Il 2 gennaio 2014 il ministro britannico dell’educazione Michael Gove ha deciso di dare inizio al nuovo anno provocando un’accesa polemica sulla storia della Prima guerra mondiale. Mentre il paese si preparava a ricordare il conflitto in vista del centenario, il ministro ha scelto di attaccare gli accademici che, a suo parere, denigravano il patriottismo britannico perpetuando il mito secondo cui la Grande Guerra fu una «serie di errori catastrofici perpetrati da un’elite avulsa dalla realtà». Avallato subito dal primo ministro David Cameron, terminava sostenendo che quella del 1914-18 era stata una «guerra giusta» combattuta per fermare l’espansionismo tedesco. Intanto nel paese si moltiplicavano le iniziative scientifiche per ricordare il conflitto, promosse principalmente nelle università attraverso convegni, mostre, dibattiti e proiezioni di film. La manifestazione che ha visto forse la maggior partecipazione di pubblico finora è la rappresentazione teatrale e cinematografica di Oh! What a Lovely War. In sedi universitarie, il film è stato presentato agli studenti con contestualizzazioni da parte di storici dell’Inghilterra contemporanea. Prodotto in concomitanza con il conflitto in Vietnam nel 1969, il film rappresenta la Prima guerra mondiale, ma anche la guerra in generale, come una strage inutile. [[figure caption="Locandina del film" align="right"]]articles/media/59/baldoli_2014_01.jpg[[/figure]] Il racconto degli eventi, che investono una tipica famiglia inglese, portando alla morte in trincea tutti i suoi giovani maschi, è strutturato intorno alle canzoni dei soldati. All’ottimismo delle parate del 1914 fanno seguito eventi sempre più tragici; mentre i comizi pacifisti sono assaliti da folle inferocite a sostegno dei propri soldati al fronte, appaiono le cifre sempre crescenti dei morti, a indicare come la guerra fosse sfuggita a ogni controllo e come l’elite politica e militare non fosse più in grado di tornare indietro. Il film è divertente e commovente; promuove un forte senso di rispetto per i caduti, il cui sacrificio non ebbe però alcun senso.

Tra le iniziative più specificamente accademiche, si sono tenuti, sono in corso e si terranno nei prossimi mesi convegni organizzati da studiosi della Prima guerra mondiale in tutto il paese. Il Centre for Global History di Oxford ha organizzato in gennaio il primo fra questi eventi. La scelta di approfondire la storia di quegli anni in chiave globale anziché britannica evidenzia il tentativo del mondo accademico di distanziarsi dalle commemorazioni governative. Su piano mondiale, sono analizzati temi quali la geopolitica, la mitologia di guerra, le identità nazionali e il senso di alterità, la resistenza al conflitto e il rapporto fra guerra e rivoluzione. Centrato specificamente sulle arti visive è invece il convegno su The Great War and the Moving Image svoltosi a metà aprile all’Università del Kent. Le relazioni hanno esaminato filmati di quegli anni, non solo inglesi, esplorando i criteri in cui il mezzo cinematografico sostenne lo sforzo bellico nei paesi coinvolti: i modi con cui venivano rappresentate le battaglie o la capacità di alcuni filmati di costruire identità nazionale e memoria collettiva. Anche qui lo sforzo è stato comparativo (solo una sessione è stata dedicata al caso specifico della Gran Bretagna). L’Anglo-American Conference del 2014, che si terrà a luglio alla Senate House a Londra, è invece dedicata a The Great War at Home. Organizzata in collaborazione con la British Association of Local History e la Victoria County History, l’interesse del’iniziativa è rivolto all’impatto della guerra a livello locale – su istituzioni, famiglie e vita sociale, oltre che alla sua memorializzazione anch’essa declinata nell’ambito della vita privata. L’intento è anche quello di fare il punto sullo stato della ricerca sulla Prima guerra mondiale, sul suo insegnamento scolastico e su come il conflitto venga rappresentato dai media, musei e arti visive. Il centenario della Grande Guerra ha quindi stimolato iniziative accademiche volte a ricordarne aspetti diversi, ma anche a studiare il pacifismo e la protesta di coloro che vi si opposero. Un progetto dell’Università di Leeds esaminerà le collezioni dell’Imperial War Museum sull’esperienza di obiettori di coscienza e pacifisti. Anche in questo caso è interessante l’intreccio di storia locale e nazionale, privata e pubblica. Per esempio, uno dei temi affrontati è il ruolo delle donne nel sostenere gli obiettori di coscienza a livello locale e familiare. Questi aspetti saranno declinati attraverso la lente degli studi culturali a un convegno organizzato in settembre presso l’Università di Hull: Objections to War: Pacifism, anti-interventionism and conscientious objection in literature, theatre and art, 1830-1918. L’intento è analizzare il contenuto, le forme e i significati culturali della protesta contro la guerra nei decenni che portarono al conflitto mondiale, esplorando il rapporto fra le arti e i movimenti pacifisti e antimilitaristi. Anche in questo caso l’obiettivo è uscire dai confini nazionali, per discutere questi temi in modo comparato su scala mondiale. L’anniversario ha stimolato anche attività di congiunzione fra ricerca accademica e pacifismo militante. Alcune università britanniche hanno organizzato dibattiti sul lavoro svolto dal Peace Museum di Bradford. Il museo contiene materiali su nonviolenza, forme di resistenza alla guerra, disarmo, diplomazia, diritto internazionale, diritti umani, rapporto fra pace ed ecologia. La sezione più direttamente legata alla Prima guerra mondiale è quella sulle commemorazioni, dove si critica una costruzione ufficiale della memoria del conflitto che riaccende sentimenti nazionalisti. Convegni, dibattiti e altre iniziative continuano a essere organizzati per i prossimi anni e sembrano finora svilupparsi in parallelo alle commemorazioni ufficiali, di stampo patriottico e celebrativo, promosse dal governo.