giuseppe Azzi che riproduce la concitazione di quei giorni del 1922). I video registrano esitazioni nell’esposizione, rivelatrici di un certo imbarazzo nell’affrontare certi argomenti: si veda Arduino Giuberti quando si trova a dover giustificare l’esitazione dei comunisti ad accettare Picelli nelle loro file.

Oltre che ai segnali contenuti negli atti performativi degli intervistati è interessante vedere come i video siano delle vere e proprie fonti visive (involontarie), delle tracce del tempo impresse su pellicola: oltre ai dettagli d’epoca (abbigliamenti, automobili e arredamenti), le immagini mostrano i personaggi muoversi nelle loro abitazioni e interagire con i loro nuclei familiari. In un unico caso, la clip Le barricate sessant’anni dopo, un percorso con Virginio Barbieri è costruita su un attraversamento dello spazio urbano sui luoghi delle barricate. Il testimone non solo racconta ma, nel corso del filmato, guida l’obbiettivo attraverso Parma indicandogli cosa filmare; vi è così una sovrapposizione del nostro punto di vista spettatoriale che si identifica nella telecamera, entrambi vengono “diretti” da Barbieri. La scena è quindi un prodotto di diverse stratificazioni storiche: sentiamo un personaggio parlare di eventi del 1922 all’interno dell’ambiente urbano del 1982. Le videointerviste si caratterizzano attraverso questa sovrapposizione di livelli temporali e di analisi in cui diverse prospettive si intrecciano permettendo una ricognizione storica su più piani: una ricostruzione orale (attraverso atti performativi) che si snoda in un ambiente a sua volta storicizzato e scomparso (la Parma di quarant’anni fa).

5. Conclusioni

In questa sede si sono volute presentare alcune possibili letture a cui si prestano le 18 videointerviste digitalizzate. Crediamo inoltre che questa importante documentazione audiovisiva, oltre a essere un prezioso strumento di ricerca, possa avere un proficuo utilizzo in ambito divulgativo e, soprattutto, didattico. Declinare lo studio della storia alla microstoria rappresenta una strategia vincente in ambito scolastico, a maggior ragione si fa largo uso di fonti primarie utilizzando un approccio laboratoriale. In questo senso, Memorie magnetiche mette a disposizione un materiale unico nel suo genere: testimonianze originali – seppure raccolte a distanza di molti decenni – di protagonisti e testimoni di un evento che 100 anni fa segnò indelebilmente il nostro Paese.

Bibliografia

  • Bazin 1999
    André Bazin, Che cos’è il cinema?, Milano, Garzanti, 1999.
  • Bottioni 1981
    Graziano Bottioni, La nascita del P.C.I. a Parma, 1921-1926, Parma, Biblioteca Umberto Balestrazzi, 1981.
  • Chartier 2015
    Roger Chartier, La mano dell’autore, la mente dello stampatore: cultura e scrittura nell’Europa moderna, Roma, Carocci, 2015.
  • Cioci, Vitale 2022
    Parma ’22. Squadrismo, antifascismo e società nel Parmense, a cura di Giulia Cioci, Domenico Vitale, Parma, Mup, 2022.
  • Dietro le barricate 1983
    Dietro le barricate, Parma 1922, Catalogo della mostra al parco Ex Eridania, Parma, Grafiche Step, 1983.
  • La Fata 2007
    Ilaria La Fata, Graffiti nella memoria. Storia di un monumento, in Gambetta, Giuffredi 2007, pp. 241-256.
  • Gambetta 2002
    William Gambetta, L’esercito proletario di Guido Picelli (1921-1922), in «Storia e Documenti. Semestrale dell’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Parma», 7 (2002), pp. 23-46.
  • Gambetta 2020
    William Gambetta, Il «piccone risanatore» fascista, in I capannoni a Parma. Storie di persone e di città, a cura di Margherita Becchetti, Paolo Giandebiaggi, Parma, Mup, 2020, pp. 49-67.
  • Gambetta, Giuffredi 2007
    Memorie d’agosto. Letture delle Barricate antifasciste di Parma del 1922, a cura di William Gambetta, Massimo Giuffredi, Milano, Punto rosso, 2007.
  • Giuffredi 2004
    Nella rete del regime. Gli antifascisti del Parmense nelle carte di polizia, a cura di Massimo Giuffredi, Roma, Carrocci, 2004.
  • Minardi 2012
    Marco Minardi, Le «trincee del popolo». Borgo del Naviglio, rione Trinità, Parma 1922, Roma, Ediesse, 2012.
  • Montali 1998
    Le due città. Parma dal dopoguerra al fascismo (1919-1926), a cura di Roberto Montali, Parma, Silva editore, 1998, pp. 9-72.
  • Olivetti, Zanetti 1983
    Anna Paola Olivetti, Paola Zanetti, Videostoria. Interviste ai testimoni, in Dietro le barricate 1983, pp. 124-137.
  • Passera 1997
    Sergio Passera, Un monumento: storia, memoria, in Pro Memoria. La città, le barricate, il monumento. Scritti in occasione della posa del Monumento alle barricate di Parma dell’agosto 1922, a cura di Marco Minardi, in «Comune di Parma. Documenti», 25 (1997), pp. 8-10.
  • Sicuri 1987
    Guido Picelli, a cura di Fiorenzo Sicuri, Parma, Centro di documentazione Remo Polizzi, 1987.
  • Sicuri 1998
    Fiorenzo Sicuri, Il rosso e il nero. La politica a Parma dal dopoguerra al fascismo (1919-1925), in Montali 1998, pp. 9-72.
  • Sicuri 2019
    Fiorenzo Sicuri, Il guerriero della rivoluzione. Contributo alla biografia di Guido Picelli, Parma, Uninova, 2010.

Risorse


Note

1. Paolo Gobetti, Anna Paola Olivetti e Paola Casorati, in collaborazione con Lucilla Del Poggetto, Guido Pisi.

2. https://www.youtube.com/@DietrolebarricateParma.

3. Le parole sono quelle di Emilio Boni, l’allora presidente dell’Associazione nazionale perseguitati politici antifascisti (Anppia), e furono riportate in: La resistenza scritta sulla Pietra, in «Gazzetta di Parma», 18 settembre 1997.

4. Giovanni Mezzadri (1913-2003), antifascista, esule in Francia durante il ventennio fascista, prese parte alla Resistenza inquadrato nella III Brigata Julia Artoni.

5. https://youtu.be/v2CcKwgsvHA. Zita Azzoni (1897-1992), assieme al marito Amilcare Dazzi emigrò negli Stati Uniti dal 1920 al 1921, per poi rientrare a Parma.

6. A titolo d’esempio, si veda l’uso reiterato che Otella Neva fa della nominazione «loro» per riferirsi ai fascisti:. https://youtu.be/czxJ8os5q1c estratto che va da minuto 8.15 a minuto 8.50.

7. Regolo Negri (1899-1991), si iscrisse al Pcd’I fin dalla sua costituzione, segnalandosi a Parma tra i più importanti organizzatori. Nell’agosto del 1922 partecipò alle barricate in città, aderendo agli Arditi del popolo. Nel 1943 prese parte alla Resistenza con incarichi di comando nelle formazioni Sap. Dopo il 1945 proseguì la sua attività politica all’interno del Pci.

8. Arduino Giuberti (1894-1983), nato a Castelnuovo di Sotto, comunista, giunse a Parma nella seconda metà del 1921, assumendo pochi mesi dopo l’incarico di segretario della Federazione parmense del Pcd’I. Prese parte alle barricate dell’agosto 1922 inquadrato nelle fila delle squadre comuniste.