Un museo del fascismo a Predappio non deve proporsi di raccontare in forma più o meno esaustiva la storia del Ventennio, sia perché gli spazi non sarebbero sufficienti, sia perché il visitatore deve trovare un messaggio legato al luogo in cui si trova. Credo pertanto che il museo debba essere dedicato alla stessa Predappio, la “Betlemme laica” del regime, un piccolo borgo rurale delle colline forlivesi trasformato in un luogo dalla forte valenza mistica, inserito a pieno titolo nella religione civile del fascismo. Raccontare come il paese natale del Duce venga “reinventato” sul piano urbanistico e trasformato in elemento portante di un turismo ideologico di massa, infatti, significa cogliere uno degli aspetti fondamentali del regime: la capacità di conquistare/manipolare il consenso attraverso una propaganda articolata, penetrante, univoca, di chiamare a raccolta gli italiani attorno a una rappresentazione della patria in cui si mescolano storia, memoria, culto della personalità e liturgie littorie.
Il punto di partenza dovrebbe essere la Predappio di fine Ottocento/inizio Novecento e la frazione Dovìa, immagini fotografiche e scene di vita contadina per collocare il luogo nell’ordinarietà del paesaggio agrario dell’epoca e far cogliere la radicalità delle trasformazioni successive.
La seconda sezione (Il paese modello) dovrebbe riguardare gli interventi urbanistici che tra il 1927 e il 1937 portano all’abbandono dell’antico borgo medievale, situato nella parte alta, e alla costruzione nella sottostante vallata attraversata dal fiume Rabbi di una nuova Predappio, modello ideale di “città fascista”, nella quale è inglobata la borgata di Dovìa: un lungo rettilineo, che inizia con l’esedra del mercato comunale antistante la casa natale del Duce, e finisce nella grande piazza dove si affacciano la Casa del fascio, la caserma dei carabinieri, l’ambulatorio sanitario; lungo la via principale, un alternarsi di edifici pubblici e case popolari in perfetto stile razionalista. In questa sezione dovrebbe essere dedicato uno spazio particolare alla Rocca delle Caminate, il castello quattrocentesco posto sullo sperone che domina il paese, restaurato con un prestito littorio e donato ufficialmente a Mussolini il 28 ottobre 1928, diventata residenza estiva del capo del fascismo e della sua famiglia, nonché luogo di rappresentanza e di visita di autorità nazionali e internazionali. I due modelli spazialmente ravvicinati non sono casuali: l’“antico” e il “nuovo” si trovano riuniti nel nome del regime, elemento di congiunzione tra l’Italia del passato e l’Italia risorta con la rivoluzione fascista.
La terza sezione (La Romagna fascista) dovrebbe essere dedicata alla Romagna del Duce, in quegli stessi anni idealizzata quale fucina di protagonisti della storia nazionale, in una visione teleologica che esalta un destino di guida preparato da alcuni precursori (come Alfredo Oriani) e realizzato compiutamente dalla politica di Mussolini. La monumentalizzazione di Forlì e del percorso che collegano il capoluogo a Predappio sono consacrazione di un messaggio autoreferenziale, per il quale «sul quadrante della storia l’ora meridiana della Romagna coincide con l’ora meridiana della Patria» (Vittorio Cian, L’ora della Romagna, 1928).
La quarta sezione (Il culto del Duce) dovrebbe essere dedicata all’infanzia e alla giovinezza di Mussolini, cresciuto a Predappio in una terra sanguigna e quasi selvaggia, abituato sin da piccolo ad associare la fatica muscolare nell’officina del padre alla fatica intellettuale sui banchi della scuola. La leggenda del “figlio del popolo” salito per meriti propri dal nulla alla grandezza del potere è essenziale nella liturgia del Ventennio, garanzia del carattere “popolare” della rivoluzione fascista e insieme tributo all’eccezionalità dell’uomo. In questa stessa sezione dovrebbe essere dato spazio alle figure dei genitori del Duce, perché la canonizzazione della famiglia è elemento centrale nel messaggio: caratterizzante è la figura di Rosa Maltoni, la madre morta ancor giovane nel 1905 e sepolta nel locale cimitero di San Casciano, maestra elementare, oggetto nel Ventennio di un culto quasi mariano come simbolo delle madri d’Italia che uniscono bontà, gentilezza d’animo, fermezza; meno presente la figura del padre, proposto comunque nella sua capacità di educare il figlio alla sopportazione della fatica e al senso delle sfide, di forgiarlo solido e determinato di fronte alle difficoltà della vita.
La quinta sezione (Il turismo ideologico) dovrebbe riguardare l’utilizzo propagandistico di Predappio e l’organizzazione dei pellegrinaggi collettivi, dalle escursioni per famiglie, alle visite di scolaresche, all’omaggio delle federazioni provinciali del Partito nazionale fascista e dell’Opera nazionale dopolavoro, alle gare sportive con meta Rocca delle Caminate. Attorno al luogo natale del Duce nasce un’autentica macchina turistico-escursionistica, con un percorso mirato: dalla stazione di Forlì (inaugurata nel 1927) le masse di pellegrini percorrono viale Mussolini, attraversano piazze e vie monumentali radicalmente trasformate dall’architettura fascista, poi percorrono i dieci chilometri per raggiungere Predappio, visitare la modesta “casa del fabbro”, vedere la scuola elementare, rendere omaggio al cimitero alla madre-maestra.