Dalla scarpa da ginnastica all’automobile, dalla minigonna alla pillola anticoncezionale, il Novecento è stato un secolo denso di cambiamenti epocali. Piccole e grandi rivoluzioni innescate dall’invenzione o dalla diffusione su larga scala di oggetti e strumenti che hanno modificato per sempre la società contemporanea.

Ideato dal maestro Arturo Cannistrà – che ne ha curato anche la regia – e da Caterina Liotti – storica e archivista del Centro documentazione donna di Modena –, lo spettacolo di danza Ri[E]voluzioni Novecento. Oggetti in movimento racconta questi cambiamenti. È stato l’evento consacrato alla rielaborazione dei contenuti emersi dal più ampio progetto Rivoluzioni. Persone, luoghi ed eventi del ’900 tra crisi e trasformazioni, ideato dall’Istituto storico di Modena e dal Centro documentazione donna di Modena con la collaborazione scientifica della Fondazione Collegio San Carlo.

Andato in scena al Teatro comunale Pavarotti-Freni di Modena il 22 maggio 2022 e, a marzo di quest’anno, all’interno della rassegna Musica su misura dedicata al teatro musicale per ragazzi e ragazze e famiglie promosso dallo stesso Teatro comunale, lo spettacolo rappresenta un concreto e fecondo esempio di Public history: un modo diverso di fare storia sfruttando nuovi spazi sociali con l’utilizzo di linguaggi nuovi o non consueti, in questo caso quello coreutico.

Fig. 1. Il saluto finale delle allieve e degli allievi delle scuole di danza di Modena e di Reggio Emilia protagonisti dello spettacolo “Ri[E]voluzioni Novecento. Oggetti in movimento”.
Fig. 1. Il saluto finale delle allieve e degli allievi delle scuole di danza di Modena e di Reggio Emilia protagonisti dello spettacolo “Ri[E]voluzioni Novecento. Oggetti in movimento”.

La scelta della danza come mezzo espressivo è arrivata sulla scia della precedente esperienza fatta dagli stessi istituti di ricerca modenesi con #Cittadine! Alla Conquista del voto, sviluppata nell’ambito del progetto Leggere per… Ballare. Realizzata anche in quel caso dalle scuole di danza locali appartenenti alla Federazione nazionale associazioni scuole di danza (Fnasd), l’opera si è rivelata molto efficace nel presentare al grande pubblico le lotte delle donne per il diritto di voto, raccontate in un percorso che si dipana lungo una precisa traiettoria cronologica.

Con Ri[E]voluzioni Novecento. Oggetti in movimento la sfida era quella di danzare la storia raccontando un ossimoro: oggetti che di norma sono statici, in movimento. Lo scopo non è più, dunque, quello di esplorare eventi situati su una linea del tempo definita bensì quello di indagare le ripercussioni di eventi storici sulla sfera sociale. Nello specifico si è voluto indagare sulle conseguenze che gli oggetti hanno provocato nei modi di muoversi in una dimensione spazio-temporale. Sul palco la danza si fonde con immagini, musica e stralci di opere letterarie recitate da voci attoriali, in una fusione di mezzi espressivi che dialogano tra loro per ripercorrere l’evoluzione dei gesti e il rapporto con i luoghi e con l’altro.

Utilizzando le metodologie della Public history, sono state compiute scelte condivise tra i componenti del gruppo di lavoro seguendo le indicazioni del comitato scientifico per selezionare le musiche, i suoni, le fotografie, i filmati e le parole più consone. Queste ultime sono state scelte operando una lunga e approfondita ricerca principalmente tra i grandi del Novecento, cercando nella produzione letteraria di questo secolo i passaggi che potessero raccontare al meglio questi oggetti e in particolare la loro correlazione con il movimento.

Il viaggio di Ri[E]voluzioni Novecento. Oggetti in movimento si dipana attraverso 21 quadri dedicati a sette oggetti veri e propri e il web. Tutto inizia con le parole di Werner Herzog nel suo Sentieri nel ghiaccio

Fuori: nebbia, un gelo da non dirsi. Il laghetto ha fatto un velo di ghiaccio. Gli uccelli si destano: strepitii. Una quantità di cornacchie mi accompagna nella nebbia. Sulle assi del ponticello i miei passi hanno un’eco così sorda. Il camminare va. Ancora il problema con le scarpe, non devono farmi male, ma sono ancora troppo nuove. Ho provato con una cosa schiumosa e a ogni movimento sono cauto come un animale, e dell’animale, credo, ho anche i pensieri. Le gambe mi fanno tutte e due così male che quasi non riesco più a mettere un piede davanti l’altro. Quant’è un milione di passi?

Ma i miei passi sono decisi. E ora trema la terra. Quando io cammino, cammina un bisonte. Quando mi fermo, si riposa una montagna. Dopo molti chilometri a piedi so che non sono in me, e questa cognizione mi viene dalle piante dei piedi. A chi non scotta la lingua, scottano le piante. Così, per un solo istante, senza peso, nel mio corpo esausto è passato un soffio di leggerezza. E allora ho detto: da qualche giorno io so volare [Herzog 1980, 50].

Sullo sfondo la terra incontaminata dei nativi americani. Una danzatrice solitaria scandisce con i piedi un ritmo mutevole e accompagna il pubblico in sala alla scoperta della rivoluzione innescata dalle scarpe da ginnastica. 

Dai passi in sneaker oggi diventate un vero e proprio accessorio di moda e talvolta oggetto di culto – all’automobile, l’esplorazione di nuovi territori, luoghi e persone prosegue nello spazio fisico e simbolico del grattacielo. La staticità è solo apparente, la dimensione verticale e quella orizzontale si intrecciano. E poi entra in scena il frigorifero che si apre e si chiude, altra forma di un movimento dal sapore di una pubblicità anni Cinquanta. Un elettrodomestico che modifica nel profondo i consumi e il rapporto con il cibo. È poi la ribellione femminile a irrompere sul palco con le minigonne di Mary Quant, diventate simbolo delle proteste di piazza: la libertà è in movimento. La libertà nelle proprie scelte di vita è anche quella della pillola anticoncezionale. La donna diventa libera di gestire il proprio corpo come mai prima, in totale autonomia. Nella danza riecheggiano le forme circolari dei blister del contraccettivo.

«Dimenticate ciò che è successo ieri e domani, e oggi. Stasera creeremo un mondo completamente nuovo». Le parole di Jimi Hendrix proiettate sullo schermo raccontano la rivoluzione apportata dalla chitarra elettrica: strumento che modifica in modo radicale il modo di fare musica e strumento di un’intera generazione per esprimere il proprio grido di dissenso nei confronti della politica.

Fig. 2. Un momento dello spettacolo “Ri[E]voluzioni Novecento. Oggetti in movimento” con i danzatori e le danzatrici delle scuole di danza di Modena e Reggio Emilia.
Fig. 2. Un momento dello spettacolo “Ri[E]voluzioni Novecento. Oggetti in movimento” con i danzatori e le danzatrici delle scuole di danza di Modena e Reggio Emilia.

Chiude lo spettacolo il web, le cui fasi embrionali sono da ricercare alla fine degli anni Sessanta. Il visionario hippy Stewart Brand con il suo Whole Earth Catalog ha creato una sorta di web ante litteram. Grazie a lui termini quali personal computer e cyberspazio hanno iniziato a insinuarsi nel linguaggio. Da lì le radici della rete si sarebbero sviluppate fino a trasformarla in quella ragnatela di connessioni che avvolge ormai ogni aspetto dell’esistenza di ciascuno di noi, modificandola in modo ineludibile. Una rivoluzione senza precedenti foriera di interrogativi dalle risposte complesse. Danzatrici e danzatori si muovono seguendo il ritmo del digitale in un gioco di luci e immagini che ci proiettano in un futuro non definito, quasi a chiedersi quale direzione l’umanità stia prendendo.

Ma facciamo un passo indietro per capire meglio di cosa si parla quando si evoca la Public history e, soprattutto, come la sua metodologia sia stata applicata in questo caso concreto. Come si legge sul sito dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia dedicato al Master in Public and Digital History, «la Public history è la storia applicata alla società in cui viviamo: consiste nel produrre, conservare e diffondere la storia nel territorio e nel tessuto sociale, con ogni tipo di linguaggio, di strumento e di tecnica, per e con ogni tipo di pubblico».

Il progetto Rivoluzioni. Persone, luoghi ed eventi del ’900 tra crisi e trasformazioni ha contribuito a diffondere – e continuerà a farlo con una nuova edizione – la storia nel territorio modenese con iniziative pubbliche di cui Ri[E]voluzioni Novecento. Oggetti in movimento ha rappresentato un momento culminante. Lo spettacolo ha utilizzato un linguaggio insolito per la comunicazione storica, quello della danza, e ha lavorato per il pubblico – ossia gli spettatori – ma anche con il pubblico – in questo contesto allieve e allievi delle scuole di danza coinvolte.

Un altro modo di fare storia, dunque, che va oltre l’insegnamento relegato alle aule di scuole e università, o, in questo caso, alle scuole di danza. Le danzatrici e i danzatori, infatti, sono stati parte attiva nella costruzione di un prodotto di Public history. Non hanno semplicemente “subito” la storia. L’approccio, dunque, supera quello top-down della mera divulgazione per procedere dal basso e diventare più democratico. La storia diventa di conseguenza più accessibile e il pubblico attore imprescindibile di ogni processo di produzione.

Da questo presupposto deriva uno degli altri aspetti fondamentali dello spettacolo: la modalità partecipativa con cui è stato ideato e sviluppato. Di primaria importanza è stato il coinvolgimento delle associazioni delle scuole di danza legate alla Federazione nazionale associazioni scuole di danza. Le coreografe e i coreografi, ad esempio, hanno condiviso esperienze e competenze e lavorato in sinergia con il regista per costruire le coreografie.

Caratteristica fondante della Public history è proprio il lavoro di squadra, che anche in questo caso è stato determinante: uno scambio continuo all’interno di un gruppo di lavoro molto composito. Al risultato finale ognuno ha dato il proprio contributo mettendo sul tavolo la propria professionalità: dal regista alle coreografe e ai coreografi con le allieve e gli allievi delle scuole coinvolte, dagli attori agli storici, da chi ha curato le scelte musicali a chi si è occupato della selezione del materiale iconografico e dell’altrettanto importante aspetto della comunicazione.

Senza un lavoro di squadra a tutto campo e un approccio multidisciplinare, la Public history non può esistere. Così come non potrebbe esistere senza un adeguato apparato comunicativo. Lo spettacolo va realizzato ma anche fatto conoscere attraverso i comunicati stampa, il foglio di sala con la descrizione dei quadri e il racconto dello spettacolo, i testi per i social network. Infine, ci sono i testi pubblicati sul sito web (https://rivoluzioni.modena900.it/) che ospita il progetto complessivo dedicato alle rivoluzioni con tutti i relativi approfondimenti.

Sempre seguendo questo principio è stata realizzata una serie di conferenze con esperti che hanno aiutato a comprendere non tanto l’oggetto in quanto invenzione ma il momento preciso nella storia del Novecento in cui questo oggetto ha determinato una rivoluzione nel modo di muoversi, di relazionarsi o di vestirsi. Sugli oggetti rivoluzionari sono stati realizzati, tra le altre cose, anche dei laboratori con le scuole superiori al fine di indagare il punto di vista degli studenti, per cercare di capire quali oggetti a loro avviso avessero determinato un cambiamento nelle loro vite o nella collettività.

Se da un lato qualche storico accademico “puro” guarda con scetticismo a questo modo di fare storia – relativamente nuovo per l’Italia – e si spinge fino a parlare di moda passeggera, le potenzialità della Public history sono indubbie, a iniziare da quelle anagrafiche. Essa consente di abbattere molte barriere e di raggiungere un pubblico più vasto ed eterogeneo creando un ponte tra generazioni: quella più giovane costituita dalle allieve e dagli allievi delle scuole di danza e quelle più “anziane” delle coreografe e dei coreografi, del team di lavoro e del pubblico in sala. In questo caso specifico, poi, il connubio tra danza e storia ha permesso di “alleggerire” argomenti storici impegnativi senza scadere nella superficialità. Alla base di tutto, infatti, resta e deve restare la ricerca storica condotta con metodo rigoroso.

Fig. 3. Un altro momento dello spettacolo “Ri[E]voluzioni Novecento. Oggetti in movimento” con i danzatori e le danzatrici delle scuole di danza di Modena e Reggio Emilia.
Fig. 3. Un altro momento dello spettacolo “Ri[E]voluzioni Novecento. Oggetti in movimento” con i danzatori e le danzatrici delle scuole di danza di Modena e Reggio Emilia.

L’apprendimento della storia, inoltre, diventa più avvincente. Attraverso la passione e vocazione per la danza, le danzatrici e i danzatori hanno avuto la possibilità di confrontarsi in modo diretto e non convenzionale con la storia. Hanno potuto anche riflettere sul significato delle rivoluzioni e sull’origine di oggetti nati o sviluppati in un tempo molto distante dal loro. Oggetti che, in alcuni casi, davano per scontati, che consideravano desueti o lontani, oppure di cui ignoravano l’origine.

Il lavoro di preparazione dello spettacolo nel complesso è andato oltre l’insegnamento e l’apprendimento delle coreografie, come di solito avviene per un tradizionale spettacolo di danza. In questo caso l’impegno delle allieve e degli allievi ha dovuto spingersi fino a prendere in considerazione in modo approfondito anche l’aspetto storico. Vi è stata la necessità di comprendere uno spaccato di vita che avrebbero poi dovuto “tradurre” per il pubblico con il proprio corpo e i propri movimenti e capire, quindi, come raccontare la storia attraverso i gesti. Anche in questo caso entra in gioco uno degli assi portanti della Public history, ossia quello di promuovere un atteggiamento attivo e creativo nei confronti della storia per poterla assimilare e farla propria e non semplicemente per impararla in modo pedissequo come spesso avviene.

Un’altra componente del lavoro svolto per la preparazione dello spettacolo è il coinvolgimento di diverse realtà didattiche. Gli allievi e le allieve si sono trovati a interagire con le altre scuole di danza e hanno potuto così confrontarsi con modalità e approcci diversi per arrivare poi tutti assieme a realizzare uno spettacolo condiviso nella sua interezza. La valenza formativa di un simile percorso si riflette sia sull’aspetto umano che nella presa di coscienza da parte dei partecipanti della necessità di una ricerca storica approfondita, dell’indagine sull’ambientazione, della selezione iconografica e musicale e di tutte le altre discipline che interagiscono e concorrono alla realizzazione del racconto storico presentato con queste modalità.

Il connubio tra dimensione artistica e dimensione storica è potente e Ri[E]voluzioni Novecento. Oggetti in movimento lo dimostra appieno. Non solo. Una rielaborazione di questo tipo consente di creare differenti spin-off, declinando il nucleo principale in rappresentazioni compatibili con spazi diversi o di dimensioni ridotte come ad esempio conferenze-spettacolo adattabili a contesti differenti. Ne possono derivare altri prodotti di Public history, sempre costruiti a partire da una profonda interazione tra le diverse professionalità e competenze. Prodotti anche didattici sviluppati con studenti e studentesse delle scuole avvalendosi di tutte quelle nuove tecnologie che il mondo digitale mette oggi a disposizione. A questo proposito assume vitale importanza la digitalizzazione dei contenuti.

Con tutte le sue potenzialità, lo spettacolo Ri[E]voluzioni Novecento. Oggetti in movimento rappresenta non solo un esempio calzante di prodotto di Public history. Costituisce anche l’epilogo forse più appropriato e originale del lungo percorso di Rivoluzioni. Persone, luoghi ed eventi del ’900 tra crisi e trasformazioni. Nato all’interno del Comitato per la storia e le memorie del Novecento del Comune di Modena e sostenuto dalla Fondazione di Modena, dalla sua ideazione ha avuto come obiettivo quello di raccontare su una base storiografica solida le grandi svolte che hanno caratterizzato il Novecento e plasmato il presente. Dalla ricerca sono scaturite numerose iniziative pubbliche, percorsi didattici, eventi dedicati ai singoli oggetti rivoluzionari con l’intervento di esperti e un sito web.

Il sito https://rivoluzioni.modena900.it/ è la vetrina dove ripercorrere i tratti salienti del progetto: vi si trova, ad esempio, la linea del tempo che mette in evidenza gli eventi rivoluzionari della storia modenese in relazione con la linea del tempo delle rivoluzioni avvenute a livello mondiale. Così come si può ritrovare il materiale informativo e di approfondimento relativo agli oggetti rivoluzionari. Tutto sul web, lo stesso web che costituisce proprio il capitolo finale di Ri[E]voluzioni Novecento. Oggetti in movimento.

Un epilogo che lascia aperte molte porte. Stavolta sono le parole dello scrittore israeliano Yuval Noah Harari tratte dal libro Da animali a dei. Breve storia dell’umanità «Se davvero il sipario sta calando sulla storia dell’Homo Sapiens, allora noi che apparteniamo a una delle sue generazioni finali dovremmo dedicare un po’ di tempo a rispondere a un’ultima domanda: cosa vogliamo diventare?» [1] [Harari 2014, 463] – ad accompagnare il pubblico in un futuro e in uno spazio dai confini non definiti. Intento dello spettacolo è proprio quello di suscitare domande, per chiedersi quale sarà la prossima rivoluzione. E in che direzione l’umanità sta andando e vuole andare.

Bibliografia

  • Harari 2014
    Yuval Noah Harari, Sapiens. A Brief History of Human Kind, Londra, Penguin Random House, 2014 (ed. or. 2011).
  • Herzog 1980
    Werner Herzog, Sentieri nel ghiaccio, Milano, Ugo Guanda Editore, 1980.

Risorse


Note

1. Traduzione dell’autrice.