Nell’ultimo decennio il panorama storiografico italiano ha visto affiorare una peculiare attenzione, – mai manifestatasi compiutamente in precedenza – verso la storia delle università in età repubblicana. Attraverso diversi studi, sono emerse progressivamente nuove prospettive di indagine per un campo di ricerca, la storia dell’istituzione universitaria appunto, che fino a poco tempo fa risultava ancora sostanzialmente confinato al di qua dello spartiacque cronologico rappresentato dalla caduta del regime fascista.

In primo luogo, gli studiosi – in continuità con una tradizione di ricerca ormai consolidata con riferimento alle stagioni storiche precedenti – si sono misurati con la storia dei singoli atenei, con quella degli indirizzi di studio e delle “scuole” che li animarono. Non sono poi mancate alcune analisi di taglio biografico inerenti la vicenda intellettuale di singoli docenti, ma lo sguardo è stato allargato anche alla componente studentesca, o meglio alla galassia delle associazioni rappresentative destinate ad essere travolte dalla rivolta del Sessantotto, termine ad quem di questo dossier.

Com’è intuibile, il progressivo incedere di una dimensione “di massa” dell’università – e il parallelo rafforzamento della capacità economico-finanziaria degli atenei – ha costituito una generale chiave di lettura, da calibrare con cura sotto molteplici punti di vista. Il crescente peso esercitato dall’istituzione universitaria nella vita delle comunità locali, determinato dalle ricadute economico-sociali delle sue attività, ha ispirato lavori riguardanti le strategie di espansione degli atenei nel contesto territoriale di riferimento, che a loro volta hanno richiamato la necessità di prendere in esame in maniera accurata il forte intreccio esistente tra politica locale e università. Si pensi in tal senso alla questione, decisiva nel qualificare le linee di sviluppo delle città, dell’edilizia universitaria. Proprio l’addensarsi delle ricadute politiche prodotte dall’azione di governo degli atenei ha reso sempre più impellente la necessità di proseguire, approfondendo l’esame dell’operato delle principali autorità accademiche, in primis i rettori e i presidi di Facoltà. Altrettando indispensabile appare l’indagine dedicata ai profili biografici e ai percorsi pubblici delle singole personalità che governarono – negli anni della ricostruzione e del miracolo economico – imponenti processi di mutamento destinati a cambiare il volto delle città italiane e a coinvolgere i principali centri d’interesse dell’economia nazionale.

Le ricerche fin qui condotte sono state accomunate, lo si è già ricordato, dalla scelta di privilegiare la dimensione periferica di un sistema universitario che, pur fondato su un modello nazionale, è stato contraddistinto dall’evolversi differenziato delle singole sedi. Se si eccettuano alcuni lavori di sintesi ricchi di preziose suggestioni interpretative, risultano ancora carenti gli elementi di conoscenza in merito agli organi ministeriali deputati a governare il sistema accademico, e alle personalità che li diressero. In mancanza di una riforma generale, mai attuata, divenne cruciale il ruolo dei singoli ministri, e forse ancora di più dei segretari generali e dei membri del Consiglio superiore della pubblica istruzione; prima, nel gestire il passaggio dall’età fascista a quella repubblicana, misurandosi concretamente con il tema della continuità e della discontinuità e con l’insidiosa questione dell’epurazione, poi, nel decidere come orientare le linee di sviluppo dell’università italiana. A tale proposito, l’auspicio è che i primi sondaggi compiuti negli archivi delle istituzioni governative e in alcuni archivi privati, si pensi alle importanti ricerche sul tema dell’epurazione, possano essere seguiti da perlustrazioni più sistematiche.

A proposito delle fonti, gli sforzi di ricerca fin qui compiuti hanno consentito di cominciare ad effettuare una indispensabile ricognizione della documentazione istituzionale conservata negli archivi delle singole università, facendo emergere un quadro assai eterogeneo in termini di qualità e di quantità dei fondi archivistici disponibili. In questo senso, è opportuno ricordare l’articolato lavoro, per molti versi esemplare, compiuto intorno alle fonti per la storia della Scuola Normale di Pisa, e dell’Università di Trento, entrambi opportunamente condotti sino a coprire la dimensione della storia orale.

Nel contesto – ricco di tasselli – fin qui sinteticamente delineato, manca ancora all’appello una storia delle università su scala regionale. L’Emilia Romagna si presta quasi naturalmente ad essere un campo d’indagine paradigmatico in tale direzione, vantando quattro Atenei (Bologna, Ferrara, Modena e Reggio, Parma) con storie e tradizioni molto diverse tra loro. Le ricostruzioni condotte finora intorno alla storia delle singole sedi hanno avuto il merito di avviare la riflessione su aspetti importanti, per i quali tuttavia si rendono indispensabili ulteriori approfondimenti, diretti a restituire la complessità di realtà tra loro eterogenee, che per di più inevitabilmente condizionarono, dato il loro peso complessivo, la storia del sistema universitario italiano. Lo studio dei momenti e dei fattori che hanno contraddistinto lo sviluppo degli Atenei emiliano-romagnoli, consentirà di comprendere in maniera ancora più efficace il peso esercitato dall’«Alma mater bononiensis» sulla scena nazionale, ma anche la vicenda delle università “minori”, anch’esse capaci di guadagnarsi uno spazio a sé e di svolgere un ruolo autonomo e vitale. Il contesto regionale emiliano-romagnolo, per i suoi inconfondibili connotati politici, economici e sociali, consente inoltre di addentrarsi in maniera particolarmente felice nel periodo successivo alla Seconda guerra mondiale, di acquisire preziosi elementi per decifrare il processo di “uscita” dal Ventennio fascista e, infine, la fase della ricostruzione. Questi passaggi storici, e le profonde trasformazioni ad essi connesse, si sarebbero celebrati in un territorio ove risultavano maggioritarie le forze politiche che a livello centrale erano inesorabilmente collocate all’opposizione: anche in questa chiave, gli studi ospitati da questo numero di E-Review consentiranno di delineare in maniera più articolata e puntuale gli equilibri tra centro e periferia che segnarono la storia dell’università italiana nel secondo Novecento.


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