1. «La storia della mia famiglia non è straordinaria»
1955. Decennale della Resistenza.
Preceduto da contributi importanti, come gli articoli dello scrittore Italo Calvino [Calvino 1953a; Calvino 1953b], esce il libro delle memorie di Alcide Cervi, I miei sette figli, curato da Renato Nicolai, scrittore e giornalista del quotidiano «l’Unità» [Cervi 1955]. Il volume, pubblicato da Editori Riuniti, è il primo della collana «Biblioteca della Resistenza» e, nel giro di due mesi, ne vengono vendute 30.000 copie.
Dal forte contenuto pedagogico, il libro riesce a rendere la storia di una famiglia intrecciando gli elementi tradizionali del mondo contadino con il forte impegno nell’innovazione produttiva, il passaggio senza fratture dalla Chiesa al comunismo e alla lotta partigiana, esaltando la continuità e la solidità di questa vicenda e rendendola riconoscibile a tanti italiani [Varesi, Silingardi 2010, 88].
Nato nel 1875 a Campegine, nella provincia reggiana, in una famiglia contadina che lavora la terra a mezzadria, Alcide Cervi si sposa nel 1899 con Genoeffa Cocconi, nata anche lei a Campegine, nel 1877. Dalla loro unione nascono nove figli, di cui sette maschi e due femmine: Gelindo, Antenore, Diomira, Aldo, Ferdinando, Rina, Agostino, Ovidio ed Ettore.
Contadini mezzadri, i Cervi sono protagonisti di scelte fondamentali sia nell’ambito del progresso agricolo sia nel consolidamento di un deciso orientamento antifascista. Il loro è un cammino di libertà: lavorativa, intellettuale, politica.
Dopo anni di lavoro a mezzadria, costretti a cambiare campo, casa e padrone alla scadenza del contratto, nel 1934 Alcide e la sua famiglia prendono in affitto un pessimo podere ai Campirossi di Gattatico: una scelta coraggiosa e d’avanguardia, dettata dall’intraprendenza di sette giovani uomini che, oltre a coltivare la terra, sono anche appassionati alla lettura e allo studio. I figli di Alcide e Genoeffa, infatti, hanno frequentato e continuano a frequentare corsi professionali e di specializzazione, riuscendo a trasferire nel lavoro dei campi innovazioni e passione per il progresso [Cervi 2010, introduzione di Casali VI-VII].
Nel 1939, mentre intorno il mondo sta per cadere nel baratro della Seconda guerra mondiale, i Cervi sono tra i primi ad acquistare un trattore per il lavoro dei campi, dimostrando ancora una volta grande apertura mentale e curiosità intellettuale.
Il racconto dell’acquisto del trattore è diventato leggenda: vista la grande spesa, viene offerta loro in omaggio una poltrona. Il rifiuto è immediato, e la scelta di questi «sette emiliani dei campi» [1] ricade su un mappamondo. Mappamondo e trattore arrivano ai Campirossi insieme, l’uno appoggiato sopra l’altro: «il progresso tecnico si può fare se si guarda anche fuori dal campo, se si hanno gli occhi sul mondo» [Cervi 2010, 59].
Di radici cattoliche, ma sensibili al pensiero socialista diffuso in Emilia grazie all’iniziativa di Camillo Prampolini, i Cervi dimostrano fin da subito una mentalità che mal tollera il fascismo a cui si aggiunge uno spirito di ribellione e di non accettazione delle ingiustizie. Su questa base poggia l’ulteriore evoluzione politica della famiglia: una presa di coscienza che, attraverso l’esperienza di carcere di Aldo, alcuni legami stretti sul territorio, le letture in casa, sfocia nell’adesione al Partito comunista italiano nei primi anni Trenta. L’impegno antifascista dei Cervi si traduce in un’attività sempre più consapevole, fatta di incontri e di colloqui individuali, di diffusione della stampa antifascista, di raccolta di fondi per il Soccorso rosso, per aiutare le centinaia di militanti che si trovano in carcere o al confino.
Con l’ingresso dell’Italia nella guerra, le condizioni di vita della popolazione peggiorano rapidamente, mentre per i Cervi l’attività antifascista si intensifica. Il 1943 è l’anno in cui accade tutto: nel mondo, in Italia, a casa Cervi. Dopo lo sbarco alleato in Sicilia, il 25 luglio il Gran consiglio del fascismo toglie a Mussolini la guida del partito e del Paese, il re lo fa arrestare e affida a Badoglio l’incarico di primo ministro. Per festeggiare la caduta del regime, i Cervi offrono una pastasciutta in piazza a Campegine, coinvolgendo buona parte della popolazione, evento che rimane ancora oggi nella memoria locale come momento simbolico di riconquista della piazza da parte dell’antifascismo. L’annuncio dell’armistizio, l’8 settembre, dà inizio alla fase più violenta e drammatica della guerra in Italia: l’occupazione tedesca della penisola e il ritorno di Mussolini e dei fascisti nella Repubblica sociale italiana mostrano che la fine delle violenze e delle privazioni è ancora lontana. Mentre i nazifascisti riprendono a perseguitare gli oppositori politici, i principali partiti antifascisti cercano di organizzarsi e danno vita ai comitati di liberazione nazionale. Dal canto loro, i Cervi sono tra i primi a costituire una formazione partigiana dell’Appennino reggiano, mentre la loro casa diviene un rifugio temporaneo per decine di soldati italiani e prigionieri di guerra di ogni nazionalità.
Dopo pochi mesi di lotta, il 25 novembre 1943 i fascisti reggiani decidono di intervenire, accerchiando la casa ai Campirossi, appiccando un incendio al fienile e costringendo così gli uomini a consegnarsi. Trascorso un mese in carcere a Reggio Emilia, i sette fratelli Cervi e Quarto Camurri, un ragazzo di Guastalla incontrato in montagna, pagano il prezzo più alto per la loro scelta di libertà: il 28 dicembre sono fucilati per rappresaglia al poligono di tiro della città, per poi essere seppelliti di nascosto nel cimitero di Villa Ospizio.
Io avevo sette figli, cresciuti con quarant’anni di fatiche, e mi preparavo a togliere il fastidio, che già arrivavo alla settantina. Invece mi hanno mietuto una generazione di maschi, e la madre è andata via con loro dopo un anno, così io sono rimasto con quattro donne e undici nipoti piccoli, con un fondo di 56 biolche da lavorare [Cervi 2010, 3-4].
Portato in carcere insieme ai figli, ma risparmiato dalla fucilazione, Alcide Cervi, ignaro di quanto avvenuto, riuscirà a fuggire e tornare a casa nel gennaio 1944. Qui la moglie, le figlie e le nuore, preoccupate per la sua salute, gli tengono nascosta la verità ancora per lunghe settimane. Sarà forse questo peso, questo silenzio, insieme a nuovi e ulteriori attacchi da parte delle autorità fasciste a provocare la morte di Genoeffa nel novembre 1944.
Solo a Liberazione avvenuta, nell’ottobre 1945, i corpi dei sette fratelli – insieme a quello di Quarto Camurri – sono riesumati per il funerale solenne, e sepolti nel cimitero di Campegine, vicino alla madre.
Alcide Cervi, sopravvissuto alla perdita dei suoi sette figli maschi e poi della moglie, diviene simbolo vivente dei dolori e delle tribolazioni dei contadini e della gente umile di tutta l’Italia e porta, con il ricordo del martirio dei suoi figli, la testimonianza del carattere popolare della Resistenza. Il vecchio saggio e buon contadino diventa simbolicamente la vecchia quercia che non muore anche se le tagliano i rami [Varesi, Silingardi 2010, 88-91].
Mi hanno detto sempre così nelle commemorazioni: tu sei una quercia che ha cresciuto sette rami, e quelli sono stati falciati, e la quercia non è morta. Va bene, la figura è bella e qualche volta piango, nelle commemorazioni. Ma guardate il seme. Perché la quercia morirà, e non sarà buona nemmeno per il fuoco. Se volete capire la mia famiglia, guardate il seme. Il nostro seme è l’ideale nella testa dell’uomo [Cervi 2010, 6].
Papà Cervi e la sua famiglia diventano tra i punti fermi nella simbologia e nella formazione dei militanti comunisti e socialisti, e di tutti i democratici. L’intreccio, che caratterizza soprattutto il Partito comunista, tra cultura ideologica proposta dall’alto e incontro con le culture popolari delle classi subalterne non può che esaltare la vicenda della famiglia contadina dei Cervi [Varesi, Silingardi 2010, 94].
Un anno dopo la prima pubblicazione del volume delle memorie di Alcide, nel 1956 Editori Riuniti decide di stampare un’edizione economica che riscuote un successo clamoroso, con 500.000 copie vendute in pochi mesi. Questo grazie all’impegno nella diffusione del Partito comunista che con questo libro vede la possibilità di dialogare con quegli italiani che giudicano i comunisti come negatori dei sentimenti tradizionali e della religione [Silingardi, Varesi, Zanoni 2022, 118].
Il libro è anche tradotto e diffuso in altri 14 paesi, ottenendo un grande successo in Unione Sovietica, Giappone, Argentina, Romania, Cina e Francia.
Protagonisti dell’antifascismo e della Resistenza italiani, la famiglia Cervi in generale, e i sette fratelli Cervi in particolare, sono fra i più conosciuti e le loro vicende sono assurte per un forte sentimento popolare a un livello simbolico di quel periodo, «quasi a voler definire il cammino percorso e auspicato dagli italiani dall’Unità nazionale alla lotta di Liberazione e allo Stato repubblicano» [Cervi 2010, introduzione di Casali XII].
2. Alcide Cervi, un nonno contadino antifascista per i pionieri
Prima ancora del successo del libro, già alla fine degli anni Quaranta, Casa Cervi diventa meta di continui pellegrinaggi, sia individuali sia di gruppi organizzati. In tanti vi giungono per sentire direttamente dalla voce di Alcide la storia dei suoi sette figli. In particolare, il “vecchio Cide” si dimostra molto sensibile al dialogo con i ragazzi più piccoli tanto che nel 1953 è anche tra i presidenti dell’associazione Amici del Biancotto, il convitto scuola veneziano per i figli di partigiani caduti durante la lotta di liberazione.
Nel reggiano, intanto, l’Associazione giovani esploratori (Age) sta richiamando l’attenzione dei suoi piccoli esploratori sulla storia dei Cervi e su quella casa rurale dove organizza visite evocative. Soprattutto i ragazzi e le ragazze dai sette ai quattordici anni dell’Associazione dei pionieri d’Italia (Api) e dell’Associazione falchi rossi italiani, organizzazioni giovanili dei Partiti comunista e socialista, fondate entrambe a Reggio Emilia nel 1949, stringono un forte legame con Casa Cervi e, in particolare con Papà Alcide. Numerose sono anche le visite promosse dall’Unione donne italiane, con le sue “rondinelle”, che nel 1954 organizza una commemorazione di Genoeffa Cocconi nel decennale della sua morte. Inoltre, nel dicembre 1955 il segretario della Federazione giovanile comunista italiana, Enrico Berlinguer, annuncia l’avvio di una campagna nazionale di adesione in nome dei fratelli Cervi [Silingardi, Varesi, Zanoni 2022, 116].
Ma sono i pionieri i più costanti nel promuovere le visite alla cascina ai Campirossi. Anzi, il simbolo dei pionieri diventa una medaglia raffigurante una quercia con sette stelle tra le fronde: un chiaro riferimento ai sette fratelli Cervi.
La pubblicazione del libro delle memorie di Alcide e il 1955 rappresentano l’anno di svolta nel rapporto tra Casa Cervi e le associazioni giovanili afferenti al mondo della sinistra, con particolare riferimento all’Api. Non solo agli adulti, quindi, ma anche ai ragazzi e ai giovani il libro di Papà Cervi viene proposto come un riferimento civile ideale.
Questo libro divenne per noi strumento per narrare l’itinerario di una famiglia contadina antifascista. La storia dei Cervi è una storia di una lotta mai interrotta. Contro i padroni, il suo governo, il fascismo. Il padre e i sette fratelli vivono la condizione di mezzadro. I prodotti della terra sono divisi fra i contadini che la coltivano e il padrone che la possiede. È ormai possibile trovare che la terra non può fornire reddito sufficiente per sostenere due famiglie e dunque il suo lavoro non basta a fare vivere decentemente chi la coltiva. Nel volume si narra la fatica del lavoro agricolo, lo sforzo compiuto per rendere le terre irrigabili, il rapporto conflittuale coi padroni e con il fascismo. La famiglia Cervi è ribelle. Ribelle contro l’ingiustizia e l’ignoranza. È per la scienza, per il sapere, contro la guerra [Pagliarini 2021, 153-154].
Nella sua testimonianza Carlo Pagliarini, santilariese, fondatore e primo e unico presidente dell’Associazione pionieri d’Italia, è molto esplicito nel riconoscere Alcide come l’ideale nonno contadino antifascista dei pionieri.
Originario di Sant’Ilario d’Enza, nella provincia reggiana, vicino a Gattatico, Carlo Pagliarini conosce i Cervi fin da ragazzo, anzi, da adolescente, lui stesso ha cercato contatti con loro.
Il 1955 è l’anno dell’ottantesimo compleanno di Alcide e per questo viene solennemente dedicato alla valorizzazione della figura di Papà Cervi.
Andavo spesso a Casa Cervi. Assieme ad amici, a parenti, con gruppi di ragazzi. Nacque l’idea di dedicare un anno dei pionieri a Papà Cervi. Fu scelto il 1955, il decennale della liberazione e la data della celebrazione venne stabilita per il 5 maggio, 3 giorni dopo l’80° compleanno del vecchio Cervi [2].
La mobilitazione fu grande. I ragazzi si inventarono i doni più diversi e li consegnarono a Papà Cervi sul palcoscenico del teatro Comunale di Reggio Emilia. Ricevette una grande sedia a dondolo e molte, molte pipe. L’arrivo di ogni pipa lo divertiva. Ce ne erano di ogni tipo, alcune decisamente grandi. All’arrivo di ognuna di esse mi sussurrava: “Ma me an fum brisa” (io non fumo affatto).
Loris Malaguzzi aveva curato un gruppo di ragazzi e creato con loro un’ottima rappresentazione di Pierino e il lupo di Prokofiev. Gianni Rodari aveva scritto e declamato, con successo, un suo poema dedicato a Cervi e ai suoi sette figli [3] [Pagliarini 2021, 154-155].
La grande mobilitazione di cui scrive Pagliarini fa riferimento al Gran pavese della pace, l’iniziativa promossa sulle pagine de «Il Pioniere», con lo scopo di raccogliere bandierine colorate che arrivano nella redazione del giornalino dell’Api, insieme a migliaia di lettere e cartoline di auguri, oggi conservate nell’Archivio documentario della famiglia Cervi presso l’Istituto Cervi a Gattatico.
Come ricorda Pagliarini, la consegna avviene l’8 maggio al Teatro municipale di Reggio Emilia, nel corso dei festeggiamenti ufficiali per gli 80 anni di Alcide Cervi.
In quella occasione l’orazione ufficiale è affidata all’onorevole Mario Alicata:
Verrà un giorno, e non è lontano, in cui tutti i bimbi d’Italia chiameranno il nostro Alcide Cervi, Papà Cervi. Verrà un giorno, e già si annuncia, in cui in tutte le scuole d’Italia la storia del nostro Paese […] sarà insegnata ispirandosi agli ideali della Resistenza, cercando di mettere in rilievo che cosa abbia rappresentato nella lunga, dolorosa e faticosa storia del nostro Paese la Resistenza italiana.
Verrà un giorno, e non è lontano, in cui alla casa di Campegine si guarderà non solo come oggi tutta l’Italia già guarda, come ad un monumento, ad una testimonianza eroica di sacrificio nella lotta per la libertà e per la pace, ma si guarderà soprattutto per comprendere che cosa è, che cosa deve essere una famiglia italiana [4].
E sulla giornata dell’8 maggio 1955, continua Carlo Pagliarini:
Il pomeriggio di quel giorno i ragazzi vanno a casa di Cervi. Si intrufolano ovunque, nelle stalle, nei campi, nelle stanze. E poi si danno a cantare, a suonare, a recitare in un palco fatto di carri agricoli. Dico parole di chiusura e sollecito Cide a dire la sua. Il suo viso intelligente è allegro. Si rivolge ai ragazzi e li ringrazia. Poi guardando me e loro avanza un invito: “Vediamoci fra dieci anni!” Si ritira poi di scatto, torna verso il microfono e spara: “Però dovete esserci anche voi!”.
L’impegno sarà onorato. Dieci anni dopo il novantenne Cide Cervi riceverà i ragazzi che ci eravamo impegnati a portare sul cortile della sua casa. Sono nuovi e purtroppo non sono più pionieri. Ascoltano interessati la storia dei Cervi collocata sul luogo della loro vita. Il vecchio abbandona presto il palco. Preferisce camminare lentamente fra le cavedagne attorniato dai ragazzi che vogliono vedere, parlare e toccare. È più stanco, ma la vecchia quercia resiste ancora. Si spegnerà due anni [5] dopo nei giorni di Pasqua. Avrà attorno a sé per l’ultimo saluto una marea di gente e la parola calda e commossa di Giorgio Amendola [6] [Pagliarini 2021, 157-158].
3. Gli anni Sessanta
«Purtroppo non sono più pionieri», scrive Carlo Pagliarini. E infatti, nel 1965, anno del novantesimo compleanno di Alcide Cervi, l’Api è ormai sciolta a livello nazionale. A Reggio Emilia si sta vivendo una parentesi di nove anni (1961-1970), «un vuoto», come verrà poi definito dalla Segreteria nazionale.
Dalle due buste delle carte dell’Associazione pionieri d’Italia (1949-1976) [7], presenti nell’Archivio del Partito comunista italiano – Federazione provinciale di Reggio Emilia (1945-1991) [8], si può ricostruire quanto avviene in quegli anni.
Il 12 marzo 1961 il Consiglio provinciale dell’Api di Reggio Emilia, dopo aver redatto un documento preparatorio indirizzato a tutti i dirigenti dell’associazione, sancisce l’adesione dell’organizzazione giovanile all’Arci (Associazione ricreativa culturale italiana), una decisione frutto di:
un dibattito che ha portato alla proposta di nuove soluzioni che permettano appunto di togliere l’Associazione dall’isolamento e dalle difficoltà in cui si era venuta a trovare, e di porre tutto il problema della educazione democratica dei giovanissimi, al livello dell’azione politica delle grandi organizzazioni democratiche della nostra provincia.
Si è così giunti, dopo un serio dibattito coi dirigenti provinciali del movimento democratico, a collegare l’Associazione Pionieri reggiani all’A.R.C.I. (Associazione Ricreativa Culturale Italiana), anche in considerazione che all’A.R.C.I. si intende dare un immediato vasto peso politico ed operativo, per metterla in grado di soddisfare adeguatamente alle moderne esigenze dei lavoratori per il loro tempo libero e di contribuire ad una vasta opera di educazione ideale e democratica delle masse popolari [9].
L’adesione all’Arci, tuttavia, non si delinea come una scelta definitiva e risolutiva. Dopo nove anni, infatti, il 18 ottobre 1970, si decide di ricostituire nuovamente «un’unica organizzazione autonoma» in cui confluiscono l’Associazione pionieri d’Italia di Reggio Emilia, l’Associazione pionieri dell’amicizia di Genova, il Circolo pionieri di Torino e il Circolo «Ho Ci Min [sic]» dell’Associazione pionieri di Trieste. La nuova associazione così costituita aderisce anche al Cimea (Comité international des mouvements d’enfants et d’adolescents), l’associazione internazionale di orientamento comunista che collegava i pionieri e altri gruppi educativi per l’infanzia, fondata nel 1958 con sede a Budapest.
Come riportato nell’atto costitutivo che viene firmato da Giovanni Mariotti, Franco Nizzoli, Carmela Levi e Ondina Pateani a Reggio Emilia, «città Medaglia d’oro della Resistenza al fascismo e Patria della famiglia Cervi», viene costituito anche un Comitato interregionale dell’associazione, la cui sede è fissata proprio a Reggio Emilia.
Impegno preciso del Comitato interregionale sarà quello di promuovere, sollecitare e sostenere la creazione di un numero sempre maggiore di nuovi gruppi locali di pionieri e pioniere e altresì di promuovere la leva e la formazione di nuovi educatori “Monitori e Monitrici dei Pionieri”, per lo sviluppo di molteplici iniziative tese ad organizzare e ad educare i ragazzi italiani secondo le migliori tradizioni e gli ideali del movimento popolare e democratico e nello spirito della pace, della amicizia e della solidarietà [10].
La ricostituita organizzazione è poi presentata dal nuovo segretario nazionale dell’Api, Giovanni Mariotti, nel suo intervento al secondo congresso dei pionieri francesi.
Compagni,
sul distintivo dei pionieri d’Italia, ci sono 7 stelle d’argento e una quercia con i rami spezzati sui quali spuntano nuove foglie.
La vecchia quercia rappresenta Papà Cervi simbolo della Resistenza italiana al fascismo; i rami stroncati e le sette stelle, sono i suoi eroici figli partigiani, fucilati dai fascisti; le foglie verdi, sono le nuove generazioni e i pionieri che germogliano dalla Resistenza di ieri e di oggi.
Ecco il significato politico del colore “verde” dei nostri fazzoletti, mentre la striscia rossa ricorda ai pionieri la solidarietà internazionalista e la promessa di lottare per una società più giusta, per la Repubblica Italiana Socialista.
I pionieri d’Italia, fondati alla Liberazione dal fascismo da giovani partigiani, dopo un periodo glorioso di concreto contributo di ricerca e di elaborazione marxista nel campo della pedagogia e una lunga parentesi di 9 anni, hanno ripreso ufficialmente nel 1970 il loro posto di lotta democratica nel movimento operaio italiano, accanto alle organizzazioni sorelle del CIMEA.
Essi portano avanti temi di dibattito e di confronto, sui quali tutti vengono chiamati a pronunciarsi e a discutere (indipendentemente dalla loro adesione o meno all’Associazione), e hanno aperto un franco discorso con le forze socialiste e cattoliche, per condurre insieme, dentro e fuori i pionieri, la battaglia per l’educazione e la formazione ideale e democratica dei futuri cittadini di una nuova società socialista in Italia.
Su questa strada unitaria, ribadita dall’ultimo Comitato Nazionale, marcia decisamente l’Associazione Pionieri d’Italia [11].
4. Le attività estive dei pionieri nel reggiano
Sebbene l’esperienza associativa dell’Api non sia stata del tutto lineare soprattutto a livello di direzione e coordinamento nazionale, ciò che non è mai mancato, fin dalla fondazione dell’associazione, è stato l’impegno dei volontari, dei genitori e dei dirigenti nel promuovere per i ragazzi le attività fisiche, artistiche, culturali e ricreative, le campagne di solidarietà a favore dei popoli in lotta per la libertà, le gite e le escursioni in città per visitare monumenti, in campagna per approfondire le conoscenze sul mondo contadino, o nelle fabbriche per mostrare i luoghi di lavoro dei padri. E nel periodo estivo, i campeggi.
Come ormai è tradizione della nostra associazione, anche quest’anno verrà organizzato ed allestito un grande campeggio di ragazzi e bambine, in collaborazione con i giovani cooperatori reggiani.
In questi anni il campeggio di giovanissimi ha acquistato presso il movimento democratico e di fronte a tutta l’Associazione grande prestigio, soprattutto per l’elevato contenuto educativo dei suoi programmi e per la grande carica di sano entusiasmo che esso trasmette a tutta l’organizzazione.
L’esperienza degli anni scorsi ci permette quest’anno di avere un GRANDE CAMPEGGIO, con una più vasta serie di attività ed elevato contenuto educativo e maggiore garanzia organizzativa; a disposizione del campeggio saranno educatori e pedagogisti in ogni campo di attività.
Tutta l’organizzazione deve quindi essere seriamente impegnata in un grande sforzo che dovrà concludersi con la realizzazione del grande campeggio che vogliamo fare [12].
Nel 1957 il campeggio viene organizzato a Dogana, a quattro chilometri dall’Abetone e nei pressi del Monte Cimone. La durata è di 15 giorni (al costo di L. 12.000) o 20 giorni (al costo di L. 15.000) ed è rivolto a ragazzi e ragazze dai 10 ai 15 anni. Nel programma del campeggio è inserito anche un «Corso scuola» per dirigenti.
IL CAMPEGGIO RAPPRESENTA UN PUNTO FERMO, UN CAPOSALDO DELLA NOSTRA ASSOCIAZIONE NELLA BATTAGLIA PER L’EDUCAZIONE COSTITUZIONALE DEL NUOVO CITTADINO DELLA REPUBBLICA ITALIANA E LA PIÙ BELLA E GIOIOSA PROSPETTIVA PER I PIONIERI PIÙ IN GAMBA.
[…] AVANTI! dunque, con l’impegno di tutti i reparti diamo vita anche quest’anno ad un magnifico campeggio [13].
Nei due anni successivi, 1958 e 1959, il campeggio estivo organizzato dall’Api reggiana è spostato a Canazei, in Trentino, sempre in collaborazione con i Giovani cooperatori reggiani. Per 15 giorni la quota di partecipazione sale a L. 13.500 e sono previsti due turni nel corso del mese di luglio.
L’esperienza del campeggio, e della collaborazione con i Giovani cooperatori reggiani, prosegue anche negli anni Sessanta, gli anni dell’adesione dell’Api all’Arci, con una nuova meta: Vallon (Brusson) in Valle d’Aosta. Mentre nel 1969, e poi con la ricostituzione dell’associazione nel 1970, prende avvio l’esperienza denominata Campeggio internazionale dell’amicizia: per le prime due edizioni (1969 e 1970) il campeggio si svolge nel Parco Fola di Albinea, in provincia di Reggio Emilia; dalla terza edizione, nel 1971, si decide di ritornare in Appennino, a Casalino di Ligonchio, dove vengono piantate le tende del Campeggio internazionale dell’amicizia intitolato a Papà Cervi.
5. Il Campeggio Papà Cervi
Dalla documentazione d’archivio l’intitolazione del campeggio ad Alcide Cervi non è immediata. Compare per la prima volta sul bollettino periodico trimestrale per i monitori dei pionieri, «Per oggi, per domani», nel numero di aprile 1972, a pagina 13, nel grande inserto pubblicitario delle vacanze al campeggio dei pionieri,
LA MIGLIORE SCELTA CHE SI POSSA FARE PER QUESTA ESTATE, PER RITEMPRARSI LE FORZE E LO SPIRITO IN AMBIENTE SANO E SICURO, DIRETTO DA MONITORI QUALIFICATI, DOVE IL RAGAZZO PUÒ VERAMENTE ESPRIMERE TUTTA LA SUA ESUBERANTE PERSONALITÀ IN ENTUSIASMANTI ATTIVITÀ RICREATIVE, SPORTIVE, CREATIVE ED ESPRESSIVE [14].
Nell’inserto sono presentate le diverse proposte dei comitati provinciali Api: quello di Trieste promuoveva le vacanze al mare in Jugoslavia, a Pola; quello di Torino, il campeggio in montagna in Val d’Aosta, a Settarme; la Segreteria nazionale di Reggio Emilia, il Campeggio internazionale dell’amicizia Papà Cervi, in Appennino reggiano, a Casalino di Ligonchio: «15 giorni di vita collettiva con i pionieri di altre città italiane e di altre nazionalità. Esperienza di far parte dei servizi organizzativi e di programma, predisposti per rendere più agevole il soggiorno dei pionieri dei Paesi Socialisti. Una Scuola per i giovani Monitori [15]».
È probabile che l’intitolazione del campeggio a Papà Cervi sia avvenuta proprio nel 1972 in coincidenza con la realizzazione della prima edizione internazionale del campeggio.
Già nel 1970 era comparso sui bollettini periodici un «telegramma urgente», con il quale si manifestava l’intenzione della Segreteria nazionale di Reggio Emilia di organizzare un campeggio aperto a ragazze e ragazzi di altri Paesi:
Alle organizzazioni dei Pionieri dell’Unione Sovietica, della Jugoslavia, della Cecoslovacchia e della Bulgaria, lanciamo la proposta di essere con noi promotori, e di organizzare a turno nel proprio paese il campeggio internazionale dell’Amicizia con la partecipazione dei ragazzi vietnamiti.
Nel 1972, o nel 1973, ospiteremo a Reggio Emilia le delegazioni di questi paesi e su questo ci prepariamo seriamente fin da ora con la certezza di avere l’adesione di altre organizzazioni di ragazzi.
Mentre attendiamo con fiducia la risposta al nostro appello, invitiamo il centro di cultura della R.D. Vietnam a Praga, la rubrica dei ragazzi di Radio Praga, il mensile “Il Pioniere” di Rijecka, l’Associazione URSS-Italia di Leningrado e il 3° Komitato D.K.M.C. Sezione Pionieri di Sofia, di aiutarci con la loro autorità in questa importante iniziativa. Il club dei ragazzi [16].
L’anno successivo, 1971, nel numero di settembre dello stesso bollettino periodico trimestrale per i monitori dei pionieri, «Per oggi per domani [17]», diverse pagine sono dedicate ai campeggi estivi: dall’Api di Genova, campeggio dei pionieri a Genova; dall’Api di Trieste, campeggio dei pionieri a Pontisella (Pola), in Jugoslavia; dall’Api di Torino, campeggio per ragazzi a Settarme, in Val d’Aosta; dall’Api di Reggio Emilia, 3° Campeggio dell’amicizia a Casalino di Ligonchio.
Corredata da alcune fotografie e dai ritagli di articoli di quotidiani, nella pagina dedicata alle vacanze estive reggiane sono riportate anche tutte le attività svolte dai ragazzi nei 15 giorni di campeggio:
• inchiesta storico-socio-economica sul comune di Ligonchio,
• escursioni con bivacco,
• gite e grande gioco,
• festa di solidarietà verso il popolo del Vietnam,
• giochi, attività ricreative e tecniche scoutistiche,
• proiezione di film,
• canti attorno al falò,
• sport,
• eliminatorie del palio del tricolore,
• attività espressive e ricreative,
• racconto partigiano attorno al fuoco.
Dell’edizione del Campeggio internazionale dell’amicizia Papà Cervi, quella dell’estate 1972, che si era svolta su due turni tra luglio e agosto, è conservato nell’archivio della Federazione reggiana del Partito comunista anche «La Pattuglia», «giornalino dei pionieri del IV campeggio dell’Amicizia – Luglio ‘72».
Si tratta di 13 pagine dattiloscritte che, attraverso articoli scritti dai giovani pionieri e dalle giovani pioniere, riassume quanto vissuto nell’esperienza. L’intento è chiaro fin da subito:
Questo giornalino lo abbiamo inventato e scritto per confrontare e discutere fra di noi le nostre idee, per farle conoscere agli altri ragazzi che verranno al campeggio dopo di noi, per dare una testimonianza, ora seria ora più allegra, della nostra vita al campo. Molti degli articoli che leggerete sono nati da una discussione che spesso andava oltre i componenti della redazione. Altri sono scaturiti dall’esperienza di tutti i giorni e da interessi particolari di alcuni di noi [18].
Questo l’indice del giornalino:
• Inchiesta. Condizioni sociali ed economiche attuali del Comune di Ligonchio, di Alessandro – anni 12;
• Il Vietnam, di Claudio – anni 12;
• Incontro attorno al fuoco con il partigiano “Falce”, di Oria – anni 15;
• Commento a “I giorni della nostra vita”, di Lorenza – anni 13;
• Inchiesta 2. Storia e origine del Comune di Ligonchio, di Lorella – anni 11;
• Che cos’è il club dell’amicizia, di Giovanni – anni 10;
• Siamo stati sui prati di Sara, di Monica – anni 9;
• Attività sportive al campeggio, di Giorgio – anni 14;
• Qualche parola sullo sport popolare, di Luca – anni 12 e Massimo – anni 13;
• La sconosciuta storia del bulldog, di Silla – anni 11;
• ed ora … quattro risate!!
Tra le attività proposte al campeggio non poteva mancare l’incontro con il partigiano.
Si racconta nell’articolo:
La Resistenza nell’Appennino reggiano è nata dopo l’8 settembre quando alcuni giovani insieme alla popolazione e ai detenuti politici comunisti e socialisti organizzarono dal punto di vista politico, militare e sociale la Resistenza.
Così ha esordito il partigiano Falce raccontandoci la sua esperienza diretta nella lotta di resistenza contro i nazifascisti ed ha poi continuato:
Man mano che l’influenza dei gruppi partigiani si estendeva, si consolidava quella che fu chiamata repubblica di Montefiorino (di cui faceva parte Ligonchio). Essa costituiva un territorio libero in cui si sperimentava un governo rappresentativo a base popolare. La lotta partigiana che diede vita alla repubblica di Montefiorino, oltre ad essere una lotta che portava la classe operaia e più in generale i lavoratori a partecipare direttamente alla vita politica, era una riconquista di diritti alla libertà di stampa e di espressione e di democrazia.
Quindi nel momento in cui la guerra per l’Italia si rivela un disastro e il regime fascista manifesta la sua debolezza e tenta di sopravvivere inasprendo la repressione, la popolazione concede pieno appoggio ai partigiani in lotta.
Silvio Bonsaver (questo è il vero nome del partigiano Falce) ci ha illustrato quindi due esempi che sono importanti per capire la natura della guerra partigiana: egli ricorda in primo luogo come, privi di mezzi quali armi ed equipaggiamento questi primi gruppi partigiani si rifornissero direttamente dal nemico assaltando caserme e catturando le armi ai nemici caduti. E, in secondo luogo, quando i nazifascisti organizzarono un rastrellamento nell’appennino reggiano, i partigiani attuarono una tattica di sganciamento progressivo per poi attaccare in modo breve ma violento il nemico alle spalle.
La guerra partigiana quindi oppone al dispiegamento di grandi forze e mezzi bellici l’inventiva il coraggio, la disposizione al sacrificio della propria vita, l’appoggio alla propria lotta di tutto un popolo che ne comprende il significato politico, lotta di liberazione contro il nazismo invasore, contro la barbarie fascista quindi, ma anche lotta per abbattere lo sfruttamento dell’uomo, dovunque esso si manifesti.
In questo senso i contenuti della lotta partigiana in Italia si legano strettamente – ha concluso il partigiano Falce – a quelli per cui il popolo Vietnamita combatte. I vietnamiti hanno detto no al brutale sfruttamento colonialista. È nostro compito continuare nella scuola, nella fabbrica, nella società quella lotta per cui i nostri padri si sono battuti quand’erano giovani.
La Resistenza è dunque centrale nella formazione dei pionieri, sempre più spesso accostata alle vicende internazionali del mondo contemporaneo.
Accanto alla valorizzazione della memoria della lotta di liberazione, viene incentivata anche la conoscenza del territorio attraverso l’inchiesta sul Comune di Ligonchio, riportata addirittura in due articoli: il primo dedicato alle condizioni sociali ed economiche, in cui si riflette sul fenomeno dell’emigrazione che ha portato tanti giovani a scegliere di trasferirsi dalla montagna alla città per trovare lavoro; il secondo dedicato alla storia e origine del Comune di Ligonchio a partire dalla preistoria fino alle imprese partigiane durante la Seconda guerra mondiale.
Il giornalino si conclude con i resoconti delle attività sportive al campeggio e con una piccola raccolta di barzellette e freddure.
L’esperienza del campeggio a Ligonchio prosegue anche negli anni successivi.
Relativamente al 1973, il Documento sull’A.P.I. a Reggio Emilia e attività svolte, a cura della componente comunista dei dirigenti dell’Api di Reggio Emilia, riporta quanto segue:
A “monte” del nostro Campeggio dell’Amicizia, c’è la fatica di 5 anni di lavoro estenuante di dirigenti appassionati e testardi, partiti senza nulla, ma soprattutto c’è un considerevole bagaglio di esperienze accumulatesi in 28 anni di lavoro in questo tipo di vacanze-impegno.
150 presenze in due turni, con nuove ricche esperienze di vita associativa non soltanto a livello dei ragazzi (pionieri e no) sempre più responsabilizzati nella costruzione delle attività e della vita democratica, ma anche a livello di dirigenti monitori dell’API e del Centro d’Igiene Mentale (anche quest’anno un consistente numero di ragazzi handicappati e caratteriali, sono stati inseriti con successo nel collettivo del Campeggio – questo vuol anche dire un notevole sforzo da parte di tutti i dirigenti).
Certo nel Campeggio dell’API (come sempre) si è parlato di solidarietà internazionale e amicizia con tutti i ragazzi del mondo; si è parlato della Resistenza al fascismo e del fascismo con l’aiuto di partigiani; si è parlato delle lotte operaie e del lavoro dell’uomo, e si sono fatte iniziative e attività in tale senso portando i ragazzi a vivere una giornata in una casa di contadini lavorando con loro anche se con piccoli servizi.
Però non è soltanto questo il nostro Campeggio ricco com’è di attività creative, espressive, culturali e ricreative-sportive, inserite nel dibattito e nella partecipazione di tutti i campeggiatori con istanze a livello di Centri d’Interesse, di camerata, di gruppi e di assemblea generale, stimolando inoltre la crescita di giovani monitori e l’impegno di pionieri più grandicelli “Animatori”, fino ad avere una corale omogenea ed entusiasmante che ci permette l’uso di tecniche e metodologie a forma di gioco e di drammatizzazione affascinanti per la vita sana nei boschi e l’andata in montagna, che portano non soltanto i bambini e i ragazzi a vivere a pieno l’avventura “eroica” dei “pionieri”, degli “esploratori”, degli “alpinisti” e dei “partigiani” ripercorrendo i loro sentieri, ma si rivelano poi indispensabili per la loro sicurezza e incolumità. Quanti di questi giochi e drammatizzazioni, diventano poi norme di comportamento civile e morale per il ritrovamento di una dimensione umana, per il godimento della vita all’aria aperta nella natura riscoperta e la salvaguardia dell’ambiente negli anni futuri? Crediamo molti.
Il Campeggio ha avuto infine momenti a carattere Provinciale e Nazionale – 5° – con la partecipazione di ragazzi e pionieri venuti da diverse città d’Italia, e Internazionale – 2° – (l’anno scorso vennero i pionieri Jugoslavi) con la partecipazione di una qualificata delegazione di pionieri polacchi, entusiasta del soggiorno e del ricco programma offerto loro con un mini-tour che ha toccato l’Emilia e la Toscana, tanto da meritare un lungo articolo a due pagine sul loro giornale dei monitori “Motywy”.
Sul soggiorno dei pionieri polacchi al nostro Campeggio le cronache apparse sull’Unità di quei giorni sono più che esaurienti, è doveroso però ricordare l’accoglienza non soltanto dei due Governi Regionali dell’Emilia e della Toscana, ma di tutto il movimento democratico (e i pionieri) di Bologna, Firenze, Campi Bisenzio, Prato e Carrara, come non deve essere dimenticato l’importante apporto dato dal Comune di Reggio Emilia che ha permesso (finanziariamente) tale soggiorno al campeggio nel quadro dei rapporti con le città gemellate. Per la nostra associazione, deve essere rimarcato un grande sforzo organizzativo e finanziario [19].
L’edizione successiva, la sesta, quella dell’estate del 1974, viene presentata e raccontata su «l’Unità», in un articolo pubblicato il 24 maggio dello stesso anno:
Il campeggio dell’amicizia «Papà Cervi», giunto alla sua sesta edizione, si svolgerà anche quest’anno a Casalino di Ligonchio. Nei suoi due turni (14-29 luglio e 29 luglio-13 agosto) ospiterà ragazzi e pionieri della nostra provincia, di altre città emiliane, di altre regioni quali la Toscana, il Lazio e il Veneto. Il gruppo dei bolognesi, in particolare, si preannuncia già numeroso: la voce su questo nuovo, originale modo di trascorrere le vacanze dopo le fatiche scolastiche si è evidentemente diffusa [20].
Il tutto corredato dalla foto dei pionieri polacchi e italiani intenti a giocare a ping-pong durante il campeggio dell’anno precedente.
Gli articoli de «l’Unità» di domenica 11 e lunedì 12 agosto, invece, seguono l’iniziativa dei pionieri nell’ambito delle celebrazioni per il trentesimo anniversario della Resistenza. Una Giornata antifascista, quella di domenica 11, organizzata con l’Anpi e con l’Amministrazione comunale di Lingonchio, che è segnata da alcuni momenti importanti: la visita al cimitero dei partigiani sovietici, l’incontro con gli uomini della Resistenza, una suggestiva fiaccolata e una rappresentazione teatrale.
Il 1975 e il 1976 sono gli ultimi due anni di cui conserviamo documentazione.
1975 ANNO FORMIDABILE PER L’A.P.I.
L’ultimo Comitato Nazionale del 26 ottobre, ha constatato con soddisfazione e orgoglio i risultati dell’attività svolta dall’API nel 1975 con la parola d’ordine: Dalla vittoria sul nazi-fascismo per l’Italia della Resistenza e della Costituzione Repubblicana – Nel 30° della Liberazione e della nascita in Italia dei gruppi organizzati dei ragazzi. […] Luglio-agosto CAMPO NAZIONALE DELL’AMICIZIA “PAPÀ CERVI” A LIGONCHIO (140 pionieri provenienti da numerose Regioni italiane) Messaggi di amicizia e solidarietà inviati ai Campi Internazionali dei pionieri di Cuba, Inghilterra, RDT (Repubblica Democratica Tedesca), Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Bulgaria, URSS (Artek) e al CIMEA della FMGD (Federazione Mondiale della Gioventù Democratica).
CAMPI PROVINCIALI DELL’A.P.I. in Val d’Aosta (Comitato Provinciale di Torino), Nizza in Francia (Comitato Zona di Ventimiglia) e Ligonchio (Comitato Provinciale di Reggio Emilia) [21].
6. Una scuola per l’estate
Per completare l’indagine fin qui presentata, occorre aggiungere alcune informazioni relative alla località e agli spazi in cui fu attivo il Campeggio internazionale dell’amicizia Papà Cervi.
Innanzitutto, la località. Nel sito web del Parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano, Casalino è presentato come un borgo antico, piccola frazione di Ligonchio, dal 2016 nel Comune di Ventasso, nel cuore del Parco nazionale. Casalino è formato da tre nuclei abitati: Casalino, Case Bracchi e Loggia. Il borgo è situato a 925 metri sul livello del mare, sul versante nord del Monte Cusna, tra i castagni e i prati per il pascolo. La ricchezza d’acqua di questo territorio aveva reso possibile la realizzazione di un importante complesso idroelettrico a Ligonchio [22].
Per quanto riguarda invece la struttura adibita a centro vacanze, ancora una volta vengono in aiuto i documenti d’archivio finora presi in esame. In particolare quelli del 1973, nei quali la componente comunista dei dirigenti dell’Api di Reggio Emilia illustra la situazione del Campeggio internazionale dell’amicizia Papà Cervi: traguardi raggiunti, difficoltà emerse, nuovi obiettivi.
In una comunicazione alla Segreteria della Federazione del Pci di Reggio Emilia, Giovanni Mariotti, segretario nazionale dell’Api, scrive ampiamente e dettagliatamente su «quattro gravi questioni», tra cui anche le spese di ristrutturazione e funzionalità del centro vacanze di Ligonchio (campeggio).
Al di là delle difficoltà cui la Segreteria dell’Api non riesce a far fronte, questo documento ci permette di conoscere nel dettaglio l’edificio e gli spazi utilizzati come base per il campeggio.
Il Campeggio di Casalino di Ligonchio, attrezzato per 70-80 presenze, è un complesso formato dai seguenti immobili e impianti fissi:
Una Scuola da noi trasformata. Al primo piano, in due camerate, uno stanzino per dirigenti, tre gabinetti, un’infermeria e una doccia a 4 getti, e al piano terra, in un refettorio adattabile ad ampio atelier per le attività, cucina, riscaldamento centrale (esistente) e direzione collegata al Bar Tavaroli (sulla strada provinciale per Villa Minozzo), da un telefono da campo. L’immobile di proprietà dell’Amministrazione Comunale di Ligonchio, è arricchito davanti da una ampia tettoia 6x6 e nel retro da 4 gabinetti e 2 docce in muratura, collegate alla fognatura e all’impianto centrale dell’acqua e di riscaldamento.
Due baracche in legno a doppia parete (tipo bungalow), in ottimo stato di conservazione e attrezzate a dormitori, e una terza (tutte e tre servite di impianto luce) adibita a magazzino, utilizzabile in parte per alloggio ai dirigenti. Tutte donateci dalla cooperazione.
Ai servizi igienico-sanitari, da noi ulteriormente attrezzati e potenziati e alla cucina costruita e arredata da noi in modo razionale con lavandino, bruciatori, frigoriferi e lavatrici, si deve aggiungere un corredo di nostra proprietà che comprende letti (trasformati a castello), materassi, coperte, cuscini, lenzuola, attaccapanni, specchi, tavolini in formica per il refettorio, sedie, panche, stoviglie, pentole, posateria e vassoi per il self-service, in ottimo stato [23].
A tutto questo si aggiungono anche «la sistemazione del terreno circostante il campeggio, ricavando anche – con l’aiuto del Comune di Ligonchio – due mini-campi per la pallavolo e la pallacanestro», successivamente attrezzati.
Il resto della comunicazione sul punto relativo al campeggio di Ligonchio sottolinea, con un tono piuttosto diretto e urgente, le difficoltà nel reperire la cifra necessaria a coprire tutti i costi dei lavori effettuati. Anche per questo Mariotti, che nel gennaio 1974 scriverà una nuova lettera, si rivolge alla Segreteria della Federazione del Pci di Reggio Emilia, allo scopo e nella speranza di ottenere un concreto e immediato aiuto, ribadendo e sottolineando che
il complesso che abbiamo a Casalino ha un valore anche per il significato tradotto in attività e per l’arricchimento che esso ha dato e può dare per un momento ricreativo-formativo nella educazione dei ragazzi della nostra Provincia e di altre province italiane [24].
Dalle fonti archivistiche consultate non c’è traccia di risposte alle richieste di Mariotti e, purtroppo, la documentazione si interrompe al 1976. Restano i bollettini periodici dei monitori dei pionieri che ci attestano, come già riportato nel paragrafo precedente, che il 1974 e il 1975 sono edizioni di grande partecipazione e attività al campeggio estivo.
Nel 1978 l’Associazione dei pionieri si scioglie di nuovo e definitivamente. Ciononostante, dalle testimonianze orali raccolte, non si conclude la vicenda del campeggio di Casalino di Ligonchio dedicato a Papà Cervi. Le estati in Appennino proseguono ancora per tutti gli anni Ottanta, sotto la gestione dell’Arci Ragazzi.
Ma questa è un’altra storia, un’altra ricerca.
7. Il progetto Ostello dei Balocchi
Quello che però qui si può aggiungere è il racconto del presente.
Dal 2008 la struttura che negli anni Settanta e Ottanta fu la base del campeggio Papà Cervi nell’Appennino Reggiano è diventata sede di un Centro di educazione ambientale (Cea), gestito da Legambiente Ligonchio Aps, ideatrice del progetto Ostello dei Balocchi. Sul loro sito web [25] si legge:
Il progetto nasce con l’intento di apportare un concreto esempio di sviluppo sostenibile nell’ambito turistico ed ambientale, caratterizzato da una forte radicazione storico socio culturale con il territorio. Dal 2008 siamo l’unica struttura all’interno del Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-emiliano che propone una nuova ed originale formula turistica: il turismo “someggiato”, ovvero con l’ausilio degli asini, animali assolutamente ed indiscutibilmente legati alle tradizioni e alla cultura del nostro territorio.
Raccogliere gli stimoli dal nostro passato e proiettarli sui bisogni del presente a favore di un accorto rapporto con l’ambiente, rappresenta da sempre la nostra mission. Quando la fretta e la superficialità allontanano dall’essenza della vita, l’asino animale lento, sicuro nei suoi passi uguali, porta a guardare con occhi tranquilli e penetranti ciò che di essenziale ci circonda e dona benessere all’esistenza. È la scoperta delle piccole cose, della natura, del paesaggio e degli ambienti che fanno diventare spettacolare ogni viaggio.
Allo stesso modo anche i laboratori didattico-artistici per bambini, proposti dall’Ostello dei Balocchi mirano a sottolineare e stimolare una riflessione attraverso l’esperienza. Apparentemente distanti e legati a due mondi differenti l’asino e le tecniche antiche artistico-espressive hanno molti valori in comune. Così come nell’approccio con l’asino non ci sono pulsanti, leve da azionare o comandi da impartire, anche nella scoperta dei linguaggi espressivi occorre conquistare il risultato finale attraverso la comprensione di un processo, l’impegno e la sensibilità personale.
Oggi, l’Ostello dei Balocchi, è diventato un punto di riferimento a livello provinciale ed interregionale per le tante famiglie e le scuole che vogliono far passare ai bambini un momento educativo importante durante l’anno scolastico o più semplicemente momenti di vacanza avventurosa, dove il contatto con la natura, la capacità di vivere insieme diventano i valori fondanti di ogni esperienza condivisa.
La programmazione dell’Ostello dei Balocchi si suddivide in fine settimana e iniziative dedicate a tutta la famiglia nei mesi invernali primaverili ed autunnali mentre l’estate è tutta dedicata ai campi estivi residenziali ed itineranti per soli bambini.
A Casalino di Ligonchio le estati sono ancora all’insegna delle vacanze per bambini e bambine, ragazzi e ragazze, accolti nella natura da uno staff molto speciale a quattro zampe.
Bibliografia
- Calvino 1953a
Italo Calvino, Nei sette volti consapevoli la nostra faticosa rinascita, in «Patria Indipendente», 24 (20 dicembre 1953), p. 3. - Calvino 1953b
Italo Calvino, I sette fratelli, in «l’Unità», 28 dicembre 1953, p. 7. - Cervi 1955
Alcide Cervi, I miei sette figli, con Renato Nicolai, Roma, Editori Riuniti, 1955. - Cervi 2010
Alcide Cervi, I miei sette figli, a cura di Renato Nicolai, introduzione di Luciano Casali, Torino, Einaudi, 2010. - Fincardi 1997-1998
Marco Fincardi, Ragazzi tra il fuoco. Una crociata per la conquista cattolica della gioventù, in Pionieri e Falchi Rossi. L’associazionismo infantile di Sinistra nell’Italia del dopoguerra. Dai gruppi reggiani alla rete nazionale, a cura di Marco Fincardi, «L’Almanacco. Rassegna di studi storici e di ricerche sulla società contemporanea», 29-30 (1997-1998), pp. 97-152. - Fincardi 2000-2001
Le repubbliche dei ragazzi. Progetti educativi della sinistra internazionale per l’infanzia e l’adolescenza, a cura di Marco Fincardi, «Annali Istituto Gramsci Emilia-Romagna», 4-5 (2000-2001). - Fincardi 2008
Marco Fincardi, Le associazioni per ragazzi promosse dal movimento operaio, in «Studi storici», 49, 1 (2008), pp. 209-233. - Fincardi 2013
Marco Fincardi, Pagine d’orientamento per pionieri e falchetti, in Falce e fumetto. Storia della stampa periodica socialista e comunista per l’infanzia in Italia (1893-1965), a cura di Juri Meda, Firenze, Nerbini, 2013, pp. 175-204. - Pagliarini 2021
Carlo Pagliarini. Associare i ragazzi, a cura di Marco Fincardi e del Comitato Ricerche Associazione Pionieri (Crap), Bologna, Pendragon, 2021. - Silingardi, Varesi, Zanoni 2022
La scelta della libertà. Museo Cervi. Il percorso di visita, a cura di Claudio Silingardi, Paola Varesi, Mirco Zanoni, Gattatico, Istituto Alcide Cervi, 2022. - Vannini 2022
Nel mio cuore finì la loro storia. Scrittori, poeti e cantautori per la memoria dei Cervi, a cura di Mara Vannini, illustrazioni di Valeria Cavallini, Gattatico, Istituto Alcide Cervi, 2022. - Varesi, Silingardi 2010
Paola Varesi, Claudio Silingardi, Il Museo Cervi tra storia e memoria. Guida al percorso museale, con la collaborazione di Paolo Burani, Gattatico, Istituto Alcide Cervi, 2010.
Risorse / Sitografia
- Pioniere
http://www.ilpioniere.org/
Note
1. Come li definì Salvatore Quasimodo nella poesia Ai fratelli Cervi, alla loro Italia, ripubblicata recentemente nella raccolta Nel mio cuore finì la loro storia. Scrittori, poeti e cantautori per la memoria dei Cervi, a cura di Morena Vannini, con le illustrazioni di Valeria Cavallini [Vannini 2022, 80-81].
2. Si precisa che il 5 maggio 1955 è la data corretta dell’ottantesimo compleanno di Alcide Cervi. I festeggiamenti ebbero effettivamente luogo tre giorni dopo, quindi l’8 maggio 1955 presso il Teatro municipale di Reggio Emilia.
3. Compagni fratelli Cervi, di Gianni Rodari, in Vannini 2022, 96-108.
4. Istituto Alcide Cervi, Archivio Documentario della Famiglia Cervi, b. 14 Alcide Cervi, Miscellanea (1898-1970), fasc.110.
5. Alcide Cervi in realtà si spegnerà cinque anni dopo il suo novantesimo compleanno, il 27 marzo 1970, poco più di un mese prima di compiere 95 anni.
6. Una copia del discorso pronunciata da Giorgio Amendola ai funerali di Alcide Cervi è conservata presso Istituto Alcide Cervi, Archivio Documentario della Famiglia Cervi, b. 14 Alcide Cervi, Miscellanea (1898-1970), fasc.110.
7. Si tratta di un subfondo di documentazione residuale relativa all’attività dell’Api nel reggiano: sono presenti sia corrispondenza, documentazione organizzativa, volantini e bollettini, sia resoconti di attività e documentazione contabile.
8. L’Archivio è conservato e consultabile presso il Polo archivistico del Comune di Reggio Emilia Marco Paterlini.
9. Polo archivistico del Comune di Reggio Emilia (PACRE), Archivio Pci – Federazione provinciale di Reggio Emilia (1945-1991) (PCIRE), Subfondo Carte dell’Associazione pionieri d’Italia (1949-1976).
10. Ibidem.
11. Ibidem.
12. PACRE, PCIRE, Subfondo Carte dell’Associazione pionieri d’Italia (1949-1976), «Verso la vita. Bollettino periodico dell’Associazione Pionieri Reggiani», aprile 1957.
13. Ibidem.
14. PACRE, PCIRE, Subfondo Carte dell’Associazione pionieri d’Italia (1949-1976), «Per oggi, per domani. Bollettino periodico trimestrale per monitori dei pionieri», 1 (aprile 1972), p. 13.
15. Ibidem.
16. PACRE, PCIRE, Subfondo Carte dell’Associazione pionieri d’Italia (1949-1976), «Club dei ragazzi», supplemento a «Cronaca viva», 8 (1970), p. 3.
17. Ivi, «Per oggi, per domani. Bollettino periodico trimestrale per monitori dei pionieri», 2 (settembre 1971), pp. 6-8.
18. Ivi, «La Pattuglia», luglio 1972.
19. PACRE, PCIRE, Subfondo Carte dell’Associazione pionieri d’Italia (1949-1976), Documento sull’A.P.I. a Reggio Emilia e attività svolte nel 1973, pp. 8-10.
20. Ragazzi di tutta Italia al campeggio di Papà Cervi, in «l’Unità», 24 maggio 1974.
21. PACRE, PCIRE, Subfondo Carte dell’Associazione pionieri d’Italia (1949-1976).
22. https://www.parcoappennino.it/percorso.php?id=5875.
23. PACRE, PCIRE, Subfondo Carte dell’Associazione pionieri d’Italia (1949-1976), Lettera firmata dal segretario nazionale dell’Api, Giovanni Mariotti, indirizzata alla Segreteria della Federazione del Pci di Reggio Emilia, 12 dicembre 1973.
24. Ibidem.