In considerazione del fatto che in qualunque tipo di futura guerra mondiale sarà impossibile non usare la bomba atomica, e che questa bomba minaccia la sopravvivenza dell’umanità, noi impegniamo i governi del mondo ad accettare l’idea – e a renderla pubblica – che nessun progetto politico è più realizzabile attraverso una guerra, e che conseguentemente vanno trovati strumenti pacifici per risolvere qualunque controversia internazionale.

Il monito, estrapolato dall’Appello contro l’atomica promosso da Bertrand Russell e da Albert Einstein nel luglio 1955, compare in uno dei tanti pannelli che compongono la mostra storico-documentaria Trame di Pace. Simboli, carte, azioni di un’utopia possibile 1945-2003, promossa dall’Istituto per la storia e le memorie del '900 Parri e dall’Assessorato alla cultura della Regione Emilia-Romagna; e curata da Nadia Baiesi, Gianluca Gabrielli, Elda Guerra, Rossella Ropa, Cinzia Venturoli e Angela Verzelli.

Con l’intento di trovare strumenti pacifici per risolvere le controversie internazionali, nel corso della seconda metà del Novecento centinaia di migliaia di donne e uomini hanno costituito un vasto tessuto associativo mobilitandosi di fronte a ogni conflitto distruttivo, sviluppando idee e pratiche, misurandosi con gli avvenimenti internazionali, le vicende nazionali, le culture e le esperienze politiche più diverse. Uomini e donne che hanno ragionato dell’«utopia della pace», non più come di una nobile ma irrealistica speranza, ma come dell’unica chance di salvezza a disposizione dell’umanità. La loro storia si accompagna anche alla ricerca di simboli, alcuni dei quali destinati a essere ripresi e risignificati nei diversi contesti storici.

Il nucleo centrale dell’esposizione si propone, infatti, di illustrare e portare a conoscenza di un vasto pubblico le diverse matrici delle filosofie pacifiste e le pratiche sviluppate nel corso del tempo da associazioni e movimenti per la pace utilizzando appunto simboli, di volta in volta inventati e/o prescelti, per comunicare il senso e il significato dei messaggi ricamati, disegnati, stampati su bandiere, manifesti, locandine. Oggetti dei quali è messo in mostra un campione, al fine di illustrarne le principali tipologie.

La fine della Seconda guerra mondiale, accompagnata dalla drammatica emersione dell’uso dell’energia atomica come arma di guerra e del problema dei diritti umani, segna un momento chiave nella storia dei movimenti per la pace. La scansione cronologica della mostra si incentra, infatti, sul periodo compreso tra il 1945 e il momento della diffusione sui balconi di tante città italiane della bandiera arcobaleno con la scritta «Pace», simbolo della campagna «Pace da tutti i balconi» promossa nel 2003 dai movimenti per manifestare il proprio dissenso nei confronti del concetto di guerra preventiva e per scongiurare la deflagrazione del secondo conflitto in Iraq. Questa campagna rappresenta, infatti, un passaggio particolarmente significativo sia per l’estendersi della partecipazione alla mobilitazione pacifista, sia sul piani simbolico per l’eco internazionale acquisita dalla bandiera arcobaleno, ancora oggi emblema di un discorso di pace pressoché universale.

Ci è sembrato tuttavia opportuno prevedere, in apertura della mostra, una sezione dedicata a periodi precedenti, segnalando le prime apparizioni di quelli che sono in seguito divenuti gli emblemi più diffusi del movimento pacifista. E’, infatti, del primo decennio del Novecento l’originario utilizzo della bandiera con i colori dell’arcobaleno quale immagine di un mondo pacificato e unito nelle differenti appartenenze; mentre è realizzato negli anni Trenta il disegno delle due mani che spezzano il fucile, destinato a diventare il simbolo dell’obiezione di coscienza e dell’opposizione radicale a ogni conflitto armato.

A questa sezione segue quella dedicata agli anni Cinquanta. Nel contesto della guerra fredda l’attenzione si concentra sullo sviluppo da parte delle organizzazioni del Partito comunista o di associazioni a esso collegate, come i Partigiani della pace, di campagne per la prevenzione di un terzo conflitto mondiale collegato all’uso delle armi nucleari. Anche le associazioni femminili – in particolare l’Unione donne italiane – e le donne appartenenti ai sindacati appaiono al centro del racconto, in quanto protagoniste di molteplici lotte di cui divengono simbolo le bandiere patchwork da loro realizzate. [[figure caption="Bandiera delle mondine di Bantivoglio, anni Cinquanta" align="right" width="300px" fancybox="true"]]articles/media/63/ropa_2014_01.jpg[[/figure]] Non si potevano inoltre dimenticare la continuità e l’espansione di altri gruppi pacifisti: come ad esempio La Società per la pace e la giustizia internazionale, ricostituita in Italia dopo la parentesi del fascismo e della guerra; o i Cittadini del mondo e il Movimento Internazionale per la Riconciliazione, presenti anche in altri paesi; e l’impegno di personalità e gruppi cattolici, come il movimento di Pax Christi.

Simbolo fondamentale di questo periodo è la «colomba» disegnata in molteplici versioni da Pablo Picasso. Accanto a essa e in connessione con il movimento contro il nucleare, che vide tra le sue figure più importanti Bertrand Russell, nel 1958 compare un secondo famosissimo simbolo largamente ripreso negli anni Sessanta: l’emblema, elaborato graficamente da Gerald Holtom, rappresenta, all’interno di un cerchio, la stilizzazione delle lettere N (Nuclear) e D (Disarmament) nel codice dei segnali con bandierine.

La parte della mostra che affronta gli anni Sessanta è aperta invece dalla bandiera arcobaleno, voluta da Aldo Capitini in occasione della prima marcia Perugia-Assisi del 1961, e dedicata interamente a queste manifestazioni, che dal 1978 in poi si susseguirono ogni due anni, con lo scopo di mostrare che il pacifismo e la nonviolenza sono insieme idee e pratiche che scelgono la lotta e la denuncia aperta, anche se rifiutano armi e distruzioni. [[figure caption="Bandiera di Aldo Capitini, prima Marcia della pace Perugia-Assisi, 1961" align="left" width="300px" fancybox="true"]]articles/media/63/ropa_2014_02.jpg[[/figure]] Attraverso il materiale esposto in questa sezione sono state messe in evidenza le caratteristiche del pacifismo italiano, cattolico e laico, che ebbe negli anni Sessanta importanti sviluppi, tra cui le prime manifestazioni del movimento degli obiettori di coscienza al servizio militare. Un movimento, quest’ultimo, destinato ad estendersi con il passaggio agli anni Settanta, caratterizzati dall’emergere e dalla diffusione di posizioni antimilitariste.

Ulteriori sezioni della mostra si concentrano su alcuni momenti cardine degli anni Settanta e poi sugli anni Ottanta e Novanta fino al 2003: anni d’intensa crescita del pacifismo antimilitarista, nonviolento e antinucleare. Sono anni in cui le culture e le pratiche pacifiste cominciano ad alimentare e ad arricchire le elaborazioni e le esperienze di movimenti diversi: come quello femminista, quello ambientalista, i gruppi studenteschi e quelli in difesa dei diritti civili. Al tempo stesso questi movimenti offrono un contributo fondamentale allo sviluppo delle idee pacifiste, collegandole spesso a rivendicazioni di stampo più ampio: dalla lotta contro l’insediamento di missili a Greenham Common e a Comiso, alla vicenda di Cernobyl, all’impegno per la soluzione pacifica del conflitto medio-orientale, alle guerre degli anni Novanta. Le diverse anime del movimento danno luogo ad appelli, campagne e mobilitazioni che allargano il loro raggio di azione, intendendo la pace non solo come assenza di guerra, ma come valore positivo, come costruzione di una società più giusta e solidale per l’affermazione di una diversa qualità della vita.

Accompagnano i materiali iconografici e figurativi, due percorsi documentari di approfondimento, basati su diverse tipologie di fonti: immagini d’epoca, locandine, testi di decreti, opuscoli, volantini, articoli di quotidiani e riviste. Il primo prende in considerazione l’impegno dei movimenti pacifisti nei confronti di ogni conflitto distruttivo, il loro misurarsi con gli scenari internazionali e le vicende nazionali (la Guerra fredda fra Est e Ovest, i conflitti regionali e nazionalisti degli anni Novanta, la guerra globale contro il terrorismo, inaugurata dagli Stati Uniti a partire dal 2001). Nel secondo percorso d’approfondimento, invece, sono tematizzate alcune delle pratiche nonviolente – l’obiezione di coscienza al servizio militare, quella fiscale alle spese militari, ecc. – di volta in volta concepite e messe in atto dai movimenti per affermare la necessità di una società pacifica più giusta e inclusiva, promuovendo la sensibilizzazione della collettività e la diffusione di una cultura di pace.

Chiude la mostra una sezione dedicata all’arte, nella quale sono esposte tre opere di Marco Anastasi. Tra queste segnaliamo la bandiera della pace in ceramica, che offre l’esempio di un felice connubio tra storia e arte. [[figure caption="Bandiera in ceramica di Marco Anastasi, 2003" align="right" width="300px" fancybox="true"]]articles/media/63/ropa_2014_03.jpg[[/figure]] Essa fu, infatti, progettata in relazione all’esperienza dei campi di pace promossi dalla Scuola di pace di Monte Sole, ai quali partecipano associazioni israeliane e palestinesi, italiane e tedesche in una pratica significativa di dialogo tra giovani provenienti da luoghi segnati da profondi conflitti presenti e passati.

Complessivamente l’esposizione si prefigge di rispondere a una duplice finalità, insieme divulgativa e didattica. In tempi in cui la violenza presente in molti paesi - dall’Africa al Medio Oriente, dall’Europa dell’Est all’America Latina – interpella nuovamente il mondo pacifista, l’intenzione è di avvicinare un pubblico il più ampio possibile, attraverso un linguaggio diretto e necessariamente sintetico, a un argomento troppo spesso trascurato o sottovalutato. Una particolare attenzione è infine rivolta al mondo della scuola e dei giovani con l’obiettivo di individuare percorsi che guidino le nuove generazioni attraverso un passato per loro remoto. Affinché, anche in una realtà che lascia poco spazio allo sguardo verso il futuro, esse siano invogliate a confrontarsi con i grandi temi delle scelte individuali e collettive appartenute all’arcipelago pacifista, e con le azioni finalizzate a costruire un «mondo diverso e possibile».

La mostra – aperta al pubblico dal 23 aprile al 20 maggio 2014, presso la Sala Museale del quartiere S. Stefano di Bologna – è stata realizzata in collaborazione con il quartiere S. Stefano del Comune di Bologna, la Provincia di Bologna, il Centro di documentazione del manifesto pacifista internazionale, la Casa per la Pace «La Filanda», la Fondazione Gramsci Emilia-Romagna, l’Istituto per i beni artistici, culturali e naturali ER (IBC) e l’Associazione Orlando; con il contributo di Arci, Assicoop, Fondazione Unipolis, Granarolo, Spi-Cgil e il patrocinio dell’Anpi provinciale di Bologna e i Comuni di Sasso Marconi e Bentivoglio.


Risorse

Scuola di pace di Monte Sole, Bologna 
http://www.montesole.org
Centro Studi Sereno R egis, Torino 
http://serenoregis.org
Peacelink-Collegamenti di Pace, Taranto 
http://www.peacelink.it
Pax Christi 
http://www.mosaicodipace.it/mosaico/index.html
Libera Accademia per la Pace 
http://www.lap-mediazione.org
Centro Psicopedagogico per la Pace (CPP), Piacenza
http://www.cppp.it
Centro di documentazione del movimento pacifista internazionale, Bologna
http://cdmpi.interfree.it/home.html
Fondazione Alexander Langer, Bolxano
http://www.alexanderlanger.org/it
Mao Valpiana Blog 
http://maovalpiana.wordpress.com