1. Il caso tedesco come modello virtuoso

Un aspetto singolare del dibattito in corso sul progetto museografico di Predappio consiste nel frequente richiamo all’esperienza tedesca, additata come un precedente virtuoso sia dai sostenitori che dai detrattori dell’iniziativa. Per gli uni, i vari allestimenti museali sulla storia del nazionalsocialismo realizzati in Germania rappresentano uno stimolo a fare altrettanto pure in Italia, nonché un’esplicita fonte di ispirazione. Per gli altri, gli esempi provenienti da Berlino, Monaco di Baviera o altre città tedesche mostrano sì come si potrebbe o dovrebbe procedere, ma per contrasto anche quanto sia sostanzialmente divergente, e quindi inadeguato, il percorso intrapreso a Predappio. Da ambo i fronti, insomma, si guarda al caso tedesco come a un modello vincente di elaborazione di un discorso pubblico sui traumi del passato, costruito anche grazie a un proficuo lavoro di musealizzazione delle pagine più nere della propria storia. (Beninteso, si usa qui il termine “musealizzazione” nell’accezione più neutra possibile: con esso, non si intende un procedimento di celebrazione apologetica di un determinato oggetto storico, ma una sua narrazione critica attraverso forme comunicative museografiche.)

Ma in che cosa consiste il “modello Germania”? Quali sono i suoi elementi peculiari? In questo intervento, proverò a metterne a fuoco alcuni, con finalità che vogliono essere esclusivamente analitiche. Non è mia intenzione, cioè, stabilire chi ha ragione tra le due fazioni, ovvero constatare se in Italia si stia replicando o meno l’esperienza tedesca; ma più semplicemente fornire una serie di considerazioni propedeutiche a una riflessione comparativa sulle modalità di rappresentazione museale del passato fascista. D’altra parte, questa analisi ha origine da un’indagine promossa e finanziata da Ser.In.Ar. Forlì Cesena - e da me condotta nel corso del 2017 - proprio per mettere a disposizione del Comune di Predappio dati e informazioni riguardo a musei di analoga tipologia già esistenti in Europa.

2. Le molteplici esposizioni museali sul nazionalsocialismo

Partiamo innanzitutto da un dato quantitativo. In effetti, in Germania è presente un numero davvero considerevole di centri museali riguardanti la storia del nazionalsocialismo. Sono diffusi un po’ ovunque: non solo a Berlino - città che come nessun’altra porta sul proprio tessuto urbano le ferite del XX secolo, prestandosi così a un esperimento di musealizzazione integrale [Augé 2004] -, ma a macchia di leopardo in tutto il territorio tedesco, sebbene con maggior densità nell’ex zona occidentale. Secondo i censimenti implementati in un paio di portali web - l’Holocaust Memorials e l’Information Portal to European Sites of Remembrance - l’elenco supera di gran lunga il centinaio di unità. E questo numero andrebbe ulteriormente incrementato se si tenesse conto anche dei memoriali espressamente dedicati alla Seconda guerra mondiale (si pensi, tra gli esempi più significativi, al Deutsch-Russisches Museum di Berlino-Karlshorst, ospitato nell’edificio dove venne firmata la “resa senza condizioni” della Wehrmacht); dei musei ebraici con ampie sezioni dedicate all’antisemitismo, alla persecuzione nazista e alla Shoah (come il Jüdisches Museum Berlin); e di quei musei di storia locale o nazionale (a partire dal Deutsches Historisches Museum) che al loro interno, in una prospettiva temporale di lungo periodo, riservano un certo spazio all’epoca tra le due guerre mondiali. In questi casi, si tratta con ogni evidenza di esposizioni che presentano un forte nesso tematico con le vicende del regime nazista, ma che tuttavia lascerò fuori dalla riflessione poiché il loro focus narrativo non è centrato sul nazionalsocialismo. Mi limiterò quindi a prendere in considerazione soltanto esempi focalizzati esplicitamente sulla storia della Germania nazista o di determinati suoi aspetti, selezionandone una ventina tra i principali in modo da circoscrivere il campo d’osservazione.

Sulla base di queste considerazioni, il campione dei centri museali ai quali farò riferimento è il seguente (in ordine di località):

Amburgo

  • KZ-Gedenkstätte Neuengamme (Memoriale del campo di concentramento di Neuengamme)

Berchtesgaden

  • Dokumentation Obersalzberg (Centro di documentazione di Obersalzberg)

Bergen-Belsen

  • Gedenkstätte Bergen-Belsen (Memoriale di Bergen-Belsen)

Berlino

  • Denkmal für die ermordeten Juden Europas und Ort der Information (Memoriale per gli ebrei assassinati d’Europa con centro d’informazione)
  • Gedenkort SA-Gefängnis Papestrasse (Memoriale del carcere delle SA in Papestrasse)
  • Gedenkstätte Deutscher Widerstand (Memoriale della resistenza tedesca)
  • Gedenkstätte Plötzensee (Memoriale di Plötzensee)
  • Haus der Wannsee-Konferenz (Villa della conferenza di Wannsee)
  • NS-Zwangsarbeit Dokumentationszentrum (Centro di documentazione sul lavoro forzato nazista)
  • Topographie des Terrors (Topografia del terrore)

Colonia

  • NS-Dokumentationszentrum der Stadt Köln (Centro di documentazione sul nazionalsocialismo della città di Colonia)

Dachau

  • KZ-Gedenkstätte Dachau (Memoriale del campo di concentramento di Dachau)

Flossenbürg

  • KZ-Gedenkstätte Flossenbürg (Memoriale del campo di concentramento di Flossenbürg)

Fürstenberg/Havel

  • Mahn- und Gedenkstätte Ravensbrück (Monumento e memoriale di Ravensbrück)

Hinzert-Pölert

  • Gedenkstätte SS-Sonderlager / KZ Hinzert (Memoriale del campo di concentramento / campo speciale delle SS di Hinzert)

Monaco di Baviera

  • NS-Dokumentationszentrum München (Centro di documentazione sul nazionalsocialismo di Monaco)

Nordhausen

  • KZ-Gedenkstätte Mittelbau-Dora (Memoriale del campo di concentramento di Mittelbau-Dora)

Norimberga

  • Dokumentationszentrum Reichsparteitagsgelände (Centro di documentazione sull’area dei raduni del partito nazista)
  • Memorium Nürnberg Prozesse (Memoriale del processo di Norimberga)

Oranienburg

  • Gedenkstätte und Museum Sachsenhausen (Memoriale e museo di Sachsenhausen)

Weimar

  • Gedenkstätte Buchenwald (Memoriale di Buchenwald)

Un primo aspetto che emerge prendendo in esame il “modello Germania” riguarda dunque la pluralità degli allestimenti museali realizzati. Pluralità non solo quantitativa, ma anche narrativa, nel senso che le varie esposizioni ricostruiscono la storia del nazionalsocialismo da diverse prospettive, approfondendo problematiche differenti. La più reiterata è senza dubbio quella inerente al sistema carcerario e concentrazionario del Reich. Questo infatti è il fulcro tematico di numerosi memoriali tedeschi, sia a Berlino che altrove: dal Brandeburgo (Sachsenhausen e Ravensbrück) alla Turingia (Buchenwald e MittelBau-Dora), dalla Baviera (Dachau e Flossenbürg) alla Renania (Hinzert-Pölert), dalla Bassa Sassonia (Bergen-Belsen) alla città di Amburgo (Neuengamme), e così via. Ad accomunarli, oltre alla ricostruzione dell’ambiente carcerario e delle pratiche concentrazionarie, è la tendenza a proporre narrazioni museali incentrate sulla figura delle vittime, sull’esperienza di uomini e donne perseguitati dal regime nazista per motivi politici e/o razziali. Si può parlare, in questi casi, di spazi performativi o esperenziali, nei quali il visitatore entra in “diretto” contatto con certi luoghi e modalità del terrore nazista, per esempio accedendo alle celle, ai dormitori, o ai forni crematori dove per davvero passarono le vittime.

Sebbene dedicato allo stesso tema, appare di differente tipologia quello che forse è il più noto dei nuovi musei storici sul nazionalsocialismo, ovvero il complesso espositivo denominato Topografia del terrore, aperto nel cuore di Berlino nel maggio 2010 e da allora divenuto tra le maggiori mete turistiche della capitale tedesca. Collocato nell’area in cui tra il 1933 e il 1945 ebbero sede le principali istituzioni dell’apparato di repressione nazista - la Gestapo, la Direzione delle SS, il Servizio di sicurezza (SD), l’Ufficio centrale per la sicurezza del Reich (RSHA) -, anch’esso racconta la natura violenta, poliziesca e terroristica del regime. Lo fa, tuttavia, non dal punto di vista delle vittime, con un approccio che si potrebbe definire empatico, bensì da quello dei carnefici, con modalità quindi più descrittive e analitiche. L’esposizione permanente, infatti, all’interno dell’apposito edificio costruito ex novo, illustra struttura, funzionamento e attività dell’apparato del terrore nazionalsocialista, soffermandosi in particolare sulla sua composizione, sulle biografie dei persecutori, sulla loro provenienza sociale e sulla carriera politica, oltre che sui crimini commessi in Germania e in numerosi altri paesi d’Europa.

Sempre a Berlino, a poca distanza dalla Topografia del terrore, un altro museo rovescia in un certo senso la prospettiva, mettendo in mostra la storia delle minoranze che si opposero all’ascesa e al potere di Hitler. Si tratta del Memoriale della resistenza tedesca, il cui nucleo originario, risalente agli anni Sessanta, è stato più volte ampliato fino a raggiungere le attuali dimensioni nel 2014. Il museo è ubicato in un piano dell’ex quartier generale dell’alto commando dell’esercito tedesco, nei locali dove si trovavano gli uffici del generale Friedrich Olbricht e del colonnello Claus Schenk von Stauffenberg, artefici del tentato colpo di stato del 20 luglio 1944, entrambi fucilati la mattina seguente nella corte interna dello stesso edificio insieme ad altri militari coinvolti nell’“operazione Valchiria”. Oltre a questo episodio e alla dissidenza militare, le sale dell’esposizione permanente sono dedicate a singoli gruppi, categorie, eventi o iniziative individuali della lotta antinazista: il movimento operaio, le chiese cristiane, gli ambienti artistici e intellettuali, l’attentato di Georg Elser, il “Circolo di Kreisau”, i giovani, l’“Orchestra rossa”, le “Rosa bianca”, gli esiliati, gli ebrei, i sinti e i rom, la società civile durante la guerra.

Accanto a questi esempi focalizzati sulla politica repressiva e terroristica, sul sistema concentrazionario, o sui movimenti resistenziali, altre narrazioni museografiche del passato nazionalsocialista propongono approcci almeno in parte differenti, spostando l’asse tematico sui nessi tra scala generale e scala locale della storia. Al centro del discorso viene posto così il rapporto tra determinati scenari urbani e la Germania nazista, ovvero il ruolo di certi luoghi nella fase di ascesa del movimento, l’impatto del regime totalitario e poi della guerra sulle comunità locali, il retaggio di quell’esperienza nella vita delle singole città. È questo l’approccio privilegiato nei centri di documentazione di Colonia, di Monaco, di Norimberga, di Obersalzberg, ma anche nel percorso espositivo all’aperto che fa parte della Topografia del terrore e racconta la trasformazione di Berlino da metropoli emblematica della modernità weimariana a capitale del Reich hitleriano. In questi allestimenti, la storia della Germania nazista è osservata da un punto di vista locale, con la conseguente scelta di un preciso taglio narrativo. Per esempio, a Norimberga, il focus sui raduni del partito negli anni Trenta e sul faraonico progetto architettonico affidato ad Albert Speer restituisce centralità al tema dell’autorappresentazione (ideologica, iconica, spaziale) del nazismo. Mentre il centro di documentazione costruito a Berchtesgaden, sulle montagne dell’Obersalzberg dove si trovava il rifugio di Hitler, tenendo sulla sfondo l’intera parabola del regime nazista si sofferma in particolare sulle vicende di una sperduta località alpina, che negli anni Trenta divenne uno dei luoghi simbolici del mito del Führer e in seguito una meta di turismo e “pellegrinaggi” anche per nostalgici (il che, per inciso, fa emergere un’immediata analogia con il caso di Predappio, benché l’assenza delle reliquie del dittatore tolga un’aurea di “sacralità” al luogo).

Un’ulteriore variazione sul tema è rappresentata da un paio di siti museali dedicati a singoli eventi cruciali nella storia del nazionalsocialismo, come la Villa della conferenza di Wannsee e il Memoriale dei processi di Norimberga. In entrambi i casi, si tratta di percorsi espositivi realizzati all’interno degli edifici dove si svolsero le stesse vicende raccontate. A Wannsee, nella villa che il 20 gennaio 1942 ospitò quindici alti funzionari dello stato nazista intenti a definire la “soluzione finale della questione ebraica”, il fulcro dell’esposizione consiste nel protocollo redatto in quell’occasione, contestualizzato attraverso un inquadramento storico che va dalle origini dell'antisemitismo in Germania all'esecuzione dello sterminio. A Norimberga, il memoriale ha sede all’ultimo piano del Palazzo di giustizia dove si tennero, tra il 1945 e il 1949, i processi ai criminali di guerra nazisti, il cui svolgimento viene ricostruito tramite una collezione di testi, foto, filmati, documenti audio e reperti vari. Anche questi due luoghi storici sono stati così preservati e trasformati in spazi pubblici destinati a fornire un duplice, specifico contributo alla complessiva narrazione museale della storia del nazionalsocialismo.

3. Polifunzionalità e spazialità

Sebbene con vari approcci e tematiche differenti, sul piano museografico questo insieme di siti appare connotato da alcuni elementi comuni. In prima istanza - va sottolineato anche se può sembrare scontato - si tratta di musei e memoriali che non hanno alcun intento celebrativo nei confronti del passato, ma sono finalizzati alla valorizzazione di un «patrimonio traumatico», inteso come «l’esito di un processo non solo di ricostruzione culturale del senso di un dato evento, ma anche dell’attribuzione di un valore a quell’evento» [Violi 2014, 62] - dando alla nozione di valore un’accezione neutra, che rimanda semplicemente all’importanza di determinate vicende storiche nella definizione dell’odierna memoria collettiva di una comunità. A differenza dei “classici” musei storici ottocenteschi, volti alla rappresentazione apologetica del passato nazionale tramite «la visione panoramica delle diverse epoche come unità di una storia in divenire» [Assmann 2003, 50-1], siamo di fronte a spazi museali che cercano di preservare il ricordo e diffondere la conoscenza critica di una «eredità difficile» - per riprendere il titolo dell’importante lavoro di Sharon Macdonald [2009] su Norimberga. Si connotano perciò come «memorial museums», in alcuni casi veri prototipi di questa nuova tipologia di contenitori espositivi che negli ultimi tre decenni è dilagata in tutto il mondo [Williams 2008]; anche se, in realtà, non è così semplice definirli in modo univoco, poiché sono più propriamente degli ibridi, che presentandosi fin dal nome a volte come musei (Museum), a volte come memoriali (Gedenkstätte), a volte perfino come centri di documentazione (Dokumentationszentrum), sono spesso tutte queste cose insieme [Pirazzoli 2010, 26].

La polifunzionalità è dunque uno degli aspetti ricorrenti ed essenziali. Lo si nota in tutti i progetti realizzati negli ex campi di concentramento, dove la funzione evocativa del memoriale e quella narrativa ed espositiva del museo si intrecciano in maniera quasi indissolubile. E lo si vede in forma ancor più evidente in esempi come il Centro di documentazione di Monaco: qui, nell’edificio costruito ex-novo tra il 2011 e il 2015 dove un tempo sorgeva la sede locale della Nsdap, la mostra permanente si estende su quattro piani, mentre in altri due si trovano un auditorium, una biblioteca specializzata e un laboratorio didattico. Quest’ultimo, grazie alla collaborazione con il dipartimento informatico della Technische Universität München, è dotato di tavoli interattivi, che offrono la possibilità di svolgere varie attività sui contenuti dell’esposizione riutilizzando i materiali multimediali, e di 24 postazioni individuali di ricerca, che consentono di interrogare un database enciclopedico con circa 800 testi e documenti. Attraverso la commistione di linguaggi e di pratiche, questi spazi museali si presentano insomma come oggetti complessi, al contempo contenitori di testimonianze del passato, forme di selezione e valorizzazione del patrimonio memoriale, strumenti di divulgazione storica, centri di supporto alla didattica e a volte anche alla ricerca.

Ma insieme alla polifunzionalità, va rilevata un’ulteriore costante nelle rappresentazioni museali del nazionalsocialismo, che riguarda la loro spazialità, ossia la collocazione in luoghi storicamente determinati. Nessuno di questi progetti sorge infatti in un posto “qualsiasi”, privo di nessi storici con il passato che viene musealizzato. In alcuni casi, essi occupano, adattano, trasformano edifici o strutture ereditati dal regime nazista. Gli esempi sono numerosi e vanno dai memoriali istituiti negli ex campi di concentramento o nelle ex carceri, alle esposizioni allestite nei vecchi palazzi della Gestapo (come a Colonia), nell’arena congressuale voluta da Hitler (a Norimberga), nel quartier generale della Wehrmacht (a Berlino), o come accennato nella villa dove si tenne la conferenza di Wannsee e nelle aule giudiziarie dei processi ai criminali di guerra. In altri casi, sono stati recuperati dall’oblio spazi che appartenevano alla topografia nazista ma in seguito sono andati distrutti, preservando le ultime macerie e costruendovi sopra nuove architetture: si pensi ai centri di documentazione edificati ex novo a Monaco e sull’Obersalzberg, ma soprattutto alla berlinese Topografia del terrore. In tutti i casi, si è instaurato un legame profondo tra il processo di musealizzazione del nazionalsocialismo e le sue molteplici ambientazioni, creando una sorta di ipertesto tra ogni percorso espositivo/memoriale e lo spazio circostante.

Gli stessi luoghi contribuiscono così a veicolare il messaggio. In tal modo, da un lato, viene restituita importanza alla dimensione spaziale della storia, spesso sacrificata rispetto a quella temporale nelle analisi storiografiche di stampo più tradizionale [Schlögel 2009]; e dall’altra, una parte dell’eredità architettonica o topografica della Germania di Hitler è stata mutata di segno, trasformata in una serie di siti di memoria e conoscenza storica con il fine ultimo di proteggere il futuro da eventuali ritorni del passato.

4. Sinergie

L’arcipelago di musei, memoriali e centri di documentazione affiorato in Germania nel corso degli ultimi due decenni dimostra inoltre il grande investimento di risorse, economiche e intellettuali, fatto per diffondere memoria e conoscenza storica delle pagine più buie del proprio passato. Una vera, costosa, capillare operazione di public history, che non ha avuto tuttavia una regia unica, né ha seguito un disegno sistematico, ma si è sviluppata in modo eterogeneo, grazie alla proficua, seppure a volte difficoltosa, sinergia tra pubblico e privato, tra sfera politica, mondo accademico e società civile. Oltre che per l’ampio numero e la varietà delle esposizioni museali aperte al pubblico, per la polifunzionalità e il nesso con la spazialità, il “modello Germania” si caratterizza infatti per il pluralismo degli attori coinvolti nella loro realizzazione.

Per riportare un esempio, si possono riepilogare le tappe della genesi di uno dei casi più significativi: il Dokumentationszentrum di Norimberga. Nell’area in cui doveva sorgere il maestoso complesso - anch’esso polifunzionale - voluto da Hitler per ospitare i raduni della Nsdap, area gradualmente tornata a disposizione della cittadinanza nel dopoguerra, una prima operazione di scavo nella memoria storica venne effettuata nel 1985, quando l’amministrazione municipale inaugurò nell’ex “Campo Zeppelin” (teatro dei comizi del Führer durante gli annuali congressi di partito) una mostra temporanea sulla storia locale del nazionalsocialismo. Da quel momento, l’idea di recuperare l’area come eredità architettonica della dittatura nazista entrò nel dibattito pubblico e trovò sostegno sia tra le file della Csu che in quelle della Spd. Negli anni Novanta si iniziò a prospettare la creazione di un museo storico permanente all’interno dell’ex Palazzo dei congressi, l’incompiuto “colosseo” nazista che doveva contenere più di 50.000 persone. Nel 1994 il consiglio municipale approvò il piano per la creazione del centro di documentazione nell’ala nord dell’edificio, ma non vennero stanziati i fondi necessari. Nel 1997 Gregor Schöllgen, docente di storia all’Università di Erlangen, fu incaricato di redarre un report sulle possibili soluzioni espositive, mentre Bruno Schnell, editore del “Nümberger Nachrichten / Nümberger Zeitung”, donò al progetto un primo contributo di 250.000 marchi tedeschi, al quale fecero seguito altre sovvenzioni private e pubbliche. L’anno successivo un grosso finanziamento di 21,5 milioni di marchi tedeschi (corrispondente a poco meno di 11 milioni di euro al tasso di cambio) venne stanziato dal governo della Repubblica federale tedesca, dai governi regionali della Baviera e della Media Franconia, e dall’amministrazione municipale, avviando i lavori di ristrutturazione progettati dall’architetto austriaco Günther Domenig. Infine altri sponsor privati e associazioni culturali contribuirono a reperire le risorse necessarie per completare l’allestimento dell’esposizione permanente, inaugurata il 4 novembre 2001 [Macdonald 2009]. In breve, il processo di ideazione, progettazione e realizzazione del Centro di documentazione di Norimberga è durato almeno un quindicennio, con il coinvolgimento di diversi soggetti politici, istituzionali, imprenditoriali e culturali.

Tali tempestiche e modalità di gestazione sono comuni a gran parte dei principali musei e memoriali tedeschi sulla storia del nazionalsocialismo. Non fa eccezione Topografia del terrore, che ha per antecedente una mostra del 1987, organizzata in occasione del 750º anniversario di Berlino, ma ha attraversato poi una lunga e travagliata fase di creazione fino al 2010. E anche l’ultimo arrivato, cioè il Centro di documentazione di Monaco aperto dal maggio 2015, ha origine tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, dalla formazione di un movimento civico che chiedeva il recupero memoriale della zona in cui avevano avuto sede gli organi locali della Nsdap. Da allora, una lenta, controversa trafila progettuale si è conclusa solo in tempi recenti, con un finanziamento di oltre 28 milioni di euro da parte di governo federale, governo regionale e amministrazione municipale.

Ammesso che si possa parlare di un “modello Germania”, di certo dunque non è l’esito di iniziative estemporanee, ma nemmeno il risultato di un percorso pianificato e lineare, privo di ostacoli, contrasti, rallentamenti. Deriva piuttosto da un processo di musealizzazione stratificato, che spesso ha risposto a una richiesta di memoria e conoscenza storica partita dalla stessa società civile, o perlomeno da alcuni suoi segmenti più sensibili all’esigenza di fare i conti con i traumi del passato. Una richiesta che ha incontrato l’attenzione sia delle amministrazioni politiche, locali e nazionali, sia della comunità scientifica, in primo luogo storiografica, le quali a loro volta hanno messo a disposizione risorse economiche, capacità tecniche e competenze intellettuali. Strada facendo, i vari soggetti coinvolti hanno costruito reti per fare fronte ai non semplici problemi gestionali, per promuovere le molteplici iniziative, per collaborare a una comune politica della memoria. È il caso di fondazioni come la Stiftung Topographie des Terrors, che coordina alcuni dei principali siti berlinesi, della Museen der Stadt Nürnberg, che comprende tutte le realtà museali di Norimberga, dell’Institut für Zeitgeschichte München-Berlin, che gestisce fra gli altri il Dokumentation Obersalzberg, o della Stiftung 20. Juli 1944, che risale al 1949 ed è stata tra le promotrici del Memoriale della resistenza tedesca.

Anche grazie a questo sistema reticolare e sinergico di rapporti tra pubblico e privato, il sistema museale tedesco riesce ad attirare ogni anno milioni di visitatori, tra turisti, scolaresche, studenti universitari, cadetti delle forze dell’ordine (obbligati a compiere durante il loro apprendistato almeno una visita in uno dei memoriali sul nazionalsocialismo) e semplici cittadini, assolvendo così un fondamentale compito di educazione storica e civica.


Bibliografia

  • Assmann A. 2003
    Ricordare. Forme e mutamenti della memoria culturale, Bologna: il Mulino.
  • Augé M. 2004
    Rovine e macerie. Il senso del tempo, Torino: Bollati Boringhieri.
  • Macdonald S. 2009
    Difficult Heritage. Negotiating the Nazi Past in Nuremberg and Beyond, London-New York: Routledge.
  • Pirazzoli E. 2010
    A partire da ciò che resta. Forme memoriali dal 1945 alle macerie del Muro di Berlino, Reggio Emilia: Diabasis.
  • Schlögel K. 2009
    Leggere il tempo nello spazio. Saggi di storia e geopolitica, Milano: Bruno Mondadori.
  • Violi P. 2014
    Paesaggi della memoria. Il trauma, lo spazio, la storia, Milano: Bompiani.
  • Williams P. 2008
    Memorial Museums: The Global Rush to Commemorate Atrocities, Oxford: Berg.

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