1. Enthüllt. Berlin und seine Denkmäler

La mostra permanente Enthüllt. Berlin und seine Denkmäler (Rivelazioni. Berlino e i suoi monumenti) allestita nella storica Zitadelle (Cittadella), oggi polo culturale multifunzionale del distretto berlinese nordoccidentale di Spandau, permette un’esperienza tangibile sull’attuale dibattito sui monumenti nello spazio pubblico, sulla loro testimonianza di rappresentazione della storia tedesca dall’epoca imperiale ad oggi, sulla loro sopraggiunta inadeguatezza e sulle ambivalenze della musealizzazione delle sculture di volta in volta rimosse, abbandonate, sepolte, distrutte, trasformate o conservate in luoghi non più accessibili al pubblico. Il termine enthüllt che dà il titolo della mostra si riferisce alla celebrazione solenne in occasione dell’inaugurazione dei monumenti ed in particolare a quel momento, dalla durata di pochi secondi, in cui la velatura con la quale sono avvolti cade e l’opera appena scoperta viene consegnata al luogo della posa divenendo pubblica. Una seconda accezione del verbo enthüllen è invece quella della “rivelazione”. La mostra infatti si prefigge di raccontare il cambiamento senza cedere alla tentazione di lasciare la parola a tavole informative traboccanti di teoria, senza commentare i cambi di governi che si sono avvicendati nella storia della Germania contemporanea e nel contempo senza ammiccare al fenomeno del ruin porn, la passione per le rovine e per i luoghi abbandonati, che si traduce nello scambio delle loro immagini sui social media.

Fig. 1. “Enthüllt. Berlin und seine Denkmäler” (Rivelazioni. Berlino e i suoi monumenti), Zitadelle, Spandau, Berlino [foto Elena Pirazzoli, 2021].
Fig. 1. “Enthüllt. Berlin und seine Denkmäler” (Rivelazioni. Berlino e i suoi monumenti), Zitadelle, Spandau, Berlino [foto Elena Pirazzoli, 2021].

Ed è proprio questa la sfida che la mostra permanente, inaugurata nel 2016 dall’allora direttrice dei cinque musei della Zitadelle, Andrea Theissen, dopo lunghi anni di trattative e preparazione, e oggi parte integrante di essi, offre ai visitatori. È una passeggiata nel tempo attraverso gli spazi dell’ex Proviantmagazin, il magazzino delle provviste, di una fortificazione rinascimentale tra le meglio conservate del nord Europa voluta dal principe elettore Joachim II di Brandeburgo e commissionata nel XVI secolo agli italiani Francesco Chiaramella de Gandino e Rocco Guerrini Conte di Linari. Gli ariosi locali dai soffitti altissimi, rimodellati per la conversione d’uso da Staab Architekten, colpiscono innanzitutto per la mancanza di barriere architettoniche ma anche per una riduzione significativa di quelle visive. Il colore prevalente è il bianco, i testi in lingua tedesca e inglese sono pochissimi, la segnaletica ancora meno, teche e vetrine non sembrano inoltre avere inciso particolarmente nel budget dell’allestimento di questo Schaudepot sui generis, i “depositi a vista” sempre più frequenti nei musei moderni. Nel percorso espositivo viene permessa, anzi, incoraggiata un’esperienza tattile: le sculture liberate per lo più da vari depositi museali cittadini e portate alla luce dall’oscurità sia politica che storica qui si possono toccare. Il visitatore può avanzare in senso cronologico dall’epoca prussiana, attraverso gli anni di Weimar, della dittatura nazista, della divisione della città fino all’anno 1989 che segna la fine dell’esposizione, ma niente gli impedisce di concedersi flashback, deviazioni o momenti di raccoglimento. Due suggestive installazioni audio spezzano l’allestimento spaziale altrimenti piuttosto monotono: in una sala l’atmosfera di una intera giornata d’estate del 1907 viene ricreata acusticamente con un’installazione sonora a 26 canali attorno a un gruppo di panchine con sculture integrate, ricreando la suggestione dell’elegante viale Siegesallee nel Tiergarten commissionato dal Wilhelm II. Nella composizione sonora immersiva, supportata da una coreografia luminosa, si fondono in un’immagine unica persone, o meglio ombre, carrozze e suoni della natura. La seconda installazione audio si trova in una stanza piccola ma molto alta e completamente buia, dalle dimensioni percepite come infinite. Questa sala evoca la Große Halle, il grande edificio a cupola progettato e mai realizzato da Albert Speer per la trasformazione di Berlino in Welthauptstadt Germania, la capitale universale del cosiddetto Terzo Reich. La megalomania nazista viene tradotta in una composizione sonora astratta a 22 canali comprensiva di vibrazioni che fanno tremare la terra sotto i piedi. Numerose stazioni media touchscreen e l’ampio materiale visivo disponibile rendono la mostra interessante anche per i visitatori non germanofoni.

Fig. 2. Sala dei monumenti nazisti, “Enthüllt. Berlin und seine Denkmäler” (Rivelazioni. Berlino e i suoi monumenti), Zitadelle, Spandau, Berlino [foto Elena Pirazzoli, 2021].
Fig. 2. Sala dei monumenti nazisti, “Enthüllt. Berlin und seine Denkmäler” (Rivelazioni. Berlino e i suoi monumenti), Zitadelle, Spandau, Berlino [foto Elena Pirazzoli, 2021].

Da qualche anno il passaggio di testimone della direzione dei musei della Zitadelle e quindi della mostra Enthüllt. Berlin und seine Denkmäler è passato alla storica Urte Evert che fin dall’inizio del suo mandato ha posto l’accento sulla necessità di renderla un luogo vivo, da begreifen nel vero senso della parola ossia da “comprendere, interpretare e afferrare”, nonché da trasformare in un forum di discussione partecipativo, ma anche di contaminazioni.

Evert ha esordito permettendo alla band industrial metal tedesca Rammstein di filmare scene per il controverso video-cortometraggio Deutschland del 2019, tra statue di guerrieri medievali, monarchi e generali, pensatori e ricercatori prussiani dai volti sfigurati e con gli arti mozzati, ma anche offrendo come scenografia le parole del sempiterno capo di Stato della Repubblica Democratica Tedesca (Rdt) Erich Honecker incise nel bronzo di alcune imponenti placche.

Esse provengono dal basamento del monumento al leader comunista tedesco Ernst Thälmann, opera dello scultore sovietico Lew Kerbel, nell’omonimo parco nel quartiere berlinese di Prenzlauer Berg, Ernst-Thälmann-Park, punta di diamante del programma edilizio voluto dalla Rdt nel 1987 in occasione dei festeggiamenti per il 750º anniversario della fondazione della città. Nel quartiere-giardino condannato dalla storia a una gloria decisamente breve, quasi tutto si trova ancora al suo posto. Il monumento, pur epurato delle parole di Honecker in mostra dal 2016 a Spandau, continua tuttavia a far parlare di sé e polarizzare come pochi altri nella Berlino odierna.

A fine 2021 il monumento è stato nuovamente teatro di proteste in occasione dell’inaugurazione di un intervento di videoarte. L’opera vincitrice di un concorso indetto dal Municipio berlinese di Pankow a partecipazione nazionale è il lavoro della fotografa e regista berlinese Betina Kuntzsch (Berlino Est, 1963) dal titolo Vom Sockel denken (Pensare al di là del piedistallo): essa prevedeva l’inserimento di elementi architettonici estranei al concetto originario del monumento, a partire dai quali, tramite Qr-Code, fosse possibile richiamare materiali audiovisivi sulla storia del monumento e sulla sua ricezione. Taluni lo hanno percepito come una forma di ulteriore inopportuno vilipendio dell’ensemble progettato da Kerbel, paragonabile all’asportazione delle placche e alla distruzione di altri elementi nei frenetici giorni post-riunificazione. Inoltre, a marzo 2022, il conflitto russo-ucraino ha fornito ai sempre attivi fautori dell’abbattimento l’occasione di ritornare in scena a pochi giorni dall’inizio delle ostilità. Tuttavia il monumento, seppur vandalizzato in diverse occasioni, si mostra tuttora piuttosto resistente.

Fig. 3. Placche con parole di Erich Honecker rimosse dal monumento per Ernst Thälmann, “Enthüllt. Berlin und seine Denkmäler” (Rivelazioni. Berlino e i suoi monumenti), Zitadelle, Spandau, Berlino, [foto Elena Pirazzoli, 2021].
Fig. 3. Placche con parole di Erich Honecker rimosse dal monumento per Ernst Thälmann, “Enthüllt. Berlin und seine Denkmäler” (Rivelazioni. Berlino e i suoi monumenti), Zitadelle, Spandau, Berlino, [foto Elena Pirazzoli, 2021].

Il progetto Haut, Stein (Pelle, pietra) del fotografo tedesco Jakob Ganslmeier (Monaco di Baviera, 1990) in cooperazione con l’iniziativa Exit-Deutschland, presentato nell’adiacente Bastion Kronprinz tra il 2020 e il 2021 e divenuto poi mostra itinerante, affronta il tema della rimozione della simbologia nazista. Ganslmeier documenta il processo di “ripulitura” della pelle da tatuaggi compromettenti, a cui si sottopongono militanti della scena neonazista intenzionati ad abbandonare quell’ambiente per intraprendere una nuova vita e lo mette in relazione alla denazificazione in architettura. Il lavoro invita a riflettere su cosa significhi chiudere un capitolo di storia e aprirne un altro, e se ciò possa veramente riuscire.

Fig. 4. Monumento nell’Ernst-Thälmann-Park a Prenzlauer Berg con gli elementi inseriti dall’artista Betina Kuntzsch [foto Mirna Campanella, 2022].
Fig. 4. Monumento nell’Ernst-Thälmann-Park a Prenzlauer Berg con gli elementi inseriti dall’artista Betina Kuntzsch [foto Mirna Campanella, 2022].

Alla fine del 2021 è la danzatrice e coreografa newyorkese Anna Rose, nell’ambito della rassegna Forte Kultur, accompagnata da un trio d’archi e l’oboe della Deutsches Symphonie-Orchester Berlin, a offrire un contributo creativo di contestualizzazione storica negli spazi dell’ex fortificazione militare. Rose sceglie una forma di decostruzione sulle note di Beethoven, un’interazione in carne e ossa con la pietra commemorativa destinata a celebrare la presa del potere di Adolf Hitler e dei nazionalsocialisti nel 1933. La pietra, epurata dopo la resa incondizionata dapprima dalla svastica e in seguito trasformata in un sole nero stilizzato, per decenni è rimasta sepolta accanto al luogo dove il monumento in origine si trovava nel quartiere berlinese di Zehlendorf, fino al “risveglio” nel 2011.

Fig. 5. Testa del monumento di Lenin a Friedrichshain, “Enthüllt. Berlin und seine Denkmäler” (Rivelazioni. Berlino e i suoi monumenti), Zitadelle, Spandau, Berlino [foto Elena Pirazzoli, 2021].
Fig. 5. Testa del monumento di Lenin a Friedrichshain, “Enthüllt. Berlin und seine Denkmäler” (Rivelazioni. Berlino e i suoi monumenti), Zitadelle, Spandau, Berlino [foto Elena Pirazzoli, 2021].

Per dover di cronaca, rimane imprescindibile evidenziare che, fin dal primo giorno della mostra, il suo highlight tuttavia non è stato né la statua della regina Luise, unica donna presente tra la sfilza di statisti prussiani, né la scultura dedicata ai ferrovieri caduti di Emil Cauer (1867-1946), per quanto esemplificativa dell’intera cultura dei monumenti della Repubblica di Weimar, né tantomeno il Zehnkämpfer, il decatleta, di Arno Breker (1900-1991), scultore inserito da Joseph Goebbels e Adolf Hitler nella Gottbegnadeten-Liste, la lista degli artisti “benedetti da dio” e star non solo in epoca nazista, bensì l´enorme testa di granito di Vladimir Il’ič Lenin.

Il busto del rivoluzionario russo deve probabilmente la sua celebrità alla sequenza del film Good Bye Lenin di Wolfgang Becker (2003) nella quale ondeggia, trasportato da un elicottero, nel cielo di Berlino [1]. Il Lenin-Denkmal, monumento inaugurato in occasione del centesimo compleanno di Lenin nel 1970 nell’omonima piazza nel quartiere orientale di Friedrichshain, fu un progetto collettivo realizzato sotto la direzione di Nikolai Tomski, allora Presidente dell’Accademia delle belle arti dell’Unione Sovietica. Nel burrascoso periodo successivo alla riunificazione tedesca non fu abbattuto per decisione popolare. Al contrario, la sua sorte fu decisa dall’assemblea dei consiglieri della Municipalità nel settembre 1991. In seguito a una votazione proposta dai socialdemocratici (Spd) e dai cristianodemocratici (Cdu) in materia di ridenominazione della piazza e di rimozione dell’imponente monumento collocato tra condomini di venti piani, vinta tra l’altro non proprio in maniera schiacciante, lo smantellamento venne iniziato velocemente e portato a termine in soli quattro mesi tra il 1991 e il 1992. Si levarono però proteste per lo più dalle file delle migliaia di abitanti della zona: più che per motivi ideologici, essi rivendicavano un senso di appartenenza sociale. Una Bürgerinitative, un’iniziativa cittadina costituitasi ad hoc, interrogava tra le altre sulle ragioni per cui a Bismarck era stato concesso l’onore di piazze e monumenti per tutta la Germania e a Lenin no. Il dossier più esaustivo sulla questione del monumento a Lenin e sulle attività della Bürgerinitative, redatto dalla Rosa-Luxemburg-Stiftung – fondazione legata al Partito del socialismo democratico (Pds), nato a inizio 1990 sulle ceneri del Partito di unità socialista egemone per tutta la storia della Rdt (Sed) – consente di conoscere la storia del monumento dalle origini, soprattutto grazie a una eccezionale documentazione fotografica che racchiude il periodo dal 1991 al 2004 [2]. Dopo lo smembramento in 129 pezzi numerati, il monumento venne sepolto in una cava di sabbia nella foresta del Müggelheim nel quartiere di Köpenick. A differenza dalle immagini del film di Becker, la testa dal peso di quattro tonnellate fu divisa dal busto: per la decapitazione furono necessari non pochi colpi di piccone e l’inserimento di enormi ganci per effettuare il volo verso la cava. La piazza Lenin venne rinominata Platz der Vereinten Nationen (Piazza delle Nazioni Unite) e al posto del basamento dell’ex monumento si trovano ancora oggi cinque massi, piuttosto anonimi, disposti in circolo per terra, che dovrebbero suggerire l’unione dei continenti.

Il progetto della mostra Enthüllt ha la sua genesi nel 2009 quando Theissen, in qualità di funzionaria del settore cultura della municipalità di Spandau, inizia a sondare in primis la possibilità di recuperare proprio il “testone” dal grande potere simbolico e a trattare con Landesdenkmalamt e con la Guardia forestale, quest’ultima che inaspettatamente si rivela tra i più tenaci oppositori al progetto di dissotterramento: una specie autoctona di lucertole aveva infatti trovato un proprio habitat lì attorno, nei lunghi anni di riposo della testa di granito. Dopo anni di tira e molla, nel 2015, il capo di Lenin dissotterrato e ripulito venne preparato per la sua entrata nel Proviantmagazin della Zitadelle. Al fine di evitare qualsiasi richiamo alla sua originaria monumentalità, Theissen decise che la testa venisse esposta sdraiata su un fianco e inoltre che i quattro grandi bulloni usati per lo smontaggio e il trasporto rimanessero visibili. Davanti alla testa di Lenin non è insolito carpire commenti di disappunto dei visitatori rispetto alla sua riesumazione e ai costi, o assistere alle classiche discussioni fra est e ovest o tra idee contrastanti rispetto alla liceità della sua musealizzazione.

2. Bismarck statt Lenin?

Bismarck statt Lenin? (Bismarck invece di Lenin?) La domanda dei nuovi cittadini della Germania appena riunificati è senz’altro ancora attuale: anche il percorso espositivo di Enthüllt non fa segreto del lampante squilibrio tra est e ovest. Se è vero infatti che per il periodo successivo alla fine della dittatura nazista vengono presentati solo resti di monumenti provenienti dalla parte est della città, ciò non deve indurci alla valutazione implicita che la mostra ponga un accento post-totalitario. I monumenti di Berlino Ovest sono rimasti generalmente al loro posto.

La storia dei monumenti controversi è un processo aperto e così lo è l’esposizione permanente di Spandau che a breve si arricchirà, tra le altre, di due sculture di grandi dimensioni protagoniste di una trama degna di un poliziesco. Si tratta degli Schreitende Pferde (Cavalli rampanti), cavalli da tiro scolpiti dallo scultore austriaco Josef Thorak (1889-1952) – uno più pagati durante il nazionalsocialismo – per il giardino della Neue Reichskanzlei. Destrieri pateticamente idealizzati, dal cesello levigato e dalla linea filante, vennero esposti nella Nuova Cancelleria del Reich fino al 1943 e poi traslocati nell’atelier di Arno Breker a Wriezen per proteggerli dai bombardamenti. Considerati perduti dalla fine della Seconda guerra mondiale, vennero ritrovati nel 1989 accanto al campo sportivo di una caserma sovietica di Eberswalde nel Brandeburgo orientale e venduti dopo la caduta del Muro per diversi milioni di euro. Contrabbandati nella Germania occidentale da collezionisti di arte nazista, i cavalli finirono ben presto, nel 2015, nel mirino del Landeskriminalamt, la polizia dello Stato della Renania-Palatinato, e dopo il ritrovamento a Bad Dürkheim, vennero posti sotto sequestro e divennero oggetto di complessi negoziati. Nel frattempo sono tornati a Berlino come proprietà della Repubblica federale di Germania e a metà ottobre 2022 sono approdati alla Zitadelle. Inizialmente si è contemplata l’idea che il duo dei cavalli venisse integrato in Enthüllt. Berlin und seine Denkmäler nello spazio dedicato al nazismo e restaurati in nome di una accessibilità senza barriere e adatta alle visite tattili. In un secondo momento si è invece ritenuto opportuno di dividere il duo: un destriero entrerà a pieno titolo nella mostra e sarà in esposizione dal gennaio 2023, mentre l’altro verrà alloggiato nello Schaudepot allestito in un bastione della fortezza intitolato alla regina, Bastion Königin, ed esposto insieme a oggetti scultorei controversi di altrettanta recente acquisizione. Questo bastione, a differenza della mostra permanente aperta giornalmente anche a visitatori singoli, sarà visitabile solo in occasione di eventi speciali, come ad esempio la giornata dedicata al patrimonio culturale (Tag des offenen Denkmals) o nell’ambito di visite guidate o attività seminariali.

Se da un lato le discussioni sulla presunta tossicità dei monumenti in Germania continuano e non lasciano profilare una conclusione univoca a breve termine, possiamo affermare che, a differenza di altri paesi anche europei, la via dell’abbattimento o dello smantellamento dei monumenti politici sia una strada difficilmente da prendere in considerazione per il futuro. Enthüllt. Berlin und seine Denkmäler, pur essendo un percorso espositivo di grande impatto e un contributo di spessore al dibattito, non potrà essere ampliato all’infinito. La strada da percorrere rimane quella della contestualizzazione critica e della risemantizzazione.

Bibliografia

Risorse