La proposta di un viaggio di studio sul confine orientale, la zona geo-storica oggi suddivisa tra Italia, Slovenia e Croazia, definito in maniera significativa il «confine mobile», ha visto coinvolti nell’organizzazione scientifica e logistica gli Istituti di Modena e Reggio Emilia, la Fondazione ex-Campo Fossoli e il Museo Cervi. Il viaggio, svolto tra il 23 e 25 novembre del 2012, è stato inserito in un modulo formativo che prevedeva due incontri con esperti dell’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia. Obiettivo principale del percorso è stato quello di fornire a docenti e operatori contenuti storici e strumenti metodologici per contestualizzare adeguatamente gli eventi e riflettere sulle problematiche aperte.

L’intero viaggio è stato guidato dal docente comandato dell’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia, Fabio Todero. L’articolazione del viaggio ha previsto una sosta al Sacrario di Redipuglia, luogo di memoria del primo conflitto mondiale, e la visita alla città di Trieste in un percorso sui luoghi della Resistenza, del nazismo e del fascismo, che volle connotare il contesto cittadino con i segni delle rivendicazioni nazionaliste e con la soppressione dell’identità culturale delle comunità croate e slovene presenti nella zona. Nel programma sono state inserite anche la visita guidata al campo di concentramento italiano di Gonars e a quello nazista di San Sabba, che rappresentano i luoghi simbolo della violenza totalitaria del Novecento; per il tema delle foibe e dell’esodo sono state svolte le visite al Monumento nazionale foiba di Basovizza e al Centro raccolta profughi di Padriciano, quest’ultima arricchita dall’incontro con un testimone.

[[figure align="center" caption="Campo di Concentramento di Gonars, Udine" width="600px"]]media/57/carrasso_2014_01.jpg[[/figure]]

[[figure align="center" caption="Centro raccolta profughi di Padriciano, Trieste" width="600px"]]media/57/carrasso_2014_02.jpg[[/figure]]

Le vicende storiche che hanno caratterizzato i territori ubicati sul confine orientale rappresentano un complesso nodo storiografico ancora aperto, appiattito sul tema delle foibe e dei successivi esodi.

L'istituzione con la legge del 30 marzo del 2004 della «Giornata del ricordo» è stata fortemente voluta, a partire dal 2003, da parlamentari afferenti ai due principali partiti dell'allora centrodestra - Forza Italia e Alleanza Nazionale - richiamando all'attenzione pubblica le questioni legate alle foibe, tema per anni di esclusivo patrimonio della destra e delle comunità locali site sul confine orientale.

[[figure align="left" caption="Foiba di Basovizza, Trieste" width="450px"]]media/57/carrasso_2014_03.jpg[[/figure]]

Dopo l’istituzione della legge si è avuto il progressivo superamento di quella memoria, che per tanti coincideva con il risentimento politico e nazionalista, favorendo un'analisi e una conoscenza dei problemi del confine orientale e della sua storia. Non si può, infatti, parlare di foibe senza considerare la complessa vicenda storica dei territori della zona di confine iniziata nel 1797, quando il Trattato di Campoformio assegna la maggior parte della penisola istriana e dalmata al dominio di Venezia, mentre Trieste e l'Istria interna sono inserite nell'Impero austriaco.

Trieste era infatti il porto dell'Austria. In città la lingua ufficiale era l'italiano, ma si parlava anche croato e sloveno, con una compresenza di comunità religiose diverse (cattolici, ebrei, ortodossi, musulmani).

1. Il confine mobile

Nel XIX secolo con la nascita e l'affermazione degli stati nazione sul confine orientale hanno inizio i conflitti legati alla formazione delle identità nazionali, in particolare tra italiani e slavi, i quali rivendicano entrambi il «diritto naturale» di risiedere in un determinato luogo. La partecipazione degli italiani alle lotte risorgimentali porterà a un'affermazione delle élite slave appoggiate dagli austriaci. Sono questi gli anni in cui si sviluppa l'irredentismo italiano, nato come movimento d'opinione che aspirava al perfezionamento territoriale dell'unità nazionale.

Pier Antonio Quarantotti Gambini, scrittore istriano di Pisino, descrive nel 1951 la singolare esperienza di vita toccata in sorte a ogni individuo della sua generazione cresciuto sul confine orientale: nato cittadino dell’Impero austroungarico, ha conosciuto

[…] alla fine della prima guerra europea e dopo un breve periodo di governo liberale, vent'anni di fascismo. Più tardi, durante la seconda guerra europea, ha sperimentato la dittatura nazista: e a guerra finita, nel maggio del 1945, ha dovuto subire la dittatura comunista del maresciallo Tito. Ora […] egli è cittadino del Territorio Libero di Trieste, e precisamente di quella zona A che è amministrata dagli anglo-americani. In meno di sei lustri, fra guerre e paci: austriaci, italiani, germanici, jugoslavi, neozelandesi, inglesi, americani. Sembra che un ago di una bussola impazzita abbia voluto segnare ad una ad una tutte le direzioni della rosa dei venti: Vienna, Roma, Berlino, Belgrado, Washington e proprio nei momenti più critici per ognuna di queste capitali [Quarantotti Gambini 1951, 9].

La citazione evidenzia quanto sia complessa la storia del confine orientale e quanto sia stata resa ancor più complicata dalla strumentalizzazione politica che si è fatta delle vicende che si sono svolte in questi territori.

La prima guerra mondiale ebbe un'importanza rilevante nel processo di nazionalizzazione delle masse e, con il crollo dell'Impero asburgico, emersero con forza le conflittualità tra le diverse minoranze nazionali, portando ad una complessa trattativa tra regno d’Italia e regno dei Serbi, Croati e Sloveni, tanto da far indignare i nazionalisti italiani dell'epoca (di cui Gabriele D'Annunzio era l'esponente più prestigioso) che elaborarono il concetto di «vittoria mutilata»; idea poi ripresa dal nascente partito fascista.

Tra il 1920 e il 1924 entrarono a far parte dei territori italiani consistenti nuclei abitati da popolazioni di lingua tedesca, slovena e croata, senza che questo frenasse l'aggressività antislava del fascismo.

2. Il fascismo di confine

I fascisti iniziarono con l'incendiare la sede delle associazioni slovene di Trieste, affermando la superiorità della civiltà italiana, contrapposta allo stereotipo dello slavo incolto e campagnolo.

In queste terre si impose il fascismo di confine che si distinse per la sua asprezza, reprimendo qualsiasi elemento slavo con l'assimilazione forzata della lingua e della cultura italiana, che si concretizza anche nell’italianizzazione dei nomi delle località geografiche, seguita da quella dei nomi e dei cognomi slavi. Le violenze subite in questi anni lasceranno un segno indelebile nella memoria delle popolazioni slave, che inizieranno a collaborare con l'antifascismo italiano.

Con l'inizio della Seconda guerra mondiale la situazione del confine orientale è ulteriormente complicata dall'invasione nel 1941 - da parte delle divisioni tedesche, italiane, ungheresi e bulgare - del Regno Jugoslavo e del suo conseguente smembramento territoriale. L'Italia annette la provincia di Lubiana e la Dalmazia, mentre occupa militarmente il Montenegro e parte della Croazia.

Nei territori occupati l'esercito italiano assume un ruolo fortemente contraddittorio: da un lato protegge dalla deportazione tedesca gli ebrei, dall’altro si distingue contemporaneamente per le atroci violenze contro partigiani e civili slavi.

Nell’introduzione al testo di Franc Potočnik sull’campo di Rab, edito nel 1979, Isacco Nahoum (rappresentante dell’Anpi di Torino promotrice della pubblicazione) affermava:

La denuncia delle atrocità naziste è stata ampia e documentata grazie alle Attività delle Associazioni della Resistenza, all'azione dei partiti democratici e di numerosi uomini di cultura, ma purtroppo su fatti non meno deprecabili attribuiti ad italiani si è steso un velo di silenzio. Non un solo fascista è stato processato e condannato per crimini di guerra commessi contro intere popolazioni ed è davvero ipocrita l'atteggiamento di quanti hanno cercato di far credere che in ogni circostanza i militari italiani abbiano dimostrato d'essere sempre brava gente [Potočnik 1979, Introduzione].

L'escalation di violenza contro le popolazioni civili si sviluppa in particolare a partire dall'inverno del 1942, quando il generale Mario Roatta emette la famigerata circolare 3C con l'obiettivo di rompere l'appoggio popolare al nascente movimento di liberazione, introducendo norme di condotta militare che nulla hanno da invidiare alle pratiche naziste.

La documentazione relativa agli effetti di queste disposizioni è oggi consultabile presso l'Archivio nazionale della Repubblica Slovena con sede a Lubiana. Gli ordini militari introdotti erano, infatti, del tutto simili a quelli impartiti dai comandanti nazisti e contemplavano: rappresaglie, incendi di case e villaggi, esecuzioni sommarie, arresto e uccisione di ostaggi, sistematici internamenti nei campi di concentramento - in particolare di Rab (Arbe) e di Gonars. Le finalità ultime appaiono esplicite nelle stesse parole usate dal generale Roatta:

Se necessario, non rifuggire da usare crudeltà. Deve essere una pulizia completa. Abbiamo bisogno di internare tutti gli abitanti e mettere le famiglie italiane al loro posto, […] l’internamento può essere esteso sino allo sgombero di intere regioni, come ad esempio la Slovenia. In questo caso si tratterebbe di trasferire, al completo, masse ragguardevoli di popolazione e di sostituirle in loco con popolazioni italiane [Nota al Comando dell’8 settembre 1942, Zidar 2001, 231].

Uno dei suoi soldati in una lettera inviata a casa il 1° luglio 1942 scrisse: «Abbiamo distrutto tutto da cima a fondo senza risparmiare gli innocenti. Uccidiamo intere famiglie ogni sera, picchiandoli a morte o sparando contro di loro».

Secondo gli storici James Walston e Carlo Spartaco Capogreco il tasso di mortalità annua nel campo di concentramento di Rab (Arbe) superava il tasso di mortalità medio nel campo di concentramento nazista di Buchenwald (che era del 15%). Monsignor Joze Srebnic, vescovo di Veglia (Krk), il 5 agosto 1943 riferì a Papa Pio XII, che «secondo i testimoni, che avevano partecipato alle sepolture, il numero dei morti avrebbe superato le 3500 unità». [Kersevan 2008, 2010].

3. Le foibe

Dopo l'8 settembre del 1943 e il repentino cambio di alleanze del governo italiano, al crollo delle istituzioni fasciste in queste regioni di confine succede una violenta epurazione di tutti coloro siano identificati quali «nemici del popolo»: gerarchi fascisti, rappresentanti dello stato, possidenti terrieri e dirigenti industriali, forze dell'ordine e personalità più rappresentative delle comunità italiane. È in questo contesto e in questi mesi del 1943 che scompaiono nelle foibe istriane tra le 500 e le 700 persone, in prevalenza italiane.

Le foibe sono voragini naturali tipiche del terreno carsico di circa cento, duecento metri di profondità, create dall'erosione dei corsi d'acqua.

Cercando d’offrire una chiave di lettura che aiuti a comprendere il contesto in cui ha origine il fenomeno delle foibe Roul Pupo scrive:

Il quadro che si offre all'analisi storica è dunque decisamente articolato, perché nei fatti dell'autunno del 1943 sembrano intrecciarsi più logiche: giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e faide paesane, oltre a un disegno di sdradicamento del potere italiano – attraverso la decimazione e l'intimidazione della classe dirigente – come precondizione per spianare la via a un contropotere partigiano che si presentasse in primo luogo come vendicatore dei torti, individuali e storici, subiti dai croati dell'Istria [Pupo 2005, 75].

Gli episodi di violenza di massa ai danni della popolazione italiana della Venezia Giulia, che di solito vengono sinteticamente ricordati con il nome di foibe, si sviluppano in realtà in due fasi distinte: la prima nel settembre-ottobre del 1943 interessa l'Istria interna; mentre la seconda nel maggio-giugno del 1945 riguarda le aree delle provincie di Trieste e Gorizia. Entrambi questi momenti sono caratterizzati dal tentativo, attuato in un arco di tempo circoscritto, di sostituire all'ordine appena abbattuto un ordine nuovo, alternativo al precedente sia dal punto di vista politico che nazionale.

[[figure align="right" caption="Foiba di Basovizza, Trieste" width="450px"]]media/57/carrasso_2014_04.jpg[[/figure]]

Con l'apertura dell’accesso alla documentazione degli archivi in Slovenia diversi storici hanno ripreso lo studio dei complessi fenomeni legati agli avvenimenti dell’immediato dopoguerra sul confine orientale. In particolare le riflessioni di due storici italiani - Diego De Castro ed Elio Apih - hanno evidenziato come alla base della repressione del maggio 1945 ci fosse un disegno politico preciso, elaborato ai massimi livelli del Comitato centrale del partito comunista sloveno, in cui emerge con chiarezza quale fosse il nemico da eliminare: «non certo gli ‘italiani’ - come vorrebbero affermato i sostenitori della tesi dello ‘sterminio etnico’ - ma i reazionari» [Pupo 2003]. Con il termine reazionari si intendevano non solo i fascisti, ma anche gli aderenti alla Resistenza italiana di area non comunista. Vennero arrestate circa diecimila persone e di queste quasi cinquemila furono sterminate. Una delle località principali in cui avvennero le uccisioni fu la miniera di Basovizza, dove sembra siano stati uccisi un numero cospicuo di dipendenti della questura di Trieste.

Sul luogo, diventato simbolo delle foibe, è stato eretto un monumento celebrativo nel 1992.

4. L’esodo

La fine della Seconda guerra mondiale e la conferenza di pace di Parigi non hanno contribuito a risolvere le difficili questioni legate confine orientale. L'Italia venne considerata un paese aggressore e sconfitto, nonostante la lotta nazionale di liberazione, e la ridefinizione del confine orientale rappresentò uno dei prezzi da pagare ai vincitori. 

L'Italia dovette rinunciare a buona parte della Venezia Giulia (ad eccezione di una porzione del territorio di Gorizia), a Fiume e a Zara. Contemporaneamente venne istituito il Territorio libero di Trieste, a sua volta suddiviso in Zona A e Zona B, sottoposte in via provvisoria rispettivamente all'amministrazione militare alleata e all'amministrazione militare dell'armata jugoslava.

Sarà il Memorandum d'Intesa - siglato a Londra tra Italia, Iugoslavia, Gran Bretagna e Stati Uniti il 5 ottobre del 1954 - ad avviare a conclusione l'annosa questione di Trieste, sancendo l'annessione della città e del suo entroterra (la zona A) all'Italia e la cessione della zona B e di Capodistria alla Jugoslavia. In realtà il nuovo confine sarà considerato definitivo dalla Jugoslavia e provvisorio dall'Italia, che lo riconosce solo come «linea di demarcazione». Il travaglio territoriale del confine orientale arriverà definitivamente a conclusione solo nel 1975 con il Trattato di Osimo, che sancirà come confine di Stato la demarcazione tra la zona A e la zona B.

In questa complessa situazione politica, tra il 1945 e il 1956 si compie l' «esodo giuliano», ovvero l'abbandono delle proprie terre da parte di 250.000 persone appartenenti alle comunità italiane di Zara, Fiume, delle isole di Cherso e Lussino e della penisola istriana, sradicando in maniera definitiva intere popolazioni dalle propri luoghi d'origine.

Diverse sono le motivazioni che hanno spinto queste popolazioni all'esodo: la decisione di preservare la propria italianità; la scelta politica di non fare parte di un regime comunista che implicava un'adesione totale; la paura generata dalle foibe, dalle violenze e dalle intimidazioni subite sia durante che dopo la guerra dal regime di Tito.

I profughi sono stati accolti in 92 città italiane da Trieste a Ragusa (in Puglia si segnalano - ad esempio - i campi di accoglienza di Bari, Brindisi, Altamura e Santa Maria di Leuca). Per l'accoglienza dei profughi furono utilizzate anche ex caserme ed ex campi di concentramento. In un'Italia segnata dal difficile dopoguerra l'accoglienza degli esuli non fu semplice, anche perché per pochi la storia delle vicende della penisola istriana era intellegibile al di fuori dei pregiudizi di ordine politico. Molti italiani hanno, infatti, a lungo erroneamente interpretato la fuga dei giuliano-dalmati dalla Jugoslavia come un vero e proprio rifiuto del socialismo, identificandoli semplicemente come fascisti. Tali ragioni hanno alimentato da parte degli esuli il desiderio di preservare i propri legami con le terre natie, ricreando un microcosmo chiuso e indipendente nel tentativo di conservare l'identità istriana; ma favorendo anche involontariamente quel processo di discriminazione e isolamento di cui sono stati vittime per anni.

5. Conclusioni

In Italia per cinquant'anni questa storia è passata sotto silenzio riducendo la portata di tali avvenimenti a questioni locali, non degne dell’interesse nazionale. Le motivazioni di tale oblio sono molteplici e lo studio e l’approfondimento di tali temi non sono stati trattati dalla storiografia non soltanto di area comunista. Oggi è importante fare attenzione a non porre la questione delle foibe in un'ottica «revisionista», ponendo in maniera decisiva l'accento sul ruolo avuto dal fascismo, quasi a giustificare meccanicamente quanto fatto dagli jugoslavi.

L'istituzione della «Giornata del ricordo» non ha risolto in alcun modo la questione, prevale ancora l’affermazione di storie nazionali relative alle vittime e manca un riconoscimento condiviso della responsabilità di entrambe le parti. Oggi, probabilmente, ciò che si può fare è favorire una riflessione sul tema dei diritti delle minoranze, sui totalitarismi e sui nazionalismi, cercando di superare le letture ideologiche attraverso lo studio di storie sovranazionali.

A conclusione del viaggio Fabio Todero ha sottolineato come, grazie alla costituzione della Comunità europea e al superamento dei confini nazionali, le nuove generazioni stiano superando quel risentimento che è parte indelebile della memoria di chi ha vissuto le vicende della Seconda guerra mondiale e dell'esodo. Favorire l'integrazione culturale e non solo economica dell'Europa può quindi diventare una straordinaria risorsa per comporre il complesso mosaico della storia del Novecento, affrontando senza reticenze o remore le contraddizioni del nostro passato; e sottraendo dall'oblio tutte le storie e tutte le memorie che lo compongono.

Viaggio di formazione sul confine orientale

Bibliografia

Kersevan A. 2008
Lager italiani: pulizia etnica e campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi 1941-1943, Nutrimenti: Roma
Kersevan A. 2011
Un campo di concentramento fascista. Gonars 1942-1943, Kappa Vu: Udine
Potočnik F. 1979
Il campo di sterminio fascista: l'isola di Rab, Comitato Anpi Provinciale: Torino (ed. orig. 1975 Lipa: Koper) 
Pupo R., Spazzali R. 2003
Foibe, Bruno Mondadori: Milano 
Pupo R. 2005
Il lungo esodo. Istria: le persecuzioni, le foibe, l'esilio, Rizzoli: Milano
Quarantotti Gambini P. A. 1951
Primavera a Trieste, Mondadori: Milano
Zidar A. 2001
Il popolo sloveno ricorda e accusa, Založba Lipa: Koper

Risorse

Percorso tematico: Il Confine più lungo. Affermazione e crisi dell’italianità adriatica
http://www.italia-resistenza.it/percorsi-tematici/frontiera-orientale/il-confine-piu-lungo
Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia. Materiali sul confine orientale
http://www.irsml.eu/materiali-sul-confine-orientale?limitstart=0
Confine Orientale Italiano: note per un viaggio di formazione possibile. Viaggio di formazione sul confine orientale, Istoreco Reggio Emilia (versione integrale)
https://www.youtube.com/watch?v=iPaBv6jzqo8
Centro raccolta profughi di Padriciano 
http://www.padriciano.org
Museo della Risiera si San Sabba – Città di Trieste
http://www.risierasansabba.it
Viaggi della memoria 
http://www.viaggidellamemoria.it