1. Dall’esperienza giovanile al progetto di innovazione delle colonie estive

Sergio Neri nasce a S. Felice sul Panaro (Modena) il 21 agosto 1937 [1] e fino al 1971, anno in cui si trasferisce a Modena, opera nei comuni della Bassa modenese nella gestione dei servizi educativi territoriali, impegnato come insegnante e pedagogista a ripensare il ruolo della scuola vista non come unica agenzia formativa, sebbene principale fonte di alfabetizzazione di base, ma come sistema in grado di raccordarsi con le attività delle altre agenzie culturali del territorio. La sua formazione giovanile si avvale, fin dal 1950 e nei primi anni di vita adulta, delle esperienze vissute all’interno dell’associazionismo scoutistico cattolico (Asci) di Mirandola, dalle quali trarrà consapevolezze teoriche e spunti pragmatici sull’apprendimento per scoperta, sul gioco come strumento educativo, sul lavoro di gruppo e soprattutto sulla centralità del soggetto protagonista della propria educazione.

Fig. 1 Lettera del Comune di Villejuif al sindaco di Mirandola del 6 luglio 1966 (Archivio storico comunale di Mirandola, Carteggio amministrativo, b. 1893, f. 5).
Fig. 1 Lettera del Comune di Villejuif al sindaco di Mirandola del 6 luglio 1966 (Archivio storico comunale di Mirandola, Carteggio amministrativo, b. 1893, f. 5).

La proposta pedagogica e metodologica offerta dallo scoutismo, fondata sul valore della responsabilità verso gli altri, sull’auto-educazione direttamente connessa all’esperienza, sulle abilità manuali apprese nella vita all’aria aperta e sulle relazioni di fraterna condivisione della vita del campo, rimane come un imprinting nel prosieguo del suo progetto di vita professionale. Nel 1997 scriverà una lettera di ringraziamento all’amico Sergio Tomasini dopo l’incontro con i vecchi scout mirandolesi del periodo adolescenziale:

Mi è sembrato di riprendere un filo che, pur nascosto, è rimasto intatto, colmo di quella fraternità corposa e di quel “senso del servizio” che hanno nutrito la mia formazione giovanile e che, nonostante i tanti percorsi esplorati in questi anni, ritrovo in me come un nocciolo duro, un segno permanente della mia identità [Zerbini, Balboni, Monari 2015, 7].

Quando negli anni Sessanta Neri si occuperà delle colonie, torneranno presenti alcuni riferimenti alla quotidianità vissuta nei campi scout e in particolare alcuni momenti topici di quelle giornate, come le riunioni libere attorno ad un narratore di storie, i canti improvvisati e i cori all’aperto attorno a un falò: «Tutte le sere intorno al fuoco, un incontro in cui ogni educatore raccontava. Era ancora un po’ un mondo di scout» [Nocera 2001].

Il percorso formativo adulto di Neri prende avvio nel 1955 con il conseguimento del diploma magistrale all’Istituto Carlo Sigonio di Modena e con successivi incarichi di insegnamento, cui segue nel 1960 il superamento del concorso magistrale. Il decennio tra il 1963 e il 1972 segna un periodo di “anni caldi e belli”, come li chiamerà successivamente, che coinvolgono un territorio di relazioni, una comunità di intenti e che vedono Mirandola artefice di una politica educativa e culturale certamente lungimirante. Ne è prova l’iniziativa di gemellaggio e scambio di gruppi di ragazzi nel periodo estivo siglata nel 1958 con la Mairie de Villejuif, città della banlieue parigina ubicata nella Valle della Marna a circa otto chilometri dal centro di Parigi, che in quegli anni richiama molta manodopera negli opifici legati alla costruzione di automobili Renault, dove sono emigrati anche alcuni cittadini mirandolesi, operai con i quali il Comune di Mirandola intende mantenere i contatti [Dalolio 2022]. L’amministrazione comunale avvia dunque un lungo sodalizio con la municipalità di Villejiuf per organizzare soggiorni di vacanze estive con prevalenti finalità educative: nel 1963 una decina di ragazzi mirandolesi parte per Villejuif con tappa a Parigi e permanenza nella colonia marina [2] di Saint-Hilaire-de-Riez sulla costa atlantica francese e nello stesso periodo i ragazzi francesi sono accolti a Mirandola con un programma di permanenza nella colonia di Pinarella di Cervia, escursioni in bicicletta e gita a Venezia.

Sono gli anni in cui i gemellaggi in Europa fra città di Stati diversi iniziano a configurarsi come fenomeno organizzato, per consolidare, dopo la seconda guerra mondiale, la reciproca conoscenza e approfondire relazioni attraverso scambi educativi, culturali, ma anche turistici e commerciali. Le azioni di gemellaggio nascono dunque come strumenti per stabilire rapporti duraturi nel tempo e promuovere una solida, pacifica convivenza fra i paesi europei: significativo il dato di ben 120 trattati di amicizia che, tra la fine del secondo conflitto mondiale e il 1963, Francia e Germania giungono a siglare [Ministero per i beni e le attività culturali 2010]. Ancora oggi il gemellaggio rappresenta una realtà consolidata in Europa, con un numero elevato di città fra loro legate da collaborazioni tra le autorità locali e i cittadini e costituisce dunque un’attestazione concreta di partecipazione civica attiva, favorendo lo scambio di esperienze su tematiche di rilevanza europea e offrendo occasioni originali di conoscenza della cultura e delle tradizioni delle diverse comunità. Mirandola, dunque, si colloca attivamente in questa prospettiva politica, nell’ottica specifica di rinnovare la mission sottesa ai soggiorni in colonia che fin dal secondo Ottocento si era configurata essenzialmente in termini caritativi, di recupero sanitario di un’infanzia in gran parte malnutrita e afflitta da patologie. Dopo il ventennio fascista, che aveva assunto la colonia come luogo privilegiato dell’educazione all’ideologia del regime e come un importante strumento di propaganda fondata sul culto del corpo e sui riti del militarismo, la dimensione prettamente assistenziale riprende ad essere la funzione principale dei soggiorni in colonia, pur affiancata da intenti educativi e ricreativi [Pivato 2023].

Fig. 2 Manifesto del Comune di Mirandola, 1965. (Archivio storico comunale di Mirandola, Carteggio amministrativo, b. 1893, f. 6).
Fig. 2 Manifesto del Comune di Mirandola, 1965. (Archivio storico comunale di Mirandola, Carteggio amministrativo, b. 1893, f. 6).

La Francia in quegli anni ha già avviato un processo di innovazione delle finalità dei soggiorni [3] in colonia: da strutture con un ruolo meramente filantropico, basate su una concezione fondamentalmente igienista e rigenerativa per i ragazzi con salute compromessa dalle condizioni di vita imposte negli agglomerati urbani industrializzati, a istituzioni di educazione collettiva di tipo naturale [Neri 1967, 225-226]. Infatti, fin dagli inizi degli anni ‘40 le colonie estive francesi diventano istituzioni residenziali temporanee collegate ai Centri d’esercitazione ai metodi dell’educazione attiva (Cemea) [4], associazioni ispirate a linee psicopedagogiche innovative, la cui mission educativa assume l’esperienza, collegata strettamente ai contesti e alle situazioni vissute, come strategia privilegiata nei processi di apprendimento. Nel reciproco scambio di esperienze che il gemellaggio del 1963 con la città di Villejuif apporta, favorito anche dalla comune visione politica - democratica e laica - delle due municipalità, l’amministrazione mirandolese recepisce le innovazioni e procede ad un’attenta analisi e riflessione sul modo di intendere la colonia estiva, partendo dalla constatazione che il tipo di soggiorno organizzato fino ad allora si collocava ancora nel solco di quello tradizionale, assistenziale e a carenza di fini educativi. L’obiettivo dunque diventa quello di elaborare un salto di qualità e di operare un profondo cambiamento culturale nella gestione delle colonie, nella prospettiva a lungo termine di attivare una tradizione educativa propria del Comune.

Fig. 3 Graziella Barbieri in colonia a Dogana Nuova s.d. [Si ringrazia Roberto Neri per la gentile concessione dell’immagine].
Fig. 3 Graziella Barbieri in colonia a Dogana Nuova s.d. [Si ringrazia Roberto Neri per la gentile concessione dell’immagine].

In occasione di una convocazione per l’incontro con i direttori delle colonie estive, fra i quali è presente lo stesso Neri, il sindaco Gelsomino Gherardi e la giunta comunale si esprimono in questo senso:

Ci è parso che il Comune, come prima, più immediata e più vera quindi, istanza democratica, potesse rappresentare un’istituzione disponibile a far fare alla colonia quel salto di qualità, a carattere democratico e solidaristico, che la sua natura, popolare e laica, presuppone. In senso più ampio, crediamo che il Comune di sinistra possa rappresentare quel momento dinamico felicemente progressivo […] che fonda le sue basi su un rapporto egualitario, collaborativo e solidaristico tra tutti i cittadini. Conseguentemente tutte le sue manifestazioni operative, e la colonia non è certamente l’ultima, debbono ispirarsi ai medesimi presupposti [Dalolio 2022, 58].

Dal 1964 il Comune di Mirandola affida proprio a Sergio Neri la direzione delle case di vacanza, incarico che manterrà fino al 1971 elaborando un tipo di organizzazione che, grazie agli studi effettuati e alle esperienze svolte sul campo come educatore, è tesa a valorizzare principalmente la funzione educativa. È di quegli anni la gestione della casa di vacanza montana di Dogana Nuova a Fiumalbo nell’Appennino modenese, della colonia marina di Pinarella di Cervia sulla costa romagnola e del primo centro estivo della provincia di Modena che sorge a Mirandola nel 1965.

Fig. 4 Ospiti della colonia di Dogana Nuova a Fiumalbo s.d. [Si ringrazia Roberto Neri per la gentile concessione dell’immagine].
Fig. 4 Ospiti della colonia di Dogana Nuova a Fiumalbo s.d. [Si ringrazia Roberto Neri per la gentile concessione dell’immagine].

Nel 1967 Neri si laurea in pedagogia, con relatore il professor Giovanni Maria Bertin, presso la facoltà di Magistero di Bologna, affrontando nella tesi il tema delle colonie di vacanza e, in particolare, presentando sia l’esperienza biennale vissuta a Saint-Hilaire-de-Riez, sia la gestione esercitata nella colonia marina Del Pineto a Pinarella di Cervia. Le riflessioni e gli approfondimenti riportati nella tesi prendono le mosse dal giudizio critico nei confronti della colonia tradizionale italiana e sono tesi a rinnovare la gestione di queste strutture che nel contesto nazionale si presentano tradizionalmente connotate da finalità prevalentemente assistenziali piuttosto che educative e da un’organizzazione autoritaria e direttiva tipica delle caserme (adunata all’alba, ammainabandiera):

Alla soluzione dei problemi materiali ed organizzativi a cui furono dedicati gli sforzi compiuti nel dopoguerra, non si sono affiancate le condizioni per un loro rinnovamento strutturale, adeguato alla nuova società democratica che siamo impegnati a costruire. Si è in sostanza continuato a fare come prima, eliminando le manchevolezze più evidenti, migliorando sensibilmente le condizioni logistiche con l’intento di adeguarsi all’elevamento generale del tenore di vita [Neri 1967, 394-395].

Neri si riferisce puntualmente allo standard di offerta delle colonie che in quegli anni si è allineato con il maggior benessere sociale e che ha permesso l’introduzione di attività ludiche maggiormente diversificate, ma che non lascia intravvedere una precisa volontà di rinnovamento, imbrigliata com’è in due diversi approcci che informano diversamente le esperienze in colonia, con esiti piuttosto deludenti rispetto agli obiettivi assunti in partenza. Da una parte, un soggiorno con molto riposo e limitate attività fisiche al fine di ottenere un aumento ponderale dei ragazzi, percepito come buon indicatore di successo della vacanza, a fronte però di un loro indebolimento fisico complessivo. Dall’altra, un eccesso di attività manuali, artistiche e motorie, simili a quelle organizzate nei campi scout e con un impianto competitivo adottato in tutti i momenti della giornata, che «restituivano alle famiglie ragazzi smunti e nervosi, anche se carichi di premi e ornati di nastri» [Neri 1967, 373].

Il confronto tra l’impianto tradizionale italiano, caratterizzato da un’organizzazione autoritaria e direttiva, e quello innovativo delle colonie francesi, contrario alla coercizione e organizzato in modo aperto e flessibile, convince Neri della necessità di implementare un nuovo ambiente concepito per cogliere i bisogni dei ragazzi in una dimensione sociale e individuale equilibrata. Proprio nella gestione della colonia educativa di Dogana Nuova a Fiumalbo Neri inizia a praticare un’impostazione scientifica derivata dalle esperienze vissute in Francia e ispirata ai capisaldi educativi dei Cemea, ma anche al suo vissuto nel Mce (Movimento di cooperazione educativa) e al giovanile impegno scoutistico. L’attenzione è rivolta alla creazione di un ambiente concepito a misura dei ragazzi, in un ritmo quotidiano in cui le regole sociali sono apprese non per obbedienza ma per assunzione di responsabilità, personali e collettive, in un ambiente a misura umana e non militaresca. In questo contesto diventa imprescindibile sia la preparazione del gruppo di educatori che condivida una visione così rinnovata sia anche una diversa forma di partecipazione dei genitori a questo nuovo tipo di comunità di vacanza, coinvolti nella fase di sensibilizzazione prima della partenza, ma anche durante il soggiorno, con le visite e gli incontri con gli operatori, e infine per la fase di verifica e ascolto degli esiti dell’esperienza.

Fig. 5 Colonia del Pineto, Pinarella di Cervia (cartolina in Archivio privato Tito Dotti).
Fig. 5 Colonia del Pineto, Pinarella di Cervia (cartolina in Archivio privato Tito Dotti).

Proprio su questi fondamenti la colonia mirandolese di Pinarella mutua da quella di Dogana Nuova tale modello di organizzazione, adattandolo ad una colonia marina innanzitutto per ciò che attiene al rapporto numerico-relazionale e agli spazi disponibili: a Dogana i ragazzi ospitati sono 60 e utilizzano ampi spazi esterni privi di altre strutture di comunità, mentre a Pinarella i ragazzi sono circa 100 in un rapporto 1/10 con gli educatori e sono inseriti in un territorio denso di strutture per i soggiorni marini, con ben 36 colonie solo a Pinarella, tutte allineate lungo la fascia costiera. Emerge con evidenza la necessità di adattamenti strutturali per ampliare gli spazi sulla spiaggia e quelli interni delle camerate, ma nell’impianto educativo è riconfermata la natura aperta dei gruppi di bambini e il valore educativo dei momenti quotidiani in cui i rapporti fra adulti e ragazzi sono ispirati a comportamenti propositivi e collaborativi.

Fig. 6 e Fig. 7 Tito Dotti con bambini della Colonia Bamby di Pinarella di Cervia, s.d. (Archivio privato Tito Dotti).
Fig. 6 e Fig. 7 Tito Dotti con bambini della Colonia Bamby di Pinarella di Cervia, s.d. (Archivio privato Tito Dotti).

Il ritmo delle giornate è impostato sullo stile della colonia di Saint-Hilaire-de-Riez, pur con i dovuti aggiustamenti, ed è fondato sul rispetto di un ragionevole alternarsi fra attività e riposo. Il bagnino di Pinarella, Terzo Placucci, ricorda così quegli anni:

Prima la colonia era organizzata come un esercito militare, in riga e grembiuli uguali. Sergio Neri fu un innovatore. Era sempre impegnato. Era tutto stravolto e non più orari stabiliti, c’era molto di più da fare. All’inizio eravamo preoccupati per queste novità. Eravamo come una mosca bianca in mezzo alle altre colonie, gli altri ci guardavano. Fare il bagno era libero e bisognava stare più attenti, però i ragazzini erano molto contenti e si divertivano di più. La Bamby era diventata un modello [Dalolio 2022, 64].

Di fatto in ogni momento della giornata ciascun ragazzo può muoversi in una dimensione di ragionevole autonomia, in un clima di sicurezza e fiducia reciproca e soprattutto nel rispetto di ogni diversità; fra i ragazzi non sono previste forme di tutorato e nessun caposquadra, così come fra gli adulti le relazioni sono paritarie e solo l’economo e il direttore sono in posizione gerarchica [Neri 1973]. Quelle prime esperienze di colonie di vacanza di Mirandola dimostrano l’efficacia di una comunità educante ed evidenziano la necessità di garantirne la continuità sulla base di una formazione del personale che Sergio Neri cura fin dai primi corsi residenziali, poiché «appunto è nel lavoro di gruppo che viene resa esplicita la complessa finalità dell’educazione contemporanea» [Neri 1967, 273].

2. Gli anni ’70: approcci pedagogici ed esperienza educativa.
I luoghi e i tempi dell’educare

Nel 1971 Neri termina il suo rapporto di collaborazione continuativa come coordinatore dell’equipe dei direttori di colonie del comprensorio della bassa pianura modenese e si impegna presso l’amministrazione comunale di Modena come consulente per l’aggiornamento degli insegnanti comunali, proprio nell’anno in cui il sistema legislativo scolastico nazionale si arricchisce di leggi istitutive relative a importanti segmenti educativi della scuola di base: il tempo pieno nella scuola primaria (Legge 24 settembre 1971, n. 820), l’istituzione dei nidi comunali (Legge 6 dicembre 1971, n. 1044), l’inserimento scolastico dei ragazzi diversamente abili (Legge 30 marzo 1971, n. 118) e, due anni prima, l’istituzione della scuola materna statale (Legge 18 marzo 1968, n. 444), che assumerà poi la dicitura di scuola dell’infanzia con il Decreto ministeriale del 3 giugno 1991. È la scuola di tutti e per tutti in cui l’inclusione sociale e scolastica diventa un obiettivo portante e il legame scuola e società diviene imprescindibile; una scuola che rappresenta per diversi anni un punto di riferimento di altre esperienze educative nazionali e un modello di confronto con gli altri paesi europei.

Si configura in quel contesto una pedagogia fermamente coerente con una concezione democratica dello Stato, una pedagogia in situazione, legata all’autonomia per il superamento del curricolo inteso come formalismo didattico all’interno della scuola e sensibile nel contesto extrascolastico alle dinamiche antropologiche del territorio e alle agenzie culturali che lo rappresentano. È una formazione permanente, che si estende lungo tutto l’arco della vita con la progettazione di un sistema formativo integrato alla cui elaborazione Neri dedica l’intera vita professionale. Il suo profilo di educatore di confine tra istituzioni statali e comunali, agenzie formative scolastiche ed extrascolastiche, ordini diversi di scuola e tra teoria pedagogica e prassi didattica lo pone al centro delle esperienze pilota svolte in Emilia-Romagna nel torno degli anni Settanta, rese possibili sia dall’impulso politico e sociale degli Enti locali sia come effetto di trascinamento delle forti tradizioni di pensiero pedagogico che anche Neri andava elaborando.

Lo scenario della ricerca e della pratica pedagogica regionale dell’Emilia-Romagna si presenta in quegli anni ampio e qualificato proprio per le esperienze di eccellenza svolte nel tempo pieno da Bruno Ciari e Ennio Draghicchio e nelle scuole d’infanzia modenesi dallo stesso Neri, che all’interno dei gruppi di pedagogisti si ritaglia il profilo di un educatore non togato che dà voce ai problemi della scuola. Sul versante della ricerca opera l’Irpa (Istituto di psicopedagogia dell’apprendimento della Regione Emilia-Romagna) che rappresenta uno snodo verso la futura costituzione dell’Irrsae (Istituto regionale di ricerca, sperimentazione e aggiornamento educativi), nel quale confluiscono i ricercatori più impegnati, come Maria Luisa Altieri Biagi e Lucio Guasti, mentre all’interno dell’università si forma la “scuola bolognese” con i nomi di Piero Bertolini, Andrea Canevaro, Franco Frabboni, Mario Gattullo. Il mondo della ricerca affiancata dagli Enti locali, dalle associazioni di insegnanti, dai sindacati e dalle riviste di settore compone in quegli anni una comunità politica capace di stimolare processi di rinnovamento incisivi e partecipati della scuola a sostegno delle azioni messe in campo dall’istituzione scolastica [Cerini 2005].

È proprio la scuola il centro generativo degli studi e delle riflessioni da cui scaturiscono le esperienze regionali innovative che, a partire dalla variabile del tempo-scuola, sia esso pieno, prolungato, integrato, gettano le basi della cultura dell’autonomia, indispensabile per un uso efficace della flessibilità organizzativa e didattica oggi riconosciuta a tutte le istituzioni scolastiche. Il dibattito sulla messa a fuoco dell’uso dei dispositivi temporali all’interno della scuola, tuttavia, non poteva che coinvolgere e chiamare in causa il rapporto con l’ambiente, con il fuori-scuola, nelle più diverse modulazioni di fruizione. L’analisi sulla profondità dei processi di trasformazione socioculturale in atto in quegli anni, infatti, mette in evidenza una diffusa domanda di istruzione e cultura, una richiesta pressante di conoscenze e apprendimenti al passo coi tempi, così come di attività che garantiscano pratiche sportive e motorie, oltre alla fruizione di saperi e strumenti ritenuti indispensabili, come i linguaggi espressivi e le lingue straniere [Frabboni 1971]. A fronte di istanze formative ritenute ormai indispensabili, cui la scuola non riesce da sola a dare risposte, diventa ineludibile il ricorso sistematico alle risorse di un fuori-scuola competente e agganciato a decisioni politiche che rendano solidale l’uso delle risorse, non rinviando al solo possesso individuale di mezzi finanziari e culturali la capacità di attingere alle proposte del mercato privato [Neri 1984]. La consapevolezza della non autosufficienza della scuola sollecita l’esigenza di una redistribuzione dei compiti con il fuori-scuola in modo da moltiplicare le potenzialità formative e da stimolare un intreccio sempre più intenso e produttivo tra dentro e fuori, tra amministrazioni locali e scuola, tra comunità scolastica e società civile. Il dibattito pedagogico si focalizza, di conseguenza, sulla necessità non rinviabile di operare il passaggio dal vigente sistema scolastico autoreferenziale al sistema formativo integrato che diventa il principio di una fenomenologia delle forme di rapporto tra scuola e ambiente in grado di riprogettare l’intero apparato formativo, sia per ciò che riguarda l’integrazione unitaria tra i tempi formativi scolastici e quelli extrascolastici, sia per l’apertura della scuola sull’ambiente con l’uso didattico delle risorse formali e informali del territorio, nonché per l’apertura della scuola all’ambiente socioculturale, con l’ingresso in classe di esperti esterni [Frabboni 1980].

Per Neri questi rappresentano anni nodali, di intensa e feconda attività, sia sul piano dell’approfondimento teorico sia su quello dell’esperienza educativa. Nel 1977, infatti, consegue una seconda laurea, in psicologia, presso l’Università di Padova e ha quindi modo di approfondire le ricerche psicopedagogiche più avvertite del Novecento che costituiscono la base scientifica del suo operato nella direzione delle colonie estive dell’Istituto Charitas [5] di Modena e delle case di vacanza del comprensorio della Bassa modenese, nonché nella direzione del coordinamento pedagogico delle scuole dell’infanzia a Modena, incarico che ricopre dal 1971 al 1987. La sua dissertazione di laurea, centrata sull’educazione scientifica nelle esperienze della scuola dell’infanzia modenese, è fortemente debitrice delle istanze epistemologiche piagetiane e in particolare della teoria della cognizione, per la quale non è l’ambiente a determinare l’identità del soggetto, ma è il soggetto stesso che definisce la sua struttura attraverso un’azione continua di auto-produzione e di auto-organizzazione effettuata selezionando tra gli stimoli assimilabili o meno nel suo processo di definizione. Piaget sostiene dunque la conoscenza come generata dal superamento del dualismo classico tra mente e corpo e oppone alla statica dicotomia tra pensiero e realtà esterna un modello di sviluppo cognitivo dinamico, fondato sulla relazione reciprocamente condizionante tra mondo dei fatti e realtà del pensiero; un processo attivo, quindi, in cui il soggetto adatta e organizza costantemente la propria comprensione del mondo in base alle nuove informazioni ed esperienze [Piaget 1970]. Questo approccio, che ha prodotto un nuovo modo di concepire la conoscenza e di esplorare i processi cognitivi, mette radicalmente in discussione anche la prospettiva pedagogica della relazione educativa, sia nella fase di insegnamento inteso come istruzione e trasmissione di conoscenze, sia in quella dell’apprendimento, inteso come accumulo delle conoscenze stesse.

Tutta la proposta educativa di Sergio Neri, a partire dalle esperienze di soggiorno in colonia e, in seguito, come formatore e ispettore del Ministero della Pubblica Istruzione, fa propria l’idea, che prima di Piaget aveva elaborato Maria Montessori, della capacità dell’intelligenza di organizzare il mondo, poiché, appunto, la vita è cognizione, è azione del soggetto nel contesto di interazione con l’ambiente. Sergio Neri scrive a questo proposito nelle conclusioni della sua tesi sulle colonie:

E se si tiene conto dell’inadeguatezza formativa della scuola d’oggi, in Italia, la colonia appare allora come un intervento integrativo, e a livello dei ragazzi e a livello degli adulti, per lo sviluppo della personalità, attuata in un ambiente nel quale la socialità e l’iniziativa personale sono ricercate attraverso la sollecitazione dell’adesione spontanea del ragazzo. Rimanere ancorati alla visione tradizionale della colonia, significa rifiutare di riconoscere una delle conquiste fondamentali del pensiero moderno: l’unità psico-fisica dell’uomo [Neri 1967, 394].

È dunque l’adesione ad un nuovo modo di intendere il mondo della vita e il processo di cognizione che non riduce il mentale al biologico, secondo il paradigma dicotomico della tradizione classica [6], ma supera l’opposizione fondativa dell’epistemologia cartesiana e apre alla conoscenza come costruzione di mondi con un approccio costruttivista e complesso. Il nucleo dell’epistemologia costruttivista si delinea proprio nella radicale ridefinizione della relazione fra conoscenza e realtà, in cui l’ambiente non controlla i cambiamenti del soggetto e neanche istruisce il pensiero nei processi di formazione delle rappresentazioni, ma costituisce l’universo dei vincoli e delle condizioni al cui interno il soggetto opera per generare sé e il suo mondo di significati. Dopo gli studi montessoriani e piagetiani la mente del soggetto in formazione non è più concepibile come una copia imperfetta e incompiuta di quella dell’adulto, ma appare come una forma autonoma, evolutiva, individuata nell’idea di generatività cognitiva, secondo cui il soggetto costruisce attivamente il significato attraverso la generazione di associazioni e le interpretazioni di informazioni. Il senso della generatività si connota dunque come cambiamento, creatività e si collega alla scoperta imprevista, all’inatteso, ma anche all’incertezza che distingue la complessità del nostro tempo, in cui la dinamica del vivere si snoda attraverso esperienze di azione, contro-azione e interazione che tratteggiano una relazione costante tra biologico, sociale e culturale. L’esperienza è dunque generativa proprio perché si costituisce nella continuità tra biologico e culturale, nella ricomposizione della classica frattura dualistica fra natura-cultura e mente-corpo [Montessori, 2016].

La formazione esperienziale assume quindi la valenza di un paradigma di orientamento scientifico cui Neri aderisce convintamente poiché la formazione del pensiero, quindi la capacità di ordinare il mondo esterno e interno secondo schemi razionalmente e criticamente organizzati, diventa un obiettivo di tutto il processo di formazione. L’impianto educativo dei soggiorni in colonia da lui diretti e coordinati è, infatti, improntato all’apprendimento per scoperta, dato che proprio gli atteggiamenti di esplorazione e curiosità rappresentano un aspetto strutturale della psicologia dei bambini e dei ragazzi che, attraverso questo modo di conoscere la realtà, sono sottoposti a un processo di auto-educazione e di auto-apprendimento particolarmente incisivo. Scrive Neri:

L’apprendimento per scoperta contiene alcune caratteristiche particolarmente affascinanti […]: rende gli allievi pensatori autonomi, il più possibile automotivati, in grado di formulare autonomamente problemi e ricercarne da soli la soluzione anche oltre la scuola [Neri 1999].

Una prospettiva che appare mutuata dalla definizione montessoriana de “l’intero intorno in cui accade la vita”, riferita ai luoghi oltre i confini delle aule scolastiche e ai molteplici saperi e attività in grado di favorire nei ragazzi la capacità di intrecciare la propria vita con quella dell’universo mondo, vivendo come inseparabili il fare e il pensare, il corpo e la mente, l’intelligenza e la sensibilità. Dunque, il mondo esterno come ambiente privilegiato dell’educazione in cui saperi e spazi hanno confini allargati e si sostanziano di esperienze improntate ai metodi attivi di esplorazione, scoperta, sperimentazione [Neri 1982].

In questa prospettiva i soggiorni in colonia si strutturano come un modello alternativo, sia sul piano politico, come servizi sociali integrativi di gestione del tempo libero di pertinenza delle pubbliche amministrazioni, sia sul piano educativo, come esperienze di vita democratica organizzate per gruppi aggreganti e permeabili al territorio circostante, supportate da una programmazione dettagliata, ma al contempo flessibile, che permetta il capovolgimento del modello tradizionale a favore di una “educazione collettiva di tipo naturale”. Scrive Neri nella sua tesi sulle colonie:

Colonia come insieme coerente di attività e di tempo libero, non vi è nessun programma di tipo scolastico, ma numerose possibilità sono offerte alla scelta del ragazzo. Così le iniziative spontanee, da svilupparsi nei vasti spazi verdi, hanno sostituito le attività imposte e l’associazione con i compagni è ricercata. Tutte le tecniche del passatempo vengono offerte sotto le forme più opportune e la colonia di vacanza appare come un reale tirocinio di educazione popolare che prepara i ragazzi a fruire del loro tempo libero in modo attivo e felice [Neri 1967, 227].

È un ambiente che si fa laboratorio di conoscenza, di pensiero e di gioco dell’immaginazione e che è in grado di arricchire di significato, come un’ondata di ritorno, anche le esperienze educative del dentro-scuola. La funzione del soggiorno estivo acquisisce così una notevole incidenza educativa poiché si propone come area di esperienza alternativa dialettica nei confronti delle strutture educative tradizionali (scuola e famiglia) che, pur mantenendo propri singoli spazi istituzionali e una propria rilevanza culturale, risultano strutturalmente collegate e dialoganti in modo permeabile con le aree del tempo libero.

In tale sistema tripartito, in cui la famiglia mantiene la sua accentuazione affettiva, la scuola una dominanza intellettuale e il tempo libero dei soggiorni estivi una pregnanza etico-sociale, fisica ed esistenzialmente inusuale, ciascun elemento ridimensiona ogni assolutezza di valori e di comportamenti allo scopo di allargare gli orizzonti per sperimentare dinamiche comunitarie a struttura orizzontale e democratica, nelle quali le relazioni sono paritarie e libere da forme di autorità [Frabboni 1971]. Scrive Sergio Neri a questo proposito:

Tempo di vita familiare, tempo di vita scolastica, tempo di vita nel tempo libero: sono questi i tre tempi che scandiscono lo scorrere dell’esistenza dei ragazzi oggi (e basta mettere il tempo di vita del lavoro al posto del tempo scolastico per avere il modello dello scorrere del tempo della vita degli adulti). L’idea di sistema formativo pone l’accento sui tre tempi, tentando di riformulare un paradigma di relazioni, di interscambi, di influenze reciproche che garantisca all’individuo la possibilità di realizzare il proprio stile di vita, cioè la maniera originale che ciascuno si crea per vivere la propria vita quotidiana [Neri 1982].

Il richiamo alla pluralità dei luoghi dell’educazione e dell’autoeducazione intende sottolineare ancora una volta la non autosufficienza della scuola e dunque il suo auspicabile collegamento con il mondo extrascolastico, cioè l’insieme degli altri luoghi della cultura, della socialità e del tempo libero, per formare una rete di interventi che diano continuità e specificità ai diversi momenti dell’educazione.

3. Lo spazio come variabile pedagogica: quando l’outdoor education si chiamava en plein air

Il bisogno educativo di attivare percorsi di tipo compensativo emerge nel contesto di fenomeni socioeconomici come l’urbanizzazione e le rivoluzioni industriali e digitale, che hanno modificato radicalmente gli stili di vita della popolazione allontanandola dal contatto diretto con l’ambiente esterno e sottoponendola a uno scollamento diffuso rispetto alla relazione diretta con il mondo. In questo contesto l’Outdoor Education (OE) inizia a svilupparsi in nord Europa nella prima metà del secolo scorso, sia come Vita Outdoor, insieme di esperienze informali all’aria aperta, senza specifici programmi, tipiche del tempo libero di tipo familiare, sia come Outdoor Adventure Education, offerta formativa di associazioni del settore non-formale che propongono progetti articolati come escursioni educative, ma anche come Outdoor Learning, percorsi didattici all’aperto finalizzati ad obiettivi curricolari del settore formale scolastico [Bortolotti 2019]. L’OE si riferisce, dunque, sia ad esperienze che si svolgono in contesti naturali, ma anche a percorsi didattici realizzati in ambienti urbani, dove sia possibile un rapporto con le agenzie culturali del territorio e il coinvolgimento dei ragazzi nella dimensione cognitiva, fisica, affettiva e relazionale. Oggi gli esperti ritengono concordemente che l’OE nasca negli anni Trenta del secolo scorso con Kurt Hahn, educatore tedesco che trova rifugio in Scozia a causa delle leggi razziali e in quel contesto avvia con successo alcuni progetti con programmi educativi centrati su un approccio avventuroso e con metodologie capaci di rispondere in modo efficace e piacevole ai diversi bisogni educativi [Farné, Bortolotti, Terrusi 2018].

La diffusione nel contesto anglosassone di simili pratiche, ritenute in grado di porre rimedio ai problemi del mondo industriale, appare connessa storicamente proprio alla nascita delle moderne rivoluzioni in campo economico, sociale e culturale e alla conseguente forte limitazione che l’organizzazione sociale impone alle esperienze motorie e di relazione con il mondo all’aperto. In realtà il tentativo di costruire efficaci rapporti tra educazione e habitat, come forme di sviluppo armonico della personalità e come strumento per lo sviluppo della conoscenza, al fine di edificare società attente agli equilibri sociali e ambientali, attraversa tutta la storia della pedagogia a partire da Comenio (Jan Amos Komensky, 1592-1670), padre fondatore della didattica e primo a sostenere l’importanza e l’utilità dell’incontro diretto del bambino con la natura, ambito in grado di favorire i primi interessi. La stessa Montessori critica nei suoi scritti l’utilizzo meramente strumentale con cui in generale la natura viene considerata dall’uomo civilizzato, la distanza che i bambini della sua epoca vivono dall’ambiente naturale e le rare possibilità di contatto che vengono loro offerte. Sulla scorta di queste riflessioni si diffondono fin da allora nuove iniziative educative, antesignane delle colonie estive per ragazzi, improntate a quell’attivismo pedagogico, espresso in seguito compiutamente da Dewey negli Stati Uniti, che riconosce all’ambiente un ruolo centrale nel processo formativo.

Le prime colonie di vacanza en plein air hanno origine in Svizzera nella seconda metà dell’Ottocento e rapidamente si diffondono in gran parte dei paesi europei: Hermann Walter Bion, pastore di Zurigo, attiva la prima Ferienkolonie für arme Schulkinder nell’estate del 1876 e per alcune settimane di vacanza accompagna in montagna un gruppo di ragazzi indigenti della città. La sua iniziativa non verte unicamente su obiettivi di ordine sanitario e neanche sul recupero scolastico per ristabilire l’equilibrio educativo compromesso durante l’anno scolastico, ma si propone come esperienza integrale, con occasioni di svago e di conoscenza in un contesto di relazioni sociali e affettive in cui prevale l’educazione alla libertà. I ragazzi sono, infatti, ospitati, in piccoli gruppi, presso alcune famiglie contadine e si riuniscono con gli insegnanti durante la giornata per svolgere attività en plein air, di scoperta e utilizzo delle risorse naturali (escursioni, passeggiate per conoscere l’ambiente), di giochi collettivi (costruzione di capanne, giochi nelle foreste, tiro con l’arco), ma anche di preparazione di rappresentazioni drammatiche e di lettura dei testi della biblioteca [Pau-Lessi 1990, 19-20].

A ben guardare, la colonia di Saint-Hilaire-de-Riez, dove Neri trascorre l’estate del 1963 come operatore, conserva a tutti gli effetti il setting educativo avviato da Bion:

In pratica, specialmente durante la mattinata, il ragazzo sceglieva l’attività che più lo attirava: gli ateliers, installati al chiuso o all’aperto, mettevano a disposizione tutta la strumentazione necessaria per dedicarsi alle attività manuali ed espressive […] all’organizzazione del gioco drammatico, allo studio della natura, all’osservazione degli animali. Il bosco comunque restò il luogo da noi più a lungo abitato. In esso, tavoli in legno rustico e in metallo disseminati negli angoli più attraenti sotto improvvisate tettoie fatte di paglia e felci, favorivano lo svolgimento dell’attività calma all’aperto [Neri 1967, 338-345].

Nelle esperienze che in seguito Neri conduce nelle colonie modenesi, al mare e in montagna, permangono nell’assetto educativo di base l’esplorazione dell’ambiente en plein air, ma anche l’apertura all’incontro con l’altro: l’organizzazione delle uscite per la scoperta del territorio è condotta con le tecniche della pedagogia popolare del Mce mutuata da Freinet - ricerca sul campo, lavoro di gruppo, uso di strumenti per documentare – e preceduta dall’incontro con una persona del luogo che condivide con il gruppo storie e aneddoti che si intrecciano in quel contesto. Le uscite così organizzate si animano, dunque, di entusiasmo per la scoperta degli elementi da osservare: la tipologia dell’ambiente, la flora e la fauna, l’intervento dell’uomo, l’influenza del turismo, la storia dal passato al presente [Dalolio 2022, 218]. Anche i momenti fissi della giornata, come la sveglia mattutina libera e individuale, così come la gestione della siesta in termini discrezionali rappresentano strutturali riadattamenti che Neri opera proprio sulla base delle evidenze educative sperimentate nella colonia francese, la cui nascita è legata alla prima esperienza di Bion.

La Francia, in quell’epoca particolarmente sensibile alla riflessione innovativa della pratica pedagogica, è infatti uno dei primi paesi a recepire in modo significativo e articolato la proposta introdotta dal pastore svizzero [Neri 1967, 169]. Scrive Neri nella tesi del 1967:

La nascita delle prime colonie francesi è legata ai nomi di Théodore Lorriaux, pastore della parrocchia di Batignolles e di sua moglie Suzanne. I due coniugi avevano sentito parlare della realizzazione dell’abate Bion (…) erano fortemente interessati ai problemi posti dalla “sort lamentable des enfants des familles ouvrières, condamnés a passer tout l’été a Paris sans possibilité de quitter un climat aussi insalubre physiquement que moralement” [Neri 1967, 169].

Correva l’anno 1881 e la preoccupazione principale dei Lorriaux fu quella di poter concorrere, mediante attività svolte en plein air, a ristabilire la salute dei bambini compromessa da una situazione urbana e sanitaria precaria, “dall’aria infuocata e polverosa delle periferie”, per un periodo di tre settimane e senza alcuna costrizione al lavoro o ritmi imposti dagli adulti. La formula adottata è dapprima il collocamento familiare presso case di contadini e successivamente l’accoglienza in un’unica casa di vacanza con i bambini anche accompagnati dalle madri.

In tutte le esperienze da allora messe in campo (residenza presso contadini, case di vacanza, viaggi con gli insegnanti) permangono elementi strutturali che individuano la colonia come luogo di vacanza con obiettivi articolati per un’educazione completa, rispettosa della dimensione psico-fisica e affettivo-relazionale dei ragazzi, e distante da iniziative unicamente finalizzate alla cura e alla formazione scolastica. Per quanto differenti, tutti i modelli di colonie che si sono sviluppati da queste prime sperimentazioni pioneristiche pongono al centro esperienze educative legate alla dimensione del viaggio, una mobilità formativa spesso declinata nel senso di un’esplorazione della natura e dell’ambiente circostante; proprio questa dimensione di scoperta progressiva dell’en plein air, realizzata durante il XIX secolo, appare l’elemento che ha preparato la nascita delle colonie moderne [Comerio 2018]. Il tema degli spazi educativi en plein air, punto di attenzione costante dei teorici dell’educazione e ben evidente nell’esperienza delle prime colonie, assume l’ambiente naturale come contesto “altro” rispetto all’abituale quotidianità dei ragazzi e sfondo privilegiato per un’educazione non estraniata dal contesto, non formalizzata e non mediata da strumenti prevalentemente simbolici come quelli proposti dalla scuola. Nelle colonie di vacanza il tema dell’immersione nella natura assume, infatti, un ruolo di maturazione culturale, crescita cognitiva e consapevolezza civica dei soggetti in formazione, poiché la dimensione all’aria aperta viene assunta come esperienza di rottura riparatrice e occasione privilegiata di iniziazione all’autonomia personale [Comerio 2018, 80].

Proprio sul versante della crescita dei livelli di autonomia dei ragazzi, lo spirito innovativo di Sergio Neri investe anche le esperienze di colonie organizzate nel 1971 per i ragazzi diversamente abili dell’Istituto Charitas di Modena: l’uso personale del denaro nelle uscite urbane, la scoperta degli animali nelle passeggiate in montagna, le uscite anche senza educatori per i più grandi [Dalolio 2022, 167]. Tutto il panorama della vita comunitaria della colonia, che Neri struttura con il personale educativo formato in stage, presenta una costante mobilità dei ragazzi impegnati in esplorazioni e attività ludiche diversificate, anche attraverso la ricognizione degli elementi primordiali, in una fitta rete di rapporti interpersonali, consolidati anche in giornate particolari, come nelle passeggiate con pic-nic con il pranzo preparato dagli stessi ragazzi nei boschi o al mare. Un’immersione nell’ambiente generatrice di sensazioni di spaesamento che il viaggio produce nella scoperta dell’ignoto:

Meta preferita era la zona degli scogli e delle rocce, dove era possibile andare alla ricerca di molluschi marini e la marea si presentava grandiosa. […] La zona delle rocce aveva poi il potere di dare ai ragazzi l’impressione di un vero dépaysement: il ritorno alla colonia e l’incontro con il direttore, che ci accoglieva all’ingresso, era particolarmente festoso [Neri 1967, 378].

Esperienze di crescita incisive, lontane dal proprio luogo di residenza; siano esse itinerari urbani o nel contesto naturale, tutte risultano accomunate dalla rottura con il quotidiano, dall’apertura agli scambi e dal contatto con mondi “altri” [Cambi 2011]. In questo senso i soggiorni di vacanza hanno anche la capacità di dilatare la dimensione estetica dei ragazzi, intesa proprio come educazione alla percezione e alla conoscenza del campo del reale: le tessiture marine o montane offrono, infatti, ampie occasioni di stimolo che non trovano risonanza nell’universo delle esperienze familiari e scolastiche, in primis la percezione del lontano, dell’ignoto, del variato, di forme irregolari e curvilinee, di percorsi mutevoli e con forti dislivelli, di colori puri e di vissuti imprevedibili, talvolta eccezionali [Frabboni 1971]. L’ambiente assume così la valenza di un cantiere culturale in cui riscoprire il valore estetico delle diverse realtà e all’interno del quale ogni ragazzo può attivarsi in spazi di conoscenza, di scambio e di crescita della propria dimensione esistenziale. Certo, il breve tempo di un turno di vacanza non può modificare radicalmente i percorsi educativi che i ragazzi vivono nel quotidiano, né orientare in modo del tutto alternativo la loro personalità, ma la colonia di vacanza agisce come elemento di costruzione attiva di tutti i vissuti soggettivi capaci di correlazioni simpatiche nella relazione tra l’io e il mondo.

Bibliografia

  • Bortolotti 2019
    Alessandro Bortolotti, Outdoor Education. Storia, ambiti, metodi, Milano, Guerini Scientifica, 2019.
  • Cambi 2011
    Franco Cambi, Il viaggio come esperienza di formazione. Tra diacronia e sincronia, in «Studi sulla formazione», 14/2 (2011), pp. 149-171.
  • Cerini 2005
    Idee di tempo - Idee di scuola, a cura di Giancarlo Cerini, Napoli ,Tecnodid, 2005.
  • Chiosso, Sani 2013
    DBE: Dizionario biografico dell’educazione, 1800-2000, a cura di Giorgio Chiosso, Roberto Sani, Milano, Editrice bibliografica, 2013; http://dbe.editricebibliografica.it/dbe/indici.html
  • Comerio 2018
    Luca Comerio, Le colonie di vacanza italiane nel periodo 1968-1990: una pedagogia in transizione tra spinte attivistiche ed eredità del passato, tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano-Bicocca, Anno Accademico 2018-2019.
  • Comerio 2023
    Luca Comerio, Le colonie di vacanza italiane (1968-1990). Una pedagogia fra tradizione e innovazione, Milano, Unicopli, 2023.
  • Dalolio 2022
    Serenella Dalolio, La pedagogia inclusiva di Sergio Neri. Le colonie, l’Istituto Charitas, Modena, Il Fiorino, 2022.
  • Farné, Bortolotti, Terrusi 2018
    Outdoor education: prospettive teoriche e buone pratiche, a cura di Roberto Farné, Alessandro Bortolotti, Marcella Terrusi, Roma, Carocci, 2018.
  • Frabboni 1971
    Franco Frabboni, Tempo libero infantile e colonie di vacanza, Firenze, La Nuova Italia, 1971.
  • Frabboni 1980
    Franco Frabboni, Scuola e ambiente, Milano, Bruno Mondadori, 1980.
  • MIBAC 2010
    Ministero per i beni e le attività culturali, Il gemellaggio fra città e l’Unione europea. I finanziamenti per i gemellaggi offerti dal Programma “Europa per i Cittadini” 2007 -2013, Roma, MiBAC, 2010.
  • Montessori 2016
    Maria Montessori, La scoperta del bambino, Milano-Torino, Pearson Italia, 2016.
  • Neri 1967
    Sergio Neri, Le colonie in Italia ed in Francia e l’azione dei CEMEA per la formazione del personale educativo e per il loro rinnovamento, tesi di laurea, Università degli studi di Bologna, Facoltà di Magistero, Corso di Laurea in Pedagogia, 1967 (in consultazione presso Memo - Multicentro Educativo Modena “Sergio Neri”).
  • Neri 1973
    Atti del Convegno sulle Case di Vacanza, Mirandola 20-21 gennaio 1973. Intervento di Sergio Neri, in Serenella Dalolio, La pedagogia inclusiva di Sergio Neri. Le colonie, l’Istituto Charitas, Modena, Il Fiorino, 2022, pp. 82-84.
  • Neri 1982
    Sergio Neri, I luoghi dell’educare e dell’educarsi nella società contemporanea. Per un progetto educativo integrale, relazione al convegno Se la fantasia cavalca la ragione, 10-12 novembre 1982, in Comune di Modena, Memo - Multicentro educativo Modena “Sergio Neri”, Dedicato a Sergio Neri, Antologia degli scritti inediti, https://www.comune.modena.it/memo/dedicato-a-sergio-neri/scritti-inediti/i_luoghi-educare.pdf.
  • Neri 1984
    Sergio Neri, Allargato, integrato, complesso, in «L’Educatore», 19 (1 aprile 1984), p. 3.
  • Neri 1999
    Sergio Neri, Modi e tecniche per le attività di insegnamento, in Il manuale della scuola elementare, a cura di Nunziante Capaldo, Sergio Neri, Luciano Rondanini, Milano, Fabbri Editori, 1999.
  • Nocera 2001
    Salvatore Nocera, Il diritto all’integrazione nella scuola dell’autonomia, Trento, Erikson, 2001.
  • Paù-Lessi 1990
    Ivan Paù-Lessi, Le colonie, il centro e il soggiorno estivo di vacanza. Cenni storici ed aspetti pedagogici, Lugano, ed. Cemea-Ticino, 1990.
  • Piaget 1970
    Jean Piaget, Psicologia e pedagogia, Torino, Loescher, 1970.
  • Pivato 2023
    Stefano Pivato, Andare per colonie estive, Bologna, il Mulino, 2023.
  • Zerbini, Balboni, Monari 2015
    Stefano Zerbini, Fabio Balboni, Elisa Monari, Sergio Neri uno scout pedagogista, Mirandola, Graphic Center, 2015.

Risorse

  • Federazione italiana dei Centri d’esercitazione ai metodi dell’educazione attiva (Cemea):
    https://www.cemea.it/

Note

1. Per la biografia di Sergio Neri si veda la voce a suo nome a cura di Mirella D’Ascenzo in Chiosso, Sani 2013.

2. Sergio Neri definisce la colonia come un’istituzione residenziale per minori realizzata per un periodo limitato e dotata di una sede e di attrezzature proprie, collocata in una località diversa da quella di dimora abituale degli ospiti, che vi trascorrono un periodo prestabilito, chiamato turno [Neri 1967, 6].

3. Il termine soggiorno, a partire dagli anni Settanta del Novecento, assume il significato specifico per indicare la “nuova” colonia ispirata a una concezione di tipo attivo e democratico, radicalmente diversa dalla precedente.

4. I Cemea nascono in Francia nel 1936 fondati da Giséle de Failly; in Italia sono attivi dagli anni Cinquanta a Milano, Firenze e Roma. Sono un organismo internazionale che opera nel campo della formazione del personale impegnato nei diversi ambiti dell’attività educativa (centri estivi, soggiorni di vacanza, scambi internazionali).

5. L’Istituto Charitas (Piccolo Cottolengo) è fondato nel 1942 da Monsignor Gerosa per dare cura e assistenza alle persone con disabilità psico-fisica grave e gravissima. Sergio Neri ne assume la direzione nel 1970 riorganizzando il funzionamento dell’Istituto e le strutture interne nel quadro delle coeve innovazioni psichiatriche che Franco Basaglia stava apportando nell’ospedale psichiatrico di Trieste. Tale operazione si articola in un’opera educativa, sociale e politica che apre l’Istituto al mondo esterno e contribuisce a rendere visibile il problema dell’handicap e dell’integrazione alla stessa cittadinanza proprio a partire dalla partecipazione dei ragazzi disabili alle colonie estive marine che Neri dirige con incarico di pedagogista.

6. Ci riferiamo in particolare al dualismo cartesiano secondo cui nel mondo esistono due tipi di sostanza, fisica e mentale, distinte realmente eppur unite e commiste: la res extensa, la materia pensata che obbedisce alle leggi di natura, e la res cogitans, lo spirito, l’io pensante.