Nell’archivio di Angelo Del Boca. Composizione e struttura del fondo di Crodo
Abstract
L’archivio di Angelo Del Boca rappresenta una stratigrafia documentale che riflette il suo impegno nella ricerca storica e il suo interesse per l’Africa. Questo studio ne analizza i criteri di formazione, muovendosi lungo la direttrice delle tre scelte fondamentali che hanno segnato il percorso del suo soggetto produttore: la Resistenza, la transizione dal giornalismo alla storiografia e lo sguardo verso l’Africa postcoloniale. L’archivio diventa così una testimonianza tangibile dell’impegno di Del Boca, nonché una chiave di lettura per la sua eredità intellettuale.
Angelo Del Boca’s archive represents a documentary stratigraphy that reflects his commitment to historical research and his enduring interest in Africa. This study analyzes its formation criteria, following the trajectory of three key choices that shaped its creator’s path: the Resistance, the transition from journalism to historiography, and the focus on postcolonial Africa. The archive thus becomes a tangible testament to Del Boca’s dedication and a key to understanding his intellectual legacy
È possibile guardare all’archivio di Angelo Del Boca come a una vera e propria sequenza stratigrafica, la cui lettura permette di ricostruire quelle tracce nello sviluppo cronologico dell’attività di ricerca di Del Boca, che possano contribuire a mettere in risalto l’interesse onnipresente per l’Africa come totalità, e non soltanto all’interno dei confini delle ex colonie italiane. La composizione del fondo conservato presso il Centro studi Piero Ginocchi di Crodo [1] consente quindi non solo di ripercorrere le tappe essenziali della formazione di Del Boca come storico del colonialismo italiano, ma soprattutto di mettere in luce un interesse inestinguibile per le vicende del continente africano. Il presente lavoro non vuole essere una nota biobibliografica dello storico e giornalista novarese, ma si propone come obiettivo di isolare momenti chiave nella vita e nell’opera dell’autore che si ritiene siano cruciali per determinare alcuni snodi che ne contraddistingueranno l’indirizzo di ricerca, prendendo in esame i criteri di formazione dell’archivio di cui Del Boca è soggetto produttore ed evidenziandone i contenuti la struttura tematica. Le fonti conservate nell’archivio sono la manifestazione tangibile del carattere variegato dei suoi interessi, il cui spoglio fornisce quindi un’opportunità unica per esaminare, nella sua complessità, come questi sfaccettati interessi si siano sedimentati nel tempo e nello spazio contenuto dell’archivio. In senso più ampio, la scelta stessa di conservare delle carte, intesa come un processo di selezione del materiale, può per certi versi essere ricondotta metaforicamente a quella “scelta” assai più importante esso può essere ricondotto metaforicamente al carattere di scelta, di cui Del Boca si rende orgoglioso e che ricorrerà come un leitmotiv ogniqualvolta egli si trovi a parlare di se stesso. La scelta a cui si fa riferimento può essere riassunta nelle parole del partigiano piacentino Italo Londei: «scegliere nell’indifferenza, per la vita» [Del Boca 2009, 449]. I due principali punti che la citazione sottende, e che Del Boca fece propria riportandola in apertura alla seconda edizione del suo romanzo La scelta (1963, ripubblicato nel 2006), sono il contesto di indifferenza e la presa di posizione mediante un impegno permanente. Nel caso di Del Boca, l’indifferenza può essere rappresentativa del contesto storiografico e dell’ambiente socioculturale nel quale lo storico si trova a produrre le sue prime opere dedicate al colonialismo italiano; ma sussume anche una presa di posizione cosciente e volontaria da parte di Del Boca di schierarsi al fianco di un insieme di valori, ripromettendosi di non abbandonarli, ma anzi di renderli parte integrante della sua vita e del suo lavoro.
Fig. 1. Il centro studi Piero Ginocchi a Crodo.
Questo scritto affronterà tre aspetti che delineano l’opera di Del Boca, e che possono essere interpretati attraverso la chiave di lettura sopra fornita. Innanzitutto, la scelta della Resistenza, compiuta in giovane età grazie all’esperienza partigiana, che accompagnò poi lo storico fino alla maturità, quando iniziò a interessarsi del fenomeno del revisionismo e dei movimenti sovversivi di stampo filofascista o nazista. Questa scelta non è affatto secondaria, come puntualizza Nicola Labanca, bensì coinvolge direttamente sia le fortune che le sue prime esperienze letterarie ebbero presso editori, padrini, e pubblico, sia le prese di posizione successive [Labanca 2022]. La seconda scelta è invece quella che portò il Del Boca giornalista sotto i riflettori dell’opinione pubblica e lo consacrò come storico del colonialismo italiano. Si tratta di una decisione che lo condusse dal giornalismo alla ricerca storica, e che mosse le fila da un’inchiesta sulla guerra in Etiopia che Del Boca completò nel 1965, in occasione del trentesimo anniversario dell’aggressione fascista all’Etiopia. Da quel momento, Del Boca si dedicò a completare una trattazione storica in sei volumi (quattro a proposito dell’Africa Orientale, due sulla Libia) sul «comportamento degli italiani» nel contesto del colonialismo [Del Boca 1976]. A questa monumentale opera, Del Boca affiancò poi testi di divulgazione che riguardavano principalmente la decostruzione dei miti sul colonialismo ancora presenti nella memoria collettiva italiana, che possono essere ricondotti all’espressione “italiani brava gente” (che Del Boca impiegherà come titolo di uno dei suoi volumi più conosciuti). C’è infine la terza e ultima scelta, spesso tralasciata da chi ricorda il lavoro di Del Boca, ovvero quella inizialmente fortuita, ma poi perseguita alacremente per tutta la vita (come insegnava Londei) di occuparsi professionalmente del continente africano. Ci riferiamo qui alle inchieste compiute in qualità di giornalista su vari Paesi africani alla vigilia della loro indipendenza, che si tradurranno poi in una collezione sistematica di ritagli da articoli di giornale riguardanti le sorti di questi Paesi.
1. Del Boca e la Resistenza
Come ricorda Nicola Labanca, la militanza nella Resistenza costituisce un aspetto fondamentale nella formazione di Del Boca come autore, per quanto spesso sia sottovalutato da coloro che lo ricordano principalmente per i contributi alla storiografia del colonialismo [Labanca 2022]. Infatti, fu grazie a questa prima presa di coscienza che il giovanissimo Del Boca si rese conto di far parte «di uno strumento politico-militare di cui non condividev[a] né la filosofia né gli obiettivi»; ciò lo spinse a compiere la prima, vera scelta di campo, di cui non si sarebbe mai pentito ma anzi, l’avrebbe accompagnato per tutta la vita e ne avrebbe condizionato le prese di posizione successive [Del Boca 2009, 64]. Per quanto i suoi lavori sulla ricostruzione delle vicende coloniali siano senza dubbio esemplari per l’eccezionalità della documentazione utilizzata e degli argomenti affrontati, definire Del Boca soltanto come uno studioso del colonialismo è una prospettiva limitante, che non consente di comprendere le sfaccettature di una personalità centrale per la costruzione della coscienza pubblica dell’Italia repubblicana anche al di là della memoria storica del colonialismo. Innanzitutto, la «scelta resistenziale» di Del Boca [Labanca 2022, 20] si è sempre manifestata nell’impegno civile mediante il quale si concretizzava il bisogno di rendersi testimone delle vicende più significative del Novecento. Lo dimostra ovviamente la fase nella quale, in virtù della sua esperienza partigiana, dal 1985 Del Boca venne invitato a prendere le redini dell’Istituto storico della Resistenza di Piacenza.
Nel corso dei successivi vent’anni quest’Istituto avrebbe subito una massiccia opera di rivitalizzazione per mano dello storico, che si preoccupò anche di dotarlo di tutti gli strumenti per poter sopravvivere in un’epoca in cui egli stava rilevando tendenze revisionistiche sempre più marcate e inquietanti. Ma l’interesse vero per i fenomeni di rinascita del nazifascismo e in particolare di revisione della storia in senso parafascista fu di molto successivo, quando appunto Del Boca iniziò ad essere colpito dalla diffusione del “revisionismo”. Lo storico individuò nelle contestazioni e nei tentativi di revisione uno strumento politico per gettare fango sui valori resistenziali attraverso gli attacchi alla guerra di liberazione o, nel caso del colonialismo, per sminuirne gli aspetti più feroci.
Fig. 2. Uno dei numerosi ritagli a proposito del revisionismo storico relativo al genocidio nazista dal titolo evocativo “Camere a gas? Dimostratemi che sono esistite per davvero”. Si tratta di un’intervista all’ex vescovo lefebvriano Richard Williams, pubblicata su «La Stampa» 10 febbraio 2009.
Il punto di partenza furono, naturalmente, i 17 mesi trascorsi da combattente partigiano per la Resistenza, definiti dall’autore stesso come «i mesi più difficili e memorabili della mia esistenza», di cui Del Boca racconta in quasi 700 pagine di narrativa, fra romanzi brevi, raccolte di racconti, e annotazioni dal proprio diario [Del Boca 2009, 64]. Alla conclusione del periodo trascorso fra le montagne piacentine, Del Boca tornò quindi a Novara provando un’intensa urgenza di scrivere, in parte per indirizzarsi verso la professione letteraria, ma soprattutto spinto dal «bisogno di ricordare, di testimoniare», che occupava un posto «in cima ai miei pensieri» al punto da percepirlo «[q]uasi […] come un dovere» [Del Boca 2009, 76]. In questa fase si trattava di un dovere morale scaturito dalla «spinta delle emozioni» di trovarsi in prima linea come diretto protagonista e testimone della guerra di liberazione [Del Boca 2009, 78]. Il risultato di questi ultimi sforzi si può leggere nei racconti raccolti nel volume Dentro mi è nato l’uomo, il primo libro di narrativa pubblicato da Del Boca nel 1948 per la collana I Coralli di Einaudi dietro insistenza di Cesare Pavese. Al primo libro fece seguito, nel 1955, il romanzo autobiografico – o racconto lungo – Viaggio nella Luna, che dà il titolo all’omonima raccolta. Non a caso Del Boca definisce il periodo del dopoguerra come «i cinque anni […] fra i più intensi, i più produttivi e forse anche i più felici della mia esistenza» [Del Boca 2009, 94]. Tuttavia, l’avere «esaurito il [suo] bagaglio di storie» non frenò il bisogno di Del Boca di continuare a essere un testimone del suo tempo; il giovane studioso dovette quindi trovare altre fonti cui attingere per mettersi al servizio dell’esigenza interiore di raccontare ciò che succedeva nel mondo [Del Boca 2009, 108]. Dopo la pubblicazione de Il Viaggio nella Luna, Del Boca si dedicò quindi esclusivamente alla carriera giornalistica, che in quegli anni lo vide assorbito in numerosissimi reportage e inchieste; per otto anni, quindi, il giornalista accantonò la letteratura e mise momentaneamente in sordina quella necessità di narrare gli eventi che lo vedevano coinvolto in prima persona, per lasciare che le sue doti di “testimone scomodo” fluissero invece nel giornalismo [Del Boca 2009, 161].
Le tracce di questi primi esperimenti narrativi si scoprono, sepolte fra i documenti relativi agli interessi di ricerca successivi, in forma di bozze in triplice copia – solitamente una manoscritta e due dattiloscritte, di cui una pesantemente sottolineata e annotata. Nel corso degli anni successivi, e attenuatasi la vena da romanziere, l’archivio fa rilevare senza dubbio le impronte di una modifica del modus operandi di Del Boca, ma più nella forma che nella sostanza. Scompare infatti il documento manoscritto, segno che ormai ciò che caratterizzava questa prima produzione narrativa, ovvero proprio il fatto di essere il frutto dell’esperienza vissuta in prima persona, fosse venuto meno. Resta però tangibile la tendenza a conservare meticolosamente le carte che riguardavano la sua produzione lavorativa: articoli giornalistici, saggi, capitoli di monografie sono stati accuratamente archiviati in due copie battute a macchina, o più tardi, quando l’avanzamento tecnologico lo aveva reso possibile, digitate al computer, ma sempre rigorosamente stampate e corredate dalle immancabili annotazioni a penna rossa. Solo nel 1963 Del Boca tornò a tradurre la propria esperienza partigiana in una raccolta di 16 racconti intitolata La scelta. Il titolo si ispira a un messaggio pronunciato da Italo Londei ai suoi ex compagni di brigata nel luglio del 1960, che Del Boca trasmette nella Prefazione alla seconda edizione del libro (2006):
Ci sono vari modi di scegliere. Si può scegliere per un giorno e si può scegliere per la vita. Io non sono tipo da scegliere per un giorno. Scegliere è difficile, lo so, e lo sapete anche voi, che l’avete fatto sedici anni fa. E ancor più difficile è scegliere quando sembra che non ci sia nulla che spinga a farlo con urgenza. Scegliere nell’indifferenza, per la vita [Del Boca 2009, 449].
Sono queste ragioni che lo spinsero a dare alle stampe estratti del proprio diario personale, stilato durante i mesi in cui combatteva da partigiano, su fogli recuperati dall’Ente comunale di assistenza di Montebruno, come svela la carta intestata riprodotta nelle fotografie in quarta di copertina a Nella notte ci guidano le stelle (2015). Il libro (di molto successivo) è il risultato della consapevolezza di un Del Boca ormai maturo, che ha abbandonato le aspirazioni letterarie e si approccia al proprio diario di diciannovenne come uno storico, leggendovi non solo la testimonianza della guerra di Resistenza al fascismo, ma anche la ricostruzione del percorso che lo condusse a intraprendere la scelta partigiana – e a mantenerla per il resto della vita. Il tema della scelta ritorna quindi come il fil rouge che guidò l’intera vita di Del Boca, sia privata che lavorativa, intendendo il suo impegno pubblico nella diffusione dei valori resistenziali e nel contributo ad una costruzione della memoria collettiva italiana tramite le sue opere. Questa è infatti una scelta pervasiva, che non è limitata nello spazio di qualche sparuta pubblicazione, né nel tempo storico della guerra civile, e caratterizza in maniera trasversale l’intera produzione scritta di Del Boca, di cui i primi romanzi sono soltanto un esempio, ma rimangono tuttavia un fondamentale punto di partenza per comprendere la direzione dalla quale si delinea l’impianto ideale dei suoi scritti successivi, sia le inchieste per la stampa che i volumi dal taglio storiografico. Ed è qui che Del Boca compì la sua seconda scelta, quella professionale, che lo condusse dalla narrativa al giornalismo e, infine, alla ricerca storica. Si tratta in questo caso di una scelta che conciliava perfettamente la sua abilità con la parola scritta a quell’impulso di raccontare le realtà con cui sarebbe venuto in contatto grazie ai suoi viaggi, compiuti in qualità di inviato speciale, e grazie allo studio della documentazione archivistica. Insomma, le parole chiave da tenere a mente per capire le motivazioni che spingono Del Boca a compiere le sue ricerche, da giornalista prima e da storico poi, sono quindi “scelta” e “testimone”; quest’ultima si accompagna spesso all’aggettivo “scomodo”, in riferimento al suo ruolo prezioso – seppure talora poco apprezzato in alcuni ambienti – nel «forni[re] un servizio al pubblico e alla memoria pubblica dell’Italia repubblicana», dimostrando attraverso le sue azioni di divulgazione pubblica che «la sua iniziale scelta resistenziale non è stata mai tradita» [Labanca 2022, 20].
2. Del Boca storico del colonialismo italiano
Angelo Del Boca è ricordato principalmente, e a ragione, come uno dei pionieri della costruzione di un paradigma storiografico per lo studio delle vicende coloniali italiane, insieme al recentemente scomparso Giorgio Rochat e a Roberto Battaglia. Le – pur poche – opere di rottura con la storiografia di stampo coloniale (di cui l’opera collettanea in quasi 50 volumi dal titolo L’Italia in Africa, edita dal Ministero degli Affari esteri, rappresenta un esempio lampante) cominciarono a comparire dal 1958, ma bisognò attendere gli anni Settanta per trovarsi di fronte all’effettivo superamento del paradigma colonialista. Cronologicamente, il primo di questi volumi più critici venne pubblicato, appunto, nel 1958 da Roberto Battaglia con il titolo La prima guerra d’Africa; ma le prime pubblicazioni degne di nota giunsero solo nel periodo a cavallo fra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta [2]. Una svolta vera e propria avvenne però già nel 1965 a opera di Del Boca, con la pubblicazione de La guerra d’Abissinia 1935-1941. Si tratta di un prodotto ancora ibrido fra l’inchiesta giornalistica e l’indagine archivistica, che raccoglie in volume una ventina di articoli scritti a proposito dell’aggressione fascista all’Etiopia e corredati dalle testimonianze orali di Hailé Selassié I e ras Immirù. Ciò detto il libro, accompagnato da un corposo impianto di note, può essere già annoverato fra le opere sulla storia del colonialismo. Giorgio Rochat, storico militare che nel 1973 si dedicò alla stesura di un volume sul colonialismo italiano, lo definì addirittura «la prima storia documentata e equilibrata della conquista italiana e dell’impero fascista» [Rochat ٢٠٠٢, ٦٢١].A dire del suo stesso autore lo spunto per compiere un’inchiesta impegnativa sull’aggressione fascista all’Etiopia sarebbe arrivato a Del Boca in maniera assolutamente casuale:
Un giorno, frugando in un cassetto, mi venne fra le mani un grosso quaderno dalla copertina nera sul quale, nell’anno scolastico 1935-36, la professoressa Sandri del Liceo Ginnasio Carlo Alberto di Novara faceva scrivere ogni giorno, sotto dettatura, il bollettino della guerra d’Africa. Il quaderno, con il tempo, era diventato un documento non trascurabile, poiché l’avevo arricchito con le foto che ritagliavo dalla «Gazzetta del Popolo», con i discorsi del duce e con articoli degli inviati speciali sui vari fronti africani [Del Boca 2009, 186].
Incidentalmente, il ritrovamento del suo vecchio quaderno di scuola avvenne nel 1965, trentesimo anniversario dello scoppio del conflitto italo-etiopico; la coincidenza incoraggiò Del Boca a discutere con il direttore della «Gazzetta del Popolo» Giorgio Vecchiato, la proposta di ricostruire le testimonianze degli italiani rimasti in Etiopia circa la campagna militare, una novità assoluta per l’epoca, sia per l’attenzione alla «voce dei vinti» africani, sia per l’argomento – il colonialismo a questo punto era già uscito dalle menti e dai discorsi pubblici degli italiani. Il direttore autorizzò la missione e Del Boca partì per l’Etiopia alla ricerca di testimoni oculari delle principali battaglie della guerra contro l’invasione italiana [Del Boca 2009, 186].
Le principali fonti africane orali cui Del Boca fece riferimento furono l’imperatore d’Etiopia Hailé Selassié, per il suo ruolo nel condurre la resistenza etiopica, e il cugino ras Immirù Haile Selassié, responsabile dell’accerchiamento delle truppe italiane e della conseguente penetrazione in Eritrea, che aveva dato parecchio filo da torcere a Mussolini [Del Boca 1966]. Fu in questa occasione che Del Boca incontrò le prime prove a sostegno dell’uso delle armi chimiche nel conflitto italo-etiopico e si rese conto della portata della guerra, che (come sostiene per dare enfasi al tema) non fu «una semplice guerra di conquista, ma una guerra di annientamento» [Del Boca 2009, 186]. Oltre alle testimonianze orali, durante il soggiorno in Etiopia Del Boca colse l’opportunità di visitare la National Library di Addis Abeba, arricchendo così il panorama delle fonti e ampliandole con i racconti dei partecipanti alla Resistenza etiope e con la documentazione scritta che, fino ad allora, era rimasta in gran parte inedita. Il prodotto di questo minuzioso lavoro, basato prevalentemente sulle molte letture dei principali volumi editi sul tema durante il periodo fascista, ma ora anche (in maniera innovativa) sulle testimonianze orali è un libro di poco meno di 250 pagine, suddivise in 21 capitoletti corrispondenti alla versione ampliata degli articoli scritti durante l’inchiesta sul campo e pubblicati a puntate dalla «Gazzetta del Popolo» e corredati da un corpus di quasi 500 lunghe note, che certamente non potevano essere state pubblicate sulle pagine del quotidiano e che vanno oltre la semplice citazione contestualizzando in maniera esauriente quando scritto nel corpo del testo [Del Boca 1966]. Nonostante conservi ancora un impianto giornalistico, come osservava Rochat, il volume presenta alcune fondamentali novità che rendono La guerra d’Abissinia un’opera che prelude ad altre di natura più prettamente storiografica. Innanzitutto Del Boca supera la limitazione dell’assenza (o inaccessibilità) del documento come testo scritto utilizzando una pluralità di fonti che, se da un lato sottolineano l’impronta del reporter, dall’altro mettono in pratica – si potrebbe addirittura affermare – gli insegnamenti della Scuola delle Annales di «fare [la storia] senza i documenti scritti se non ce ne sono […]», sforzandosi di «far parlare le cose mute, di far dire loro ciò che da sole non dicono sugli uomini, sulle società che le hanno prodotte […]» [Le Goff 1978, 41] [3]. Del Boca si avvale così dei documenti che riesce a reperire in biblioteche e archivi, quali telegrammi e comunicati delle autorità coloniali italiane, da Mussolini ai generali Rodolfo Graziani, Pietro Badoglio ed Emilio De Bono (questi ultimi erano stati nominati, rispettivamente, Ministro dell’Africa italiana e Ministro delle Colonie); e delle dichiarazioni delle più importanti cariche locali raccolte nel Journal Officiel della Società delle Nazioni. Ma intendendo il termine documento «nel senso più ampio, documento scritto, illustrato, trasmesso mediante il suono, l’immagine, o in qualsiasi altro modo» [Le Goff 1978, 41] [4], Del Boca ricorre anche alle interviste condotte in prima persona, ai testi di canzoni e poesie di provenienza etiope e italiana, e a ritagli da quotidiani della stampa etiope, britannica, francese e italiana. In secondo luogo, la spiccata attenzione verso le fonti locali costituisce un approccio di tipo africanistico se non addirittura post-coloniale ante litteram, che può essere facilmente ricondotto all’importanza che la testimonianza diretta costituiva per il Del Boca giornalista, e che finisce per rappresentare comunque uno dei primi tentativi di redigere una storia del colonialismo vista dalla parte di chi l’aveva subito. Si potrebbe dire oggi: lasciando parlare i subalterni – per ricalcare la nota provocatoria domanda nel titolo del saggio di Gayatri Chackravorty Spivak [Spivak 1988] La prospettiva della narrazione ne La guerra d’Abissinia è peraltro largamente a vantaggio della controparte etiope, ai cui rappresentanti viene concesso il campo del discorso diretto, mentre le voci coloniali italiane fungono talora da sfondo. Nonostante i 21 capitoli del libro portino il nome delle battaglie più salienti del conflitto italo-etiopico, il volume è inoltre lungi dall’essere una storia militare del colonialismo: i titoli possono essere letti come tappe per ripercorrere gli episodi chiave del programma di conquista e annichilamento dell’Etiopia da parte del regime fascista, in cui la narrazione degli eventi è costruita in modo da smantellare l’egemonia culturale dei miti della colonizzazione italiana. Fin dalla sua prima prova d’indagine sul colonialismo, insomma, Del Boca si cimenta con la demolizione della propaganda a lungo tempo tendente a rappresentare un colonialismo popolare, buono, civilizzatore che avrebbe caratterizzato la presunta peculiarità dell’imperialismo italiano rispetto agli equivalenti europei. La speciale attenzione che lo studioso riserva alle voci di coloro che hanno esperito la violenza della dominazione italiana rappresenta infine un’innovazione nell’ambito degli studi sul colonialismo, e rimarrà una componente centrale della successiva opera storiografica di Del Boca. Tracce tangibili di questo metodo di lavoro si riscontrano nell’archivio in forma di note a margine e sottolineature sui documenti, corredati appunti manoscritti su fogli A5 ad essi allegati. Le fotocopie dei documenti d’archivio, provenienti in particolare dall’Asmae, come indicato dalle annotazioni dello stesso Del Boca, si sovrappongono a ritagli di giornale che trattano argomenti affini. Tra questi ritagli spiccano articoli provenienti principalmente da «Le Monde», ma anche numerosi contributi da fonti italiane. La frequenza con cui compaiono sottolineature e annotazioni con osservazioni personali può essere letta come una conferma dell’approccio attento e critico di Del Boca. Esemplificativo dei criteri d’indagine dello storico e giornalista novarese è il lavoro compiuto sul ritaglio da un articolo pubblicato sul quotidiano milanese «La Notte,» intitolato La disfatta dell’Etiopia nel diario di un ufficiale russo. A firma di Arturo Pianca, l’articolo tratta della scoperta di una presumibilmente inedita fonte sulla battaglia di Adua, ovvero il diario dell’ufficiale russo Aleksej Konovalev, istruttore dell’esercito abissino. Dalle annotazioni manoscritte si desume che Angelo Del Boca identificasse piuttosto nella figura dell’ufficiale russo il colonnello Theodoro Eugenievich, le cui memorie furono pubblicate nel 1938 da Zanichelli in traduzione di Stefano Miccichè con il titolo Con le armate del Negus. Un bianco fra i neri. Le note di Del Boca dimostrano quindi il meticoloso lavoro di ricerca sotteso alla raccolta dei ritagli, che vengono utilizzati consapevolmente come fonte.
Fig. 3. Arturo Pianca, La disfatta dell’Etiopia nel diario di un ufficiale russo, «La Notte,» 29 luglio 1969.
Sebbene l’articolo in questione sia di circa cinque anni successivo alla pubblicazione de La guerra d’Abissinia, la metodologia di lavoro può essere considerata esemplificativa dell’approccio di Del Boca all’analisi critica delle informazioni delle proprie fonti, inclusa quella giornalistica. Si può quindi comprendere come lo studio delle testimonianze giornalistiche fosse parte integrante del suo metodo di ricerca storica. Questo approccio suggerisce una modalità di indagine che non si limitava alla consultazione di fonti primarie ufficiali, non solo quando, per cause di forza maggiore, queste ultime risultavano largamente inaccessibili, ma che cercava di arricchirsi di prospettive esterne e immediate, come quelle offerte dalla stampa, per una comprensione e una trattazione più completa degli eventi storici. La pluralità di fonti utilizzate consentiva infatti a Del Boca di portare alla luce vicende maggiori ma anche minori, cui dedicò una particolare attenzione al fine di ricostruire atmosfere e dettagli del colonialismo italiano, analizzandolo sotto svariati aspetti che vanno oltre la tradizionale storia politico-militare e istituzionale. La scelta di Del Boca di indagare su aspetti fino ad allora trascurati anche da quei pochi storici che si erano cimentati con la storia del colonialismo italiano risultò essere «una questione tanto professionale quanto politica» [Morone 2002, 36]: da un lato, è giocoforza che eventi quali la non messa in libera consultazione dei documenti nei depositi della Farnesina (cui si aggiungerebbe, in taluni casi, persino la loro sottrazione, legata all’autorizzazione concessa dal Comitato per la documentazione dell’opera dell’Italia in Africa ai suoi collaboratori di trasferire i documenti presso le proprie abitazioni), e il rifiuto del Ministero degli Esteri di consentire a Del Boca l’accesso agli archivi abbiano influenzato la selezione del corpus documentario accessibile; ma è anche vero che quell’impegno civile che Del Boca aveva descritto come la necessità di testimoniare verità anche scomode lo condusse inevitabilmente verso le voci di coloro che avevano partecipato ai fatti, agendo sia all’interno che al di sotto delle istituzioni, per offrire una ricostruzione della realtà storica il più fedele possibile grazie alla varietà delle fonti. Dati questi elementi, risulta meglio comprensibile il passaggio dalla cronaca alla storiografia: la raccolta di documenti e la ricerca di materiali spesso introvabili vengono supplite da una tendenza, tipicamente giornalistica se vogliamo, al ricorso alle testimonianze orali come fonti privilegiate in assenza della parola scritta. Quest’ultimo aspetto non deve essere sottovalutato se si vogliono comprendere le innovazioni apportate da Del Boca alla ricerca storica sul colonialismo, innovazioni che precorrono i tempi e per certi versi anticipano sviluppi storiografici più recenti [Rochat 2002, 622]. Come aveva già fatto ne La guerra d’Abissinia, anche nella monumentale opera Gli italiani in Africa orientale Del Boca ricorre a quattro principali categorie di fonti: 1) le testimonianze orali dei protagonisti delle vicende coloniali – raccolte a livello trasversale fra classi dirigenti e classi popolari, fra autorità militari e civili, fra italiani e popolazioni locali – che vengono affiancate: 2) dalle testimonianze scritte, ottenute talora anche grazie ai suoi personali appelli lanciati attraverso le prefazioni ai volumi, o inviategli spontaneamente dai lettori. Si tratta di archivi privati e familiari, diari o memorie, quaderni scolastici, ma anche moltissimi ritagli a stampa da quotidiani internazionali. Infine, nonostante le difficoltà di accesso, Del Boca non può prescindere. 3) Dalle fonti archivistiche ufficiali: fra queste, le privilegiate sono costituite dall’Archivio storico diplomatico del Ministero degli Affari esteri, dall’archivio del Ministero dell’Africa italiana, dall’archivio di Stato maggiore dell’esercito, e dagli archivi ufficiali nazionali britannici e dei Paesi ex-colonizzati. Completano l’elenco delle sue fonti 4) i testi di letteratura secondaria pubblicati da autori europei o etiopici.
3. Angelo Del Boca: oltre gli studi sul colonialismo
Fu grazie al suo mestiere di giornalista e inviato speciale che Del Boca entrò in contatto con l’Africa per la prima volta. Egli venne assunto al quotidiano «Gazzetta del Popolo», al tempo il principale concorrente torinese de «La Stampa», entrando a far parte del nutrito gruppo di inviati speciali che nel corso degli anni Sessanta e Settanta avrebbero portato alla ribalta importanti inchieste. Nel 1954 Del Boca esordì quindi come giornalista del continente africano, finendo a raccogliere informazioni e testimonianze sulle prime insurrezioni di stampo anticoloniale, che stavano prendendo piede soprattutto fra le ex-colonie francesi quali Algeria e Tunisia. Nel corso del decennio successivo produsse centinaia di articoli e inchieste, alcune delle quali furono poi raccolte in volume. Fra gli articoli, individuali o in formato di inchiesta a puntate, pubblicati da Del Boca per la «Gazzetta del Popolo» dall’anno del reintegro nell’incarico di inviato speciale nel 1957 al 1967, si ritiene qui che quattro siano particolarmente significativi per illustrare la valenza del lavoro di Del Boca nel panorama italiano. Il primo, a proposito dei bombardamenti francesi in Tunisia, è il frutto di uno degli incontri iniziali di Del Boca con le istanze di decolonizzazione più precoci; il secondo, sulla guerra d’indipendenza algerina, dimostra perfettamente l’attitudine di Del Boca a essere un “testimone scomodo”, al punto che venne espulso dal Paese per avere denunciato apertamente le torture commesse dall’esercito francese sui prigionieri del Fronte di liberazione nazionale algerino. La medesima sorte gli toccò in Sudafrica, dove si era recato per realizzare un reportage a puntate sulla segregazione razziale, che costituisce il terzo momento significativo della nostra rassegna. I 22 articoli, raccolti in volume da Bompiani con il titolo Apartheid. Affanno e dolore, sono di considerevole importanza poiché rappresentano l’unica fonte di informazione sull’apartheid per il pubblico italiano dell’epoca [Del Boca 2009, 184]. Una delle esperienze più significative per Del Boca come “africanista” si verifica a partire dal febbraio del 1959, quando lo studioso documentò il «risveglio burrascoso» [Del Boca 2009, 455] dell’Africa ormai in aria di indipendenza dalle potenze coloniali. Il viaggio, realizzato toccando nelle sue tappe otto fra i 17 Paesi di cui era prevista l’indipendenza nell’anno successivo, consentì a Del Boca di raccoglierne, in poco meno di una trentina di articoli, un quadro delle speranze, delle ansie e dei timori. L’esperienza fu di estrema importanza anche per la formazione di Del Boca come africanista, poiché gli offrì l’opportunità di incontrare le personalità che avrebbero dato vita alle nazioni africane indipendenti, nonché altre figure di artisti e intellettuali che conferirono al viaggio un carattere indimenticabile. Arricchita da considerazioni introduttive e conclusive e da un discreto numero di note, l’inchiesta venne data alle stampe da Bompiani alla fine dello stesso anno con il titolo L’Africa aspetta il 1960. Il volume raccoglie una media di tre articoli per ogni paese visitato, che però non possiedono un’organicità tematica tale da poter costituire una trattazione sistematica e storicamente accurata del percorso che condusse alle indipendenze di Senegal, Guinea, Liberia, Costa d’Avorio, Ghana, Nigeria, Camerun e Africa equatoriale. Tuttavia, le intenzioni di Del Boca non erano ancora tendenti alla ricostruzione storica; gli obiettivi che si era prefissato per questa prima pubblicazione sull’Africa erano anzi strettamente ancorati alla sua anima di giornalista, che si proponeva di offrire un’immagine dell’Africa alla vigilia dell’indipendenza che si avvicinasse quanto più possibile alla realtà che quei Paesi stavano attualmente vivendo. L’editore condivideva con l’autore la speranza che il volume potesse riscuotere l’inerzia dell’opinione pubblica su quelle questioni che, alla vigilia degli anni Sessanta, si trovavano ancora ai margini degli interessi degli italiani. Effettivamente, questo testo fu fra i primi a fornire un bilancio dei processi di decolonizzazione ancora in corso, smuovendo l’attenzione di un più ampio pubblico dalle questioni della perdita delle ex colonie italiane e dirottandola verso la consapevolezza dell’esistenza di un’Africa più sfaccettata, che andava oltre l’ormai smantellato impero fascista dell’Africa Orientale.
Fig. 4. Collezione di titoli di articoli sulle indipendenze africane degli anni Sessanta. Dall’alto verso il basso: Francesco Rosso, “Cinque milioni di negri conducono una vita simile a quella dei loro selvaggi bisnonni”, «La Stampa» 15 giugno 1960; Francesco Rosso, “Nella torpida calma del Mozambico i negri sono poveri e (per ora) sereni”, «La Stampa» 4 giugno 1960; Francesco Rosso, “Sono una fonte d’oro le braccia dei negri”, «La Stampa» 8 giugno 1960 (sul Mozambico); Guido Nòzzoli, “Ritrovo in Africa i negri che combatterono contro Hitler”, «l’Unità» 19 giugno 1959 (sulla Guinea); Giovanni Giovannini, “Nel Congo sterminato la preistoria par confondersi con l’èra dell’atomo”, «La Stampa» 7 febbraio 1960; Giovanni Giovannini, “Gli operai negri figli dei ‘selvaggi’ lavorano bene con le macchine moderne”, «La Stampa» 10 febbraio 1960; (sull’attuale Repubblica Democratica del Congo); Guido Nòzzoli, “Incontro con gli italiani in Liberia, Far West dell’Africa”, «l’Unità» 23 maggio 1959 (sulla Liberia).
Nonostante l’impiego presso la «Gazzetta del Popolo» abbia subito una brusca interruzione il 30 aprile del 1967, l’interesse di Del Boca per l’Africa continuò a perdurare negli anni successivi, traducendosi poi, come si è visto, in ricerca storica sul colonialismo italiano. Tuttavia, il legame con il continente non si esauriva nell’indirizzo di ricerca o in un mero interesse professionale, ma rappresentava un coinvolgimento “a tuttotondo” nelle vicende politiche e sociali che riguardavano il continente:
[…] per anni e anni, non mancai agli appuntamenti che l’Africa offriva. Partecipai, come testimone, a tutte le guerre che insanguinarono il continente. […] Per più di vent’anni ho percorso l’Africa per documentarne gli avvenimenti, sempre nella speranza di annunciarne il risveglio e il benessere. E quando, dalla posizione di testimone di professione sono passato a quella di spettatore, ho continuato a seguirne le vicende, con la stessa partecipazione, le stesse attese e le stesse (purtroppo) delusioni. Del lungo sodalizio con l’Africa e le sue genti, sono un fortunato beneficiario. Su questo sodalizio, infatti, ho costruito le mie fortune, prima di giornalista e poi di storico [Del Boca 2009, 455].
Mentre si può senza dubbio affermare che il primo contatto con il continente africano sia avvenuto in maniera del tutto casuale, essendo il risultato delle necessità del giornale presso cui Del Boca era impiegato, non si può dire altrettanto del successivo continuato interesse del giornalista per l’Africa. Del Boca, che si autodefinisce “terzomondista”, si segnala senza dubbio rispetto al panorama socioculturale che lo circonda in questi primi decenni. Nell’anno dell’Africa, il 1960, così chiamato poiché fu l’anno in cui 17 Paesi dichiararono la loro indipendenza, «forse per la prima volta gli italiani si trovarono a leggere di un’Africa più estesa (più estesa di quella ex-coloniale italiana). […] La memoria delle colonie si stava dissolvendo in un’immagine onirica dell’Africa […]» [Labanca ٢٠٠٥, ٣٣-٣٤] [5]. In questa fase a Del Boca potrebbe essere mossa la critica di peccare per eccesso di ottimismo nelle sue convinzioni che l’Africa sarebbe riuscita fin dalla proclamazione delle indipendenze nel 1960 a liberarsi interamente del colonialismo e dei suoi effetti sulla società civile, uscendo dalla condizione di sottosviluppo a cui era stata legata dai governi coloniali. Ma il prodotto di queste convinzioni, pur con le sue «molte ingenuità e qualche errata valutazione» (secondo il giudizio dell’autore stesso) [Del Boca 2009, 371] aveva creato lo spazio, nella discussione pubblica in Italia, per un allargamento di orizzonti verso l’intero continente africano, rinvigorendo un’attenzione che era andata perduta insieme alla definitiva rinuncia alle ex colonie.
Anche in assenza di un vero e proprio lavoro di ricerca scientifica ai fini della pubblicazione, l’interesse di Del Boca per le vicende africane si manifesta in modo evidente nella sua imponente e sistematica raccolta di materiali riguardanti l’Africa, tratti da fonti giornalistiche nazionali – quali il «Corriere della Sera», la «Repubblica», «La Stampa», l’«Unità» e «Rinascita», e internazionali, prima fra tutte dalla testata francese «Le Monde». Il progetto di raccolta si articola in 52 cartelline, ciascuna dedicata a un paese africano, contenenti un gran numero di ritagli e articoli, che testimoniano un tentativo di coprire in modo esaustivo il vasto e complesso panorama delle notizie provenienti da ogni angolo del continente. Tale raccolta si distingue per la sua precisione e relativa completezza, pur peccando occasionalmente di sistematicità, in quanto la collezione così organizzata si ferma ai tardi anni Novanta; i ritagli degli anni successivi, fino al 2018, si trovano invece sparsi in altri fascicoletti che potrebbero essere definiti come “lavori in corso”: essi contengono una pluralità di documenti che evidenzia da un lato l’intensità dell’impegno quotidiano che Del Boca profuse nel collezionare fonti giornalistiche, dall’altro però mette in luce l’intensità dei ritmi ad esso associati, che a tratti ha ostacolato la completezza del disegno iniziale. Tuttavia, si può comunque affermare che il progetto sia stato pensato e strutturato in modo da riflettere l’evoluzione delle rappresentazioni dell’Africa nel panorama mediatico globale. I materiali raccolti, infatti, sono stati ordinati con l’intento di tracciare e conservare ogni notizia rilevante, dagli stravolgimenti politici che hanno afflitto il continente nei decenni post-indipendenza alle vicende sociali quali carestie, siccità e povertà, dalle questioni diplomatiche riguardo alle relazioni fra Italia e Paesi africani a temi di interesse economico e culturale. Questo approccio, pur non configurandosi come una ricerca accademica nel senso stretto del termine, rivela una curiosità intellettuale e una volontà di documentare le vicende africane che vanno oltre il mero interesse passivo, assumendo un valore storico di notevole significato. In aggiunta a questa organizzazione per paese vi sono anche delle cartelline tematiche, suddivise per capitoli, relative a un progetto editoriale mai pubblicato, che avrebbe dovuto dar vita a un libro sulla realtà africana. I sette fascicoli da cui è formato riportano il titolo provvisorio di ognuno dei capitoli che, nelle intenzioni, avrebbero composto il volume: 1. L’Africa politica, oggi; 2. L’Africa economica; 3. Scontri, ingerenza, petrolio-minerali; 4. Come si vive – flagelli urbanizzazione. Corruzioni, aiuti, discariche; 5. La cultura; 6. Emigrazione (misure anti-); 7. Il futuro dell’Africa. Il loro contenuto è invece costituito esclusivamente da ritagli di articoli dalla stampa italiana, la cui presenza suggerisce come Del Boca, nel suo lavoro di indagine storica e documentaristica, abbia sempre preso come punto di partenza i quotidiani, riconoscendo in essi una fonte primaria fondamentale per la ricostruzione delle vicende sia storiche che di respiro più contemporaneo. Il progetto, datato 2009, si inseriva in un contesto di riflessione sull’Africa e sulle sue molteplici sfaccettature, ma, nonostante la sua grande ambizione, non ha mai visto la luce, lasciando un’importante traccia documentaria e intellettuale che, seppur incompiuta, arricchisce notevolmente la comprensione delle dinamiche storiche, politiche e culturali del continente africano.
4. Nell’archivio di Angelo Del Boca. Prospettive di ricerca
Come anticipato in apertura, l’archivio privato di Angelo Del Boca può essere letto come una stratigrafia di più di mezzo secolo di ricerche: un lavoro notevole, diramatosi in varie direzioni, ma che ha sempre mantenuto al suo epicentro lo schieramento a fianco dei valori resistenziali e delle vicende dell’Africa anche oltre la parentesi coloniale. Tale archivio, sino a qualche mese fa, era diviso in due tronconi: uno già depositato da Del Boca presso il Centro studi Piero Ginocchi a Crodo e un altro ancora conservato nel suo studio privato a Torino. Quando abbiamo avuto l’occasione di vedere per la prima volta l’archivio torinese di Del Boca, siamo stati accolti nello studio situato presso la sua stessa abitazione di Corso Inghilterra dalla vedova Paola Zoli, che ci ha condotti in una stanza con tre librerie fino al soffitto, i cui stipi erano pieni zeppi di cartelline in cartoncino colorato contenenti le carte risultanti da un’intera vita di studio. Sfogliando questa enorme mole di materiale, abbiamo conteggiato 1.334 cartelline, a cui si sono poi aggiunte quelle già trasferite al Centro studi di Crodo dallo stesso Del Boca, e alcune che la figlia Alessandra Del Boca ha recuperato dalla soffitta del Castello di Lisignano, per un totale di 1.771 fascicoli suddivisi adesso in 67 scatoloni.
Queste cifre sono state fornite per dare un’idea della vastità del materiale nonché dell’impegno investito da Del Boca nelle sue ricerche. Ciò che suscita più interesse è, però, ovviamente, non il numero ma il contenuto delle cartelline. In esse si trovano conservate due principali tipologie di documenti: i documenti d’archivio fotocopiati e ottenuti soprattutto dagli archivi del Ministero degli Affari esteri, del Ministero dell’Africa Italiana, e dello Stato maggiore dell’esercito; ma soprattutto una notevole quantità di ritagli di giornale, collezionati dagli anni Quaranta fino al 2018, provenienti per la maggior parte dalle principali testate giornalistiche nazionali quali «La Stampa», «Corriere della Sera», «la Repubblica», nonché da pubblicazioni affiliate a partiti politici, ovvero «l’Unità» e «Rinascita». La presenza di questi ritagli, la loro provenienza, nonché gli argomenti che toccano, sono elementi indicativi delle abitudini lavorative di Del Boca:
La mia giornata di lavoro comincia alle 8.30 […] con la lettura dei quotidiani e la schedatura, per il mio archivio, degli articoli che più mi interessano. D’abitudine leggo, in quest’ordine, «l’Unità», «La Stampa», il «Corriere della Sera», «la Repubblica» e «Le Monde». Quando avvenimenti molto importanti incalzano e avverto il bisogno di allargare la sfera delle mie conoscenze, allora acquisto anche l’«Herald Tribune» e «The Guardian». I quotidiani che più ritaglio sono «Le Monde», «la Repubblica» e «l’Unità» [Del Boca 2009, 501].
Fig. 5. Lo studio privato di Angelo Del Boca, con in vista sulla libreria alle spalle della scrivania alcuni dei fascicoli raccolti in anni più recenti.
Come si è detto nei paragrafi precedenti, Del Boca dimostrava una considerevole attenzione alla raccolta delle fonti e una ragguardevole cura nella loro conservazione. Tuttavia, nonostante la premura del suo soggetto produttore, l’archivio di Del Boca è risultato essere, al primo spoglio e ancor più al successivo approccio all’inventariazione preliminare, decisamente disordinato. La quasi totalità delle cartelline torinesi si è rivelata strutturata in una stratificazione di materiale di vario tipo: ai ritagli e ai documenti d’archivio si intervallavano varie carte di carattere decisamente privato tra cui bollette di svariate utenze domestiche, disegni delle figlie, documentazione medica, biglietti di auguri natalizi, e così via [6]. Questo accatastamento apparentemente caotico di carte altro non è che il risultato di un coinvolgimento totalizzante nella ricerca, e va interpretato, agli occhi di chi scrive, come il lavorio di una mente costantemente in fermento, tanto da far sì che le distrazioni e le preoccupazioni quotidiane venissero letteralmente sommerse dal flusso incessante delle attività e degli interessi connessi con la professione di storico. Esplorando questo vasto archivio, ci troviamo quindi di fronte al tempo stesso a un documento e a un monumento a Del Boca, inteso nella definizione che ne dà Le Goff di un «lascito intenzionale alla memoria collettiva» [Le Goff ١٩٧٨, ٣٨],che racchiude la vita e l’opera di uno studioso che si è dedicato all’Africa ben oltre la sua carriera lavorativa, intrecciando ferme convinzioni sull’attualità e la validità dei valori resistenziali che sentiva come propri all’amore per un continente le cui vicende si trovano tuttora ai margini del discorso pubblico italiano. Benché anche i documenti d’archivio siano indicatori importanti dell’accuratezza e dell’impegno profuso nella ricerca storica, sono i ritagli ad essere particolarmente meritevoli di attenzione, poiché permettono di avere accesso alle aree di interesse di Del Boca che si spingono al di là del suo lavoro di storico e ricercatore. Da essi si ricava una panoramica di quanto discusso finora in relazione all’impegno civile di essere un testimone del suo tempo, che comporta necessariamente l’esigenza di documentarsi e di «riordinare i miei ricordi, perché per quasi vent’anni ero stato un testimone professionale [dell’] evoluzione [del continente nero, dai giorni dell’indipendenza e delle lotte di liberazione a oggi]» [Del Boca 2009, 419]. All’interno di questa variegata gamma di quotidiani, gli argomenti ricorrenti sono facilmente identificabili e classificabili in una decina di temi chiave: 1) cronistoria dei Paesi africani dalle loro indipendenze fino agli anni Novanta. Questo primo gruppo di ritagli include non soltanto le notizie relative ai processi di decolonizzazione di 52 Stati africani, ma anche sulla loro successiva situazione sociopolitica, con particolare riferimento a guerre civili. 2) Povertà e sviluppo in Africa e i relativi progetti di cooperazione allo sviluppo dell’Italia verso Paesi africani. I ritagli in questione includono principalmente resoconti sulle relazioni internazionali fra l’Italia e gli Stati destinatari degli aiuti economici. 3) La longue durée della relazione coloniale: compensazioni e restituzioni. Si dettaglia qui come il passato coloniale abbia condizionato le relazioni con le ex-colonie, in particolare con la Libia (con il caso delle richieste di scuse pubbliche avanzate da Gheddafi) e con l’Etiopia (con l’episodio della restituzione dell’obelisco di Axum). 4) Le polemiche legate al passato coloniale. Vi sono raccolti ritagli che trattano di episodi di rimozione della memoria coloniale in Italia, nonché i resoconti sulle polemiche fra Del Boca e Montanelli [7] e sul dibattito seguente all’ammissione dell’uso dei gas in Etiopia. 5) Razzismo e immigrazione. Sono inclusi ritagli su vicende a sfondo razzista avvenute in Italia e legate all’insorgenza del neofascismo, sulle misure anti-immigrazione promosse dalla legge Bossi-Fini, e la cronaca sui Centri di permanenza per i rimpatri e i Centri di accoglienza per migranti. 6) Articoli scritti da Del Boca stesso, oppure citazioni, recensioni, e accoglienza ai suoi lavori di ricerca storiografica. Degni di menzione, pur se non inerenti al continente africano, sono i ritagli su: 7) Silvio Berlusconi; 8) l’eredità della Resistenza, i tentativi di revisionismo storico e la rinascita di movimenti filofascisti o nazisti; 9) le ingerenze degli Stati Uniti nelle politiche del Medio Oriente, incluse la Guerra del Golfo e la Guerra in Iraq.
Le cartelline relative all’Africa, che ospitano i ritagli raccolti nel corso di decenni, rappresentano oggi la migliore (per quanto ovviamente “tendenziosa” e parziale ma importante) “rassegna stampa” sulle evoluzioni dei rapporti fra Italia repubblicana e Africa, quali uno studioso come Del Boca le ha viste e riscontrate sulla documentazione a stampa. Il corpus, così tematicamente suddiviso, permette una lettura comparata delle principali testate giornalistiche nazionali fornendo un quadro complessivo – pur filtrato dall’occhio del giornalista e dello storico – sui rapporti fra l’Italia e il continente africano, ivi comprese, ma non unicamente rappresentate, le specificità legate alle relazioni coloniali intercorse con l’Eritrea, la Somalia, la Libia e l’Etiopia.L’analisi di queste preziose fonti di informazione dell’opinione pubblica potrebbe donare agli studiosi numerosi strumenti per ricostruire le rappresentazioni dell’Africa nel corso del periodo immediatamente successivo al secondo dopoguerra fino ai giorni nostri; a tal proposito è opportuno però indugiare su alcune considerazioni preliminari. Una prima questione riguarda proprio la mediazione di Del Boca e come essa abbia influito sulla composizione dell’archivio. Bisogna tenere presente che le rappresentazioni dell’Africa che emergono dall’archivio potrebbero non essere esaustive rispetto alla realtà di ciò che veniva pubblicato a proposito dell’Africa, ma rispondano piuttosto agli interessi di Del Boca per gli specifici fenomeni che emergono dai ritagli, andando oltre le ricerche effettuate dallo studioso ai fini delle sue pubblicazioni. Per quanto concerne invece i ritagli dalle indipendenze africane in avanti, si rileva che la maggior parte del materiale data dagli anni Settanta agli anni Duemila. Sorprendentemente, nell’archivio sono presenti pochissimi articoli riguardo agli annunci di indipendenza effettivamente avvenuti nel 1960; inoltre, non vi si trova nemmeno un gran numero di articoli sui processi verso l’indipendenza. La scarsità, nell’archivio, di fonti italiane sui paesi africani appena resisi indipendenti diventa ancora più evidente se confrontata con il maggior numero di ritagli provenienti dalla stampa francese e britannica – in particolare da «Le Monde», «The International Herald Tribune» e «The Times» – dello stesso periodo, o con il numero esponenzialmente maggiore di articoli dalla stampa italiana a partire dalla seconda metà degli anni Settanta. Le possibili ragioni di tali disparità potrebbero essere ricondotte al fatto che, all’epoca, Del Boca stava ancora lavorando come inviato speciale, e quindi potrebbe essere stato meno incline a cercare testimonianze “di seconda mano” da raccogliere, dato che era stato testimone diretto della lotta per l’indipendenza di alcuni Paesi, come abbiamo visto in precedenza. Al contrario, a partire dal momento in cui firmò il contratto con l’editore Laterza per quello che inizialmente era stato concepito come un libro sul colonialismo italiano, Del Boca ammette che «avevo le idee poco chiare in materia di ricerca storica. […] Non mi rendevo conto, inoltre, che il passaggio dall’inchiesta giornalistica alla ricerca storica avrebbe comportato impegni e metodi del tutto diversi, e persino un linguaggio diverso» [Del Boca 2009, 255]. Affrontare l’imponente lavoro storiografico rappresentato dai quattro volumi Gli Italiani in Africa Orientale segnò una transizione definitiva per Del Boca dal giornalismo alla ricerca storica, consacrandolo come storico del colonialismo ed esperto di Africa. Tuttavia, le sue esperienze come inviato speciale rimasero alla base della sua svolta storiografica. La sua precedente attività da reporter gli permise di rimanere in costante contatto con «gli eventi che fanno la storia» [Del Boca 2009, 498], ai quali si dedicò con passione e impegno, come testimonia il suo archivio. Inoltre, i metodi che adottava come giornalista prima di partire per un viaggio comprendevano una preparazione rigorosa per documentarsi sul Paese che avrebbe visitato, il che spiega senza dubbio la meticolosa raccolta di ritagli sia dalla stampa italiana che da quella straniera. È infine da imputare alla volontà di «esercitare il [suo] diritto-dovere di testimoniare e di informare» [Del Boca 2009, 9] l’approccio fortemente critico che caratterizza tutta l’opera di Del Boca, inclusa quindi la costruzione del suo archivio personale. Alle sue prime esperienze da giovane giornalista negli anni Cinquanta, Del Boca ricevette dall’allora direttore della «Gazzetta del Popolo» Massimo Caputo una critica allo stile pessimistico delle sue inchieste, così riassunta da Del Boca: «[capii che] la verità non andava detta nella sua integrità, soprattutto se era spiacevole. Andava condita con note di colore, con pennellate di speranza, con fumate dissimulatrici» [Del Boca 2009, 108]. Ricordando questa prima «lezione di giornalismo», Del Boca afferma con orgoglio di avere «sistematicamente disatteso» quell’insegnamento per «assumere la posizione del testimone scomodo» e «tradurre in parole, in immagini, in verità a volte scomode» gli eventi cui assisteva e le conoscenze che acquisiva dalle interviste e dagli archivi [Del Boca 2009, 128-9].
Fig. 6. Due ritagli dalla rubrica «La stanza di Montanelli», curata dall’omonimo giornalista per il «Corriere della Sera», che riportano il racconto di due episodi vissuti durante la guerra coloniale in Etiopia in risposta a due lettere dei lettori, datate 8 dicembre 1998 (a sinistra) e 9 gennaio 1999 (a destra).
L’attributo “scomodo”, che ricorre ben più di una volta all’interno della sua autobiografia, ed è perciò indicativo della percezione che Del Boca aveva di se stesso, ha una duplice funzione: i fatti che lo studioso diffonde attraverso le proprie opere – giornalistiche prima e storiografiche poi – sono scomodi perché cozzano talora con una autorappresentazione diffusa (nel suo caso: del colonialismo italiano), smontandola agli occhi di più di una fascia dell’opinione pubblica: una parte di questa, non a caso, rispose con un atteggiamento distaccato, diffidente, quando non addirittura aggressivo. La scomodità delle narrazioni si riflette poi sul narratore stesso: Del Boca è “testimone scomodo” perché si rifiutò di tacere su ciò di cui era venuto a conoscenza, e con un profondo senso di dovere civico ribadì fermamente la sua volontà di continuare le sue battaglie per la ricerca e la divulgazione sulle pagine più buie della storia dell’Italia, e soprattutto del suo colonialismo, «sino alla fine dei miei giorni, fintantoché mi resterà un lettore e un contestatore» [Del Boca 2009, 9]. Noi posteri possiamo confermare che Del Boca abbia mantenuto la sua parola.
Bibliografia
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Note
1. Diretto da Marco Mantovani, presidente dell’Associazione intitolata a Piero Ginocchi, il Centro studi è costituito in questa sede da un teatro – al piano terra – che ospita la Compagnia teatrale Vittorio Resta, nonché mostre periodiche di vario genere. Al piano superiore si trova invece la biblioteca Vittorio Resta, che si compone del Centro di documentazione arabo-africano, fondo specialistico in lingua araba fondato da Angelo Del Boca e Anwar Fekini, il cui contributo ha arricchito il patrimonio librario della biblioteca di trentamila volumi relativi a studi e ricerche sul continente africano. Qui è custodito anche l’archivio privato di Angelo Del Boca, acquisito grazie al lascito volontario del suo produttore e alla preziosa collaborazione della famiglia Del Boca.
2. Fra queste, si ricordano L’impérialisme colonial italien de 1870 à nos jours dello storico francese Jean-Louis Miège, a cui fecero seguito, a distanza di pochi anni l’uno dall’altro, il saggio di Francesco Malgeri La guerra libica (1911-1912), il contributo divulgativo di Aldo De Jaco Di mal d’Africa si muore, parte del ciclo delle Cronache inedite dell’Unità d’Italia, e infine, e soprattutto, il volume di Giorgio Rochat Il colonialismo italiano. Questi testi apparirono rispettivamente nel 1970, 1972 e 1973, per quanto si distinguono fra loro per il carattere, per il tema e per le periodizzazioni scelte. I volumi di Battaglia e Malgeri si concentrano su singoli episodi di storia del colonialismo; rispetto al collega, Battaglia ne analizzò anche le radici retoriche promosse da Crispi nella sua politica colonialista, mentre De Jaco ricostruì le vicende del colonialismo liberale nell’ottica della formazione di un’Italia unita. I tre autori nelle loro disamine della storia del colonialismo italiano si fermarono quindi all’epoca pre-fascista, focalizzandosi sulle origini delle ideologie coloniali e sui primi interventi in Africa. Per trovare un precedente a Del Boca che affrontasse la storia del colonialismo nella sua interezza bisognò attendere i lavori di Miège, che nel 1968 pubblicò un compendio delle tappe dell’imperialismo italiano, e di Rochat. Il volume di quest’ultimo era stato scritto e pensato per gli studenti di licei e corsi universitari e pertanto possiede un impianto antologico, con raccolte di documenti intervallate da riassunti introduttivi. Fra i due soltanto Rochat, però, incluse nella sua trattazione anche una analisi critica della storiografia, denunciando la totale assenza di studi organici sui progetti imperialisti dell’Italia successivi alla Prima guerra mondiale e lamentando il fatto che «per la parte maggiore della storia del colonialismo italiano, dobbiamo contentarci di memorie spesso romanzate e di documenti di origine varia e spesso casuale, talvolta addirittura trafugati per una redditizia pubblicazione sui grandi rotocalchi» [Rochat 1973, 9].
3. Citazione originale di Lucien Febvre, «Vers une autre histoire», Revue de métaphysique et de morale 58 (1949): 419-38.
4. Citazione originale di Charles Samaran, Prefazione, in L’Histoire et ses méthodes, VII-XIII, Parigi, Gallimard, 1961.
6. I documenti personali sono stati restituiti alla famiglia Del Boca.
7. Vedi fig. 6. Più di ogni altra presa di posizione, fu proprio il suo ricordare e documentare con incessante insistenza l’uso delle armi chimiche da parte dell’esercito italiano in occasione delle guerre di conquista coloniale che attirò su Del Boca un fiume di accuse di faziosità e falso storico, rendendolo a tutti gli effetti un testimone scomodo del colonialismo italiano. All’interno di questo discorso sulle reazioni avverse alla sua opera, ma certo con tutte le sue specificità visto il livello dei protagonisti, un capitolo a parte meriterebbe la vicenda della querelle con il giornalista Indro Montanelli, uno dei più grandi contestatori di Del Boca, con cui si scontrò a colpi di penna sulle pagine de «La stanza». Le polemiche di Montanelli, per quanto estremamente pungenti e occasionalmente addirittura offensive, non venivano rivolte direttamente a Del Boca, ma lanciate attraverso le risposte ai lettori sui quotidiani di cui curava le rubriche. D’altronde Montanelli era un reduce della guerra del 1935-1936, avendo fatto parte del XX battaglione di ascari eritrei durante l’aggressione all’Etiopia, ed era un nostalgico dell’avventura africana. Era quindi unicamente sulla base di un bel ricordo giovanile che Montanelli costruiva la sua convinzione che Del Boca stesse deliberatamente mentendo sull’uso dell’arma chimica in Etiopia. Tale convinzione era in lui suffragata, in maniera alquanto singolare per un buon giornalista, dalla circostanza di avere partecipato personalmente al teatro della guerra d’Etiopia, e di essere stato testimone diretto di una dichiarazione del generale Badoglio, che ammetteva l’utilizzo di una sola bomba all’iprite per errore durante la battaglia dell’Endertà, la quale però era, a suo dire, fortunatamente deteriorata e non ebbe quindi alcun effetto nocivo.
Autore
Barbara Testini
Titolo
Nell’archivio di Angelo Del Boca. Composizione e struttura del fondo di Crodo
Titolo inglese
Exploring Del Boca’s Archive. Structure and Content of the Archival Fund in Crodo