1. Introduzione
La colonia di Castel Raniero di Faenza rappresenta un interessante caso di ricerca [1]. Un ospizio montano meno studiato rispetto al fenomeno delle colonie marine del fascismo, anche se aperto durante gli anni del regime e gestito dall’Ente ospizi marini e montani (Eomm), ente longevo soppresso definitivamente nel 1999 [Bassi 2018].
Prima che questo ospizio diventasse meta di soggiorni estivi per i bambini faentini, nella città di Faenza, già dal 1869, il Comitato per gli ospizi marini (finanziato dall’Opera pia elemosiniera) si era impegnato ad organizzare i soggiorni in colonia per prevenire la scrofolosi fra i bambini e le bambine indigenti [Casadio 2016, 164-168]. In genere, la finalità dei soggiorni estivi organizzati da diverse opere assistenziali era quella di migliorare le condizioni di salute dei bambini dei ceti più poveri. Negli ultimi decenni dell’Ottocento a livello europeo i medici stavano dispiegando una serie di misure di prevenzione della mortalità infantile che in Italia ebbe tassi alti fino al secondo dopoguerra [Giorgi, Pavan 2021, 399]. Anche in Francia si erano già diffusi i soggiorni estivi sia nelle colonie, sia presso privati cittadini in località di campagna [2] [Bequemin 2005; Lee Downs 2009, 27-38].
L’idea di costruire un edificio specifico per i soggiorni dei bambini faentini nacque nel primo dopoguerra ma cominciò a concretizzarsi solamente negli anni Venti poiché, anche in considerazione dell’esigenza di combattere il morbo della tubercolosi, il Comitato si trasformò in Ente ospizi marini e montani diventando ente morale nel 1928. Non si trattò, come si dirà, di un ente dal solido bilancio, anzi esso fu sovente dedito a un intenso lavoro burocratico alla ricerca di fondi utili al suo funzionamento. Nonostante la lentezza dei lavori, l’ente riuscì a garantire l’organizzazione dei soggiorni dei bambini per qualche anno dal 1935 fino ai primi anni della guerra.
La storia della colonia è stata finora oggetto di alcuni studi di carattere locale che hanno ricostruito la nascita di questo imponente edificio immerso nella natura. Questi studi hanno il merito di valorizzare e conservare la memoria di un edificio che si erge ancora oggi sulle colline di Faenza, raggiungibile anche a piedi e dopo un percorso in salita, dal quale si scorge un ampio panorama sulla città [Bassi 2017; Capitanio 2015; Casadio 2016]. Secondo alcune fonti degli anni Trenta la particolare forma architettonica in mattoni rossi doveva ricordare una residenza signorile, addirittura un castello, con uno stile consono alla località. La sua facciata presenta un’entrata principale collocata alla base di una torretta centrale che lo divide in due parti. Tale torretta, sovrastata da una loggetta circondata di sottili colonne bianche, rende la sua struttura assai originale rispetto a gran parte degli edifici a facciata bianca delle colonie marine, caratterizzate da architetture moderne che divennero uno strumento fondamentale della propaganda fascista [Pivato 2023, 19].
2. La nascita e lo sviluppo della colonia di Castel Raniero durante il fascismo
L’idea di costruire un edificio specifico per i soggiorni dei bambini nacque nel primo dopoguerra, allorquando il Comitato cittadino per le onoranze ai caduti di Faenza, sotto la presidenza di Antonio Bucci, deliberò la costruzione di un monumento e di una cappella votiva da erigersi in onore dei caduti di guerra nella chiesa di San Bartolomeo (in corso Matteotti, a Faenza). Tuttavia, pur confermando la realizzazione della cappella votiva, il comitato rinunciò al progetto di un monumento scultoreo optando invece a favore della costruzione di un edificio vero e proprio da destinarsi ai soggiorni estivi dei figli dei caduti [Capitanio 2015, 258-259].
La costruzione dell’ospizio intitolato in onore di re Vittorio Emanuele III iniziò nel 1926 e doveva originariamente accogliere una colonia elioterapica per gli orfani dei caduti di guerra, gracili e anemici [3]. Questo preciso scopo finì tuttavia per ritardare il reperimento del terreno e la costruzione dell’edificio stesso, poiché in genere le autorità locali accordavano la priorità alle misure di lotta contro la tubercolosi. Benché anche lo stato di salute debilitante menzionato nella delibera del comitato potesse favorire il contagio della tubercolosi, l’amministrazione riteneva che occorresse dare la precedenza alla prevenzione diretta di questo morbo, così come facevano le istituzioni scolastiche e educative [4] [Rossi Doria 1924, 62].
La funzione preventiva riguardante la tubercolosi fu allora integrata nello statuto redatto dall’Eomm di Faenza. La prima versione del 27 luglio 1927 fu rivista e approvata il 2 febbraio 1928 come risulta da una lettera inviata al commissario dell’Opera nazionale per la protezione della maternità e dell’infanzia (Onmi) a Roma e al Consiglio di Stato. Lo statuto fu poi inviato al Ministero dell’Interno per l’approvazione definitiva. In una missiva del presidente dell’ente, Antonio Bucci, si descrivevano le differenti tipologie di soggiorni organizzati dal Comitato per gli ospizi marini durante gli anni della Grande guerra e si informava che, non avendo potuto mandare i bambini al mare, i bambini e le bambine erano stati ospitati separatamente da famiglie scelte di mezzadri. Finita la guerra, Bucci organizzò un soggiorno differenziato a seconda delle patologie dei bambini: quelli affetti da anemia e deperiti beneficiarono del soggiorno in campagna; per gli scrofolosi rachitici si prevedeva il soggiorno nella colonia marina di Riccione, mentre per le bambine fu allestita una colonia presso il Collegio convitto Emiliani di Fognano (per un totale di 35 posti) [5].
Le precisazioni sulle soluzioni adottate spiegano i motivi che avevano spinto l’ente a indicare nello statuto anche queste tipologie di morbilità diffuse fra la popolazione infantile debilitata dai periodi di crisi alimentare. Nella stessa lettera, il presidente precisava che l’Istituto Emiliani non aveva un regolamento per i soggiorni estivi e che la direzione era affidata alle religiose, le quali si avvalevano della collaborazione di due sorveglianti. Se questo alludesse al fatto che l’educazione religiosa compensava la povertà educativa in cui versavano i bambini oppure la mancanza di quella politica, non è dato saperlo.
In base al nuovo statuto, l’ospizio gestito dall’Eomm aveva finalità terapeutiche che venivano enumerate in modo molto chiaro. Il soggiorno aveva lo scopo di organizzare la cura gratuita marina o montana «a fanciulli poveri di ambo i sessi del Comune di Faenza dell’età dai 5 ai 12 anni» che, in base alla visita della Commissione sanitaria, presentavano i sintomi «della scrofola, della rachitide, della debilitazione organica, della predisposizione alla tubercolosi, e simili». Venivano esclusi i bambini affetti da tubercolosi settica e da altre malattie contagiose, quelli non vaccinati, ad eccezione di quelli che avevano già sofferto di vaiolo. La precedenza veniva data agli orfani di guerra, nonché ai figli di invalidi di guerra e di ex combattenti [6]. Si prevedeva inoltre che nel Comitato direttivo dell’ente ci fosse un membro del locale Comitato per l’assistenza civile e religiosa degli orfani dei caduti in guerra (il presidente Giuseppe Ceroni) per poter garantire la precedenza a questa categoria di bambini.
Nello statuto non si specificava il tipo di educazione impartita durante i soggiorni, è facile però comprendere come fosse la pedagogia fascista ad essere il principale riferimento. Il ritmo della giornata scandita da attività fisica all’aria aperta, l’esposizione al sole e i pasti regolari contribuivano a migliorare lo stato di salute dei bambini: la cura diventava sinonimo di educazione alla salute, all’igiene e alla disciplina. Col tempo le attività furono impostate sui principi cardine del tutto simili a quelli delle colonie marine.
L’avvio della costruzione dell’edificio, progettato dall’ingegner Giovanni Antenore, si concretizzò solamente in seguito alla trasformazione, avvenuta in base al decreto regio del 2 febbraio 1928, del Comitato ospizi marini e montani (gestito dall’Opera pia elemosiniera) in ente morale che, in conseguenza di ciò, poté svolgere azioni amministrative autonome dal punto di vista gestionale e contabile fra le quali quelle essenziali riguardanti l’acquisto di un terreno per l’ospizio e la richiesta di finanziamenti al Ministero dell’Interno [7].
Come risulta dalla documentazione conservata in archivio, l’attività di raccolta di risorse finanziarie si intensificò a livello locale e ministeriale, fra enti privati e pubblici. Nella risposta del prefetto alla domanda di sussidio avanzata dal presidente dell’Eomm [8], questi specificava che il Ministero non poteva provvedere, benché si dimostrasse favorevole ad esaminare la richiesta di sovvenzione qualora l’ente avesse contratto un mutuo per la costruzione. Per avviare le attività relative ai soggiorni, il presidente del comitato consegnò l’avanzo di bilancio del precedente comitato ad Antonio Bucci, nuovo presidente dell’Eomm; tale avanzo ammontava a 58.500 lire [9].
In base a un resoconto del 1929, redatto dal presidente dell’Eomm, la scelta della località sulla collina di Castel Raniero corrispondeva a una serie di criteri geografici e logistici (distanza di cinque chilometri e strada percorribile, nonché una superficie di 3,5 ettari di terreno di cui tre di castagneto). Al suo interno, l’edificio aveva una capienza di 70 letti, compresi quelli per il personale e l’infermeria; la struttura dei locali (refettorio, verande, servizi e bagni) era di modeste dimensioni, pur permettendo un futuro ampliamento. Nell’intento di garantire l’apertura annuale (e non solo stagionale, estiva), si prevedevano serrande doppie e anche un impianto di riscaldamento. Si progettava la costruzione della casa del custode e di una stalla annessa per assicurare l’approvvigionamento del latte. Il comitato intraprese la costruzione dell’ospizio senza disporre dell’intera somma prevista che, con l’acquisto del terreno e della casa del custode, ammontava a 950.000 lire. Disponendo della metà circa dell’importo, 500.000 lire, il comitato contava su ulteriori 250.000 lire, raccolte grazie alle offerte dei concittadini, mentre avrebbe richiesto le restanti 200.000 lire all’Onmi. Questa copertura finanziaria consentì all’ente l’apertura estiva [10].
I primi soggiorni dei bambini nella colonia montana di Castel Raniero cominciarono ad essere organizzati nel 1935, prima del termine dei lavori di costruzione [11], e continuarono fino all’estate del 1943.
La storia della colonia di Castel Raniero fu attraversata dalle pratiche educative del fascismo: come si legge in un articolo pubblicato sul «Corriere Padano. Corriere di Faenza», il 25 luglio 1935, la giornata si svolgeva fra attività, pasti nutrienti e riposo:
Sveglia alle 7 e recita di preghiere, poscia pulizia, alza bandiera, visita sanitaria, ginnastica, colazione con caffè, latte, gioco, cultura fascista, letture ricreative, corrispondenza famigliare, cura del sole, bagno e doccia, ricreazione, riposo, gioco, pulizia, pranzo composto di minestra asciutta o in brodo o di pietanza sempre in abbondanza, e tutto viene consumato e varia ogni giorno, dopo il pranzo ricreazione, alle 13 riposo. Dopo il riposo, pulizia, cura del sole ed esercizi ginnastici, merenda composta di pane con marmellata o cioccolata, frutta, gioco, passeggiata, pulizia, ammaina bandiera, cena composta sempre di minestra, pane, affettato o formaggio, quindi gioco, pulizia, preghiera e riposo [12].
Nel progetto di “pedagogia totalitaria” del fascismo, le colonie, al pari della scuola, contribuivano a formare il “nuovo bambino” ai valori del regime [Mira, Salustri 2019; Pivato 2023]. Basti ricordare che il completamento dell’edificio, secondo alcune fonti, avvenne grazie alla donazione di Mussolini che si recò in visita nella colonia di Faenza nel 1938 [Capitanio 2015, 269].
In quegli anni, infatti, gli specialisti consideravano i soggiorni estivi come l’antidoto principale allo sviluppo delle patologie infantili (causate dalla mancanza di alimentazione corretta e di esposizione all’aria aperta). Il beneficio procurato dal soggiorno nelle colonie marine e montane venne enfatizzato a livello nazionale sulla rivista «Acta Medica Italica» dal medico G. Bianchi, il quale considerava la tubercolosi «una malattia sociale» [Bianchi 1935, 38-58]. Egli riportava l’alta percentuale del 55% di bambini affetti da tubercolosi residenti soprattutto in un contesto urbano, illustrava le misure adottate in Italia con particolare riferimento all’apertura di asili diurni sulla costa tirrenica, in Toscana, per passare alle colonie romagnole e soffermarsi sul benessere psico-fisico dovuto all’elioterapia.
Nel discorso del medico non c’era attenzione al programma disciplinato di cura e educazione che inquadrava la vita dei bambini durante il soggiorno e che diventò un momento importante di indottrinamento fascista. In genere, le diverse misure volte al miglioramento della salute dei bambini venivano considerate parte integrante dell’educazione morale del fanciullo e con il passare degli anni il soggiorno negli ospizi montani andò a costituire un’alternativa importante rispetto al soggiorno marino.
Durante la Seconda guerra mondiale a livello nazionale le attività degli ospizi marini furono quasi interamente sospese e il soggiorno nella colonia montana di Castel Raniero si interruppe.
3. La ricostruzione della colonia semidistrutta di Castel Raniero nell’immediato dopoguerra
Durante gli anni di guerra l’edificio della colonia di Castel Raniero fu adibito provvisoriamente ad ospedale civile di Faenza (dal giugno del 1944 al gennaio 1945), essendovi rimasti letti, mobilio e attrezzatura di vario genere utili al ricovero e alle cure dei malati. L’edificio fu poi danneggiato nella sua struttura dai pesanti bombardamenti e gran parte dei suoi arredi e delle sue attrezzature andarono dispersi. Dopo la fine della guerra, l’Eomm procedette al reclamo degli oggetti rimasti integri e indebitamente trasferiti dalle Opere pie ma, in ogni caso, fino all’estate del 1950, nessun bambino fece ritorno alla colonia per il soggiorno estivo.
Nell’immediato dopoguerra la ripresa dei soggiorni in colonia e la loro organizzazione si collocano nel contesto della ricostruzione e del processo di democratizzazione che fu avviato dalle forze cattoliche. Negli anni della prima fase dell’Italia repubblicana, a Faenza il clima politico rispecchiò i dati del referendum a favore della Repubblica del 2 giugno 1946 e delle elezioni politiche del 18 aprile 1948 [13] [Cent’anni di attività 1977, 18]. Il mondo cattolico continuò a essere predominante nell’impegno profuso a favore dell’assistenza alla popolazione come peraltro si era verificato già dagli anni della Grande guerra [Comitato diocesano, 1985]. In città ripresero ad operare immediatamente le associazioni per la gioventù come l’Associazione scout cattolici italiani (Asci) dopo gli anni di clandestinità, ma nacque anche il gruppo dell’Agi (Associazione guide italiane). Il 19 giugno 1945 per iniziativa di Laura Vignoli e di un gruppo di donne cattoliche sorse la sezione del Centro italiano femminile (Cif) con sede in via Severoli (poi in corso Garibaldi). La collaborazione del Cif con il Comitato vescovile divenne più stretta e, benché si prevedesse il coinvolgimento delle donne dell’Unione donne italiane (Udi) per qualche iniziativa, gli attriti fra i due gruppi non diedero i risultati sperati. L’Azione cattolica aiutò i suoi aderenti ad animare le attività dei nuovi organismi democratici, politici, sindacali e sociali [Cent’anni di attività 1977, 17-18; Garavini 1994-95, 120-133].
In questo contesto furono le forze cattoliche a distinguersi per un grosso impegno nella gestione della colonia di Castel Raniero di Faenza; come in altri casi, esse cercarono di controllare la formazione delle giovani generazioni [Fincardi 1998, 97-151], benché non fossero le uniche ad essere mosse da una vocazione pedagogica. Ricordiamo infatti che il contesto nazionale era segnato dalla presenza di altre istituzioni destinate all’accoglienza e all’assistenza dell’infanzia traumatizzata dalla guerra, grazie allo sviluppo di strategie educative laiche, ispirate prevalentemente ai principi dell’attivismo [Betti 2022, 145-168]. Tuttavia, la circolazione di queste idee pedagogiche non riguardò la colonia di Faenza che, negli anni postbellici, rimase ancorata al retaggio del passato.
Lo studio della documentazione conservata nel fondo d’archivio dell’Eomm (carteggi, resoconti generali o dettagliati, planimetrie e contabilità) permette infatti di formulare l’ipotesi secondo la quale le modalità di funzionamento della colonia erano legate alla mancanza di riforme nel campo dell’assistenza nel periodo repubblicano (Inaudi 2010). In altre parole, l’ente gestore di questa colonia non fu in grado di affrancarsi dalla tradizione assistenziale ereditata dal passato, poiché, come diremo, la penuria di finanziamenti statali ne segnò una possibile evoluzione.
In attesa che l’Eomm potesse ricominciare ad organizzare i soggiorni nella colonia per i bambini faentini appartenenti alle categorie più deboli, dal 1° luglio 1945, ricominciò l’attività della colonia diurna elioterapica di piazza d’Armi di Faenza organizzata dal Comitato locale della Croce rossa. Già aperta dagli anni precedenti la Grande guerra, era stata rilanciata all’inizio degli anni Trenta, in quanto veniva caldeggiata dai medici locali per due motivi: da un lato per il risparmio dovuto alla prossimità, dall’altro per i benefici dell’allontanamento temporaneo dei bambini dalla famiglia, anch’esso considerato positivo per il loro sviluppo morale [Piccinini 1935, 55-64].
Questa colonia, nota anche come tendopoli elioterapica della Croce rossa, coinvolgeva una trentina di bambini e bambine di età diversa [14].
Le rarissime fotografie conservate dall’Archivio fototeca manfrediana raccontano visivamente una vicenda che emerge in modo assai frammentario nelle fonti documentarie [Dussel 2013]. Si trattava di una colonia organizzata nel campo sportivo situato in piazza D’Armi (oggi parco cittadino) e che si serviva di una tenda per il riposo pomeridiano dei bambini, oltre che per riporvi l’attrezzatura. Alcune fotografie riprendono il ritrovo dei bambini di fronte alla sede della Croce rossa, in via Severoli. Accompagnati dalle crocerossine e dalle vigilatrici, passando per via Cavour e corso Mazzini, si recavano a piedi fino a piazza D’Armi. In altre fotografie i bambini sfilano a coppie con un’uniforme: le bambine vestite di bianco, i bambini con salopette e camicia bianca. Oltre alla passeggiata e alle attività all’aria aperta, i bambini potevano giocare insieme per far ritorno nel tardo pomeriggio dopo un pasto frugale. Nelle fotografie non si scorgono macerie della città, ma il passaggio dei bambini fra gli edifici integri, simbolo dell’inizio della vita democratica. Dagli scorci degli edifici indenni, inquadrati dalle immagini, non è possibile intuire se i bambini più grandi proseguissero la passeggiata verso la collina di Castel Raniero.
All’edificio della colonia di Castel Raniero semidistrutta fanno riferimento molti verbali dell’Ente ospizi marini e montani. Due verbali consegnati da parte del Comune all’Eomm indicano che le perdite di quest’ultimo erano state ingenti. Nel primo verbale di consegna del 15 maggio 1945 si precisa che «i locali dell’Ospizio montano furono occupati prima dai tedeschi, subito dopo l’8 settembre, poi dal Fascio indi dall’Istituto Artigianelli, poi dai Tedeschi ancora, poi dall’Ospedale civile per gli infermi di Faenza, poi saccheggiato in seguito all’invasione» [15].
Il patrimonio dell’Eomm era costituito dall’edificio e da una casa colonica purtroppo colpiti dalle incursioni aeree belliche. A questo si aggiungeva anche una somma in contanti. Per quanto riguarda il terreno, esso era stato dato in affitto al custode in base a un contratto che prevedeva il versamento di un canone, la cessione all’ente del raccolto (dieci quintali di grano) e il pagamento delle imposte. Infine vi era costituito il mobilio e il corredo che, a causa della temperie bellica (distruzione, saccheggi e rapine), si trovava presso la Congregazione di carità di Faenza (370 lenzuola usate, 71 coperte di lana, 61 materassi di crine vegetale, una scrivania e un attaccapanni entrambi in noce). Anche diversi pezzi del corredo e utensili erano andati dispersi: 30 materassi erano stati prelevati dal Comune di Faenza e altri dieci dai fascisti; del padellone in rame si era appropriato l’aiutante maggiore dell’Onb, altri pezzi del mobilio furono requisiti o distrutti dalla brigata nera fascista [16].
Nel secondo verbale del 30 marzo 1946, consegnato al nuovo commissario prefettizio dell’ente, Giorgio Ghetti, risulta che fu restituita la documentazione relativa al bilancio: il libro contabile di 6.660,55 lire, un registro relativo agli anni 1931-1944; due libretti della Cassa di risparmio e della Cassa popolare, i bilanci consuntivi dal 1931 al 1943 e infine, una copia dello statuto redatto nel 1927 (e approvato nel 1928) [17].
Nell’immediato dopoguerra la ripresa delle attività poteva quindi contare su un’esigua somma e sulla presenza di uno statuto risalente agli anni del regime. Quest’ultimo non sembrò preoccupare l’Eomm, giacché la priorità fu data naturalmente al bilancio [18]. Rimasto in vigore fino al 1956, lo statuto del 1928 poneva al centro dell’attività della colonia la cura dei bambini poveri, senza dedicare una particolare attenzione al progetto educativo; dalle pratiche di cura scaturiva l’interiorizzazione di norme culturali e sociali, che ovviamente cambiarono dopo il 1945.
Per poter ricominciare a organizzare i soggiorni a partire dalle stagioni estive successive, unico vero rimedio per migliorare le condizioni di salute dei bambini, occorreva sia un rinnovo dell’amministrazione che la ristrutturazione dell’edificio della colonia, ma si trattava di compiti di non facile soluzione. Per quanto riguarda la presidenza dell’Eomm, fu nominato un commissario provvisorio, come era accaduto anche per i comitati provinciali dell’Opera nazionale maternità e infanzia. Quanto al ristabilimento della situazione finanziaria, l’Eomm ricorse alla soluzione attinta dalla cultura assistenziale ottocentesca che faceva appello al buon cuore dei benefattori locali: dal maggio 1946 il commissario sollecitò innumerevoli iniziative di raccolta di risorse fra gli 80 soci e fra tutta la popolazione faentina [19].
Anche le Opere pie raggruppate da cui dipendeva l’ospedale (che era stato trasferito nella colonia) furono interpellate per un indennizzo [20]. Queste ultime non furono in grado di contribuire in modo concreto fino al 1949, a causa del dissesto finanziario che aveva colpito tutti gli enti locali. Fra le carte d’archivio delle Opere pie sono presenti lettere nelle quali si dispone di versare un indennizzo non appena la situazione fosse migliorata; sono conservati anche diversi elenchi di oggetti e materiali inventariati. Si tratta di attrezzature e materiali (tavoli di legno, brande metalliche e vestiario) prelevati indebitamente durante lo sgombro dell’ospedale che dovevano essere restituiti al legittimo proprietario (l’Eomm). Anche il vestiario dei bambini (grembiuli bianchi, tute e cappelli) poteva ancora servire per proteggere dal freddo. Vi erano poi altri oggetti (tavole della Gil e una pompa centrifuga) depositati presso l’ospedale civile, che furono consegnati al presidente del Comitato della Croce rossa Domenico Silvestrini per la colonia elioterapica [21].
La situazione migliorò solamente nel corso del 1949, allorquando, a fronte di una richiesta di 100.000 lire inoltrata a titolo risarcitorio dal presidente dell’Eomm in una lettera del 16 maggio 1949, il presidente delle Opere pie raggruppate Guglielmo Donati dispose il pagamento di una somma di 75.000 lire per il mobilio di cui erano entrati in possesso l’ospedale civile, gli istituti educativi femminili e l’orfanotrofio maschile durante la guerra [22]. Non c’è spiegazione per i restanti 25.000 lire di debito, ma è probabile che Donati ritenesse che la restituzione potesse compensarli.
Per quanto riguarda la tipologia dei bambini assistiti, occorre notare che l’Ente ospizi marini e montani presentava un funzionamento caratterizzato da alcuni aspetti specifici del caso faentino differenti rispetto alla riorganizzazione dell’assistenza sociale realizzata in quel periodo in altre città italiane [Inaudi 2015, 199-203]. Infatti, avendo l’Eomm finalità di accoglienza estiva diverse dal ricovero, che invece avevano ad esempio le istituzioni per gli orfani, non avrebbe dovuto essere gestito dall’Ente comunale di assistenza (Eca) che, in base al decreto regio del 19 maggio 1939, fu incaricato a livello nazionale della gestione delle Opere pie di assistenza e beneficenza senza finalità di ricovero [23]. Tuttavia, l’Eca, oltre ad occuparsi delle altre Opere pie di Faenza, intervenne anche per gestire l’assistenza dei bambini poveri, in particolare per i soggiorni marini, in attesa che riprendessero quelli montani. L’Eca fu infatti incaricato di organizzare la campagna estiva di ammissione al soggiorno in colonia di una categoria particolare di bambini in età compresa fra i sette e i dieci anni (figli di reduci e partigiani, sinistrati e danneggiati di guerra), come risulta da un elenco del 1° luglio 1946 inviato all’Eca dal delegato provinciale dell’Assistenza post-bellica, Francesco Torre, contenente le domande di ammissione di dieci bambini alla colonia di Cervia [24].
All’Eca, per il soggiorno in colonia, giunsero anche molte richieste da parte di quelle famiglie i cui bambini non rientravano nella categoria sopracitata. Con molta probabilità la notizia della gestione dell’Eca si era sparsa fra la popolazione; per questo motivo, molte madri presero carta e penna e scrissero a questo ente, al quale si erano rivolte già in passato per varie esigenze. Nelle lettere scritte spesso con grafia incerta, le madri chiedevano che venissero accolti i figli per le cure marine, facendo riferimento ai certificati medici e indicando talvolta in modo esplicito le patologie di cui soffrivano i propri figli come, ad esempio, gracilità curata presso il dispensario antitubercolare, pleurite, problemi alle ghiandole, rischio di meningite cerebro-spinale con ricovero a Monte Catone per malattie polmonari. Le madri indicavano inoltre le condizioni di famiglia, nonché la tragica sorte del padre disperso o fatto prigioniero, con la precisazione del possesso del libretto di povertà e assistenza delle Opere pie; in alcuni casi si trattava di famiglie numerose con dieci figli a carico, di invalidità stessa della madre o di gravidanza in corso, oppure lamentavano la mancanza della casa, andata distrutta in seguito ai bombardamenti del 13 maggio 1944 [25].
Il timore che la quantità delle domande di soggiorno potesse superare le disponibilità spinse l’Eomm a scrivere ad enti religiosi della provincia, rivelando una continuità con pratiche già in voga durante il Ventennio, quando anche le istituzioni religiose e laiche avevano aperto le porte per organizzare soggiorni simili a quelli estivi delle colonie. Infatti, durante gli anni di guerra, la Casa di educazione di San Martino di Lugo aveva ospitato alcuni bambini poveri per un breve soggiorno estivo. Si trattava dell’Opera assistenziale e educativa Don Galassini nella quale si accoglievano i bambini con più di 12 anni [26]. Pur essendo impropriamente denominata “colonia”, si trattava di un istituto che era solito ospitare anche un’esigua quantità di bambini per brevi periodi in mancanza di posti nelle colonie vere e proprie.
Queste pratiche diffuse spiegano anche la presenza della missiva del parroco della chiesa arcipretale di Castiglione (Forlì-Rovere), rivelatrice di una soluzione interessante di soggiorni organizzati da istituzioni religiose o privati cittadini. In una lettera del 7 giugno 1946 il parroco scriveva all’Eca, informando che le suore francescane, non avendo posto per un bambino, lo avevano indirizzato «ad una famiglia che tiene anche bimbi a pensione in una casa a Porto S. Mauro a Mare. La retta è di 200 lire al giorno più 20 kg di farina per un mese (occorrono anche le tessere). Più di dieci bimbi al turno non possono accettare» [27]. Una fonte che può essere considerata «eccezionale normale» [Grendi 1977, 512], poiché, per far fronte a molte richieste, erano emerse anche altre soluzioni alternative per il soggiorno dei bambini, rivelatrici di iniziative di welfare locale assai peculiari nella misura in cui si basavano sulla coesistenza di pubblico e privato.
La ripresa dei soggiorni nella colonia di Castel Raniero si faceva pertanto più urgente e richiedeva in primis la ristrutturazione dell’edificio. Le azioni di ricovero e assistenza ebbero sicuramente un’eco importante fra la popolazione faentina, nell’attesa, alcune giovani ragazze cominciarono, infatti, a scrivere brevi lettere per trovare un’occupazione stagionale come vigilatrici.
4. Le domande delle vigilatrici in vista dei soggiorni estivi
Fra la documentazione dell’Ente ospizi marini e montani è conservato un fascicolo di domande che, dall’inizio di maggio alla metà di giugno del 1946, furono spedite da parte di giovani donne al commissario prefettizio dell’Eomm e al presidente dell’Eca, per richiedere l’assunzione come vigilatrici. Si tratta di fonti rare e preziose per ricostruire non solo le fasi del ritorno alla vita democratica, ma anche i percorsi di formazione professionale di giovani donne che confidavano in un impiego per contribuire al mantenimento della famiglia.
Nelle missive le autrici descrivevano sia il titolo di studio che l’attività svolta nel settore dell’insegnamento, sebbene alcune vantassero già un’esperienza come vigilatrici. Con molta probabilità, queste ultime avevano già lavorato nelle colonie del regime e, negli anni precedenti, si erano senza dubbio formate sulla guida scritta da Laura Marani Argnani, Per le vigilatrici delle colonie climatiche, pubblicata nel 1939 e assai diffusa all’epoca [Salustri 2021, 207-217].
Le diverse domande permettono di indagare il tipo di condizione e di formazione delle ragazze e possono essere suddivise in due gruppi principali, a seconda che le mittenti si limitassero a far menzione della condizione sociale, oppure descrivessero anche il possesso di un titolo di studio e dell’esperienza trascorsa. Nelle domande del primo gruppo si rifletteva il dramma degli anni vissuti durante il regime e lo sconforto della miseria che stavano provando. Colpiscono la richiesta di una madre che chiedeva di assumere la figlia come vigilatrice o come aiutante, senza specificarne la formazione; o quelle di orfane di guerra, talvolta con la madre anziana superstite a carico, talaltra con la famiglia di sei figli, e spesso anche con la casa danneggiata; vi si rintraccia, ad esempio, la domanda della figlia di un reduce tornato di recente; un’altra donna ancora, con la licenza della scuola di avviamento, versava in stato di bisogno, orfana di madre e con il padre prigioniero in Sudafrica dal 1942.
Nel secondo gruppo di vigilatrici con l’abilitazione magistrale, due avevano il diploma di vigilatrice ed avevano avuto un’esperienza nella colonia montana di Castel Raniero e nelle scuole del Borgo Durbecco; una maestra aveva partecipato alla colonia organizzata dalla Croce rossa di Faenza nel 1945; un’altra, rimpatriata dall’Africa italiana dal 1942, aveva la licenza di terza della scuola di avviamento industriale. Fra quelle con abilitazione magistrale ed esperienza di vigilatrice, una aveva frequentato il corso di crocerossina presso l’ospedale militare di Faenza e scriveva: «sono stata vigilatrice alla colonia di Marina di Ravenna (25 maggio 1946)»; un’altra «insegnante elementare, figlia d’invalido di guerra [….], trovandosi in disagiate condizioni economiche, fa domanda per essere assunta quale assistente nella prossima colonia estiva organizzata da codesto Ente […], ho già partecipato nell’anno 1945 alla colonia organizzata dalla Croce Rossa di Faenza»; in possesso di «licenza tecnica superiore, faccio domanda per essere ammessa come vigilatrice […], il capofamiglia è reduce da 45 giorni (e) non ha ancora trovato lavoro»; «in possesso di diploma di maestra […], sono mossa a fare tale domanda dalla situazione precaria in cui mi trovo, avendo la mamma inabile al lavoro e una sorella quasi sempre ammalata»; «profuga dalla Dalmazia volgo rispettosa domanda per essere assunta come sorvegliatrice in qualche colonia montana o marina. Inoltre faccio presente che a Zara ho frequentato il corso di crocerossina presso l’ospedale militare di suddetta città» [28].
Queste lettere sono rivelatrici di una professione femminile che aveva costituito un’esperienza di lavoro già durante il regime; esperienza che offriva altresì l’opportunità di fare i primi passi di quell’emancipazione di genere vissuta in una prima e fondamentale tappa rappresentata dal diritto al voto. Non è possibile seguire i percorsi professionali e sapere quante siano state assunte come vigilatrici del Centro italiano femminile che dal 1948 subentrò nella gestione della colonia di Castel Raniero; non è dato inoltre sapere, allo stato della ricerca, se il Cif, che stava svolgendo opera di formazione civica, desse la precedenza a una nuova generazione di vigilatrici di fede democratica, facendo svanire la speranza di trovare un impiego stagionale a quelle più esperte e che per motivi anagrafici, prima della guerra, si erano trovate a dover indottrinare i bambini in base ai principi del fascismo.
5. Richieste di aiuto tra beneficenza locale, istituzioni nazionali e Unrra
Nella primavera del 1946 il commissario dell’Eomm di Faenza avviò la ricerca del finanziamento necessario per la ristrutturazione dell’edificio e l’organizzazione dei soggiorni, operando in stretta continuità con il passato. Va osservato che non c’erano altre soluzioni giacché, negli anni postbellici e nel primo decennio di storia repubblicana, questa continuità di pratiche può essere interpretata alla luce della mancata riforma del welfare a livello nazionale [Inaudi 2020]. Infatti da un lato il commissario dell’Eomm faceva appello ai benefattori per finanziare gli interventi sociali a livello locale (ai concittadini e alle istituzioni del luogo di vario genere) secondo la tradizione assistenziale ottocentesca fondata sulla beneficenza, dall’altro intratteneva corrispondenze con enti del territorio e nazionali che passavano per il prefetto di Ravenna; quest’ultimo interveniva per mediare e rilanciare le richieste agli enti nazionali, fungendo, come in passato, da intermediario per il processo burocratico di collegamento locale-nazionale. Si trattava infatti di una sorta di paradigma del funzionamento locale delle colonie del fascismo che rifletteva la relazione caratteristica fra periferia-centro [Salustri 2019, 45].
Nel fondo d’archivio dell’Eomm è conservata una ricca corrispondenza tra l’ente e una serie di destinatari (pubblici o privati), sollecitati e implicati nel processo di finanziamento che non poteva ancora contare su contributi dello Stato oppure del Comune. Oltre alle richieste ai privati cittadini per un impegno nelle opere di beneficenza, l’ente interpellava le istituzioni pubbliche a livello locale (altri enti assistenziali e/o enti bancari) e, a livello nazionale, il Ministero dell’Interno per mezzo del prefetto di Ravenna; fra i destinatari delle corrispondenze, dall’autunno del 1946, figurava anche l’Amministrazione delle Nazioni Unite per l’assistenza e la riabilitazione (United nations relief and rehabilitation administration, Unrra), con i suoi comitati nazionale e provinciale.
Per quanto riguarda la richiesta di raccolta fondi a livello territoriale, dal mese di maggio 1946, il commissario dell’Eomm fece pubblicare un appello sui quotidiani «Lamone», «Piccolo», «Socialista», «Azione Democratica» e «Bandiera Rossa» per sollecitare le azioni di buon cuore da parte della cittadinanza. A favore della colonia di Castel Raniero, il 27 maggio del 1946, venne anche diffuso un volantino di sottoscrizione, firmato da Giorgio Ghetti, nuovo commissario prefettizio dell’Eomm, nel quale egli affermava che dopo due anni di forzata sospensione di ogni attività, l’ente riprendeva «la sua missione umanitaria a beneficio dei fanciulli poveri e bisognosi di cure». Si insisteva sulle conseguenze della guerra passata che aveva lasciato «impronte dolorose specialmente sui bimbi poveri e gracili che ne porteranno per tutta la vita le terribili conseguenze se non si corre ai ripari con cure pronte ed adeguate». Per questo motivo, «l’Ospizio Montano, costruito sul colle di Castel Raniero, anch’esso deturpato dagli eventi bellici, sorgerà ancora per offrire ai bimbi deboli, malaticci e poveri tutti quei conforti che natura elargisce e scienza suggerisce». Per rilanciare le attività a favore della giovane generazione, occorreva «la cooperazione di tutti coloro che possono. Nessuno deve mancare al nostro appello, fatto nel nome della solidarietà umana e della carità fraterna» [29].
Il commissario dell’Ente ospizi marini e montani si indirizzò anche al Ministero dell’Interno, per mezzo del prefetto di Ravenna, in una lettera del 31 maggio 1946 nella quale scriveva che prima della guerra l’ente morale offriva cure climatiche estive al mare ed in montagna, ma dopo il passaggio e la permanenza del fronte, le sue risorse finanziarie erano state decimate e l’ospizio montano era stato reso inabitabile dai bombardamenti. Il Commissario continuava:
Nella città vi sono numerosi bambini che, per le privazioni subite durante la guerra e dopo, si trovano in condizioni fisiche assai menomate con evidenti gracilità, linfatismo, e anemia molto pronunciata, fatti che predispongono alle tubercolosi. Tali bambini, se non sorretti a tempo con cure adeguate, cresceranno poco robusti e poco atti al lavoro, se anche non diverranno di grave peso per la società [30].
Il commissario stesso chiedeva di andare incontro ai bambini poveri poiché avrebbe voluto inviare in colonia 200 bambini, divisi in pari numero fra mare e monti; la retta individuale di 200-250 lire al giorno richiesta dagli istituti implicava una spesa totale di più di 20.000 lire [31].
In una lettera del 18 novembre 1946 Il commissario prefettizio scriveva che il Comune, le Opere pie e l’Eca non erano in grado di contribuire al finanziamento poiché, in seguito alla sosta del fronte, avevano scarse disponibilità. Egli chiedeva che «lo Stato, per mezzo degli ex organi della GIL e del Patronato di Maternità e Infanzia, contribuisse in quest’opera di pietà e solidarietà umana» [32]. Per inviare 200 bambini al mare, occorreva prevedere una spesa totale di 50.000 lire (calcolati su una retta individuale di 250 lire); contando sull’alloggio gratuito nell’ex colonia di Marina di Ravenna e di rimettere in efficienza l’ospizio montano, chiedeva al Ministero dell’Interno la somma di 1.300.000 lire [33].
La risposta non fu immediata e la corsa contro il tempo per garantire un soggiorno estivo nel corso del 1946 spinse il commissario a scrivere un’altra lettera, il 19 giugno, indirizzata al presidente delle Opere pie della città, lettera che però non fu inviata poiché si considerò che fosse già assorbito dalla gestione dei propri istituti [34].
Invece, nell’attesa di risposta a una lettera inviata al Ministero dell’Interno il 31 maggio dello stesso anno, il commissario prefettizio dell’Eomm ricorse a un sollecito a livello ministeriale, senz’altro grazie ai canali politici. Nella lettera del 14 agosto 1946, Nicola Perrotti – allora alto commissario aggiunto per l’Igiene e la sanità pubblica (Acis) presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – scriveva al giornalista Aldo Parini del quotidiano «L’Avanti» di aver avvertito il prefetto di Ravenna in merito alla domanda di sussidio per la colonia, riportando la richiesta rivolta all’ente di una più dettagliata informativa [35].
In risposta a ciò, il commissario espresse per iscritto richieste puntuali facendo riferimento alla situazione economica registrata fino ad allora. Egli menzionava innanzitutto l’esiguità dell’avanzo di cassa di 6.660,55 lire del giugno del 1945. L’ospizio montano era stato semidistrutto dai bombardamenti ed occorrevano lavori di riparazione alla struttura per l’importo di 8.820 lire. Aggiungeva che quasi tutto l’arredo e il corredo dell’ospizio montano erano andati perduti (250 letti, 400 materassi, 700 lenzuola, 650 coperte e 350 indumenti per bambini). Fino ad allora i soci si erano prodigati per raccogliere 16.500 lire; l’appezzamento di terreno adiacente all’ospizio (di 2,5 ettari) non era stato produttivo nel 1945, per il 1946 il suo introito si aggirava attorno alle 25.000 lire, che erano destinate alle spese di amministrazione (impiegato e cancelleria) [36].
Contemporaneamente a queste richieste, il commissario prefettizio dell’ente, con una lettera del 17 aprile 1946, si era rivolto al Comitato provinciale dell’Unrra chiedendo aiuto per salvaguardare la salute dei bambini. La gravità e l’urgenza della situazione gli imponevano uno stile telegrafico: «l’unico edifico: l’ospizio Montano di Castelraniero è semidistrutto, i beni mobili completamente perduti; risorse finanziarie: nessuna» [37]. Il commissario sottolineava che l’Eomm aveva lo scopo di offrire la cura gratuita al mare o in montagna ai fanciulli «affetti da gracilità, rachitide, scrofolosi, o predisposti alla tubercolosi» [38]. In vista dell’estate del 1947, il nuovo presidente dell’ente Vincenzo Zucchini, pur lamentando la mancanza di risorse, informò di aver deliberato la formazione di una Commissione medica per la visita dei fanciulli poveri e malati da inviare al mare o ai monti [39].
La corrispondenza con l’Unrra fu altrettanto intensa. Nella lettera che il commissario stesso preparò per il segretario generale dell’Unrra il 20 maggio 1946, descriveva gli scopi dell’ente e reiterava le conseguenze della guerra sull’edificio e sulla riduzione del bilancio. Ribadiva, inoltre, che nella città «vi sono numerosi bambini che, per le privazioni subite durante la guerra e dopo, si trovano in condizioni fisiche assai menomate con gracilità, linfatismo, anemia molto pronunciata, fatti che predispongono alla tubercolosi» [40]. Ghetti richiedeva, infine, aiuto per inviare 200 bambini al mare ed in montagna e precisava che gli istituti religiosi esigevano una quota giornaliera di 200-250 lire per bambino; la città non poteva impegnarsi nelle opere di carità poiché era stata colpita anch’essa dagli eventi bellici.
Il commissario dell’Eomm estese la richiesta di aiuto anche al Comitato provinciale dell’Unrra, il 2 settembre 1946, affermando di averla inoltrata anche al segretario generale, a Roma, «affinché volesse porgere soccorso con mezzi finanziari, di arredamento, e alimentari a tanti bimbi indigenti, malaticci, e bisognosi di cure al mare e ai monti» [41]. Non avendo ricevuto risposta fino a quel momento, ripeteva di non aver potuto organizzare le colonie marine e montane come aveva fatto fino al 1943 per le seguenti cause: impossibilità di utilizzare l’edificio reso inabitabile dai danni bellici, esiguità del bilancio disponibile (di 6.660,55 lire) e mancanza delle donazioni dei soci ordinari e benemeriti in seguito agli anni di guerra [42]. A livello nazionale, fu avviato il dibattito fra le forze politiche a proposito dell’assistenza sociale. Tuttavia, il convegno di Tremezzo (16 settembre-6 ottobre 1946), organizzato con il concorso dell’Unrra e del Ministero per l’Assistenza post-bellica, non produsse effetti immediati [Inaudi 2010, 86]. A livello locale, la situazione rimaneva immutata.
Nondimeno, il commissario prefettizio dell’Eomm sperò di poter contare sull’Unrra e insistette col prefetto della provincia di Ravenna, presidente del Comitato provinciale della delegazione del Governo italiano per i rapporti con l’Unrra. In una lettera del 27 novembre 1946 il prefetto Giacomo Omodeo Salè informava che una commissione – formata da Miss Mary Gibbons, dell’Ufficio distrettuale di Bologna, e dal direttore dell’Ufficio provinciale dell’Assistenza post-bellica – si era recata a Faenza per ispezionare l’edificio della colonia dell’Eomm, descrivendo in questo modo la situazione:
I danni rilevanti, che giustificavano l’ammontare ingente del preventivo di ricostruzione, sono conseguenza del fatto che l’immobile sorge nel settore del Senio, in una zona largamente minata. Infatti, dalla relazione ufficiale del Quartier Generale dell’AMG (11 luglio 1945-no RIX/HQ/I), risulta che Faenza ha subito una distruzione del 60% degli immobili, una decurtazione del 50% del bestiame, oltre a vastissime plaghe minate nelle zone del Senio. Oltre a ciò, è da ricordare lo sfollamento generale della zona che, ordinato dai tedeschi, permise agli stessi l’asportazione sistematica di ciò che era asportabile [43].
La commissione stava in realtà progettando l’apertura di una casa di rieducazione professionale per 200 minorenni bisognosi, feriti e minorati di guerra, ma l’insistenza del prefetto sulla ricostruzione dell’edificio della colonia ci restituisce ulteriormente l’importanza attribuita a Castel Raniero. La sua collina, simbolo di una zona che era stata teatro di una delle più cruente battaglie del Senio, sarebbe diventata luogo per «risanare il corpo e lo spirito di quella parte della popolazione, i bambini», che non avevano colpa per i tragici eventi. Rispetto all’opera di salvaguardia dell’edificio della colonia che rischiava di crollare a causa delle intemperie, il Comitato provinciale proponeva di stanziare una somma pari a dieci milioni di lire per il recupero dell’immobile (il cui valore era stimato in 100 milioni di lire). Il Comitato provinciale di Assistenza post-bellica propose al Ministero dell’Interno di intervenire per la dotazione di tutte le attrezzature necessarie per le spese di gestione e per il mantenimento di 200 bambini [44].
Per realizzare il progetto, si prevedeva la stipula di un accordo che avrebbe permesso un utilizzo dell’edificio non solo a livello provinciale, ma anche per scopi assistenziali più ampi rispetto allo statuto originale della colonia in modo tale da garantire un’apertura annuale. Tuttavia, dopo il sopraluogo effettuato a Castel Raniero, Mary Gibbons, pur costatando i vantaggi sanitari della posizione dell’edificio immerso in un bosco di pini e situato in collina a 200 metri di altitudine, considerò l’opera di ristrutturazione troppo complessa ed esosa e finì per abbandonare il progetto iniziale. Non è possibile sapere come sia stato risolto il problema dei bambini vittime della guerra, ma ulteriori ricerche permetteranno di ricostruire le soluzioni adottate in quegli anni.
A fronte dei reiterati dinieghi e tentativi vanificati dalla mancanza di risorse degli anni postbellici, il presidente dell’Eomm si vide obbligato a cercare altre soluzioni. L’unica risorsa era il Fondo Lire, destinato al finanziamento dei progetti di ricostruzione, ma per essere certi della risposta, egli si rivolse al presidente del Consiglio dei Ministri.
Una lettera del 26 febbraio 1947 indirizzata dal politico democristiano Lodovico Montini (1896-1990), della Presidenza del Consiglio del Ministri-delegazione del Governo italiano per i rapporti con l’Unrra, al dott. Ugo Piazza testimonia che anche la politica fu direttamente coinvolta nell’affrontare il problema della ricostruzione dell’ospizio montano di Castel Raniero. Egli scriveva di non poter:
Svolgere un diretto intervento per la sua realizzazione: la questione deve infatti essere considerata nel quadro generale dei vari progetti di ricostruzione che dal Fondo Lire attendono di essere finanziati. Tutto il problema dell’impiego futuro del Fondo lire è infatti attualmente allo studio, né la sua decisione dipende da questa Delegazione, alla quale è più che altro riservato il compito di fare da tramite tra le Amministrazioni interessate [45].
Vale la pena di ricordare che la figura di Montini è assai complessa, «molto vicina a De Gasperi ma difficilmente collocabile nel gioco delle correnti democristiane; sostenitore di una legittima funzione assistenziale dello stato ma allergico alla burocrazia; fine diplomatico capace di coniugare un assoluto pragmatismo a una visione etica quasi intransigente» [Inaudi 2015, 373]. Non è possibile accertare se il Fondo Lire Erp (Programma di ricostruzione europea, European reconstruction program, Piano Marshall), che disponeva di una somma di 140 miliardi di lire (diventata di 250 miliardi di lire nel 1949), abbia erogato qualche stanziamento a favore dell’ospizio faentino [Missione americana per l’E.R.P. in Italia, 1951] tramite il finanziamento delle iniziative del Cif che dal 1948, come si è già accennato, subentrò nella gestione della colonia.
La ricerca di soluzioni era al centro dell’attività burocratica dei presidenti dell’Eomm che non si diedero per vinti al fine di offrire i tradizionali soggiorni curativi ai bambini faentini più fragili e bisognosi. Il segretario del Comitato provinciale della delegazione del Governo italiano per i rapporti con il Comitato dell’Unrra di Faenza, in una lettera del 27 maggio 1947, scriveva al presidente dell’ente, dott. Vincenzo Zucchini, che si sarebbe recato a Faenza per affrontare la questione delle colonie estive e per prendere accordi con l’Unrra. Riferiva anche che il Cif stava organizzando una colonia a Fognano presso l’Istituto Emiliani per trovare un’eventuale soluzione.
Come emerge dal verbale del Consiglio di amministrazione del 31 marzo 1948, l’Eomm non era in grado di fronteggiare le spese perché, oltre all’edificio e all’appezzamento di terreno, non disponeva di altro. Svanita l’idea del progetto di convenzione con l’Unrra, che tuttavia non era interessato al ripristino della colonia, si profilò un’altra proposta di accordo. Il presidente, con l’approvazione del Consiglio di amministrazione, accolse la proposta del Cif, considerato affidabile nell’allestimento e nella gestione di colonie, di collaborare con l’ente per la ripresa dei soggiorni estivi [46].
6. La ripresa dei soggiorni grazie alla convenzione con il Centro italiano femminile
Per circa due anni, prima di stipulare un accordo con l’Eomm, la sezione faentina del Cif collaborò all’organizzazione dei soggiorni estivi dei bambini dell’orfanotrofio maschile presso l’Istituto Emiliani di Fognano. La quantità dei bambini inviati non era elevata; nell’estate del 1946 si trattò ad esempio dell’invio di dieci bambini orfani nella colonia montana previo pagamento di una retta pro-capite di 100 lire, che avrebbe dovuto essere rimborsata dal Cif oppure dalla Pontificia commissione di assistenza (Pca) [47]. Il Cif non si assunse il pagamento della somma pattuita per le rette dei soggiorni in colonia, che ricaddero in realtà sul direttore dell’orfanotrofio maschile stesso, don Giuseppe Ferretti, il quale si rivolse con molta probabilità all’Amministrazione delle Opere pie [48].
Amministrazione delle Opere pie di Faenza alla quale don Ferretti si indirizzò nuovamente per far accogliere altri tre orfani bisognosi di un soggiorno in alta montagna a Ortisei in Valgardena, per una retta giornaliera di 250 lire; al gruppo di tre ragazzi se ne aggiunse anche un altro in stato di bisogno, ma meritevole per i risultati conseguiti nello studio (una media alta di 8/10 nella scuola media) [49]. Il direttore si preoccupava anche del miglioramento dello stato di salute dei ragazzi, come dimostra una lettera di richiesta particolare, egli proponeva infatti di organizzare una passeggiata fuori dal collegio di Fognano soprattutto per quelli che non erano ancora usciti all’aperto, oltre a richiedere agli Alleati un mezzo di trasporto [50].
La convenzione per l’ospizio di Castel Raniero, approvata definitivamente il 31 marzo 1948 con l’Eomm, dava mandato al Comitato locale del Cif, su approvazione dell’Assemblea generale del 24 aprile 1948, di occuparsi della colonia. Vi si prevedeva che il Cif curasse il ripristino e la gestione unificata per un periodo settennale con decorrenza dal 1° gennaio 1948 fino al 31 dicembre 1954. In base all’accordo, l’Eomm, proprietario dell’ospizio montano, cedeva in affitto al Cif l’immobile inutilizzabile con appezzamento di terreno adiacente (delimitato dalle parti) ad esclusione della casa del custode e dei campi coltivati [51].
Veniva inoltre costituito un Consiglio di vigilanza dell’ospizio formato da sei membri, dei quali tre erano scelti dal Consiglio direttivo dell’Eomm e tre nominati dal Cif. La gestione finanziaria e l’organizzazione interna della colonia erano di pertinenza del Cif, mentre l’Eomm avrebbe dovuto contribuire in base alle sue possibilità. Nella convenzione si legge altresì che «l’opera di assistenza ai bimbi bisognosi svolta fino ad oggi separatamente dai due risulta in tal modo unificata e tale dovrà apparire al pubblico per tutta la durata della presente convenzione» [52]. Fra i vincoli della convenzione, vi era l’attività legata alla diffusione delle iniziative (stampa e diffusione di manifesti, circolari, comunicazioni relative al funzionamento della colonia) che avrebbe dovuto recare l’intestazione congiunta dell’assistenza unificata da indicarsi come Eomm-Cif. Si precisava infine che la colonia avrebbe dovuto mantenere il carattere di istituzione faentina privilegiando i bambini della città, senza escludere quelli della provincia, al fine di avere scambi di posti con colonie marine e sussidi di altri enti [53].
Non è semplice ricostruire le fasi della gestione del Cif della colonia; allo stato attuale della ricerca si può ipotizzare che il Cif ricevesse qualche stanziamento tramite la Poa che dal 1946 riuscì a organizzare «995 colonie per 256.000 bambini. E alla metà degli anni Cinquanta, allorché i fanciulli assistiti ammontano a 1.800.000, circa la metà risulta gestita da enti e associazioni religiose» [Pivato 2023, 30].
Anche la ripresa dei soggiorni di vario tipo si realizzò lentamente, a partire dal 1948, ma la ricerca di soluzioni si rivelò complessa poiché l’ospizio faentino non era ancora in grado di accogliere tutte le richieste. Nel mese di agosto del 1948, il Cif aveva mantenuto e inviato 700 bambini di Faenza nelle colonie marine e montane, ma lamentava la possibilità di realizzare il terzo turno alla colonia estiva di Igea perché i generi alimentari ricevuti dall’Aai (Amministrazione per le Attività assistenziali italiane e internazionali) sarebbero bastati solamente per una settimana [54]. La risposta del presidente dell’Eomm era rivelatrice di tensioni sorte a proposito della gestione della colonia faentina da parte del Cif, che manifestava alcune problematiche. Egli scriveva che l’ente, a fronte di disponibilità minime, aveva stanziato 50.000 lire per i soggiorni, e continuava che il Cif si avvaleva di aiuti (generi alimentari dell’Aai, finanziamenti della Provincia e dello Stato, ecc.); in virtù dell’assistenza unificata, egli riteneva che tali aiuti avrebbero dovuto essere condivisi con l’ente; inoltre non condivideva quanto affermato dal Cif che «l’avvenuta unificazione [avesse] pregiudicato offerte di Enti Pubblici e di privati cittadini» [55].
Come negli anni più difficili, il presidente dell’Eomm continuò a richiedere sovvenzioni alle istituzioni cittadine. Tra le domande vi furono quelle rivolte al Credito romagnolo, al sindaco per un terzo turno di soggiorni estivi e al presidente dell’Eca per il finanziamento dei soggiorni nelle colonie estive. La prima diede esito positivo poiché il Credito romagnolo elargì una generosa somma (di 3.000 lire). Il presidente Vincenzo Zucchini, in una lettera del 10 giugno 1950, si rivolse allora anche al presidente del Monte di pietà per informare che:
L’ospizio montano di Castel Raniero, ricostruito e riattrezzato dopo i gravissimi danni subiti dagli eventi bellici, è stato restituito alla sua piena efficienza e potrà ospitare quest’anno, in tre turni successivi, oltre 400 fanciulli bisognosi di cure montane.
Già prima della guerra l’Ospizio di Castel Raniero era un vanto di questa città, unica nella Romagna in cui esista un Ente pubblico costituito con il fine esclusivo e specifico di ricoverare i fanciulli poveri nelle colonie estive [56].
Malgrado la convenzione di gestione unica con il Cif, egli continuava scrivendo di ritener «naturale e giusto che tutte le risorse e possibilità cittadine tese allo scopo debbano ritornare, come già prima della guerra, a riversarsi su questo Ente» [57].
Negli anni seguenti l’Eca contribuì al finanziamento dell’ospizio montano con una sovvenzione di 100.000 lire al fine di poter garantire i soggiorni e intervenne ripetutamente con lo stanziamento di qualche fondo per permettere l’accoglienza di una quantità più numerosa di bambini.
Nel 1952 fu rinnovato anche il Consiglio di amministrazione dell’Eomm. In base all’approvazione del prefetto, che ribadiva la finalità medica e assistenziale del soggiorno, il Consiglio di amministrazione doveva essere composto di sette membri, compreso il presidente e il vicepresidente. Fra i consiglieri, tre avrebbero dovuto essere eletti dall’Assemblea dei soci, due dal Consiglio comunale, uno dal Comitato per gli orfani di guerra e l’ultimo, il settimo, scelto in base a un accordo fra le associazioni delle madri e vedove di guerra, dei mutilati e invalidi di guerra, ex combattenti; il presidente e i componenti del Consiglio di amministrazione andavano eletti fra i medici [58].
I cambiamenti organizzativi non lasciano trasparire la diffusione di un nuovo modello educativo. Il problema del finanziamento continuò a costituire l’aspetto cruciale per quegli anni; nel bilancio del 1954 si calcolavano più di 78.000 lire di entrate ordinarie patrimoniali e 24.000 lire di beneficenza. L’anno seguente fu concessa la proroga di un anno al Cif che si occupò anche della stagione estiva del 1955 [59]. Infatti, un manifesto diffuso nel 1955 informava che si aprivano «le iscrizioni per la colonia montana di Castel Raniero, per i bimbi di ambo i sessi dai 6 ai 12 anni». Le domande di ammissione dovevano essere compilate e consegnate presso il Cif di Faenza in via Severoli 33, entro il 31 maggio. Erano aperte anche le iscrizioni per le colonie marine del Cif per bambini di ambo i sessi della stessa fascia di età, fino al 31 maggio [60]. Quanto al Cif, emerge da un resoconto sull’attività di questa associazione in Emilia-Romagna, che l’infanzia era stata uno dei settori principali di intervento; con il passare degli anni, anche altre iniziative furono sviluppate a Faenza, come la gestione di asili nido e scuole materne, oltre che l’organizzazione di soggiorni nella colonia marina a Bellaria [Albertazzi 1985, 38; Garavini 1994-95, 127].
Anche il Comune ricominciò a finanziare l’Eomm che riprese in mano la gestione dal 1955 per organizzare i soggiorni in base a turni e per accogliere i bambini di altri enti e addirittura cedere in affitto la colonia per i periodi estivi o autunnali liberi dai bambini inviati dall’ente stesso.
7. Cenni conclusivi
Si è dimostrato come, nel contesto dell’Italia repubblicana dall’immediato dopoguerra alla metà degli anni Cinquanta, la colonia di Castel Raniero riprese lentamente le sue attività. La devastazione bellica fu particolarmente pesante e la criticità della situazione spinse gli enti locali al recupero di diverse soluzioni di cure elioterapiche diffuse in passato, ricorrendo sia alla colonia della Croce rossa (esistente in piazza D’Armi a Faenza) che ai soggiorni presso le istituzioni religiose oppure presso i privati cittadini secondo quanto praticato già dopo la Grande guerra.
A ciò si aggiunge la continuità rappresentata dalla gestione dei soggiorni, esemplificativa di una mancata riforma dell’assistenza sociale a livello nazionale. Basti pensare all’Ente ospizi marini e montani che, mantenendo il prefetto come figura fondamentale nel raccordo con il Ministero dell’Interno e gli altri enti nazionali ai fini della richiesta di finanziamenti, legò imprescindibilmente ogni possibile sviluppo ai rapporti tra centro e periferia. In seguito al fallimento della richiesta di uno stanziamento all’Unrra, la condizione della colonia conobbe un miglioramento solamente in virtù della convenzione stipulata dall’Eomm con il Cif, un’associazione femminile cattolica che in quegli anni si impegnò nel settore dell’assistenza all’infanzia e che si assunse le spese di ristrutturazione e del personale anche della colonia di Castel Raniero. Tale convenzione evidenzia come «il processo di entizzazione in funzione particolaristico-clientelare è individuato come uno dei fattori maggiori di continuità fra il fascismo e lo Stato repubblicano, cui si aggiunge il permanere del nodo non risolto della questione pubblico-privato» [Inaudi 2010, 90].
Un’importante novità fu invece introdotta nelle pratiche assistenziali, pur rimanendo in vigore fino al 1956 il regolamento approvato nel 1928. L’Eomm continuò a inviare una categoria particolare di bambini, ma la nuova funzione assunta dall’Eca nella gestione delle Opere pie della città implicò un ampliamento progressivo del diritto al soggiorno che, negli anni seguenti, venne esteso anche ai bambini di altri enti e istituzioni assistenziali della città.
Nei decenni successivi la storia della colonia continuò ad essere marcata da problemi di manutenzione e ripristino dell’edificio, problemi che compromisero in parte le sue attività, progressivamente, dalla seconda metà degli anni Cinquanta, segnate da un progetto formativo più articolato. Non è questa la sede per approfondire la nuova stagione di sviluppo della colonia di Castel Raniero – per la quale si rimanda ad uno studio specifico in corso di realizzazione – e per mettere in luce quali elementi rientrano nell’evoluzione dei modelli e delle pratiche educative degli anni Sessanta e Settanta [Comerio 2023]. Non vi è però dubbio che la vicenda della colonia di Castel Raniero costituisce una lente privilegiata per guardare all’evoluzione della storia delle colonie del dopoguerra nella loro complessità politico-istituzionale e formativo-pedagogica.
Bibliografia
- Albertazzi 1985
Alessandro Albertazzi, 1945-1985: quarant’anni di vita del Centro italiano femminile in Emilia-Romagna, Bologna, Centro femminile italiano, 1985. - Bassi 2017
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Note
1. Questo articolo è il risultato di una ricerca svolta prevalentemente negli archivi locali nel periodo in cui l’amministrazione era impegnata ad affrontare la situazione di emergenza seguita alla crisi idrogeologica del maggio 2023. L’autrice tiene pertanto a ringraziare in modo particolare la dott.ssa Gabriella Garavini (responsabile del servizio e dell’Albo pretorio) e la dott.ssa Sabina Brandolini (Servizio archivi e protocollo dell’Unione della Romagna faentina); il dott. Fabio Lelli (Sezione Archivio di Stato di Faenza), la dott.ssa Anna Pezzi e la Segreteria (Azienda dei servizi alla persona della Romagna faentina) per la preziosa e paziente assistenza nel reperimento della documentazione utile alla stesura del presente lavoro nel corso dei mesi di aprile-dicembre 2023. Si ringraziano anche Gaetano Asirelli (presidente dell’associazione Adottiamo Castelraniero bene comune Aps, fondata nel 2018), il dott. Lorenzo Campioni per le utili informazioni e l’Archivio fototeca manfrediana (Faenza) che ha concesso l’utilizzo di alcune fotografie.
2. Dopo il 1903, l’opera del medico francese Jacques Joseph Grancher (1843-1907) fu fondamentale per la presa di coscienza della necessità di adottare misure preventive sin dall’infanzia e per la nascita di innumerevoli comitati antitubercolari a livello internazionale.
3. Polo archivistico faentino (PAF), Archivio storico del Comune di Faenza (ASCF), Ente ospizi marini e montani (EOMM), Amministrazione e colonie, b. 1924-1938, fasc. Delibere per l’ospizio montano, Relazione sull’erigendo ospizio montano Vittorio Emanuele III redatta dal presidente Bucci, 1929.
4. In genere, la finalità igienista era preponderante per queste opere e predominava anche nella scuola. Grazie alla partecipazione dell’Italia all’Associazione internazionale di protezione dell’infanzia (Association internationale de protection de l’enfance) si diffuse anche l’idea dell’importanza dell’igiene nelle scuole, le quali dovevano offrire «i servizi integrativi dell’azione famigliare, che è quasi sempre insufficiente alla tutela fisica e morale del fanciullo».
5. PAF, ASCF, EOMM, Amministrazione e colonie, b. 1924-1938, fasc. Prospetto dell’erigendo Ospizio montano Vittorio Emanuele III, Lettera all’Illustrissimo signor regio commissario dell’Opera nazionale per la protezione della maternità e dell’Infanzia inviata dal presidente Bucci, 7 gennaio 1928.
6. Ivi, Statuto organico, 26 luglio 1927.
7. Ivi, fasc. Delibere per l’Ospizio montano da parte dell’Ente ospizi (prima parte) e al Comitato esecutivo pel Monumento ai caduti in guerra (seconda parte), Adunanza del Comitato Esecutivo (per il monumento ai caduti), 24 agosto 1929.
8. Ivi, Lettera al presidente dell’Eomm, inviata dal prefetto Vandelli (facente vece del prefetto Salvatore Del Vecchio), Sussidio per costruzione ospizio montano in Castel Raniero, 26 aprile 1929.
9. Ivi, fasc. Prospetto dell’erigendo Ospizio montano Vittorio Emanuele III (da erigersi in onore dei caduti di guerra), Cessione di capitale da parte del Comitato per l’assistenza civile e religiosa agli orfani di guerra di Faenza all’Ente per gli ospizi marini e montani di Faenza.
10. Ivi, fasc. Delibere per l’Ospizio montano da parte dell’Ente ospizi (prima parte) e al Comitato esecutivo pel Monumento ai caduti in guerra (seconda parte), Relazione sull’erigendo Ospizio montano Vittorio Emanuele III redatta dal presidente Bucci, 1929.
11. Si vedano le fotografie raccolte da Archivio fototeca manfrediana (AFM): https://archivio.fototecamanfrediana.it/scheda/?archID=fotografico&xdamsItem=IT-xDams-fototecamanfrediana-FT0001-001319.
12. La colonia dell’E.O.A. a Castel Raniero visitata dalle autorità cittadine, in «Corriere Padano. Corriere di Faenza», 25 luglio 1935.
13. Nella diocesi di Faenza i risultati delle elezioni a favore della Repubblica furono i seguenti: Dc 9.829 voti; Pci e Psi 13.914, Pri 4.181, Destre 938. Per quanto riguarda le elezioni politiche per la Camera dei deputati: Dc 13.869 voti, Fronte popolare 11.152, Unità socialista 1.625, Pri 3.618, Mon 102, Msi 273, Blocco nazionale 2.016.
14. https://archivio.fototecamanfrediana.it/risultati/?textSearch=colonia&pagina=1.
15. PAF, ASCF, EOMM, b. Atti di amministrazione (1946-1957), fasc. Consegna all’amministrazione 1946, Verbale di consegna dell’Amministrazione dell’Ente ospizi marini e montani di Faenza al Comune di Faenza, 16 maggio 1946.
16. Ibidem.
17. Ivi, Verbale di consegna dell’Amministrazione dell’Ente ospizi marini e Montani di contanti e materiale amministrativo di pertinenza dell’ente, 30 marzo 1946.
18. Ivi, Archivio moderno, cat. 2, classe 1, fasc. 13, a. 1940, Faenza-Statuto organico, Ente per gli ospizi marini e montani.
19. Ivi, EOMM, b. Atti di Amministrazione dal 1946 al 1957, fasc. Varie 1946, Contratto con l’esattore, 25 maggio 1946.
20. Ivi, fasc. Richieste di contributi, offerte 1946 e fasc. Varie, 1946, Commissario prefettizio Giorgio Ghetti, Richiesta indennizzo, 29 novembre 1946.
21. Archivio storico delle Opere pie raggruppate, Azienda di Servizi alla persona – Asp della Romagna faentina, Faenza (ASOPR, ASPF), b. 89, Carteggio 1949, Rubrica 3-Materiali dell’Ente ospizi marini e montani, 15 maggio 1948.
22. Ibidem.
23. Ivi, Lettera del presidente Giuliano Domani alla ragioneria sui pagamenti effetti mobili esistenti nello Ospizio di Castelraniero, 14 giugno 1949.
24. PAF, ASCF, EOMM, b. Atti di amministrazione 1946-1957, fasc. Domande per le colonie estive, 1946, Richiesta di invio in colonia marina di figli di sinistrati e danneggiati di guerra, inviata da Francesco Torre, delegato provinciale dell’Assistenza post-bellica, 7 giugno 1946.
25. Ibidem.
26. ASOPR, ASPF, b. 58, 1946-XII-Orfani – abbandonati. Minori e minorati, rubrica 10-Ammissione ed assistenza in Istituti non Dipendenti dalle OO.PP.
27. PAF, ASCF, EOMM, b. Atti di amministrazione 1946-1957, fasc. Domande per le colonie estive, 1946, Richiesta di invio in colonia marina di figli di sinistrati e danneggiati di guerra, inviata da Francesco Torre, delegato provinciale dell’Assistenza post-bellica, 7 giugno 1946.
28. PAF, ASCF, EOMM, b. Atti di amministrazione (1946-1957), fasc. Domande di vigilatrici, 1946.
29. Ivi, fasc. Richieste di contributi, Offerte, Volantino dell’Ente ospizi marini e Montani firmato dal commissario prefettizio Giorgio Ghetti, 27 maggio 1946.
30. Ivi, Lettera inviata dal commissario prefettizio Giorgio Ghetti al ministro degli Interni, 31 maggio 1946.
31. Ibidem.
32. Ivi, fasc. Richiesta contributi, offerte, Lettera del commissario prefettizio Giorgio Ghetti: concessione di sussidio governativo per il funzionamento dell’ospizio, 18 novembre 1946.
33. Ibidem.
34. Ivi, Lettera del commissario prefettizio Giorgio Ghetti, 19 giugno 1946.
35. Ivi, Lettera inviata da Nicola Perrotti, alto commissario aggiunto per l’Igiene e la sanità pubblica, 14 agosto 1946.
36. Ivi, Lettera del commissario prefettizio Giorgio Ghetti, Concessione di sussidio governativo per il funzionamento dell’ospizio, 18 novembre 1946.
37. Ivi, Lettera inviata dal commissario prefettizio al Comitato provinciale dell’Unrra, 17 aprile 1946.
38. Ibidem.
39. Ivi, fasc. Richieste di contributi, offerte, Lettera inviata dal Presidente Vincenzo Zucchini al Ministro degli Interni, 23 maggio 1947; ivi, fasc. Varie, Lettera inviata dal presidente Vincenzo Zucchini al dott. Guido Gottarelli, 11 giugno 1947.
40. Ivi, Lettera inviata dal commissario prefettizio Giorgio Ghetti, 20 maggio 1946.
41. Ivi, fasc. Richiesta di contributi, offerte, Richiesta di aiuto finanziario inviata dal commissario prefettizio Giorgio Ghetti, indirizzata al Comitato provinciale dell’Unrra, 2 settembre 1946.
42. Ibidem.
43. Ivi, fasc. Proposta di convenzione con l’Unrra per il ripristino e la gestione dell’ospizio montano di Castelraniero, 1946-1947, Lettera inviata dal prefetto, delegato del Governo italiano per i rapporti con l’Unrra, 27 novembre 1946.
44. Ibidem.
45. Ivi, Lettera inviata da Lodovico Montini al dott. Ugo Piazza, 26 febbraio 1947.
46. Ivi, Verbale assemblea, 15 marzo 1948.
47. ASOPR, ASPF, b. 58 - Carteggio 1946 Tit. XII - Orfani e minorenni, rubrica 7 - Orfani alla colonia montana di Fognano del Cif, Lettera di don Giuseppe Ferretti, direttore dell’orfanotrofio maschile Faenza, 1° luglio 1946.
48. Ivi, Lettera inviata da Laura Vignoli, per il Consiglio direttivo del Cif, al reverendo direttore dell’orfanotrofio maschile, 16 luglio 1946.
49. Ivi, Lettera del direttore dell’orfanotrofio maschile all’Amministrazione delle Opere pie raggruppate, 17 luglio 1946.
50. Ibidem.
51. PAF, ASCF, EOMM, b. Atti di amministrazione (1946-1957), fasc. Convenzione con il Centro italiano femminile, 1948, Convenzione allegata.
52. Ibidem.
53. Ibidem.
54. Ivi, Lettera di Laura Vignoli al presidente dell’Eomm, 22 agosto 1948.
55. Ivi, Lettera del presidente dell’Eomm alla presidente del Cif, 24 agosto 1948.
56. Ivi, fasc. 1950, Lettera del presidente Vincenzo Zucchini al presidente del Monte di pietà, 10 giugno 1950.
57. Ibidem.
58. Ivi, fasc. 1952, Lettera del presidente dell’Eomm al prefetto, 15 luglio 1952.
59. Ivi, fasc. 1, Lettera inviata da Caterina Archi, Gestione colonie Castel Raniero, al Consiglio di amministrazione Eomm, 18 maggio 1955.
60. Ivi, fasc. 1955, Manifesto, 1955.