Parlare di zone libere come anticipazioni della futura democrazia è dunque una concessione retorica, per quanto generosa la si voglia considerare. Vedere in esse al contrario un terreno particolarmente fertile per misurare la progressiva “maturità” della Resistenza è corretto e produttivo di nuove conoscenze.
(Legnani 1997,166)

Oggetto storiografico

Le repubbliche partigiane sono tornate periodicamente ad affacciarsi nella narrazione della Resistenza come manifestazioni dell’espansione, della forza e del potere raggiunto dal movimento partigiano – specialmente a partire dall’estate del 1944 – come forme di organizzazione e governo del territorio messe in piedi dalla Resistenza; e come simbolo e prefigurazione della futura repubblica democratica che sarebbe nata all’indomani della guerra. Quest’ultimo aspetto – che paradossalmente richiama la percezione degli stessi fascisti repubblicani i quali, enfatizzando la propria impotenza e la forza dell’avversario, giunsero a definire le zone libere partigiane come uno «Stato nello Stato» [1] – è quello che viene più spesso messo in rilievo dalle ricostruzioni dedicate a singole repubbliche o al fenomeno più in generale, con il rischio di fermarsi ad una lettura retorica dell’argomento.

Il tema merita invece di essere approfondito dal punto di vista storiografico, prendendo le mosse dai lavori di Massimo Legnani e Anna Bravo, risalenti alla fine degli anni Sessanta del Novecento, nei quali si poneva il problema dello studio delle zone libere e delle repubbliche non solo dal punto di vista della storia militare della Resistenza, ma anche da quelli della storia sociale e del rapporto partigiani-mondo contadino [Legnani 1967; Bravo 1964]. La difficile relazione con il mondo delle campagne di una Resistenza in cui spesso erano predominanti quadri politici e militari di estrazione operaia mette in luce «sordità reciproche», che si evidenziano nel momento in cui i partigiani si trovano ad avanzare proposte costruttive di gestione delle risorse nei territori liberati. Sulla fragile economia di sussistenza delle aree montane coinvolte gravava, infatti, in questo frangente anche la presenza stabile di numerosi combattenti [Legnani 1985, 13-15]. Tale problematica, affrontata da una stagione di studi che fino agli anni Ottanta si è interrogata a livello generale sul rapporto mondo contadino-Resistenza (si vedano, ad esempio, i lavori di Mario Giovana), resta argomento da scandagliare in dettaglio nel contesto specifico delle zone libere, particolarmente fertile per lo studio degli intrecci politici, militari e sociali della lotta partigiana e per analizzare le comunità locali dal basso e dall’interno.

Invitando a questo tipo di analisi, Massimo Legnani nel suo Politica e amministrazione nelle repubbliche partigiane presentava in una dimensione comparativa una rassegna delle esperienze di zona libera realizzate in diverse aree del Nord Italia durante la Resistenza e forniva una chiave interpretativa delle “repubbliche partigiane” nel loro insieme. I singoli casi erano collocati nel più largo contesto della lotta partigiana e dello sviluppo di quest’ultima nel quadro della seconda guerra mondiale, con particolare attenzione agli avvenimenti sul fronte del Mediterraneo, non lasciando spazio a dubbi sulla stretta connessione esistente tra la genesi delle zone libere e l’andamento militare della guerra.

Dopo la liberazione di Roma del 4 giugno 1944, la scelta dei resistenti di occupare territori risulta infatti indissolubilmente collegata all’aspettativa di un’irrefrenabile avanzata angloamericana verso l’Italia settentrionale, che prende corpo parallelamente, da un lato, al fallimento delle chiamate di leva fasciste e, dall’altro, all’evidenziarsi di una crisi interna alla Rsi. Un’incapacità di Salò di controllare parte del territorio periferico non dipendente solo dall’iniziativa partigiana. La prospettiva di una rapida liberazione favorì lo sfaldamento di numerosi presidi della Guardia nazionale repubblicana e impresse un’accelerazione agli sviluppi politici e militari del movimento partigiano, inducendo gli organi direttivi della Resistenza a emanare specifiche disposizioni per l’occupazione di centri abitati e intere aree, la creazione di zone libere e l’instaurazione di organismi di governo e gestione del territorio [2]. Quanto di concreto si riuscì a realizzare nelle singole aree conquistate dai partigiani – in genere per periodi di tempo relativamente brevi – dipese a propria volta dallo sviluppo successivo della situazione militare. I partigiani dovettero affrontare la politica di repressione nazifascista che caratterizzò l’estate del 1944 e confrontarsi con una realtà dei fatti in cui le operazioni angloamericane non procedettero con la rapidità sperata, e anzi rallentarono progressivamente fino a fermarsi in vista dell’inverno 1944-45. Questa situazione, se consentì alle formazioni armate di controllare porzioni di territorio anche nell’autunno del 1944, permise a nazisti e fascisti di riguadagnare progressivamente il potere sulle zone occupate dai resistenti, procedendo a nuovi cicli di rastrellamento e ritorsione anche tra il novembre 1944 e i primi mesi del 1945.

Va considerato inoltre quanto rilevava Legnani a proposito delle difficoltà incontrate dalle formazioni combattenti e dai comandi di zona a mettere in pratica sul piano locale le direttive generali dei centri dirigenti della Resistenza, se non come indicazioni di massima: le realizzazioni effettive conseguite nei territori liberi furono determinate da una serie di variabili contingenti che impongono allo storico di prendere in considerazione le diverse esperienze caso per caso per misurare lo iato tra aspirazioni e fatti compiuti. Ne scaturisce un quadro eterogeneo sotto numerosi aspetti (dal tipo di amministrazione, al colore politico delle formazioni partigiane, al rapporto con la popolazione locale) e si comprende come sia difficoltoso ricondurre il fenomeno delle zone libere a un disegno unitario della Resistenza nel suo complesso da mettere in pratica a livello locale seguendo un modello preciso.

Sempre alla fine degli anni Sessanta risale il primo convegno dedicato al tema delle zone libere in chiave comparata nazionale e internazionale, organizzato dall’Istituto per la storia della Resistenza di Novara e in Valsesia. Negli atti, raccolti nel volume Le zone libere nella Resistenza italiana ed europea pubblicato nel 1974, le esperienze di gestione partigiana italiane venivano messe a confronto con analoghe situazioni realizzate in Bulgaria, Jugoslavia, Albania, Unione Sovietica e Francia.

Nonostante le sollecitazioni e le aperture provenienti da tali lavori – si pensi anche alla selezione e pubblicazione di documenti come stimolo a nuove ricerche – e fatta eccezione per alcuni convegni di approfondimento organizzati negli anni Ottanta del Novecento e per una serie di contributi di carattere locale dedicati a singole esperienze, l’argomento zone libere partigiane è stato trascurato a partire dagli anni Novanta. E di conseguenza risulta quasi completamente estromesso dal processo di rinnovamento interpretativo che ha coinvolto gli studi sulla seconda guerra mondiale dopo il 1989.

A cavallo del Settantesimo anniversario della Resistenza sembra, invece, che l’interesse storiografico si sia nuovamente rivitalizzato. Tra il 2013 e il 2014 sono stati dati alle stampe per importanti editori nazionali ben tre volumi dedicati all’argomento: La Repubblica partigiana della Carnia e dell’Alto Friuli. Una Lotta per la libertà e la democrazia, a cura di Alberto Buvoli, Gustavo Corni, Luigi Ganapini e Andrea Zannini [Buvoli et al. 2013]; Le Repubbliche partigiane. Esperienze di autogoverno democratico, a cura di Carlo Vallauri [Vallauri (ed) 2013] [3] e, infine, di Nunzia Augeri, L’estate della libertà. Repubbliche partigiane e zone libere [Augeri 2014 e 2010] [4].

L’attenzione editoriale e la nuova scommessa sul tema si rivelano però complessivamente sorretti, più che da un reale approfondimento degli studi e da un cambio di prospettiva di analisi, da un intento di sistematizzazione divulgativa e di “popolarizzazione” all’interno del dibattito pubblico nazionale delle acquisizioni storiografiche già consolidate. Sia il testo di Vallauri, sia quello di Augeri – con le dovute differenze: il primo con intenti più espressamente scientifici e la presentazione di una selezione di documenti d’accompagnamento; il secondo caratterizzato da un taglio divulgativo e dall’intento di inserire le diverse esperienze (ricostruite anche attraverso memorie dirette e testimonianze letterarie) all’interno di una cornice unitaria – offrono rappresentazioni sintetiche del fenomeno a livello nazionale [5]. Una bussola o prontuario per orientarsi nel complesso e variegato universo delle zone libere attraverso quadri descrittivi che mettono in evidenza i caratteri specifici delle singole realtà nella dimensione regionale, soffermandosi in particolare sulle forme politiche e l’intensa attività legislativa delle amministrazioni partigiane. Senza però – ci sembra – aprirsi realmente a un’analisi sul piano comparativo e, dunque, a un’indagine capace di problematizzare le specificità territoriali.

Diverso il volume sulla zona libera della Carnia e dell’Alto Friuli, che raccoglie gli atti del convegno 1944. Una lotta per la libertà e la democrazia – organizzato nel 2011 dall’Università di Udine e dall’Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione [6] – e che prova ad offrire nuovo respiro interpretativo alla ricerca sulle zone libere. A partire da una riflessione sul percorso analitico tracciato dalla storiografia italiana sulle “repubbliche partigiane” dal dopoguerra ad oggi, l’esperienza friulana è calata nella dimensione europea, attraverso il confronto con la storia di analoghe e coeve realtà in Francia, nei territori occupati dall’Urss e nei Balcani. Avvalendosi di nuova documentazione e raccogliendo gli stimoli tematici suggeriti dalla storiografia internazionale più recente sul contesto di guerra (rapporto civili-partigiani, dimensione di genere, ruolo del clero, dialettica con le politiche repressive nazifasciste), la storia della Repubblica della Carnia è riletta facendo emergere in particolare la messa a valore di quel sostrato di tradizioni autonomistiche – sia politiche, che culturali – che connotano la fisionomia delle relazioni e del tessuto sociale nello specifico contesto territoriale.

Prospettiva d’analisi

Il presente dossier di “E-Review” si prefigge di affrontare il tema dei territori liberi partigiani a partire da un problema di definizione: si deve parlare di repubbliche o di zone libere? Come valutare i vuoti di potere che si creano in diverse zone d’Italia nel corso degli ultimi anni del secondo conflitto mondiale e le modalità in cui civili e partigiani tentano di colmare tali vuoti?

Abbiamo quindi provato a domandarci in che misura l’occupazione di una porzione di territorio da parte del movimento partigiano rappresenti la reale conquista di spazi d’agibilità politica e in quale modo all’interno di tali spazi prendano forma – a livello territoriale – concreti esperimenti di organizzazione dal basso della dimensione pubblica in grado di rispondere alle esigenze dell’emergenza bellica, sia che questi vengano gestiti dalle formazioni combattenti sia che si creino appositi organismi “politici”.

Il nostro tentativo di farci strada all’interno del tema, costruendoci per gradi una mappa concettuale di conoscenze e riferimenti teorici, ci ha portato a confrontarci con uno “stato dell’arte” dai contorni contraddittori, al limite del paradosso: a fronte di un complesso di fonti tradizionali caratterizzato dalla povertà e frammentarietà documentaria, e di un numero di studi rilevante ma perlopiù datato, – frutto di stagioni storiografiche distanti dalla sensibilità contemporanea, se non addirittura della riflessione storica degli stessi protagonisti – il sentire diffuso classifica le zone libere quali anticipazioni tout court della Repubblica democratica postbellica, sulle quali in sostanza nulla di nuovo vi è più da dire.

Ma ne siamo davvero sicuri? E tale lettura è sufficiente a dar conto di un silenzio storiografico tanto compatto?

Interrogandoci sulle ragioni di questa prolungata diffidenza, ci è parso sempre più chiaro come a differenza di altri temi inerenti la seconda guerra mondiale – quali, ad esempio, le politiche di occupazione naziste e fasciste, lo sterminio ebraico, le stragi – la storia delle zone libere appaia (salvo rare eccezioni) ancora connessa al paradigma antifascista definitosi nell’immediato dopoguerra: ad un orizzonte di senso prettamente politico, se non addirittura partitico, incentrato sull’analisi della dialettica interna tra le forze ciellenistiche. Ci siamo accorte di quanto manchi nelle analisi sulle esperienze di autogoverno partigiano quello sguardo soggettivo antiretorico in grado di tratteggiarne i contorni dal punto di vista della quotidianità di guerra, della giornaliera battaglia per la sopravvivenza, dello scarto fra aspettative ideali ed efficacia concreta delle politiche amministrative adottate, della distanza esperienziale fra popolazioni e partigiani. Il tema, cristallizzatosi in una configurazione politico-celebrativa, sembra infatti aver attraversato indenne la svolta del 1989 e il radicale mutamento di prospettiva storiografica che ha interessato gli studi sulla guerra negli anni Novanta. E ciò è avvenuto nonostante Pavone, già nel 1991, avesse offerto una serie di suggestioni al riguardo parlando, ad esempio, delle “necessarie” sovrapposizioni tra referenti dell’amministrazione fascista e partigiana a tutela della sopravvivenza materiale della popolazione; del compensatorio rapporto nel mondo partigiano fra carenze della progettazione politica, economica, istituzionale e intensità dell’aspirazione; o dell’imperfetto o tardivo incontro fra Resistenza e mondo contadino.

Il silenzio sulle zone libere partigiane è da mettere infatti in relazione anche con la scarsa attenzione riservata dalla storiografia alle campagne almeno a partire dagli anni Ottanta, che, sottraendo corporeità all’articolazione del tessuto sociale e agli equilibri di potere interni alle comunità, ha ridotto le occasioni di leggere in profondità i contesti in cui hanno preso forma le zone libere. Lo sguardo adottato negli ultimi decenni dagli studi sulle esperienze di guerra, focalizzato prevalentemente sulla distinzione tra militari e civili, sembra aver a propria volta contribuito a rafforzare questo appiattimento di prospettiva.

Il dossier che presentiamo approccia il tema delle zone libere concentrando l’attenzione sull’Emilia-Romagna. Abbiamo privilegiato una lettura che, muovendo dal piano locale, ci permette di tenere a fuoco l’intreccio dei legami comunitari e identitari con il territorio, con le formazioni partigiane, con singole figure significative, con gli avvenimenti legati alla Resistenza, con la presenza fascista e nazista; e di verificare come tali legami siano stati influenzati, rafforzati, intaccati ... dall’esperienza della zona libera, tanto nella situazione coeva quanto in quella seguita alla conclusione della guerra. I saggi prendono dunque in considerazione singole zone libere costituite sul territorio regionale, senza tuttavia rappresentare mere ricostruzioni degli avvenimenti in questa o quella zona, ma cercando piuttosto di analizzare peculiarità e tratti comuni e di sviscerare alcuni nodi tematici.

Il caso emiliano-romagnolo appare rilevante in virtù della presenza di zone libere sia nella fase estiva che in quella autunnale del 1944, nonché delle specifiche caratteristiche che la Resistenza assunse nella regione, dove – specialmente in alcune aree – si ebbe una forte connessione tra lotta armata e istanze sociali ed economiche espresse dalle comunità locali; e si assistette ad una estensione del movimento partigiano che raggiunse livelli di adesione di massa.

Tali fenomeni appaiono particolarmente evidenti in pianura, tanto da configurare per alcune porzioni di territorio un controllo di fatto e un potere partigiano, pur in assenza della creazione di una vera e propria zona libera. Non ci è parso quindi né scontato né scorretto tentare di stimolare una riflessione su elementi comuni e differenze tra queste aree di pianura e i territori liberi propriamente detti: andrebbero in questo senso riprese le considerazioni di Luciano Casali e Mario Pacor sulla forza e l’organizzazione raggiunte dalla 65ª brigata Gap Walter Tabacchi, che nell’autunno 1944 dimostrò di poter fronteggiare quasi come un esercito regolare nazisti e fascisti nel modenese [Pacor, Casali 1972]; e, soprattutto, quelle di Luigi Arbizzani che già negli anni Ottanta del Novecento proponeva un parallelismo tra la situazione della zona libera dell’Alto Monferrato e quella della pianura attorno a Carpi controllata dalla Resistenza, zone entrambe contraddistinte da uno «speciale» legame di consonanza creatosi tra partigiani e contadini [Arbizzani 1986].

Il focus sulle esperienze locali non ci ha impedito di guardare al tema delle zone libere partigiane anche da un punto di vista comparativo e, pertanto, i diversi casi regionali sono inseriti in un contesto più ampio di confronto – sia spaziale, che temporale – con esperienze analoghe sviluppatesi in territorio italiano. Per facilitare la comparazione i saggi di ricerca sono accompagnati da una serie di “strumenti” introduttivi, finalizzati a fornire un quadro di riferimento concettuale e storiografico sull’argomento. Rientrano fra questi anche due saggi cartografici che riflettono sulla dimensione geografica dei territori liberi. Il primo punta a fornire un quadro spazio-temporale delle zone libere partigiane in una dimensione sovraregionale e nazionale, tenendo presenti anche esperienze – solo in parte paragonabili – come le repubbliche contadine del Sud Italia; e si interroga sulla mancanza di uniformità tra le diverse cartografie nazionali elaborate nel corso del tempo. Una riflessione sulla definizione geografica ci è parsa infatti necessaria per una verifica delle categorie interpretative e per tentare di distinguere quelle che possono essere considerate a tutti gli effetti zone liberate dal movimento partigiano da quelle aree abbandonate – e dunque lasciate libere – da fascisti e nazisti, in cui i resistenti si insediarono dando vita a forme di governo.

Il secondo contributo di carattere geografico è rappresentato da mappe regionali interattive, finalizzate, da un lato, a individuare i confini spaziali e temporali dei territori liberi emiliano-romagnoli evidenziandone i mutamenti d’ampiezza territoriale nel corso dei mesi; dall’altro, a mettere in evidenza la presenza – o assenza – di presidi fascisti e nazisti in quelle aree e l’interesse strategico-militare delle zone stesse, al fine di verificare la reale dialettica fra zone “lasciate libere” dalle forze fasciste e tedesche e zone liberate dall’azione partigiana.

Obiettivo centrale del dossier è tentare di esaminare, all’interno della dimensione regionale, il rapporto esistente fra progettualità ideali e risultati effettivi conseguiti nell’ambito dell’esperienza delle zone libere. Non vi è dubbio che la conquista e la gestione diretta di un territorio rappresentassero per i partigiani un’anticipazione della liberazione e delle potenzialità del dopoguerra; e che le zone libere fossero, in questo senso, un terreno di sperimentazione di una nuova politica da costruire all’insegna degli ideali resistenziali. È chiaro inoltre quale potesse essere il ruolo assegnato dal movimento partigiano alle zone libere in termini di ricerca del consenso e di accreditamento come forza politica agli occhi della popolazione italiana, degli alleati anglo-americani e degli avversari fascisti e nazisti. Tuttavia, al di là dei richiami alti ai valori di libertà e democrazia, e al di là delle indicazioni generali che giungevano ai diversi comandi e Comitati di liberazione locali dagli organismi centrali della Resistenza, le forze partigiane che occuparono temporaneamente porzioni di territorio si trovarono davanti a problemi concreti e a situazioni particolari che necessitavano di approcci flessibili e soluzioni specifiche. La condizione di emergenza bellica imponeva a chi amministrava quotidianamente il territorio urgenze economico-sociali, cui si doveva dare risposta. La debolezza degli apparati della Repubblica sociale italiana e l’inadeguatezza di Salò a gestire il territorio e a rispondere alle esigenze di una popolazione duramente provata dalla guerra sono elementi su cui già Legnani richiamava l’attenzione nei suoi studi sulle zone libere, mettendo in luce come in alcune situazioni i partigiani dovettero concretamente sopperire ad un vuoto politico e amministrativo lasciato dai fascisti [Legnani 1974, 10]. In questa prospettiva appare potenzialmente interessante un’analisi delle strategie economiche e assistenziali messe in atto da organismi dipendenti dalla Repubblica sociale italiana in specifiche situazioni locali, quale tentativo di confronto sulle modalità di gestione dell’emergenza bellica adottate simultaneamente dal fascismo repubblicano e dal movimento resistenziale.

Nelle zone libere comandi partigiani, popolazione civile e organi politico-amministrativi si trovarono ad affrontare in primo luogo problemi alimentari, di assistenza – quali alloggi per sfollati e sinistrati, raccolta di fondi e beni di prima necessità – di ridistribuzione delle risorse (requisizioni, ammassi, calmiere dei prezzi, lotta al mercato nero), di gestione dell’ordine pubblico e di disciplinamento di rinnovate forme di giustizia. Le soluzioni individuate e le difficoltà reali presentatesi nell’applicazione di tali soluzioni sono elementi su cui abbiamo invitato a riflettere gli autori dei saggi per misurare la corrispondenza tra aspirazioni ed effettive realizzazioni, nonché la reale efficacia della gestione partigiana, ciellenistica o delle giunte amministrative civili. Si deve, peraltro, rilevare con Carlo Smuraglia che i risultati parziali conseguiti dai resistenti a livello politico e sociale nei territori liberati non esauriscono il valore delle aspirazioni e delle idealità sottese ai modelli di gestione adottati, che resta almeno in parte una variabile indipendente [Smuraglia 2013, 296-298].

Interrogarsi sulla distanza – o prossimità – esistente tra la concretezza delle esperienze e le attese ideali conduce ad un altro nodo su cui non è irrilevante soffermare l’attenzione, vale a dire le modalità in cui sono state elaborate e si sono fissate le rappresentazioni e la memoria delle “repubbliche partigiane”. Non di rado queste sono state descritte nel discorso pubblico come esperienze vincenti dal punto di vista militare, proficue sul piano dei legami partigiani-popolazione civile e anticipatrici della democrazia postbellica, senza lasciare spazio a riflessioni più approfondite sulle difficoltà materiali e le contraddizioni coeve, nonché sulla complessa eredità politica e memoriale delle zone libere. Per rispondere agli interrogativi qui sommariamente richiamati, abbiamo quindi scelto di inserire i saggi monografici che compongono il dossier in due sezioni distinte, cercando di dare spazio sia al piano fattuale e concreto delle realizzazioni e delle eredità dei territori liberi, sia alle rappresentazioni – e autorappresentazioni – che delle zone libere si sono fatte nel corso del tempo attraverso storiografia, memoria, letteratura, arti, nuovi e vecchi mezzi di comunicazione.

Bibliografia

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Resistenza e mondo contadino: l’esperienza dell’Emilia Romagna, in Istituto per la Storia della Resistenza in Provincia di Alessandria, Istituto per la Storia della Resistenza in Provincia di Asti 1986, Contadini e partigiani. Atti del convegno storico (Asti, Nizza Monferrato 14-16 dicembre 1984), Alessandria: Edizioni dell’Orso
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Montefiorino distretto partigiano: risposta ad Ermanno Gorreri autore del volume “La Repubblica di Montefiorino”, in Saggi e notizie sulle "zone libere” nella Resistenza emiliana, Imola: Galeati
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Le repubbliche partigiane: nascita di una democrazia, Milano: Spaziotre
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Buvoli A., Corni G., Ganapini L., Zannini A. (eds) 2013
La Repubblica partigiana della Carnia e dell’Alto Friuli. Una Lotta per la libertà e la democrazia, Bologna: il Mulino
Focardi F., Groppo B. (eds) 2013
L'Europa e le sue memorie: politiche e culture del ricordo dopo il 1989, Roma: Viella
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Introduzione. Rileggere oggi la storiografia sulle repubbliche partigiane, in Buvoli A., Corni G., Ganapini L., Zannini A. (eds) 2013
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Resistenza, autogoverno e problemi delle autonomie nell'Italia 1943-1945, Torino: Unione Province Italiane
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Guerriglia e mondo contadino. I garibaldini nelle Langhe: 1943-1945, Bologna: Capelli
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La Repubblica di Montefiorino: per una storia della Resistenza in Emilia, Bologna: il Mulino
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Politica e amministrazione nelle repubbliche partigiane. Studio e documenti, Milano: Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione
Legnani M. 1974
Il significato delle zone libere nella storia della Resistenza italiana, in Istituto Storico della Resistenza in provincia di Novara e in Valsesia (ed) 1974
Legnani M. 1985
Interrogarsi sul problema storico delle Repubbliche partigiane, in Città di Alba, Istituto storico della Resistenza di Cuneo e provincia (eds), Alba Libera. Atti del convegno di studi ‘La libera repubblica partigiana di Alba’, 10 ottobre-2 novembre 1944, Alba: L’Artigiana
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Territori partigiani, zone libere, ‘repubbliche partigiane’, “Asti contemporanea”, 5
Pacor M., Casali L. 1972
Lotte sociali e guerriglia in pianura. La Resistenza a Carpi, Soliera, Novi, Campogalliano, Roma: Editori riuniti
Pavone C. 1991
Una guerra civile: saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Torino: Bollati Boringhieri
Semi di Costituzione 2014
La bella storia delle repubbliche partigiane, “Patria Indipendente”, Speciale 70° liberazione 
Smuraglia C. 2013
Conclusioni. Attualità delle repubbliche partigiane nel contesto complessivo della Resistenza, in Buvoli A., Corni G., Ganapini L., Zannini A. (eds) 2013
Vallauri C. (ed) 2013
Le Repubbliche partigiane. Esperienze di autogoverno democratico, Roma-Bari: Laterza

Risorse

1944 - Le Repubbliche Partigiane - Centro Studi Luciano Raimondi
http://www.1944-repubblichepartigiane.info
Patria Indipendente Speciale 70º liberazione. Semi di Costituzione. La bella storia delle Repubbliche partigiane. Pdf
http://www.anpi.it/media/uploads/patria_70/patria_speciale_70_2.pdf
Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea in prov. di Asti. M. Legnani, Territori partigiani, zone libere, ‘repubbliche partigiane’. Pdf
http://www.israt.it/index.php?option=com_booklibrary&task=view&id=41&catid=79&Itemid=95

*Nell’immagine chiave associata all’articolo sono raffigurati partigiani della Repubblica di Montefiorino (fondo Corti).


Note

1. Notiziario giornaliero Guardia nazionale repubblicana, Aosta, 21 luglio 1944 [Legnani 1985, 11].

2. Facciamo riferimento alle circolari del Comitato di liberazione nazionale Alta Italia (Clnai) ai Comitati di liberazione nazionale regionali e provinciali sulla preparazione dell’insurrezione del 2 giugno 1944 e del comando generale del Corpo volontari della libertà ai comandi regionali e a tutte le formazioni su «occupazione di paesi e vallate, operazioni militari e organizzazione civile» del 28 giugno 1944.

3. Il volume nasce dalla volontà dell’Anppia di recuperare, in occasione del Settantesimo anniversario della Resistenza, i risultati del lavoro di ricerca commissionato dalla Fondazione Giacomo Brodolini e realizzato da un gruppo di studiosi coordinati da Carlo Vallauri già alla fine degli anni Novanta.

4. Il testo pubblicato da Carocci nel 2014 è la rivisitazione aggiornata di quello edito già nel 2010 da Spaziotre, piccolo editore milanese. La ricerca di Augeri è stata, inoltre, utilizzata quale intelaiatura per redigere i contenuti testuali del sito web “1944 - Le Repubbliche partigiane” (http://www.1944-repubblichepartigiane.info), realizzato e messo on line dal Centro studi Luciano Raimondi nel 2015.

5. Si inserisce in questo rilancio dell’interesse pubblico anche il numero speciale di “Patria Indipendente” (periodico dell’Anpi) edito nel 2014, che, pur enfatizzando le continuità politico-ideali fra zone libere e futura Repubblica democratica in un’ottica celebrativa, presenta anch’esso un affresco d’insieme alternando riflessioni analitiche – di diverso spessore – e testimonianze dirette [Semi di Costituzione 2014].

6.  L’Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione si è fatto promotore nel 2014 anche di un convegno sull’esperienza della zona libera orientale intitolato La Zona libera del Friuli Orientale 1944-2014, di cui sono attualmente in corso di pubblicazione gli atti.