Il progetto “Una vita, una storia”


Ormai da qualche anno a questa parte, associazioni e istituzioni si impegnano ad affiancare alla manifestazione ufficiale nell’anniversario della strage di Bologna, che si svolge con uno schema codificato fin dal 1981, iniziative di diverso tenore tali da coinvolgere i cittadini con l’intento di scongiurare la sacralizzazione e la banalizzazione che sono due pericoli eguali e contrari per chi intenda conservare e trasmettere la memoria del passato.

Da circa sette anni, nell’ambito del protocollo d’intesa tra Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna e Associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, vengono realizzati corsi e laboratori per studenti e docenti a cui nel 2016 è stato affiancato il progetto “Una vita, una storia” [1] grazie al quale sono state elaborate, e poi distribuite durante il corteo della mattina del 2 agosto, cartoline ognuna recante una breve biografia delle 85 vittime. Ci è sembrato importante realizzare queste brevi biografie perché conoscere solo il numero dei morti non permette di comprendere fino in fondo cosa significhi una strage, non ci restituisce il volto delle vittime, quello dei loro famigliari e amici, non ci dice il motivo della loro presenza sul luogo della strage. Se invece riusciamo a ricostruirne il ritratto comprenderemo che quelle persone erano come noi, capiremo che potevamo essere noi, e l’empatia con la quale ci mettiamo in ascolto e in sintonia con quei giovani, quelle donne, quegli uomini ci permette di raccontare a chi non c’era cosa significa far saltare in aria una stazione il primo sabato di agosto. Le loro storie sono nella biografia collettiva del nostro paese, conoscerle e raccontarle aiuta a ricostruire una storia non monolitica e astratta e permette di capire quale era la strategia dietro alle stragi, ci permette quindi di far avvicinare i cittadini alla conoscenza della storia di quella strage e di quel periodo storico.

Le biografie sono state redatte da chi scrive utilizzando i documenti conservati nell’archivio dell’Associazione fra i famigliari delle vittime dove troviamo certificati di nascita e di famiglia, lettere, relazioni di assistenti sociali, articoli di giornale attraverso i quali è possibile ritrovare moltissimi dati; a volte però le notizie erano molto scarne e quindi è divenuto indispensabile l’aiuto dei famigliari grazie ai quali sono state ricostruite e rese pubbliche, in alcuni casi per la prima volta, alcune delle vite spezzate.

Fronte e retro di una delle cartoline distribuite il 2 agosto 2016.
Fronte e retro di una delle cartoline distribuite il 2 agosto 2016.

Il Cantiere di narrazione popolare 2 agosto

Le cartoline hanno riscosso grande attenzione e partendo da quel progetto per il 37° anniversario della strage abbiamo ritenuto importante continuare a raccogliere la sfida di restituire la “parola” alle persone e di portare la memoria, e la storia, fra i cittadini che si facevano narratori e ascoltatori.

Il regista e attore Matteo Belli, a cui era stata sottoposta questa esigenza, ha pensato di affidare a persone comuni il compito di costruire, partendo dai documenti, un testo che essi stessi avrebbero narrato dalle 11 alle 23 del due agosto in differenti luoghi della città di Bologna. Non testimoni della strage, ma piuttosto cantastorie, che raccontando informano la popolazione di quello che è accaduto, a voler perpetrare quella memoria culturale che nelle società tradizionali si affida a figure “specializzate” e istituzionalizzate quali sacerdoti, sciamani, griots. É stato così ideato il Cantiere 2 agosto - 85 storie per 85 palcoscenici.

Un annuncio pubblico rimbalzato da giornali, radio e social media ha fatto sì che si proponessero come narratori più di 230 persone: gli ottantacinque che hanno partecipato sono stati scelti esclusivamente seguendo l’ordine di iscrizione: nessun provino, nessun altro criterio se non quello della tempestività dell’iscrizione. I narratori, cittadini che solo in una esigua minoranza hanno avuto esperienze teatrali, sono di diverse estrazioni sociali, provenienze geografiche e condizioni lavorative: ingegneri, insegnanti, operai, pensionati, studenti, impiegati, operatori nel sociale e nella sanità, commercianti, informatici, bibliotecari, avvocati, un regista, un musicista... 50 donne e 35 uomini, di differenti età: la più giovane 17 anni, il meno giovane 84. I narratori, definendo le motivazioni alla base della loro partecipazione al Cantiere, hanno tutti indicato nel dovere civile di ricordare e raccontare affinché non si perda la memoria il motivo fondamentale della loro scelta, sia per chi ha ricordi personali del 2 agosto 1980, sia per quelli che sono nati dopo, sia per chi era in stazione, e magari ha prestato soccorso, sia per chi ha avuto racconti di famigliari o amici che hanno sfiorato la strage, sia per chi ne aveva solo sentito parlare.

A volte la scelta della vita da narrare è stata casuale, lasciata agli organizzatori, altre volte i narratori hanno scelto qualcuno che sentivano vicino: chi nel 1980 aveva l’età attuale del narratore, chi lo stesso nome, chi stava facendo, come il narratore, il servizio di leva. L’unica regola dettata a priori era rispettare la verità storica, anche se in molti casi ci si è trovati a dover lavorare sull’immaginazione e i sogni, come per la vita di Angela Fresu, che nel 1980 non aveva ancora compiuto tre anni.

Segnaposto (fonte: Ufficio stampa dell’Assemblea regionale).
Segnaposto (fonte: Ufficio stampa dell’Assemblea regionale).
La prima fase, seguita da chi scrive, ha previsto un incontro di formazione per i narratori e la ricerca dei documenti su cui costruire il racconto: l’entusiasmo dei narratori ha fatto sì che la ricerca sia divenuto un momento di fervore dove anche persone che non avevano mai visitato un archivio, mai maneggiato una fonte, mai immaginato cosa significhi fare ricerca si sono trovati difronte ai documenti dell’Archivio dell’Associazione fra i famigliari delle vittime, hanno rivolto richieste all’archivio dell’Università di Bologna o si sono recate presso l’archivio comunale di un isolato paese del trentino per cercare notizie sulla vita di una persona di cui non si trovavano informazioni ed hanno rivolto domande ai famigliari delle vittime che in larga parte hanno condiviso i loro ricordi. I narratori, con timore di sbagliare ma con determinazione, hanno sperimentato una piccola forma di laboratorio storico che è stato molto interessante seguire per comprendere come cittadini comuni, e quindi non specialisti, si approccino alle fonti e alla storia. Era quindi entrato nel vivo il Cantiere che, come ha ricordato Matteo Belli nel suo discorso rivolto il primo agosto ai narratori, è stato «un luogo in cui esseri umani hanno lavorato insieme, per un obiettivo comune».

Copertina della mappa e cittadini che assistono alle narrazioni nell’atrio della stazione (fonte: Ufficio stampa dell’Assemblea regionale).
Copertina della mappa e cittadini che assistono alle narrazioni nell’atrio della stazione (fonte: Ufficio stampa dell’Assemblea regionale).
Dopo questo periodo di studio sono state realizzati i testi, in seguito vagliati per controllarne l’aderenza con la correttezza storica, ed ogni narratore ha avuto a disposizione due incontri con il regista Matteo Belli per strutturare il proprio racconto e per immaginarne una messa in scena. Lo stesso regista ha identificato 12 percorsi per portare il racconto nello spazio della città: i palcoscenici erano le piazze, le vie, gli angoli, i centri di promozione sociale e i luoghi offerti da cittadini che hanno messo a disposizione le proprie abitazioni, i propri cortili, i propri esercizi commerciali dove per 12 volte dalle 11 alle 23 del due agosto sono risuonate le narrazioni a conclusione di un lavoro pensato nel settembre e iniziato concretamente nel dicembre 2016 e reso possibile grazie all’impegno fattivo dell’Assemblea regionale e della sua Presidente Simonetta Saliera [2].

Cittadini che consultano la mappa delle narrazioni (fonte: Ufficio stampa dell’Assemblea regionale).
Cittadini che consultano la mappa delle narrazioni (fonte: Ufficio stampa dell’Assemblea regionale).
Ogni postazione era definita da un segnaposto e per permettere alle persone di trovare i narratori dislocati in 50 diverse zone della città è stata preparata una mappa, cartacea e on line, che permetteva di identificare i luoghi e i percorsi sui quali si alternavano due guide, anch’esse volontarie, che avrebbero condotto gli ascoltatori di storia in storia.

L’eco sulla stampa è stata molto ampia, le televisioni locali e nazionali ne hanno dato notizia, il vescovo di Bologna Matteo Zuppi ha ricordato questo progetto durante l’omelia della messa celebrata il due agosto, le dirette facebook sono state seguite da migliaia di persone, la risposta dei cittadini fortissima: si calcola che siano stati circa 10.000 le persone che, in uno dei giorni più caldi dell’anno, si sono spostati nella città per ascoltare le narrazioni. Una attenzione popolare inimmaginabile anche nelle più ottimistiche speranze degli organizzatori.

Quando nei giorni successivi l’emozione si è un po’ allentata ed è stato possibile riascoltare i circa 450 minuti di narrazione, grazie alle riprese fatte dall’Ufficio stampa dell’Assemblea della Regione Emilia-Romagna e dalle tv private e messe a disposizione sul web, ci siamo resi conto di essere di fronte anche a un ritratto dell’Italia di quel momento storico, fra la fine degli anni Settanta e i primi albori degli Ottanta.

Cittadini in ascolto in differenti luoghi della città (fonte: Ufficio stampa dell’Assemblea regionale).
Cittadini in ascolto in differenti luoghi della città (fonte: Ufficio stampa dell’Assemblea regionale).

Riflettendo sulla trasmissione della memoria, e della storia, della strage di Bologna


Ricordare e trasmettere la memoria, e la conoscenza storica, di una strage come quella del due agosto diventa una sfida ogni anno più complessa, ogni anno più necessaria. La memoria è una mappa imprescindibile per orientarsi nel passato e soprattutto per comprendere il presente e progettare il futuro, è una guida che ci permette di collocarci all’interno della comunità. In passato, la memoria si nutriva anche di tradizioni orali e di ritualità, mentre, nel contesto attuale, il passaggio di memoria, e la trasmissione della storia, sono sempre più complessi, monopolizzati dai media, sovente piegati a scopi di parte e la difficile trasmissione di memoria nella società attuale provoca nei giovani disorientamento, ostilità e anche rabbia, perché manca loro proprio quella mappa necessaria a comprendere il presente, decodificarlo, dominarlo e anche modificarlo. Questa è stata la scommessa del Cantiere: creare una rete di storie, di narrazione e di narratori per dare vita a una mappa di memoria.

Il Cantiere è stato per noi anche un esperimento di public history, ossia il tentativo di portare la storia fra i cittadini, di narrarla al pubblico restando rigorosamente legati alle ricostruzioni storiche. Un doppio esperimento di coinvolgimento: cittadini che narrano e cittadini che ascoltano, sentendosi entrambi parte del processo di conoscenza, cittadini attivi nella polis, in una città anch’essa protagonista, in qualche modo trasformata. Narrare, e ascoltare, in un vero e proprio luogo di memoria, come la stazione, portare il racconto in luoghi toccati in qualche modo dalla strage, come l’ex ospedale traumatologico, o in luoghi simbolici, come il palazzo comunale ha reso la città protagonista. Al tempo stesso, ora, altri luoghi sede di narrazioni hanno assunto un senso particolare in quanto coinvolti anch’essi nella memoria collettiva. Un cantiere che quindi ha trasmesso la memoria, ha segnato la città creando nuovi luoghi significativi, ha tentato di portare la storia nella città, fra la gente, producendo testimonianze della storia stessa.

Ora il cantiere ha trovato un suo luogo stabile in un volume che raccoglie le narrazioni e in un documentario, oltre che on line dove sono disponibili le videoregistrazioni di tutte le narrazioni. Un cantiere che ci auguriamo possa restare aperto. Se, come afferma Serge Noiret, per un Public Historian la memoria non è soltanto basata sulle fonti tradizionali della storia, ma include anche spazi fisici e materiali di ogni tipo in grado di perpetuare il ricordo del passato [Noiret 2011], ci auguriamo che i narratori, le narrazioni, il Cantiere, coloro che lo hanno pensato e realizzato possano essere risorse utili per questo sempre più necessario coinvolgimento dei cittadini nella narrazione e nella conoscenza storica.

Copertina del volume che raccoglie i testi delle narrazioni.
Copertina del volume che raccoglie i testi delle narrazioni.


Riferimenti bibliografici

  • Noiret S. 2011
    La “Public History”: una disciplina fantasma?, in Public History. Pratiche nazionali e identità globale,“Memoria e ricerca”, 37.

Risorse on line


Note

1. Progetto ideato ed elaborato da Sandra Cassanelli e Cinzia Venturoli.

2. ll gruppo di lavoro era formato da Matteo Belli (ideazione e regia), Cinzia Venturoli (consulenza storica), Maurizio Sangirardi (organizzazione), Mirella Pagin (ideazione logo), in collaborazione con l’Assemblea regionale (coordinamento progetto Sandra Cassanelli, Luca Molinari e Maria Teresa Schembri; grafica: Fabrizio Danielli) e l’Associazione familiari vittime 2 agosto (Nicoletta Grazia).