In occasione della Giornata della memoria 2015 si è tenuta a Cesena, il 28 gennaio, presso il Palazzo del Ridotto, la prima presentazione italiana del volume Controllare e distruggere di Johann Chapoutot, professore all’Université Sorbonne nouvelle Paris III. Pubblichiamo qui di seguito l’intervento tenuto, alla presenza dell’autore, da Carlo De Maria, direttore dell’Istituto storico della Resistenza e dell’Età contemporanea di Forlì-Cesena.

Il libro Controllare e distruggere. Fascismo, nazismo e regimi autoritari in Europa (1918-1945) di Johann Chapoutot è uscito in Italia il 20 gennaio per Einaudi. Si tratta della traduzione di un volume apparso in Francia nel 2013, Fascisme, nazisme et régime autoritaire en Europe, edito da Presses Universitaires de France nella collana “Quadrige”. Chi conosce bene l’ampia e importante produzione di Chapoutot, in realtà, sa bene che le riflessioni contenute in questo libro l’autore le svolse per la prima volta in un precedente volume, intitolato L’âge des dictatures (1919-1945), edito nel 2008 dalla stessa casa editrice, ma in una collana diversa, “Licence”, espressamente destinata agli studenti impegnati a concludere il primo ciclo universitario triennale. Quest’opera, dunque, nasce nella sua prima versione come manuale universitario e ne conserva, anche nei successivi sviluppi e aggiornamenti editoriali, alcune caratteristiche che rendono il testo adatto anche a un pubblico più ampio, fatto, ad esempio, di lettori interessati ma non specialisti o - perché no? - di studenti delle scuole superiori. Queste caratteristiche sono la chiarezza espositiva, l’essenzialità nei richiami bibliografici e la capacità di rispondere efficacemente ad alcune grandi questioni relative alla storia d’Europa nei decenni compresi tra le due guerre mondiali: come si può spiegare la crisi della democrazia liberale seguita alla Prima guerra mondiale? Perché i regimi autoritari e totalitari riuscirono a sedurre le popolazioni e a ottenere un vasto consenso? A tutto ciò, Chapoutot aggiunge, da storico di rango quale è, una rimarchevole originalità interpretativa, che fa di questo libro un lavoro importante, al di là degli apprezzabili aspetti didattici e divulgativi che già ricordavo, e ne spiega il successo in Francia e non solo.

Il libro inizia con una riflessione intorno a tre date fondamentali del Novecento. La prima è il 1918, che segna la fine della Prima guerra mondiale, con la sconfitta degli Imperi centrali (l’Impero tedesco e l’Impero austro-ungarico) e la vittoria delle liberal-democrazie (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Italia). La seconda data è il 1945, che pone termine alla Seconda guerra mondiale e segna la sconfitta della Germania nazista e dei suoi alleati. La terza è il 1989, con il crollo del Muro di Berlino e l’avvio della dissoluzione dell’Unione Sovietica, che si concluderà due anni più tardi. Se si passano velocemente in rassegna queste tre date – 1918, 1945, 1989 – lasciando tra parentesi tutto il resto, il XX secolo potrebbe apparire – osserva Chapoutot – sotto la luce ingannevole di un sicuro trionfo della democrazia, per lo meno in Europa. Ma così non è; come, del resto, è reso oggi del tutto evidente dalla concreta minaccia portata dal fondamentalismo.

Il periodo 1919-1945, quello che Chapoutot definisce “l’età delle dittature”, non può essere considerato semplicemente alla stregua di una parentesi negativa, destinata inevitabilmente alla sconfitta. Il fascismo italiano e il nazismo tedesco furono, infatti, capaci di fare presa su milioni di persone e le ragioni del loro successo vanno ricercate, scrive Chapoutot, nelle molteplici conseguenze della Prima guerra mondiale. Dopo la carneficina del 1914-18 nulla fu più come prima. E questo non può sorprendere, se si pensa che in quegli anni oltre sessanta milioni di persone in tutta Europa presero le armi e combatterono, inquadrati nei rispettivi eserciti, schierati gli uni contro gli altri, conoscendo la guerra e convivendo quotidianamente con la violenza, praticata o subita. Gli stati, impegnati a organizzare la mobilitazione bellica, aumentarono a dismisura le proprie funzioni e i propri poteri di controllo sulla società. La propaganda nazionalista esaltò la compattezza del gruppo e della comunità, mettendo in secondo piano quelle esigenze di libertà individuale, di pluralismo e di articolazione sociale che erano proprie della civiltà liberale. Quasi inevitabilmente, la fine della Grande guerra lasciò in Europa l’eredità di una violenza diffusa, capillare, pervasiva in molti aspetti della vita politica e civile. La nascita a Milano, nel 1919, dei Fasci di combattimento capeggiati da Mussolini o l’occupazione della città di Fiume, lo stesso anno, da parte di 2.500 “legionari” italiani capeggiati da Gabriele D’Annunzio, ne sono solamente due esempi. Si tratta, insomma, di quella che Chapoutot, sotto la scorta di George Mosse, definisce come “brutalizzazione” delle società europee. È come se la guerra, in qualche misura, continuasse, sotto traccia, anche dopo il 1918. È in questo terreno fertile che mettono radici i regimi dittatoriali e totalitari, che occuparono, tra anni Venti e Trenta, buona parte dello spazio politico europeo.

Chapoutot affronta diversi casi di studio relativi all’Europa occidentale e, in particolare, l’Italia, la Germania, l’Austria, la Spagna e il Portogallo, rilevandone affinità e differenze. Ma oltre ai regimi fascisti (quello di Mussolini in Italia e quello di Hitler in Germania) e ai regimi nazional-cattolici (quelli di Dollfuss in Austria, Salazar in Portogallo, Franco in Spagna) anche il bolscevismo russo cresce in questo clima. A tal proposito, Chapoutot sottolinea un aspetto molto significativo: quando Lenin nel 1919 creò il movimento comunista internazionale, fondando il Komintern, si basò a sua volta su un modello di organizzazione paramilitare, ispirato a una rigorosa centralizzazione e a una ferrea disciplina.

Lungo gli anni Venti e Trenta, dunque, le ombre si andarono addensando sull’Europa, fino al punto in cui l’imperialismo nazista, la volontà di Hitler di colonizzare l’intero continente, porteranno allo scoppio della Seconda guerra mondiale, nel 1939. Nel contesto della guerra, tra il 1941 e il 1942, i nazisti decisero di procedere allo sterminio degli ebrei: la Shoah. Non c’era posto per gli ebrei nel nuovo ordine europeo immaginato dai nazisti, su base razziale. Ho parlato di ombre che si addensano sul Vecchio continente per richiamare il titolo di un altro importante libro sul Novecento europeo, quello dello storico britannico Mark Mazower, intitolato appunto Le ombre dell’Europa. Democrazie e totalitarismi nel XX secolo (edito in Italia da Garzanti nel 2000). Mazower, citato più volte dallo stesso Chapoutot, osserva nel suo libro, con un filo di amara ironia, come «negli anni Trenta i parlamenti», cioè i regimi liberal-democratici, sembrassero ormai destinati a seguire la strada imboccata nei secoli precedenti dalle monarchie assolute, cioè la scomparsa, come qualcosa di obsoleto e superato, e che «in tutta Europa, i sostenitori convinti della democrazia erano veramente pochi». Quello che ci suggeriscono storici come Mazower e Chapoutot è il fatto che, se rinunciamo a facili considerazioni fatte a posteriori, e puntiamo invece l’attenzione sugli anni trenta, la vittoria delle forze democratiche allora non era per nulla scontata, e anzi il futuro dell’Europa sembrava in mano ai dittatori.

Mi avvio alla conclusione della mia introduzione, fissando, sempre sotto la scorta del libro di Chapoutot, un punto che mi sembra assai interessante per una visione complessiva del Novecento. Prima del 1989, cioè prima del collasso del blocco sovietico, gli storici, e non solo loro, consideravano come data fondamentale del secolo il 1945: con la capitolazione del nazismo, il 1945 segnava la fine dei fascismi e la vittoria, in Europa occidentale, della democrazia liberale, mentre in Europa orientale si formavano i regimi comunisti controllati dall’Unione Sovietica. Con il 1945, dunque, si chiudeva un’epoca, quella iniziata nei decenni tra le due guerre mondiali, e si delineava una nuova contrapposizione tra capitalismo e comunismo protrattasi, in effetti, per oltre quarant’anni. Oggi, invece, finita da tempo la Guerra fredda, gli storici impegnati in una lettura a tutto tondo del XX secolo, tendono a considerare come data rivelatrice non tanto il 1945, che pure rimane una data di passaggio di grande importanza, ma piuttosto il 1914, cioè lo scoppio della Prima guerra mondiale. Per molti aspetti, con il 1914 inizia il tempo presente, nei suoi aspetti più terribili e preoccupanti. Un tempo caratterizzato dalla violenza di guerre totali, che coinvolgono, cioè, in maniera sempre più pervasiva la popolazione civile, e da scontri epocali tra idee contrapposte del mondo: prima, quello tra fascismi e democrazie, poi quello tra Est e Ovest e, infine, quello che oggi si delinea sempre più marcatamente tra liberalismo e fondamentalismi.

In definitiva non possiamo che essere grati a Johann Chapoutot per questo lavoro. Con esso egli è uscito dal suo ambito più specialistico di studi – vale a dire, la storia della Germania in età contemporanea, e in particolare la repubblica di Weimar e il nazismo, temi ai quali ha dedicato libri fondamentali – per metterci a disposizione un lavoro più complessivo e agile sulla storia europea nella prima metà del Novecento; un lavoro in grado di suscitare riflessioni e interrogativi utili e fertili anche per l’oggi.