Sante Cruciani

1. Presentazione

Lo sviluppo delle tecnologie informatiche nella conservazione dei documenti d’archivio e delle fonti audiovisive e la crescita delle riviste online impone agli storici l’esigenza di ampliare il campo della ricerca e il ventaglio degli strumenti di analisi, in un ambiente digitale nel quale tutto tende a diventare immagine [Vitali 2004]. La moltiplicazione delle fonti audiovisive in rete offre peraltro la possibilità di percorsi di ricerca sensibili al rapporto tra storia e media, con una attenzione particolare alla sfera delle culture politiche e ai circuiti della comunicazione e della propaganda.

Riprendendo l’esperimento del video-documentario di Gisella Gaspari e Matteo Pasetti sulla contestazione al “modello emiliano” da parte dei movimenti giovanili degli anni Settanta, il confronto ravvicinato tra gli storici e gli specialisti del mondo audiovisivo può contribuire a rinnovare gli studi sull’Italia repubblicana e a presentare sotto la forma innovativa del video-saggio i risultati della ricerca. Al di là del documentario tradizionale, nel quale le immagini sono normalmente utilizzate per illustrare in maniera didascalica una tesi di fondo, la selezione di sequenze cariche di significato e la loro riproduzione attraverso la tecnica del montaggio può consentire la produzione di filmati originali, capaci di condensare la dimensione della ricerca audiovisiva, l’interpretazione dello storico e il discorso pubblico sulla storia.

È quanto si è cercato di fare scandagliando le fonti audiovisive disponibili in rete sul “modello emiliano”, in un arco cronologico compreso tra il mandato del Sindaco di Bologna Giuseppe Dozza e la conquista della Regione Emilia Romagna del socialista Enrico Boselli, con una finestra sull’eredità del “modello emiliano” nell’attività politica di Pier Luigi Bersani, Presidente della Regione Emilia Romagna e Segretario del Partito democratico, candidato premier alle elezioni politiche del 2013.

Scegliendo come asse tematico la costruzione mediatica del “modello emiliano” e la sua utilizzazione nella comunicazione politica del Pci, l’esperienza di governo locale e regionale dei comunisti dell’Emilia Romagna è stata collocata nelle dinamiche nazionali e internazionali dell’Italia repubblicana e nella cornice del processo di integrazione europea. È stato così prodotto un video-saggio che vuole provare a connettere “i territori della politica” all’interno e all’esterno dello stato-nazione e proiettare la discussione storiografica sul “modello emiliano” nella storia della sinistra europea e nel dibattito sull’identità della sinistra nel tempo presente [De Maria (ed.) 2012; Galli 2013].

2. Il “modello emiliano” da Giuseppe Dozza a Guido Fanti

Nell’Italia dei primi anni Cinquanta, la costruzione mediatica del “modello emiliano” ha il suo primo protagonista nel Sindaco di Bologna Giuseppe Dozza [Lama 2007]. L’impegno nel governo locale dei sindaci comunisti, riuniti nella Lega dei comuni democratici, trova nella città di Bologna e nel sindaco Dozza un testimone di primo piano nella comunicazione politica del Pci.

La rivoluzione del “buon governo”, della partecipazione democratica, del dialogo con il mondo cattolico e del confronto con i ceti medi e le forze imprenditoriali rappresenta per il Pci una carta vincente anche sul versante della propaganda politica. Il film prodotto dal Pci dell’Emilia Romagna per le elezioni amministrative del 1951 ed emblematicamente intitolato Una giornata con il sindaco mostra Dozza impegnato a palazzo D’Accursio, lo segue nell’inaugurazione di una scuola e nel suo studio, mentre lancia di fronte alla macchina da presa lo slogan della campagna elettorale “Vota due Torri”.

In un’Italia nella quale la propaganda politica si dispiega prevalentemente attraverso il bianco e nero della stampa quotidiana e le rappresentazioni visive dei manifesti murali [Novelli 2006; Pivato e Ridolfi (eds.) 2008], colpisce la produzione a colori del filmato e la sensibilità di Dozza per la pervasività delle immagini e i colori della politica. Filmato in abito blu di taglio istituzionale, Dozza non rinuncia a una cravatta e a un gilet rosso che accompagnano la fascia tricolore da sindaco, sintetizzando cromaticamente il significato politico della via italiana al socialismo e il rapporto tra bandiera rossa e tricolore istituito nello stesso simbolo del Pci. Condensato nel video-saggio attraverso lo slogan della campagna elettorale, il filmato del 1951 apre la strada alla produzione audiovisiva della Federazione del Pci di Bologna, che accompagna in maniera puntuale le realizzazioni politiche e sociali della giunta del capoluogo [Nicoletti (ed.) 2009].

Nell’Italia del miracolo economico e del centrosinistra, le iniziative della giunta Dozza nel settore del welfare municipale sono documentate, ad esempio, dal filmato del 1964 La stagione del recupero, dedicato ai soggiorni climatici organizzati per i bambini di Bologna. Scandito da una colonna sonora gioiosa ed allegra, il filmato a colori mostra la vita dei giovani ospiti delle colonie fino allo spettacolo teatrale allestito per la conclusione delle vacanze, con la parodia dell’assalto alla diligenza del celebre film di John Ford Ombre rosse. Per riprendere una chiave interpretativa di Pier Paolo D’Attorre, l’affacciarsi del cinema di John Ford nelle pratiche educative del Comune di Bologna è un segnale significativo della contaminazione ininterrotta tra “mito sovietico e sogno americano” nell’immaginario politico dell’Italia repubblicana [D’Attorre (ed.) 1991; Gundle 1995].

Nel passaggio di testimone da Giuseppe Dozza a Guido Fanti, l’affermazione del “modello emiliano” nella cultura politica del comunismo italiano trova espressione in alcuni filmati che lanciano il Comune di Bologna nel quadro politico nazionale e nella lotta per la pace condotta dal Pci. Il filmato del 1968 Bologna città di pace è esemplare per l’equilibrio raggiunto tra le sequenze riguardanti il dialogo per la pace tra comunisti e cattolici, la solidarietà internazionalista con il popolo vietnamita e la forza del mito sovietico dopo la conquista della Luna. Sul sottofondo di una musica d’organo, le immagini in bianco e nero della visita del 22 dicembre 1967 del cardinal Lercaro al sindaco Fanti, dell’incontro con una delegazione dei sindacati vietnamiti e dell’accoglienza riservata all’astronauta sovietica Valentina Tereskova confermano il ruolo a tutto campo giocato dal Comune di Bologna nella strategia comunicativa del Pci.

Rifacendoci ad alcune considerazioni di Sandro Bellassai [2000], le sequenze riguardanti l’abbraccio della città a Valentina Tereskova permettono alcune riflessioni ulteriori sui rapporti di genere nella cultura politica del comunismo italiano. Nel commento sonoro, la giovane cosmonauta sovietica, in qualità di «prima donna dello spazio» è certamente un «esempio tangibile dell’emancipazione femminile» ma continua a essere presentata come «sposa e madre», «modesta e semplice».

L’efficacia del “modello emiliano” nella propaganda politica del Pci è rafforzata dal filmato Roma Bologna. Due città due volti, prodotto dalla Federazione bolognese e dalla Federazione romana per le elezioni amministrative del 1968. Mentre sotto la guida di Dozza e Fanti Bologna ha conquistato il carattere di una città moderna e il «futuro è già cominciato», sotto l’ombra protettrice del “cupolone” i sindaci democristiani hanno trasformato Roma nel paradiso della speculazione edilizia e condannato le classi popolari al degrado delle borgate.

Sulla scia della campagna lanciata dal settimanale “L’Espresso” contro il Sindaco di Roma Rebecchini con lo slogan “Capitale corrotta, nazione infetta”, l’esempio di Bologna può costituire un’alternativa reale di “buon governo”, indirizzare il voto verso il Pci e legittimare le aspirazioni di governo dei comunisti italiani, in uno snodo politico che annuncia il varo dell’ordinamento regionale del 1970.

3. Gli anni Settanta e la fortuna internazionale del “modello emiliano”

Nell’Italia degli anni Settanta, il “modello emiliano” diviene la carta d’identità del comunismo italiano, nell’ambito della strategia del “compromesso storico” e dell’“eurocomunismo” di Enrico Berlinguer [Pons 2006; Barbagallo 2007]. Riprendendo una categoria analitica di Fausto Anderlini [1990], nel filmato del 1972 Vivere a Bologna l’esperienza di governo dell’Emilia Romagna è collocata al crocevia tra «comunismo ideale e socialdemocrazia reale». Costruito su un appello di Palmiro Togliatti ai compagni emiliani, sviluppato nel discorso del 1946 a Reggio Emilia su Ceto medio e Emilia rossa, il filmato individua le radici del “modello emiliano” nella tradizione socialista di governo municipale, nella rete associativa che sostiene il partito e nel rapporto con le organizzazioni sindacali.

Il ruolo di governo regionale assunto dai comunisti dell’Emilia Romagna è chiaramente rivendicato come la dimostrazione più netta della funzione nazionale e dell’azione riformatrice del Pci nell’Italia repubblicana. Essere una forza rivoluzionaria vuol dire per i comunisti italiani non soltanto aspirare a trasformare l’Italia, ma agire ogni giorno per realizzare una concreta azione riformatrice. Come afferma la voce fuori campo, mentre scorrono le immagini a colori dei militanti accorsi a Bologna per la Festa dell’Unità che celebra il cinquantesimo anniversario del loro quotidiano, per i comunisti italiani «governare significa attuare le riforme con il consenso, la collaborazione e il sostegno del popolo», per «affrontare i bisogni sociali e le necessità collettive che la logica del capitalismo non sa e non può soddisfare».

L’esperienza riformatrice dei comunisti dell’Emilia Romagna è nel contempo oggetto di una raffinata operazione di comunicazione politica promossa dal Presidente della Regione Guido Fanti e dal Sindaco di Bologna Renato Zangheri, per far conoscere alla stampa estera i successi del “modello emiliano”. Il filmato de1 1972 Viaggio in Emilia Romagna vuole appunto essere la cronaca filmata di un viaggio compiuto da una delegazione della stampa estera in Emilia Romagna su invito della giunta regionale, realisticamente in pieno accordo con la segreteria nazionale del partito.

Fin dalle prime dichiarazioni del presidente Fanti, il filmato pone in primo piano la volontà dei comunisti emiliani di non costituire «un’isola rossa», ma di essere parte integrante di uno stato italiano da modificare «nel rispetto e nell’applicazione piena della Costituzione». Il rispetto del pluralismo politico, la partecipazione democratica, il benessere diffuso e l’alto tasso di protezione sociale del “modello emiliano” diventano così i fattori positivi che legittimano il cammino dei comunisti italiani verso il governo del paese e li inseriscono nella famiglia politica della sinistra europea. A giudicare dalle pagine dei quotidiani “Le Monde”, “L’Observateur” e “Financial Time” che scorrono sullo schermo e dalle interviste rilasciate dai giornalisti Nobécourt, Sabout e Robinson, siamo di fronte all’avvio della fortuna del “modello emiliano” nella pubblicistica internazionale degli anni Settanta.

Mentre nel maggio 1973 Bologna diviene il luogo prescelto da Berlinguer per lanciare insieme al segretario del Pcf Marchais la strategia dell’“eurocomunismo”, il documentario di Jacques Nobécourt [1975] sulla “sinistra al potere” in Emilia Romagna, il volume di Marcelle Padovani [1976] sulla “longue marche” del comunismo italiano e l’inchiesta di Max Jaggi, Roger Muller e Sil Schmidt [1976; 1977] sulla “Red Bologna” indicano la forza trainante del “modello emiliano” per il dialogo tra il Pci e la sinistra europea.

Nel 1977, anno simbolo della contestazione della sinistra extraparlamentare, la scomparsa del Presidente della Regione Sergio Cavina sembra quasi anticipare le difficoltà del “modello emiliano” ad affrontare il cambio di fase della politica italiana provocato nel 1978 dall’assassinio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse e dal fallimento del “compromesso storico”. Le immagini in bianco e nero della Rai regionale dei funerali del presidente Cavina, dell’omaggio del dirigente del Pci Gianni Cervetti, del segretario generale della Cgil Luciano Lama e del sindaco di Bologna Zangheri al compagno di partito chiudono una epoca e anticipano la difficile navigazione del “modello emiliano” nella politica italiana degli anni Ottanta.

4. Il “modello emiliano” al Parlamento europeo e l’esaurimento del monocolore comunista

Nello scenario nazionale dei “governi di pentapartito” e del ritorno del Pci alla parola d’ordine dell’alternativa democratica, il modello emiliano è interpretato dal Presidente della Regione Lamberto Turci con una nuova sensibilità per i temi della programmazione economica, dello sviluppo sostenibile e della salvaguardia dell’ambiente. Il tentativo di Turci di inaugurare una fase nuova anche dal punto di vista della comunicazione politica è evidente nel filmato prodotto nel 1980 dall’emittente regionale Telesanterno con il titolo La Regione cresce... e va a scuola. Imitando gli incontri che il Presidente della Repubblica Sandro Pertini è solito avere al Quirinale con le scolaresche di ogni parte d’Italia, il filmato di un incontro tra Turci e alcuni studenti di Bologna vuole riallacciare i fili tra le generazioni e attribuire smalto al modello emiliano. È un tentativo solo in parte riuscito e nel filmato resta forte la distanza tra la freschezza dei ragazzi che domandano la ragione della sua nomina e il sorriso imbarazzato di Turci che si rifà alla sua esperienza politica a fianco di Cavina e alle consultazioni intraprese dal partito per giungere alla sua designazione.

Durante lo stallo politico della segreteria di Alessandro Natta [Turi 1996], il “modello emiliano” sembra garantire ai comunisti italiani una presenza qualificata nel rapporto con la Comunità europea e con il Parlamento europeo. Il servizio della Rai regionale sulla missione del 1988 del Presidente della Regione Luciano Guerzoni a Strasburgo per ottenere, di concerto con la regione padana, l’impegno del Parlamento europeo a favore del risanamento del Po e dell’Adriatico è la spia di una visione politica che guarda alla Comunità europea come il baricentro insostituibile di una efficace azione di governo.

Nello stesso torno di tempo, l’impegno dei comunisti emiliani nelle istituzioni della Cee è sostenuto con intelligenza politica dal Sindaco di Bologna Renzi Imbeni, eletto al Parlamento europeo nel 1989 con lo slogan “Candida Bologna in Europa. Il sindaco, la tua città in Europa”. I manifesti inseriti nel video saggio sull’attività di Renzo Imbeni alla guida del Comune di Bologna e sui banchi del Parlamento europeo sintetizzano in maniera eloquente la dimensione europea mantenuta dal “modello emiliano” negli anni Ottanta e l’impegno di Imbeni per un pieno inserimento del Pci nella famiglia della sinistra europea [Iannucci, Lepri e Rovinetti (eds.) 2005].

All’indomani della caduta del muro di Berlino e alla vigilia della svolta di Achille Occhetto, l’esaurimento del “modello emiliano” è testimoniato dall’elezione del socialista Enrico Boselli alla Presidenza della Regione, alla testa di un governo di coalizione tra comunisti, socialisti, socialdemocratici e repubblicani. Il filmato del 1990 dell’intervista di Boselli al giornalista del Tgr Filippo Vendemmiati esprime plasticamente la fine del monocolore comunista in Emilia Romagna e la necessità per il Pci di affrontare una discussione a tutto campo sulla sua identità politica e sulla sua collocazione nella sinistra europea.

5. L’eredità del “modello emiliano” dalla “Repubblica dei partiti” alla “democrazia dell’opinione”

Nel panorama politico degli anni Novanta e nel passaggio dal Pci al Pds, una rielaborazione del modello emiliano è condotta con pragmatismo dal Presidente della Regione Emilia Romagna Pier Luigi Bersani. La sequenza di alcune interviste rilasciate nel 1993 alla testata regionale della Rai racchiude il manifesto programmatico di Bersani per una riforma in senso federalista e solidale dello stato italiano, da contrapporre alle spinte alla disgregazione della Lega Nord. Il richiamo del presidente Bersani alla nascita del tricolore nella città di Reggio Emilia è sintomatica della funzione nazionale rivendicata dal Pds nella crisi italiana e della persistenza del “modello emiliano” nella cultura politica della sinistra.

Con un salto consapevole nel tempo presente, la scheda dell’emittente regionale Telepiacenza sulla candidatura del 2013 al governo del paese di Pier Luigi Bersani nelle vesti di segretario nazionale del Partito democratico pone alcuni interrogativi sull’evoluzione delle culture politiche e sull’eredità del “modello emiliano” dalla “Repubblica dei partiti” [Scoppola 1991] alla “democrazia dell’opinione” [Fedele 1994].

Nel filmato riguardante la biografia politica di Pier Luigi Bersani, dall’educazione in una famiglia cattolica alla militanza nel Pci e nel Pds, dai ruoli istituzionali nella Regione Emilia Romagna alla campagna elettorale per le primarie del Partito democratico, dalle metafore linguistiche utilizzate in nome di una «politica dialettale, trasparente e facile da capire» alle imitazioni fulminanti del comico Maurizio Crozza, l’eredità del “modello emiliano” nella cultura politica della sinistra italiana appare in tutte le sue potenzialità e contraddizioni.

Osservava lo stesso Bersani [2011], assumendo la segreteria del Partito democratico e ripensando la sua esperienza politica e di governo all’interno del Pci e del Pds:

Amo l’Emilia Romagna, ma la mitologia del “modello” non mi ha mai convinto. Anzi, mi sono affermato in Emilia Romagna mettendo a critica l’impostazione modellistica ed evitando sempre di pronunciare la formula “modello emiliano”. Il Pci aveva bisogno di dimostrare agli italiani la sua distanza dall’Est europeo e voleva proporre un patto alla borghesia, appunto “come in Emilia”. Tuttavia rievocare quella formula rischiava di incoraggiare un riflesso di conservazione, teso più a sottolineare le acquisizioni del passato che i problemi e le sfide nuove. Piuttosto le buone cose fatte dovevano indurci a riproporre quei valori nella modernità, aprendoci criticamente alle cose nuove. Una figura ideale che mi ha sempre affascinato è quella del capo lega operaio o contadino di fine Ottocento. Erano uomini forti che andavano nelle stalle a parlare con gli analfabeti: costruttori del socialismo con una visione della politica nobile e una speranza per il futuro. Fossimo capaci noi, nei nostri tempi, di far camminare la storia come fecero loro!

Al di là delle contingenze della politica, l’indagine storica sul “modello emiliano” può contribuire ad analizzare la parabola del Pci nell’Italia repubblicana e a ripensare le forme e i modi della politica del tempo presente, a condizione di considerare la circolarità delle culture politiche, il rapporto tra i “territori della politica” dal governo locale all’interdipendenza globale, senza tralasciare la sfera delle identità e delle rappresentazioni che emergono dalla comunicazione e dalla propaganda politica.

6. Conclusioni

Negli ultimi quindici anni, il ruolo del Pci nell’Italia repubblicana è stato ricostruito mantenendo una certa separazione tra l’«impossibile egemonia» [Pons 1999] derivante dal legame irrisolto con Mosca, la dinamica dei rapporti con la sinistra europea, l’esperienza del governo locale e regionale, la sfera della comunicazione e della propaganda politica [Gualtieri 2001]. Si tratta di dimensioni che possono tuttavia intrecciarsi in maniera organica, con l’obiettivo di indagare in profondità l’interazione tra la concretezza dei processi politici ed economici e il carattere apparentemente volatile della propaganda politica, considerata appannaggio esclusivo dei sociologi della comunicazione e degli esperti del mondo audiovisivo. È un approccio che può essere sperimentato a partire dall’influenza del “modello emiliano” nella cultura politica, nella pratica di governo municipale e regionale, nel rapporto con il processo di integrazione europea del Pci, ma che può essere esteso alle culture politiche, ai partiti e alle organizzazioni sindacali che hanno animato la storia dell’Italia repubblicana.

In tale prospettiva, la storia politica può aprirsi in maniera più articolata alle fonti iconografiche e audiovisive, individuare piste di ricerca autenticamente interdisciplinari e affrontare con maggiore determinazione il discorso pubblico sulla storia [De Luna 2004], che appare attualmente monopolio di trasmissioni televisive condotte da giornalisti di successo, con gli storici relegati in una funzione di secondo rango [Anania 2008]. Mentre prevale la tendenza a una politica che sembra giocarsi soltanto sul terreno della comunicazione e della propaganda, riallacciare i fili tra storia e tempo presente può avere l’effetto di restituire spessore storico e slancio progettuale alla politica e alla partecipazione democratica dei cittadini, al di là dei meccanismi spesso parziali e deformanti della “democrazia dell’opinione”.

Bibliografia

Anania F. 2008
I Mass Media tra storia e memoria, Roma: Rai–Eri
Anderlini F. 1990
Terra rossa. Comunismo ideale socialdemocrazia reale: il Pci in Emilia Romagna, Bologna: Istituto Gramsci
Barbagallo F. 2007
Enrico Berlinguer, Roma: Carocci
Bellassai S. 2000
La morale comunista. Pubblico e privato nella rappresentazione del Pci 1947-1956, Roma: Carocci
Bersani P.L. 2011
Per una buona ragione, a cura di Gotor M. e Sardo C., Roma-Bari: Laterza
D’Attorre P.P. (ed.) 1991
Nemici per la pelle. Sogno americano e mito sovietico nell’Italia contemporanea, Milano: Franco Angeli
De Luna G. 2004
La passione e la ragione. Il mestiere dello storico contemporaneo, Milano: Bruno Mondadori
De Maria C. (ed.) 2012
Bologna Futuro. Il “modello emiliano” alla sfida del XXI secolo, Bologna: Clueb
Fedele M. 1994
Democrazia referendaria. L’Italia dal primato dei partiti al trionfo dell’opinione pubblica, Roma: Donzelli
Galli C. 2013
Sinistra. Per il lavoro, per la democrazia, Milano: Arnaldo Mondadori.
Gualtieri R. (ed.) 2001
Il Pci nell’Italia repubblicana 1943–1991, Roma: Carocci.
Gundle S. 1995
I comunisti italiani tra Hollywood e Mosca. La sfida della cultura di massa, Firenze: Giunti.
Iannucci A.R., Lepri L. e Rovinetti A. (eds.) 2005
Il sindaco Renzo Imbeni. Interventi e discorsi 1983 –1933, Bologna: Stampa Moderna.
Jaggi M., Muller R. e Schmidt S. 1976
Das Rote Bologna, Zurich: Verlagsgenossenschaft.
Jaggi M., Muller R. e Schmidt S. 1977
Red Bologna, London: Writers and Reaters.
Lama L. 2007
Giuseppe Dozza: storia di un sindaco comunista, Reggio Emilia: Aliberti.
Nicoletti C. (ed.) 2009
La vita in rosso. Il Centro audiovisivi della Federazione del Pci di Bologna, Bologna: Carocci.
Nobécourt J. 1975
Emilia Romagna: la sinistra al potere, Paris: Seuil Audiovisuel.
Novelli E. 2006
La turbo politica: sessant’anni di comunicazione e di scena pubblica in Italia: 1945–2005, Milano: Bur.
Padovani M. 1976
La longue marche: le Parti comuniste italien, Paris: Calmann–Lévy.
Pivato S. e Ridolfi M. (eds.) 2008
I colori della politica. Passioni, emozioni e rappresentazioni nell’età contemporanea, San Marino: Centro sammarinese di studi storici, Università degli Studi di San Marino.
Pons S. 1999
L’impossibile egemonia. L’Urss, il Pci e le origini della guerra fredda, 1943–1948, Roma: Carocci.
Pons S. 2006
Berlinguer e la fine del comunismo, Torino: Einaudi.
Scoppola P. 1991
La Repubblica dei partiti. Profilo storico della democrazia in Italia 1945–1990, Bologna: il Mulino.
Turi P. 1996
L’ultimo segretario. Vita e carriera di Alessandro Natta, Padova: Cedam.
Vitali S. 2004
Passato digitale. Le fonti dello storico nell’era del computer, Milano: Bruno Mondadori.