Nel luglio 1962 il Consiglio direttivo dell’Istituto storico della Resistenza di Modena riceve notizia che il Comune ha deciso la revoca di un finanziamento destinato alla Biblioteca dell’Istituto Ferrarini per l’istruzione e l’educazione del popolo, e in parallelo intende incaricare l’Istituto storico di arricchire la propria biblioteca, dandole un più deciso carattere di «biblioteca di storia contemporanea» [1]. Questo documento presenta ai nostri occhi il declino di una gloriosa istituzione e l’affermarsi di una seconda di recente nascita: in sostanza, un passaggio di testimone importante nella storia delle biblioteche modenesi, anticipatore di sviluppi che arriveranno a compimento più di cinquant’anni dopo.
Biblioteche a Modena nel dopoguerra
Tuttavia il panorama delle biblioteche è all’epoca ben più articolato, in un dopoguerra di grande fermento in molti ambiti compreso quello culturale. La Modena degli anni Cinquanta è una fucina di grandi trasformazioni economiche, urbanistiche, sociali, con il passaggio da una povertà diffusa accompagnata da fenomeni migratori a un tessuto di piccola imprenditoria che darà il via a cinquant’anni di espansione [Muzzioli 1993]. In campo culturale le giunte di sinistra modenesi si distinguono per il grande attivismo e la volontà di affermare un ruolo nuovo dell’ente locale in direzione di un allargamento della consapevolezza dei cittadini, attraverso la scuola e i servizi culturali, sia i nuovi sia i vecchi da rinnovare [Betti, Malagoli e Romagnoli 2011]; per le biblioteche c’è la convinzione di dover investire su due fronti: da un lato la Biblioteca civica d’arte Luigi Poletti, ospitata assieme agli altri istituti «tradizionali» nel Palazzo dei musei, per la quale una commissione è incaricata di progettare lavori complessivi di riordino, sostituzione degli arredi, rifacimento del catalogo, mentre alcune unità di personale sono trasferite da altri servizi per consentire il servizio al pubblico. D’altro lato, in attesa di riuscire a investire su nuove biblioteche pubbliche, le scuole elementari ricevono finanziamenti per creare biblioteche «centralizzate» (non più di classe, ma di istituto), per arricchirle di nuove pubblicazioni e per retribuire le maestre incaricate di un servizio supplementare al di fuori dell’orario scolastico, rivolto alle famiglie; non sono ancora le biblioteche pubbliche che arriveranno solo a fine anni Sessanta, ma certamente semi gettati in quella direzione [2].
Lo stato gestisce l’istituto più importante, la Biblioteca estense e universitaria, unica vera biblioteca della città con funzioni anche di pubblica lettura, parzialmente improprie ma assunte temporaneamente in carico per assenza di istituti specifici; consapevole di questo, il Comune si accollerà per anni il finanziamento dell’estensione dell’orario di apertura alle ore serali per consentire un accesso allargato [Bellingeri 2012]. Dalla metà degli anni Cinquanta l’Estense ospita pure la Sezione di lettura e prestito provinciale del Servizio nazionale di lettura, ideato per far arrivare piccole raccolte di libri nelle periferie cittadine e nei centri minori; assunto poi in carico dalla Soprintendenza bibliografica per l’Emilia nord-ovest, contribuisce a creare un’abitudine diffusa alla lettura e costituisce un altro dei semi gettati verso la moderna biblioteca pubblica, cui si accennava sopra [3].
Una pubblicazione del 1959 curata proprio dal Soprintendente bibliografico per l’Emilia nord-ovest, Sergio Samek Ludovici, elenca una serie cospicua di biblioteche presenti in città: oltre alle già citate Poletti e Estense, Archivio e Biblioteca capitolare, Biblioteca del Collegio San Carlo, Biblioteca dell’Accademia di scienze lettere e arti, Biblioteca dell’Accademia militare, Biblioteca della Deputazione di storia patria per le antiche provincie modenesi, Biblioteca della Galleria estense, Biblioteca dell’Archivio di stato, Biblioteca dell’Archivio storico comunale, Biblioteca dell’Istituto statale d’arte A. Venturi, Biblioteca del Museo del Risorgimento, Biblioteca del Museo muratoriano, Biblioteca del Seminario metropolitano, Biblioteca dell’Istituto Lodovico Ferrarini [Samek Ludovici 1959]. È chiaro che ben poche di queste sono destinate all’uso di un pubblico che vada al di là degli studiosi, e tra di loro certamente spicca la Biblioteca Ferrarini di cui questo saggio intende occuparsi. All’interno di un’ottica tradizionale, il Soprintendente non cita il Servizio nazionale di lettura che pure gestisce, non cita le biblioteche circolanti private esistenti a Modena benché in fase di declino, non cita le biblioteche scolastiche, e non cita la biblioteca dell’Istituto storico, per la verità ancora in fase di avvio [Bellei 2014]. D’altra parte è usuale per l’epoca individuare due categorie di biblioteche; lo stesso Istituto centrale di statistica, proprio in questi anni impegnato in rilevazioni specifiche, opera una netta distinzione tra «biblioteche pubbliche» e «biblioteche popolari», queste ultime così definite: «tutte quelle biblioteche che provviste dei necessari requisiti, assolvono allo scopo di diffondere, per quanto possibile, la conoscenza del libro e la cultura popolare in settori dove generalmente non possono arrivare le altre biblioteche» [4].
La parabola della Biblioteca Ferrarini
Il Soprintendente comprende nella sua lista la Ferrarini - decisamente una biblioteca popolare, e a fine anni Cinquanta in pieno declino - probabilmente in nome del suo passato glorioso. Le caratteristiche della biblioteca sono così riassunte nella pubblicazione.
Questa biblioteca è una delle emanazioni dell’omonimo Istituto, fondato a Modena nel 1912, con lo scopo di promuovere l’istruzione e l’educazione del popolo. […] Il patrimonio dell’Istituto, assai cospicuo per quel tempo (oggi nullo o quasi per la svalutazione della moneta) venne costituito con le offerte di privati cittadini. […] La biblioteca, che ha soprattutto carattere popolare, è costituita da più di 6.000 volumi, in prevalenza di genere narrativo e divulgativo; non mancano opere di cultura e collezioni di classici di discreto valore, ma quasi nullo è attualmente l’incremento annuo, per l’insufficienza dei mezzi. Esistono due cataloghi aggiornati, uno per autori e l’altro per materie.
Un’analisi ben più approfondita dell’Istituto Ferrarini è stata realizzata di recente da Metella Montanari, che ne ha consultato l’archivio fortunatamente giunto fino a noi [Montanari 2012]. Dalla sua ricerca, cui si rimanda per ogni notizia e valutazione sulla storia dell’Istituto, apprendiamo che la biblioteca è attiva dal 1909 in appoggio alla Scuola popolare, già funzionante da alcuni anni; attraversa il periodo di massima espansione negli anni Trenta, strettamente legata al regime che entra coi propri gerarchi nella gestione e attua una parziale epurazione del patrimonio; si affaccia al dopoguerra con scarsi mezzi e raccolta libraria fortemente segnata dagli incrementi del Ventennio, in un clima sociale, politico e culturale decisamente mutato.
I documenti relativi ai numeri dei volumi ospitati rispecchiano probabilmente epurazioni, sottrazioni, donazioni di cui abbiamo solo alcune tracce: sicuramente a fine 1933 si dichiara la presenza di 5.279 libri [5], mentre nel 1941 il Presidente dell’Istituto risponde a una richiesta di dati da parte del Soprintendente bibliografico attestando la presenza di 7.043 volumi [6]; i libri sono ridotti nel 1948 a 2.250 più 1.206 «fermi perché di tempo molto remoto» [7], mentre nel 1957, dopo ripetute donazioni da parte del Ministero della Pubblica istruzione, il bibliotecario Guido Cavani dichiara la presenza di «5.766 volumi, di cui 1.700 di varia cultura, 220 di teatro e il rimanente di narrativa» [8].
Al di là dei numeri, emerge molto presto la consapevolezza di quanto la biblioteca sia ormai inadeguata come quantità e come tipologia di patrimonio alle esigenze nuove. Ne sono consapevoli i soci dell’Istituto, che nell’assemblea di inizio 1946 mettono a verbale che occorrerà cercare un nuovo pubblico di lettori, perché manca ormai il desiderio di istruzione e ci si rivolge solo a «libri di avventure romanzesche, libri gialli e soprattutto romanzi procaci», il che mette fortemente in discussione i fini statutari; inoltre premono difficoltà economiche, per le quali serve un valido aiuto da parte del Comune [9]. Anche nella sede municipale, già nel 1949 si dibatte il problema del quasi cessato funzionamento della Ferrarini, così prezioso per l’educazione del popolo; si ha notizia della visita alla biblioteca della Soprintendente bibliografica, Emma Coen Pirani, che sollecita l’intervento comunale per sede, patrimonio, arredi. L’affitto della sede e un sussidio sono comunque già a carico del Comune [10]. L’Archivio della Soprintendenza bibliografica conserva numerosi documenti relativi a invio di libri provenienti dal Ministero della Pubblica istruzione, all’interno del capitolo «Doni del Ministero per biblioteche non governative»; l’Istituto ringrazia, e sottolinea la difficoltà di «tener aggiornate le opere di più richiesta e utile lettura (come ad esempio, divulgazione scientifica, storia, geografia, cultura varia in genere) in quanto queste opere hanno prezzi molto rilevanti, assolutamente irraggiungibili per le nostre possibilità» [11]. Oltre a sollecitare contributi da parte del Ministero, il Soprintendente si adopera presso la Provincia di Modena e riesce a ottenere un finanziamento di 750.000 lire che «permetterà di procedere ad un oculato acquisto di opere così da rinsanguare il non eccessivamente ricco patrimonio bibliografico posseduto» [12].
La crisi del Ferrarini non riguarda solo e non riguarda primariamente la biblioteca; sono piuttosto le altre attività, in particolare la scuola serale per analfabeti, ad aver perso significato, tanto da indurre il Commissario, che si è sostituito al Consiglio direttivo per decisione del Provveditore agli studi, a indire corsi serali di lingue in collaborazione con le associazioni italo-britannica e italo-francese che hanno potuto prendere sede presso l’Istituto grazie a un suo trasferimento di sede [13].
Declino del Ferrarini e emergere di nuovi protagonisti
La lunga durata del commissariamento, dal 1955 al 1959, accompagna e determina la decadenza dell’Istituto. Il Soprintendente, che aveva nel 1954 proposto al Prefetto di istituire una Commissione composta da rappresentanti degli enti interessati al buon funzionamento della biblioteca (Consiglio direttivo Ferrarini, Provveditorato agli studi, Soprintendenza bibliografica, Biblioteca estense, Comune, Provincia), proposta caduta nel vuoto, deve registrare con rammarico l’improvvisa nomina del Commissario a fine anno [14]. Quanto al Comune, ancora nel 1953 era persuaso di puntare sulla Ferrarini per «affidare ad essa il difficile compito dell’incremento nella nostra provincia della cultura popolare», ma davanti al prolungarsi del commissariamento, che tra l’altro esclude di fatto la rappresentanza comunale nella direzione dell’Istituto prevista ex Statuto, si interroga sul senso di finanziare un ente che pare non produrre grande utilità pubblica e sfugge a ogni verifica sul buon funzionamento [15]. Scorrendo gli articoli apparsi su “l’Unità” in quegli anni, si ha un sentore più preciso della posta in gioco: intento locale di salvaguardare la laicità dell’Istituto e interesse della Giunta di sinistra a intervenire nella gestione di un istituto culturale popolare, da un lato; dall’altro, intervento statale per riprendere il controllo della biblioteca e estromissione dell’ente locale da ambiti ritenuti non di sua pertinenza; sullo sfondo, in periodo di guerra fredda, il contrasto tra un Comune di sinistra e un governo democristiano probabilmente riflesso nella composizione del Comitato direttivo [16].
Quando infine il commissariamento ha termine, si ha notizia della nomina di Magda Maglietta come rappresentante del Comune nel Consiglio [17], e una lista dei soci comprende nomi ben noti nella storia della città e della sua amministrazione [18]. Sono gli ultimi fuochi: una proposta di convenzione presentata in giunta a fine 1961, e che avrebbe impegnato il Comune per ben nove anni, probabilmente non andò mai in porto [19]: si stava infatti iniziando a progettare l’apertura delle biblioteche comunali, che arriverà a compimento in tutti i quartieri in meno di un decennio [Bellei 2017], e osservando con interesse il formarsi di una biblioteca presso l’Istituto storico della Resistenza. Funzione di biblioteca del popolo e funzione di memoria storica del Novecento ormai possono prescindere dalla Ferrarini.
L’Istituto storico in quegli anni è impegnato a dare forma alla biblioteca, grazie al trasferimento in una nuova sede e al consolidamento di relazioni con Comune, Provincia, Ispettore bibliografico, biblioteche affini, Ministero che invia volumi «residuati fascisti»: all’inaugurazione nella nuova sede, l’11 aprile 1973, la biblioteca si presenta con caratteristiche strutturate, patrimonio di rilievo, ruolo riconosciuto [Bellei 2012].
Non stupisce quindi che all’Istituto storico si rivolga il Ferrarini quando ormai è decisa la dismissione della biblioteca: dopo un’Assemblea dei soci del 1980 che denuncia lo stato comatoso dell’Istituto da vent’anni, nel disinteresse prolungato di Provveditorato e Comune [20], una lettera del Presidente è inviata all’Istituto storico in data 6 ottobre 1981:
Il Consiglio di Amministrazione dell’Istituto Lodovico Ferrarini per l’educazione e l’istruzione del popolo è venuto nella determinazione di cedere, a titolo di deposito perpetuo, una parte della sua biblioteca. I volumi, di cui viene allegato elenco, comprendono testi sul fascismo e sull’antifascismo ed annate complete della “Illustrazione italiana” dal 1911 al 1942 e due annate della “Rivista illustrata del popolo d’Italia”. Come le sarà noto la biblioteca, la cui istituzione risale ai primi anni del secolo, ha svolto una preziosa ed allora insostituibile funzione di diffusione della cultura, specialmente tra le classi sociali meno abbienti. […] Questo Istituto gradirebbe che, ove fosse possibile, i libri venissero collocati in un unico scaffale portante l’indicazione “Biblioteca Ferrarini” in modo da ricordare una gloriosa e meritoria istituzione che ancora vive nel ricordo di molti modenesi [21].
I libri, in numero di 300, sono effettivamente ceduti e oggi conservati in Istituto storico; vertono quasi al completo su materie di storia. Ma questo è solo il primo atto di una vicenda che si prolungherà per un altro quarto di secolo. Nel marzo 1985 il Consiglio direttivo decide formalmente la liquidazione dell’Istituto e la cessione del patrimonio di libri e documenti al Laboratorio di poesia di Modena, «con l’impegno di conservare il tutto, ordinarlo, studiarlo e rendere pubblico sia l’accesso alla Biblioteca che il risultato degli studi sulla vita e l’attività del disciolto Istituto»; in ragione di questo si cedono al Laboratorio i certificati azionari depositati presso la Tesoreria del Comune di Modena [22]. Terzo e ultimo atto: nel 2017 il Laboratorio di poesia e l’Istituto storico concordano la donazione da parte del primo a favore del secondo, comprendente tutti i libri e i documenti d’archivio finora conservati in due sedi; 4500 libri e un centinaio di testate di riviste di diversa consistenza traslocano ancora una volta, in una destinazione finale secondo gli auspici di tutti gli attori coinvolti.
«Conservare, ordinare, studiare e rendere pubblico»
Sono finalmente soddisfatte le richieste dei responsabili del «disciolto Istituto»: l’Istituto storico è impegnato nelle azioni indispensabili per rendere di nuovo fruibile un patrimonio importante, testimonianza di oltre cinquant’anni di attività bibliotecaria in città. I libri sono per due terzi opere di letteratura, per metà italiana con una discreta percentuale di narrativa di consumo, e per un’altra metà di scrittori stranieri: soprattutto francesi e anglo-americani, ma anche tedeschi, russi, spagnoli... Quasi tutti i volumi sono stati rilegati, evidentemente dopo un uso massiccio, e vari sono letteralmente consumati. Il rimanente terzo è costituito da opere di saggistica, con una netta preminenza per i libri di storia, di geografia e viaggi, di scienze applicate: tra questi ultimi spicca una raccolta di piccoli manuali di diversi editori con istruzioni per esercitare i mestieri più diversi e specialistici, segno del tentativo dell’Istituto di allargare la propria base di lettori a coprire nel dopoguerra una nuova esigenza di saperi. Mentre tra i libri sono poche le edizioni in lingua, i periodici comprendono una buona quantità di testate in lingua inglese e francese, riflesso della convivenza in Istituto delle associazioni culturali italo-francese e italo-britannica di cui è rimasta anche documentazione archivistica. Numerose poi le riviste di geografia e viaggi, di cultura generale, di scuola e istruzione.
Del tutto esaurito il fine statutario - «educazione e istruzione del popolo» - e dopo vicissitudini organizzative e politiche devastanti, ai responsabili dell’Istituto Ferrarini va riconosciuto il merito di essere riusciti a salvare e trasmettere il nucleo portante dell’attività, il fondo bibliotecario, ora certamente non più interessante per la lettura e il prestito bensì per gli studi di storia delle biblioteche e della società modenese della prima metà del Novecento.
Bibliografia
- Bellei M. 2014
Conservare e divulgare: la Biblioteca dell’Istituto storico di Modena dalle origini agli anni Ottanta, “E-Review”, 2. - Bellei M. 2017
«Costruire lentamente pietra su pietra». Biblioteche comunali a Modena negli anni Sessanta del Novecento, “Memorie scientifiche, giuridiche, letterarie”, Accademia di scienze lettere e arti Modena, s.IX, v.I, f.I. - Bellingeri L. 2012
Leggere in Estense. Dotti studiosi e altri lettori incerti o svagati in un secolo di servizio pubblico, in Montecchi e Manelli (eds) 2012. - Betti D., Malagoli C. e Romagnoli P. 2011
Il racconto istituzionale (1965-1985), in Borghi V., Borsari A. e Leoni G. (eds.) 2011, Il campo della cultura a Modena, Milano-Udine: Mimesis. - Montanari M. 2012
Libri e popolo a Modena nel primo Novecento: l’Istituto Lodovico Ferrarini, in Montecchi e Manelli (eds) 2012. - Montecchi G. e Manelli R. (eds) 2012
Biblioteche e lettura a Modena e provincia dall’Unità d’Italia ad oggi, Bologna: Editrice Compositori. - Muzzioli G. 1993
Modena, Roma-Bari: Laterza. - Samek Ludovici S. (ed.) 1959
Le biblioteche dell’Emilia (N. O.). Storia patrimonio attività, Modena: s. e.
Risorse on line
- Biblioteca Ferrarini
www.istitutostorico.com/biblioteca - Archivio dell’Istituto Lodovico Ferrarini
www.archivi.ibc.regione.emilia-romagna.it - Catalogo del Polo Modena del Servizio Bibliotecario Nazionale
www.bibliomo.it
Note
1. Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea in provincia di Modena, Archivio istitutzionale (d’ora in poi AISMo), Verbali degli organi collegiali 1958-1980, b.1.
2. Ampia documentazione relativa sia alla Biblioteca Poletti, sia alle biblioteche scolastiche elementari è conservata in Archivio storico del Comune di Modena (d’ora in poi ASCMo), Atti di amministrazione generale, ordinati cronologicamente.
3. Tutta la documentazione relativa all’attività della Soprintendenza bibliografica per l’Emilia nord-ovest, con sede a Modena prima presso la Biblioteca Estense e poi in autonomia, è conservata presso l’Istituto per i beni artistici culturali e naturali dell’Emilia-Romagna (d’ora in poi ASBEn-o).
4. “Annaurio delle statistiche culturali”, 1 (1959), a cura dell’Istituto centrale di statistica. Della rilevazione si è occupato l’Ente nazionale per le biblioteche popolari, raccogliendo dati relativi al 1955. Mentre per le biblioteche pubbliche si fanno rilevazioni annuali, per le popolari l’indagine successiva avverrrà solo nel 1965.
5. Archivio dell’Istituto Lodovico Ferrarini (d’ora in poi AF), Attività della biblioteca, b.27. Per l’analisi del patrimonio esistente negli anni Trenta è presente in AF anche un catalogo: Biblioteca popolare. Catalogo generale. Modena 21 marzo 1930, manoscritto di 284 pagine, con aggiornamenti fino al 1933.
6. ASBn-o, b.0077, f.7, Lettera del Presidente alla Sovrintendenza bibliografica dell’Emilia presso la Biblioteca Estense, ricevuta il 23.06.1943.
7. AF, Carteggio 1910-1961, b.4, 1949.
8. ASBn-o, b.0773, Lettera manoscritta di G. Cavani ricevuta il 02.02.1957.
9. AF, Verbali delle Assemblee dei soci 1921-1959: i temi ricorrono in vari verbali del periodo, a partire dal 05.01.1946.
10. ASCMo, Atti a stampa del Consiglio comunale, 07.07.1949; Atti di amministrazione generale, 1949, b.1948, f.BA. ASBn-o, b.0107, f.2, Lettera della Soprintendente Coen Pirani al Sindaco, minuta manoscritta in data 06.08.1949.
11. ASBn-o, b.0757, Lettera del Presidente al Soprintendente Samek Ludovici in data 26.09.1952.
12. ASBn-o, b.0757, Lettera del Soprintendente Samek Ludovici al Presidente del Ferrarini in data 23.07.1953.
13. AF, Delibere del Commissario governativo, b.1.
14. ASBn-o, b.757, Lettera del Soprintendente alla Prefettura in data 12.11.1954; lettera dello stesso al Minsitero Pubblica istruzione in data 28.01.1955.
15. ASCMo, Atti di amministrazione generale, 1953 e 1957.
16. Giornale “L’Unità”: 22.12.1954, Imposti ieri due commissari governativi all’Istituto “Ferrarini” e al “S. Filippo Neri; 30.12.1954, Si chiede la convocazione dei soci della “Ferrarini”; 07.01.1955, La Giunta d’intesa tra PCI e PSI denuncia il grave sopruso compiuto all’Istituto Ferrarini; 11.01.1955, L’Istituto Ferrarini deve essere laico; 15.01.1955, La C.C.d.L. Chiede la revoca del Commissario al “Ferrarini”.
17. ASCMo, Delibere del Consiglio comunale, 1960, b.14.
18. AF, Carteggio 1910-1961, b.4, 1961: tra gli altri Emilio Mattioli, Albano Biondi, Manlio Pedrazzoli, Ilva Vaccari, Mario Pucci, Luciano Guerzoni, Alfredo Mango, Gladio Gemma, Aude Pacchioni, Rubes Triva, Umberto Zurlini.
19. ASCMo, Atti di amministrazione generale, 1962: Delibera di Giunta in dta 31.12.1961; in data 07.09.1062 la Segreteria trasmette l’incartamento all’Assessore chiedendo di ripresentare in Consiglio comunale.
20. AF, Documentazione relativa alla chiusura dell’Istituto, b.28, Verbale di Assemblea dei soci, 29 dicembre 1980.
21. AISMo, b.9, 1981.
22. AF, Documentazione relativa alla chiusura dell’Istituto, b.28, Verbale del Consiglio direttivo, 15 marzo 1985.