Il coordinamento degli Istituti per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea della Romagna – Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini –, sotto la guida dell’Istituto di Ravenna che ha assunto il ruolo di capofila, sta portando avanti un progetto di ricerca biennale dedicato alle colonie di vacanza per l’infanzia durante il ventennio fascista.

Il tema delle colonie di vacanza è stato affrontato in Italia prevalentemente da pedagogisti e architetti e, in misura minore, da studiosi del territorio e delle relazioni fra uomo e spazio. Gli storici, fatta eccezione per alcuni riferimenti legati all’organizzazione della propaganda in studi sul regime fascista, hanno per lo più trascurato questo argomento di indagine che si presta a riflessioni sotto diversi punti di vista sia nel lungo sia nel breve periodo, e che, in particolare per il ventennio del regime, rappresenta un campo di studio privilegiato per sondare l’applicazione e gli effetti di un determinato modello pedagogico.

Le prime colonie di vacanza per bambini in Italia sorsero alla metà dell’Ottocento, per poi diffondersi in modo più organizzato e sistematico tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento; avevano finalità essenzialmente curative ed erano rivolte a bambini bisognosi e malati che non avevano accesso alle terapie. Organizzazione e gestione erano in mano a banche, opere pie e singoli benefattori religiosi o laici, e il carattere privato e lo scopo caritatevole restarono prevalenti fino agli anni Venti del Novecento.

Fu l’avvento del fascismo a mutare questo stato di cose in modo radicale. Nel corso degli anni Venti il fascismo affidò la gestione delle colonie alle federazioni locali del Partito nazionale fascista, all’Opera nazionale Balilla, l’organizzazione legata al ministero dell’Educazione che inquadrava i bambini e i ragazzi, maschi e femmine, dai 6 ai 18 anni, e all’Opera nazionale maternità e infanzia per l’assistenza alle madri e ai bambini. Verso la metà degli anni Trenta le colonie di vacanza furono riorganizzate secondo le linee di un maggiore accentramento che riguardò l’intero sistema fascista, nel quadro della costruzione dello stato totalitario e della massima organizzazione del consenso per le quali era necessario porre sotto il controllo dello stato e del partito ogni aspetto della vita politica, economica e sociale italiana. L’educazione dell’infanzia, principale veicolo per la creazione dell’“uomo nuovo fascista” e dei futuri soldati per le guerre del fascismo, ricevette una particolare attenzione sia nel campo della scuola sia in quello dell’organizzazione delle attività ricreative e assistenziali quali le colonie di vacanza. Nel 1937 esse, come tutte le organizzazioni e le strutture destinate all’infanzia, furono affidate alla Gioventù italiana del Littorio (Gil), dipendente dal Pnf, che collaborava per la gestione delle colonie con i presidi sanitari locali e con le prefetture. Negli anni Trenta e sino al 1942 crebbero in modo evidente sia il numero delle colonie di vacanza che quello dei bambini ospitati.

Il progetto di ricerca si occupa di ricostruire le origini storiche delle colonie di cura e di vacanza per l’infanzia prima del fascismo, per poi focalizzare l’attenzione sul regime fascista e sul suo uso delle colonie per le proprie finalità pedagogiche e politiche che sono analizzate attraverso lo studio dei regolamenti, dell’organizzazione interna, del funzionamento, della preparazione richiesta agli educatori e alle educatrici e delle attività didattiche, ricreative, curative e sportive destinate a bambine e bambini. Non sono trascurati gli aspetti relativi alle strutture edilizie e alla loro architettura e localizzazione, prestando attenzione ai rapporti di potere fra centro e periferia, sia sul piano politico che su quello economico e del lavoro. Della ricerca fa parte il reperimento di materiale iconografico, topografico, cartografico e audiovisivo sulle colonie di vacanza.

Al centro dell’analisi stanno le colonie marine estive della riviera dell’Emilia-Romagna nelle province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini, in località quali Cattolica, Rimini Cesenatico, Cervia, Ravenna, Misano.

Un convegno nella primavera del 2018 offrirà l’occasione di un primo momento di confronto pubblico sul progetto in corso, mentre al termine dei due anni di lavoro gli esiti della ricerca saranno restituiti in una pubblicazione e in una mostra fotografico-documentaria. L’ideazione del progetto e la direzione scientifica sono di Roberta Mira e Simona Salustri dell’Istituto di Forlì-Cesena, le quali, oltre ad occuparsi ciascuna di un tema specifico come ricercatrici, coordinano il gruppo di lavoro, composto, oltre che da Mira e Salustri, da Laura Orlandini per l’Istituto di Ravenna e Luca Rossi per l’Istituto di Rimini.

Il progetto è stato selezionato fra quelli presentati dagli Istituti storici emiliano-romagnoli alla Regione Emilia-Romagna nell’ambito del secondo bando di finanziamento emanato sulla base della legge 3/2016 “Memoria del Novecento”.