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1. Le zone libere in Italia centro-settentrionale

L’estate del 1944 segnò un generale rafforzamento delle formazioni partigiane nell’Italia centro-settentrionale. Il 25 maggio la scadenza del periodo nel quale a renitenti e disertori del nuovo esercito fascista era ancora consentito presentarsi senza incorrere nella pena di morte, spinse numerosi giovani ad ingrossare le fila delle brigate partigiane. Il consolidamento delle formazioni partigiane coincise anche con l’avanzata alleata in Italia centrale. Gli angloamericani, dopo aver liberato Roma, proseguirono verso nord e l’esercito tedesco fu costretto a concentrare i propri sforzi lungo la linea difensiva definita Gotica, che si dipanava dalle coste del Mar Tirreno, lungo l’Appennino tosco-emiliano e quello tosco-romagnolo, fino alla riviera adriatica. Nel 1944 la spontaneità dei primi gruppi di partigiani stava lasciando posto ad un processo di centralizzazione e istituzionalizzazione. Le formazioni partigiane divennero sempre più omogenee e organizzate, migliorando la propria capacità operativa. L’inadeguatezza dell’esercito della Repubblica sociale italiana (Rsi) e l’appello all’offensiva generale, lanciato dal Comitato di liberazione nazionale alta Italia (Clnai) il 14 giugno, portarono a un consistente aumento di aree rese insicure per fascisti e tedeschi o direttamente governate dalla guerriglia partigiana. In una situazione mutevole e incerta, diversi territori dell’Italia centro-settentrionale controllati in modo incompleto o intermittente dalle forze della Repubblica di Salò furono colpiti da attacchi e puntate dei partigiani contro le autorità, le truppe e i presidi fascisti. Con una serie di direttive, gli organismi guida del movimento partigiano ipotizzarono un percorso insurrezionale che avrebbe anticipato l’imminente arrivo delle truppe alleate, legittimando politicamente la Resistenza. Il 2 giugno 1944 il Clnai invitò i Comitati di liberazione nazionale (Cln) locali ad amministrare i territori liberati dai partigiani nell’Italia occupata:

Nel campo politico i CLN, composti dai rappresentanti dei partiti antifascisti, debbono collegarsi con tutte le correnti antifasciste e antitedesche […]. Allorquando, nel corso della lotta, la liberazione di un determinato territorio o località non coincida immediatamente nel tempo con l’intervento degli eserciti alleati o italiano e del governo nazionale […] ai CLN provinciali e locali incombe il dovere di assumere di loro iniziativa […] la direzione della cosa pubblica [Grassi (ed) 1977].

Una direttiva del Corpo volontari della libertà (Cvl) del 25 giugno 1944 dispose un’offensiva di rilievo strategico, che aspirava all’occupazione di paesi e intere vallate, ad attaccare i presidi fascisti e a mobilitare la popolazione civile:

Lo sviluppo del movimento partigiano in rapporto al rapido svolgersi degli avvenimenti militari e del movimento popolare per l’insurrezione nazionale, comporta l’estensione delle zone controllate stabilmente dalle formazioni patriottiche e la vera e propria occupazione in zone determinate di paesi e di intere vallate [Rochat (ed) 1972].

Il Cvl allegava una serie di disposizioni militari, politiche ed economiche da seguire in caso di liberazione di un territorio.

Tra l’estate e l’inverno 1944 ampie aree del centro-nord furono quindi liberate dalla presenza nazi-fascista. In una prima fase, tra giugno e luglio 1944, furono liberati territori in vallate delle Alpi orientali, dalla Val Sesia alla Val Maira, e in vallate degli Appennini tosco-emiliani, dall’Oltrepò pavese al Modenese. Una seconda fase tra settembre e novembre vide l’istituzione di zone libere, per diversi aspetti più strutturate e caratterizzate da interventi amministrativi più complessi, nella Carnia, nella Valdossola, nelle Langhe e nell’Alto Monferrato e nuovamente sugli Appennini tosco-emiliani.

L’esperienza delle zone libere non rivelò esclusivamente il livello complessivo della forza militare della Resistenza nel 1944, ma anche la consapevolezza politica e sociale raggiunta e la volontà di tradurla materialmente in un principio di rinnovamento della società in senso democratico. Obiettivo delle zone libere fu sperimentare un modello amministrativo innovativo, basato su valori e rapporti economici, sociali e politici nuovi.

2. Le zone libere in Emilia-Romagna

Nel 1944 anche in Emilia-Romagna il rafforzamento numerico e organizzativo della guerriglia consentì l’incremento di attacchi e sabotaggi a treni, autocolonne, pattuglie e presidi tedeschi e fascisti. Le azioni si concentrarono lungo le ferrovie e le strade statali della regione: la via Emilia, la statale adriatica, i passi appenninici e le rotabili che collegavano il fronte con le retrovie. Ulteriori attacchi erano portati nei centri abitati più isolati, contro le caserme dei Carabinieri e i presidi della Guardia nazionale repubblicana (Gnr); venivano liberati partigiani e prigionieri politici dalle prigioni; venivano uccisi membri del Partito fascista repubblicano, ufficiali e soldati tedeschi, spie.

Gli oltre 3.000 presidi della Gnr erano destinati al controllo del territorio e dell’ordine pubblico, anche nelle località più remote della Repubblica di Salò. In realtà la Gnr assunse sia funzioni di polizia che militari, partecipando ad azioni di contrasto alla guerriglia con la soprintendenza dei comandi tedeschi. Nel 1944 la Gnr subì un progressivo indebolimento legato anche alla provenienza eterogenea dei militi: erano entrati a farne parte elementi della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, carabinieri, la polizia dell’Africa orientale italiana e un alto numero di giovani volontari, che evitavano la leva nell’esercito. L’arruolamento indiscriminato, contribuì a provocare costanti defezioni. Lo sfaldamento della Gnr e l’impossibilità di mantenere il controllo del territorio, permise alle formazioni partigiane di portare frequenti attacchi ai presidi fascisti e controllare le fasce di territorio montano lasciato sguarnito dalle forze armate della Repubblica di Salò.

Soprattutto con l’arrivo della stagione estiva, la debolezza della Rsi permise la creazione di una serie di territori liberi lungo l’Appennino emiliano-romagnolo. La zona rappresentava un punto strategico per l’esercito tedesco: il controllo delle vie di comunicazione permetteva l’invio di uomini, mezzi munizioni e viveri al fronte e allo stesso tempo avrebbero consentito una probabile ritirata tedesca dalla linea Gotica.

Le principali linee ferroviarie che attraversavano gli Appennini erano la Parma-La Spezia, la Bologna-Pistoia e la Bologna-Firenze. Il fronte era collegato con la pianura anche grazie ad una serie di strade statali. Nel Piacentino la statale 65 che collegava Piacenza a Genova attraverso Bobbio e la strada che da Piacenza attraversava la Val Nure passando per Bettola e Farini, ora statale 654. Nel Parmense la statale 62, che univa Parma e La Spezia attraverso il passo della Cisa. Nel Reggiano la statale 63 collegava Reggio Emilia con Aulla e quindi La Spezia, grazie al valico del Cerreto. Nel Modenese la statale 12 portava dal Brennero a Pisa passando per Modena, il valico dell’Abetone e Lucca. Nel Bolognese la statale 64 porrettana univa Bologna a Pistoia e la statale 65 della Futa collegava il capoluogo con Firenze. In Romagna la statale 302 collegava Ravenna e Firenze passando per Faenza; la statale 67 portava da Ravenna a Firenze attraverso Forlì e la statale 71 univa Cesena e Arezzo.

In pianura, nonostante i numerosi sabotaggi e attacchi delle brigate partigiane e una peculiare capacità di controllo del territorio, non furono formalizzate delle vere e proprie zone libere: l’ambiente era sfavorevole alla guerra partigiana, essendo privo di rifugi naturali e contraddistinto da un sistema di comunicazioni che favoriva gli eserciti tradizionali.

Le esperienze emiliane legate ai territori liberi furono eterogenee. In alcuni casi ampie fasce di territorio furono liberate da brigate organizzate, che, dopo aver conquistato presidi e caserme, si installarono nelle aree libere per diverse settimane, consentendo l’elezione di giunte democratiche, stampando giornali, promuovendo lo sviluppo della vita democratica dei paesi. In altri casi le esperienze furono più brevi e i territori liberati non furono controllati a pieno dai partigiani. Alcune zone furono liberate in seguito alla fuga di carabinieri e militi fascisti da aree difficilmente difendibili. In alcuni casi in cui un controllo completo del territorio era impossibile i partigiani vennero a patti con le autorità fasciste, soprattutto per consentire l’arrivo di approvvigionamenti dalla pianura. Infine, accadde che svariate aree montane fossero di fatto controllate militarmente da formazioni partigiane, ma ufficialmente ancora sotto il governo della Rsi.

Se in determinati casi fu possibile indire elezioni, in altri, per motivi politici o perché non ve ne fu il tempo, il governo delle zone liberate fu mantenuto dai comandi di brigata o demandato ai Cln.

In ogni zona libera i primi provvedimenti presi dai comandi partigiani o dalle giunte elette furono correlati agli approvvigionamenti alimentari. L’economia dell’Appennino emiliano-romagnolo durante la guerra dipendeva strettamente dall’invio di rifornimenti dalla pianura, che generalmente si interrompeva con la liberazione dei paesi. Gli amministratori furono sempre impegnati primariamente in questioni annonarie: l’importazione di derrate alimentari o la loro ridistribuzione tra la popolazione. Giunte e comandi partigiani furono occupati anche dalla riscossione delle tasse, necessaria per finanziare le zone libere e consentirne la sopravvivenza e dal mantenimento della disciplina tra i partigiani. La presenza di decine o centinaia di giovani partigiani nei paesi liberati gravava ulteriormente sulle economie di sussistenza montane e rappresentava un problema di ordine pubblico. Se su questi temi si intervenne in ogni zona libera; soltanto nei casi più consolidati e stabili le amministrazioni agirono anche sulla vita democratica dei paesi, in campo scolastico, ospedaliero, nella stampa, e così via.

In generale i comandi partigiani non furono mai in grado di predisporre una difesa adeguata dei territori. Impossibilitati a costruire linee difensive, creare collegamenti telefonici o servizi informazioni, addestrare le nuove reclute, ottenere quantità adeguate di armi e munizioni, i partigiani restarono impreparati a una guerra di posizione. La maggioranza delle zone libere si esaurirono in seguito a grandi rastrellamenti tedeschi o ad attacchi in forze dell’esercito occupante.

Vincolati all’andamento della guerra e alle contro-azioni tedesche, nella maggior parte dei casi i territori liberi non ebbero confini ben definiti e mancarono loro buona parte delle caratteristiche che sono attribuite ad uno stato moderno. Tuttavia, la loro presenza in aree considerate strategiche dal punto di vista militare poteva costituire un problema per l’esercito tedesco, e in alcune situazioni lo costituì realmente. Così come la creazione di zone sottratte al controllo fascista rappresentava un vulnus per la già debole autorità della Repubblica sociale. Possiamo dire che le zone libere emiliano-romagnole furono aree nelle quali la presenza partigiana fu determinante e caratterizzante in periodi di tempo limitati.

I territori liberi emiliano-romagnoli furono tutti creati in zone montane dell’Appennino: aree difficilmente difendibili dalle truppe della Rsi. Per la maggior parte furono creati nelle retrovie della linea Gotica, in zone alle spalle fronte, dove venivano organizzati i rinforzi e i rifornimenti tedeschi. Nel timore che potessero favorire l’avanzata alleata e compromettere le linee di comunicazione con la pianura, gli occupanti intervennero in modo deciso per porre fine alle esperienze emiliano-romagnole. Peculiare della regione fu anche la precocità di alcune esperienze rispetto alle direttive degli organismi nazionali di direzione della Resistenza, la persistenza e la durata di diverse zone libere, che resistettero ai rastrellamenti tedeschi o, prevalentemente, furono ricostituite successivamente ad essi.

Individuare i confini delle zone libere non è stato agevole. Nella redazione delle carte si è deciso di indicare i confini dei principali Comuni passati sotto il controllo dei partigiani, nonostante tali confini non siano sempre sovrapponibili a quelli delle zone effettivamente libere. Per questo motivo sono stati cartografati anche i confini delle zone libere, sia che queste siano inscritte nei confini dei principali Comuni interessati, sia che li travalichino. Altrettanto difficile è stato calcolare il numero di abitanti dei territori rappresentati: in assenza di dati più accurati sono stati utilizzati quelli del censimento del 1936. Tuttavia, questi non tengono in considerazione gli aumenti o le diminuzioni di popolazione legati ai flussi d’emigrazione e alla guerra (arruolati, deportati, arrivo di sfollati, eccetera). Calcolare il numero approssimativo di partigiani coinvolti nelle esperienze dei territori liberi emiliano-romagnoli si è rivelato nella maggioranza dei casi problematico. Ove possibile ci si è affidati alle fonti partigiane, in altri casi sono state fatte stime plausibili [1].

In Romagna le prime precoci esperienze di territorio libero furono quelle di Tredozio e di Corniolo. La prima, risalente al gennaio 1944, scaturì dall’occupazione dell’abitato di Tredozio da parte dei partigiani facenti capo a Sirio Corbari e durò circa una settimana; la seconda coinvolse la sola frazione di Corniolo del comune di Santa Sofia (circa 7.700 persone in 150 km2 complessivamente), per due settimane. Il 15 febbraio 1944 un gruppo di circa 220 partigiani appartenenti a quella che sarebbe divenuta l’8ª brigata Garibaldi, in quel momento al comando di Riccardo Fedel, prese il controllo di Corniolo, quasi isolato dalle abbondanti nevicate dei giorni precedenti. Prima di lasciare il paese a fine mese, i partigiani ebbero il tempo di riscuotere le tasse e amministrare parte della vita pubblica. Si trattò di esperienze precoci e incompiute, di difficile valutazione, paragonabili alle occupazioni di paesi che si ebbero nell’inverno 1943 in Piemonte o nei mesi successivi in Italia centrale.

Tra la fine di maggio e la fine di giugno 1944, cioè con notevole anticipo rispetto alle indicazioni nazionali del Cvl, numerosi territori furono liberati tra l’Appennino piacentino e quello modenese. Un’ampia fascia di territorio montano passò sotto il controllo delle brigate partigiane. Le zone libere mediamente interessarono aree tra i 150 km2 (Val d’Enza reggiana e Val d’Arda) e i 1000 km2 (Montefiorino) e tra le 8.000 (Val d’Enza reggiana) e le 40.000 persone (Montefiorino).

A fine maggio 1944 nel Piacentino furono liberate dai partigiani la Val Nure e la Val d’Arda con attacchi ai presidi fascisti. A Morfasso, in Val Nure, fu nominata un’amministrazione comunale dal comando della 38ª Brigata Garibaldi. Tra metà giugno e metà luglio nel Parmense furono istituite le zone libere dell’Alta Val Taro e della Val Ceno, dopo il disarmo dei presidi fascisti. In Val Taro fu pubblicato un giornale partigiano e furono convocate assemblee di capifamiglia che elessero i propri rappresentanti, tuttavia non fu costituito un Cln né una giunta amministrativa; in Val Ceno il comando della 12ª Brigata Garibaldi predispose la nomina di giunte e sindaci eletti dalla popolazione per acclamazione. Tra il Parmense e il Reggiano sorsero altri tre territori liberi: in Val Parma, nella Val d’Enza parmense e nell’Alta Val d’Enza reggiana. Queste tre zone furono caratterizzate dal breve e precario controllo del territorio da parte delle formazioni partigiane e in alcuni casi da patteggiamenti con le autorità fasciste. Una situazione molto diversa rispetto a Montefiorino.

A metà giugno fu costituito tra le provincie di Reggio Emilia e Modena il territorio libero di Montefiorino, che coinvolgeva otto Comuni e circa 1.000 km2 di territorio. Pochi giorni dopo i capifamiglia dei Comuni liberati elessero una giunta democratica e un sindaco. Il territorio libero divenne punto di riferimento per tutte le brigate partigiane della zona e attrasse circa 4.000 nuovi giovani che furono inquadrati nelle formazioni.

Tutte le esperienze di zone libere sorte tra il Piacentino e il Modenese tra la fine di maggio e l’inizio di luglio 1944 (cui va aggiunto il caso di San Leo, all'epoca parte della provincia di Pesaro) terminarono con i rastrellamenti delle tre operazioni Wallenstein dell’esercito tedesco. Le operazioni ebbero lo scopo di riprendere il controllo delle zone occupate dai partigiani, liberare le statali della Cisa e del Cerreto e la ferrovia Parma-La Spezia, deportare gli uomini come lavoratori coatti in Germania, terrorizzare la popolazione civile, accusata di connivenza con i partigiani. Wallenstein I investì, tra il 30 giugno e il 7 luglio, la zona tra le strade statali 62 della Cisa e 63 del Cerreto nella fascia geografica tra la via Emilia e Aulla, per chiudere i partigiani in una sacca. Si dissolsero i territori di Val Parma e Val d’Enza. Tra il 9 luglio e la fine del mese Wallenstein II colpì il Parmense a ovest della statale della Cisa, mettendo fine alle esperienze dell’Alta Val Taro e della Val Ceno. In quei giorni i tedeschi colpirono anche il Piacentino: caddero la Val d’Arda e la Val Nure. Infine, tra il 30 luglio e il 7 agosto, Wallenstein III investì l’Appennino modenese e reggiano rioccupando la zona libera di Montefiorino, che cadde il 6 agosto. I rastrellamenti delle tre operazioni Wallenstein causarono saccheggi, deportazioni e numerosi eccidi di civili, incrinando, in alcuni casi, il rapporto tra popolazione e partigiani.
Il 7 luglio, pochi giorni prima della caduta dei territori liberi della Val Nure e Val d’Arda, nel Piacentino circa 2.000 partigiani liberarono Bobbio e alcuni Comuni limitrofi, approfittando del fatto che la maggioranza degli effettivi della Gnr aveva già abbandonato il paese, lasciando solo un piccolo presidio. Il 27 luglio i partigiani liberarono nuovamente la Val Nure, dove parte dei presidi fascisti (Ferriere, Farini e Bettola) erano stati abbandonati. L’8 agosto anche la Val d’Arda era libera: Morfasso, Vernasca e Lugagnano erano state abbandonate dalla Gnr, perché difficilmente difendibili. Buona parte dell’Appennino era nuovamente libero: sorsero tre zone, con estensione indicativa tra i 270 e i 420 km2 e popolazioni comprese tra le 24.000 e le 33.000 unità.

A Bobbio il Cln locale nominò una giunta popolare, furono stampati giornali partigiani e il territorio libero divenne un vero e proprio laboratorio politico e culturale. In Val d’Arda si insediarono amministrazioni civili nei Comuni di Morfasso, Gropparello, Lugagnano e Vernasca. In Val Nure l’amministrazione civile si insediò a Bettola, sede del Comando unico della XIII Zona e del Cln provinciale. Qui si verificò un alto livello di coinvolgimento della popolazione nel processo democratico. Furono istituiti un tribunale, una zecca, che stampava i buoni per le requisizioni partigiane, e furono riaperte le scuole.

Bobbio cadde il 28 agosto, in seguito a un’operazione di rastrellamento volta a porre fine alle zone libere dell’Appennino piacentino-ligure. Nel paese si insediò una guarnigione di alpini della divisione Monterosa.

Nello stesso periodo alcuni paesi dell’Alta Val d’Enza parmense e dell’Appennino reggiano passarono sotto il controllo partigiano. Palanzano, Monchio delle Corti e Neviano degli Arduini furono di fatto controllati da amministratori antifascisti. Il 31 agosto a Neviano si insediò una giunta democratica, espressione delle formazioni partigiane della zona, composta da esponenti del Cln locale. Il socialista Guglielmo Fornaciari fu nominato sindaco. L’amministrazione operò in accordo con il commissario prefettizio fascista del paese. La giunta e il commissario prefettizio fungevano da collegamento tra i comandi partigiani e il Capo della provincia fascista, consentendo di mantenere un rapporto positivo con le istituzioni fasciste, necessario soprattutto per gli approvvigionamenti annonari del paese. Anche nella montagna reggiana, ad eccezione dell’area vicina alla statale 62, in numerosi paesi furono nominati sindaci antifascisti.

Vetto e Ramiseto furono colpiti da rastrellamenti tedeschi tra il 29 settembre e il 5 ottobre. La Val d’Enza, come tutto il resto del Parmense a est della Cisa, fu investita dai rastrellamenti dell’operazione tedesca Regenwetter, nella seconda metà di novembre.

Caso inconsueto fu quello del territorio libero del Belvedere, nell’Appennino bolognese. La zona comprendeva i Comuni di Lizzano in Belvedere, Porretta Terme, Gaggio Montano, Granaglione, Sambuca Pistoiese e Castel di Casio [2]: circa 100 km2 e approssimativamente 11.000 persone nel periodo iniziale. Nei giorni successivi al 24 settembre il Belvedere fu liberato dalle forze tedesche dai partigiani della brigata Matteotti, a cui si unirono in seguito i partigiani guidati da "Armando" (Mario Ricci), nel periodo in cui l'esercito occupante si stava riposizionando sulla nuova linea difensiva Gotica II. In accordo col Cln, nei Comuni che venivano liberati furono nominati sindaci antifascisti. Nel Belvedere fu sperimentata una forma inedita di sostegno reciproco tra partigiani e Alleati, i quali erano generalmente poco propensi a collaborare con i primi. Qui invece l’Office of Strategic Services si fece carico di inquadrare i partigiani, iniziando una proficua collaborazione.

Il 21 ottobre, con l’arrivo degli anglo-americani, terminò l'esperienza del territorio libero del Belvedere come entità autonoma: i partigiani sarebbero infatti entrati in forza nelle fila alleate.

Intanto il 22 ottobre, dopo l’abbandono del paese da parte dei soldati della Gnr decimati dalle diserzioni e dagli attacchi della Resistenza, circa 4.000 partigiani ricostruirono la zona libera di Bobbio. Come negli altri territori liberi piacentini, anche qui operò il "Commissariato Civile per i comuni liberati e liberandi dalle formazioni garibaldine", furono mantenuti membri del personale amministrativo dei Comuni liberati non compromessi ideologicamente con il regime e riallacciati i rapporti con alcune istituzioni provinciali fasciste.

Il 23 novembre iniziò il rastrellamento invernale, ad opera di 18.000 soldati dell’esercito tedesco, in gran parte in forza alla divisione Turkestan. L’operazione colpì le formazioni partigiane dell’Oltrepò Pavese e della Val Tidone. Bobbio cadde per la seconda volta il 27 novembre. Nei giorni successivi il rastrellamento investì la Val Nure e mise fine al territorio libero di Bettola. Il paese fu occupato il 2 dicembre 1944, dopo la disfatta della battaglia del Cerro.

Il 6 gennaio 1945 cadde anche il territorio libero della Val d’Arda. Una manovra a tenaglia della 162ª divisione Turkestan dell’esercito tedesco, composta da 12.000 uomini ben equipaggiati, sconvolse la Val d’Arda e la Val d’Ongina. Numerosi partigiani caddero, altri si dispersero per evitare la cattura.

All’inizio di dicembre 1944 l’allontanamento delle truppe tedesche dagli Appennini reggiani e modenesi aveva consentito il ritorno dei partigiani nei paesi. Nel Reggiano gran parte dei centri della montagna, ad eccezione di quelli vicini alla statale 63, furono occupati dai partigiani; nel Modenese risorse la zona libera di Montefiorino, più ristretta (circa 500 km2 e 25.000 abitanti) ma più ordinata. I comandi partigiani non cercarono l’arruolamento di massa e introdussero un regolamento di disciplina. Furono istituiti un corpo di polizia e un tribunale unico. Sul modello reggiano fu creato un Cln della montagna che si occupava dell’amministrazione civile; ad esso fecero riferimento una commissione finanziaria e una assistenziale. Le scuole furono riaperte e furono avviati due piccoli ospedali.

Nonostante una lunga serie di attacchi tedeschi, Montefiorino non fu più rioccupata, ma resistette fino alla Liberazione. Le brigate partigiane del territorio libero contribuirono anche alla liberazione di Modena.

3. Le sette carte

Sono state realizzate sette carte geografiche interattive che rappresentano le zone libere istituite in Emilia-Romagna nel periodo compreso tra giugno 1944 e aprile 1945. Nelle carte sono state inserite l’orografia e l’idrografia della regione insieme alle principali città, strade e ferrovie, allo scopo di mettere in relazione le zone libere con gli elementi del territorio che le hanno caratterizzate. La creazione e il mantenimento delle zone libere emiliano-romagnole furono, infatti, fortemente influenzate dalla protezione che potevano riservare montagne e fiumi, dalla possibilità di assaltare convogli nemici sulle strade statali e ferrovie, o dall’arrivo di attacchi e rastrellamenti nazi-fascisti lungo le vie di comunicazione. Inoltre, sono stati inseriti il fronte di guerra con i suoi spostamenti e il tracciato della linea Gotica.

Per ogni zona libera costituita in Emilia-Romagna sono stati segnalati i confini dei principali Comuni coinvolti, i confini della zona libera e i centri abitati significativi. Selezionando una zona è possibile ottenere informazioni su estensione chilometrica, estremi cronologici, numero approssimativo di abitanti, formazioni e numero approssimativo di partigiani coinvolti e una breve descrizione del territorio libero. Grazie a elementi interattivi le carte mostrano anche l’impatto dei rastrellamenti tedeschi sui territori liberi e le aree limitrofe, così come la presenza di comandi fascisti e nazisti in regione. Si precisa che nelle carte compaiono i presidi della Guardia nazionale repubblicana esistenti nei territori liberi [3], il comando regionale, quelli provinciali e le scuole allievi ufficiali della Gnr, i principali comandi nazisti coinvolti nella lotta antipartigiana, i comandi del Servizio di sicurezza tedesco (SD) e i principali comandi delle truppe operanti della Wehrmacht dopo lo sfondamento della Linea Gotica. Si è deciso di evidenziare nella cartografia solo quelle strutture militari e di polizia che furono maggiormente responsabili del controllo del territorio nella regione e/o che furono protagoniste di azioni di rastrellamento e repressione mirate sui territori liberi partigiani. Accanto a tali strutture vi erano, però, altri centri fascisti e nazisti attivi sul territorio regionale, quali i comandi dell’esercito della Rsi, le Brigate nere e i comandi militari territoriali tedeschi (Militärkommandanturen) della cui dislocazione si dà conto nella seguente tabella.

Tabella 1
Tabella 1

Nelle carte sono rappresentati anche territori liberi sorti fuori dai confini regionali (San Leo, Apuania, Val di Vara, Torriglia, Varzi, a cui è da aggiungere l’Alto Tortonese che non compare per via della scala utilizzata): si è voluto in questo modo inserire in un quadro più ampio le esperienze emiliano-romagnole che, come si è detto, non erano casi isolati; e dare conto del fatto che l’attività del movimento partigiano, così come le operazioni di repressione fasciste e tedesche, spesso travalicavano le delimitazioni amministrative comunali, provinciali e regionali, e che tra i diversi territori liberi e i comandi partigiani di una e dell’altra zona vi erano contatti e relazioni.

La prima carta rappresenta i territori liberi istituiti nella prima fase estiva al 25 giugno 1944, data della direttiva del Cvl sull’occupazione di paesi e vallate. Territori liberi erano presenti in Val d’Arda e Val Nure nel Piacentino, Val Ceno, Val Taro, Val Parma e Val d’Enza nel Parmense, Val d’Enza e Montefiorino nel Reggiano e nel Modenese. Tra il 30 giugno e il 7 agosto queste zone libere furono investite dagli imponenti rastrellamenti delle tre operazioni tedesche Wallenstein.

La seconda carta mostra la situazione al 12 agosto 1944, data dell’eccidio tedesco di Sant'Anna di Stazzema. Nessuna delle zone liberate a giugno sopravvisse alle operazioni Wallenstein. Nel Piacentino furono ricostituiti territori liberi in Val d’Arda, Val Nure e istituito quello di Bobbio.

La terza carta riguarda le zone libere al 29 settembre 1944, primo giorno dell’eccidio tedesco di Monte Sole. Nonostante la caduta di Bobbio rimanevano libere la Val d’Arda e la Val Nure nel Piacentino, era stata nuovamente liberata la Val d’Enza tra il Parmense e il Reggiano (i partigiani ne avrebbero mantenuto un controllo parziale fino alla Liberazione) ed era sorta la zona libera di Belvedere nell’Appennino bolognese.

La quarta carta descrive la situazione al 27 ottobre 1944, data che segnò la sospensione dell’offensiva alleata lungo la linea Gotica. Con l’avanzamento del fronte, nel territorio libero di Belvedere erano arrivate le truppe alleate e Bobbio era stata nuovamente liberata.

La quinta carta rappresenta i territori liberi al 7 dicembre 1944, giorno dell’accordo tra il Clnai e gli Alleati, con il quale le formazioni partigiane furono formalmente riconosciute come corpo armato dagli angloamericani. Dopo il rastrellamento invernale tedesco, i territori liberi piacentini di Bobbio e della Val Nure erano caduti, mentre nel Modenese era risorta la zona libera di Montefiorino, più ristretta.

La sesta carta mostra come, al 27 gennaio 1945, sotto il peso del rastrellamento invernale tedesco fosse capitolata anche la zona libera della Val d’Arda nel Piacentino, mentre il territorio di Montefiorino, nel Modenese, avesse resistito ai numerosi attacchi tedeschi.

La settima e ultima carta espone la situazione emiliano-romagnola nel corso dell’ultima offensiva alleata, al 15 aprile 1945. La Romagna era già stata liberata e i partigiani emiliani si apprestavano a partecipare alla liberazione di città e paesi ancora occupati. Nel Piacentino la zona di Bobbio era nuovamente stata liberata [4].


Bibliografia

Augeri N. 2014
L’estate della libertà. Repubbliche partigiane e zone libere, Roma: Carocci
Baldissara L. (ed.) 2000 
Atlante storico della Resistenza italiana, Milano: Mondadori
Ganapini L. 1999 
La repubblica delle camicie nere, Milano: Garzanti
Grassi G. (ed.) 1977
Verso il governo del popolo. Atti e documenti del CLNAI 1943/1946, Milano: Feltrinelli
Klinkhammer L. 2003
L’occupazione tedesca in Italia. 1943-1945, Torino: Bollati Boringhieri
Legnani M. 1967
Politica e amministrazione nelle repubbliche partigiane. Studio e documenti, Milano: Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione
Peli S. 2006
Storia della Resistenza in Italia, Torino: Einaudi
Rochat G. (ed.) 1972
Atti del Comando generale del Corpo volontari della libertà. Giugno 1944-Aprile 1945, Milano: Angeli
Vallauri C. (ed.) 2013
Le Repubbliche partigiane. Esperienze di autogoverno democratico, Roma-Bari: Laterza

Note

1. Le indicazioni su estensioni, Comuni coinvolti, numero di abitanti e di partigiani, che si trovano più avanti nel testo sono, da leggere alla luce di queste considerazioni.

2. Il territorio del comune di Castel di Casio, posizionato a destra della strada statale 64 e integralmente liberato dalle forze partigiane in ottobre, passa rapidamente sotto il controllo diretto degli Alleati. Per  tale motivazione non è stato preso in considerazione nella rappresentazione cartografica.

3. I differenti colori permettono di distinguere tra i presidi conquistati dai partigiani, quelli abbandonati dai fascisti e quelli per i quali non si conosce la dinamica che portò al ritiro del presidio dal territorio.

4.  Il lavoro di redazione delle carte è frutto di un impegno collettivo. I dati sulle zone libere sono stati raccolti da Iara Meloni e Alessandro Pigazzini per il Piacentino, Tommaso Ferrari per il Parmense, Mirco Carrattieri per il Reggiano e il Modenese, Massimo Turchi per il Bolognese, Vladimiro Flamigni per il Forlivese. L’impostazione del lavoro è stata discussa da Mirco Carrattieri, Tommaso Ferrari, Roberta Mira, Toni Rovatti. Le carte sono state disegnate da Nieves López Izquierdo.