1. Introduzione
In Italia esistono ad oggi (2022) due monumenti a Vladimir Il’ič Ul’janov, Lenin, collocati più o meno nella stessa epoca, ma con storie molto diverse.
Uno si trova a Capri, dove Lenin fu ospite due volte di Maksim Gorkij tra il 1908 e il 1910, per discutere con i membri della Scuola di propaganda per il socialismo internazionale [Pinardi 2017]. Celebre la serie fotografica della sua partita a scacchi con Alexander Bogdanov sulla terrazza di Villa Blaesus (oggi Villa Krupp) [Sangiuliano 2012]. Si tratta di una scultura di Giacomo Manzù (Premio internazionale Lenin per la promozione della pace tra i popoli nel 1966), composta da tre blocchi di marmo che poggiano su una base di granito rosso; su uno di questi c’è una effige del leader bolscevico con la scritta «Lenin a Capri» [Scanzi 2016]. Voluta dalla locale sezione del Partito comunista (Pci) e finanziata dall’ambasciata sovietica, è stata collocata nel 1969 nei giardini di Augusto. Fino al 1990 ogni anno il 1° maggio veniva omaggiata di una corona di fiori da una delegazione russa che giungeva appositamente via mare da Napoli. Nell’autunno 1997 e nell’estate 2002 si è proposto di abbatterla, ma è prevalsa la tesi della conservazione. Nel novembre 2014 è stata però imbrattata di vernice nera. Nel 2018 l’area è stata ristrutturata e riaperta al pubblico, in corrispondenza con l’uscita del film di Mario Martone Capri-Revolution, ambientato nell’isola di inizio secolo.
L’altra statua italiana, invece, si trova in un piccolo paese della provincia di Reggio Emilia, Cavriago, dove Lenin non è mai stato. Eppure non solo il suo busto resiste dal 1970, avendo passato indenne anche il tornante 1989-1991, ma si può dire sia diventato in qualche modo un simbolo identitario.
Questa presenza e la sua rilevanza nel discorso pubblico sollecitano una riflessione, tra il locale e il globale, tanto più urgente di fronte alla “guerra di statue” sviluppatasi a partire dal Black lives matter, e alla guerra vera e propria scoppiata nel 2022 in Ucraina, proprio nella zona in cui la statua cavriaghese ha le sue origini.
2. Terra rossa
Posto a meno di dieci km a sudovest del capoluogo, Cavriago è un Comune che all’Unità d’Italia conta poco più di 3.000 abitanti e una povera economia contadina. Decisiva è, a fine secolo, l’affermazione del movimento socialista [Casotti, Margini, Riva 1999]. Il 10 luglio 1887 tiene a Cavriago uno dei suoi primi comizi Camillo Prampolini, fondatore l’anno prima de «La Giustizia» e padre del socialismo reggiano; nei mesi successivi sorge in paese la prima cooperativa di lavoro, quella dei braccianti [Ruini 1975].
Dopo le repressioni di fine secolo, il socialismo si riorganizza: emblematica la lapide eretta dal circolo locale il 1° gennaio 1901 a ricordo di tutti i compagni «che lottarono per il trionfo dei loro ideali». L’8 dicembre parla a Cavriago Antonio Vergnanini, segretario della Camera del lavoro di Reggio. Nel febbraio 1903 si tiene un acceso contraddittorio pubblico tra socialisti e cattolici, e un altro si svolgerà nell’aprile 1910.
Intanto nel settembre 1906 viene inaugurata nella piazza centrale del paese una grande Casa del popolo, costruita grazie a una sottoscrizione pubblica. Nel febbraio 1908 il Comune è conquistato dai socialisti guidati da Cesare Arduini (1870-1942), figlio di mezzadri, poi esercente [1] [Motta 2004]. Da qui l’avvio di una politica ispirata al municipalismo prampoliniano, con l’istituzione del macello pubblico, della cassa rurale, dell’asilo comunale, del ricreatorio, del nuovo cimitero. Nel 1909 il paese viene collegato al capoluogo dalla Reggio-Ciano, la prima ferrovia della storia costruita e gestita da una cooperativa; nel 1910 vi arriva il cinema; nel 1911 il telefono; nel 1913 l’acqua potabile.
Il sindaco Arduini, confermato nel giugno 1914 (con il doppio dei voti), si schiera esplicitamente contro la Grande guerra; ma poi, scoppiato il conflitto, si prodiga nel sostegno agli emigrati rientranti, ai profughi, agli orfani; distribuisce frumento e lardo a prezzo calmierato; avvia lavori pubblici per ovviare alla disoccupazione; costituisce un Comitato di assistenza civile, un Ufficio informazioni e un’Azienda municipale dei consumi. La guerra coinvolge oltre 600 cavriaghesi, di cui 63 restano uccisi.
Nel 1917 arriva la duplice rivoluzione russa: dopo quella di febbraio, Arduini invia un plauso «al popolo russo che vuole redimersi dalla schiavitù»; dopo quella di ottobre, anche nel reggiano, finora dominato dal riformismo [Gli anni de “La Giustizia” 1986], compare una componente massimalista, che guarda con entusiasmo all’esempio bolscevico [Boccolari, Degani 1981]. “Agh’vol Lenin” (“ci vuole Lenin”) è uno slogan che comincia a circolare [2], insieme a motti e canzoni popolari sul leader bolscevico.
Il 6 gennaio 1919 il Consiglio comunale di Cavriago vota una mozione a sostegno dell’«Avanti!» di Giacinto Menotti Serrati, in cui si esprime solidarietà «agli spartachisti tedeschi e ai sovietisti russi» [3]. Il 12 il testo è pubblicato in un trafiletto sul quotidiano socialista [4] e poi giunge fortunosamente sulla scrivania di Lenin. Il 6 marzo successivo, al Comitato esecutivo centrale dei Soviet di Mosca, nella fase di formazione della Terza internazionale, il leader sovietico cita come esempio di devozione alla causa rivoluzionaria proprio «una località chiamata Cavriago (un angolino sperduto, evidentemente, perché non si trova sulla carta geografica)» definendola «pošechon’e», la cittadina di provincia per eccellenza [Lenin 1949].
Ovviamente questa inattesa citazione solleva grande emozione nel paese e in tutta Reggio. Prampolini contesta il metodo leninista [5], ma al congresso provinciale del giugno 1919 vincono clamorosamente i massimalisti, proprio su un ordine del giorno del cavriaghese Domenico Cavecchi (1878-1953), detto “il piccolo Lenin”. Questi, gestore di una ferramenta, già a marzo aveva rotto esplicitamente con Arduini, schierandosi con la segreteria nazionale; a fine luglio 1919 incita allo sciopero generale di solidarietà alla Russia e contro il trattato di Versailles.
Nel gennaio 1920, al referendum indetto dalla federazione provinciale, la mozione massimalista raccoglie a Cavriago 160 voti contro solo 10 di quella riformista. Prampolini tiene un acceso comizio il 25 maggio. Alle elezioni amministrative del novembre 1920, che segnano in generale un trionfo per il Partito socialista italiano (Psi), i socialisti ottengono a Reggio Emilia il 64% e a Cavriago oltre l’80% [6]. Al momento della scelta del sindaco, viene designato Cavecchi, che però scrive sulla sua scheda Lenin, da cui la leggenda di questi come sindaco onorario del paese [Valli 1990]. Nel discorso di insediamento si annuncia “l’alba rossa” e si definisce Cavriago una «piccola cellula di quel gran mondo che ha le sue basi nella Terza Internazionale».
I tesserati del locale circolo sono 230; ed esiste anche una sezione femminile con oltre 90 socie. Circa 600 sono i membri di cooperativa e quasi 500 gli iscritti al sindacato; il tutto su una popolazione di 4.500 abitanti. Con la nascita del Partito comunista d’Italia (Pcd’I), i socialisti cavriaghesi passano in massa al nuovo partito, sotto la guida di un altro Cavecchi, Solindo, falegname, di Ferdinando Bonilauri e di Giovanni Ferrari [Gianolio 1981].
3. Fascismo e antifascismo
Anche nel reggiano però si fa sentire ormai la violenza fascista. Il movimento sorge a Cavriago il 1° gennaio 1921, ma il dramma si consuma il 1° maggio, quando viene devastata la cooperativa di consumo e restano uccisi due proletari [Durchfeld, Incerti 2021] [7]. Le sinistre reagiscono in modo contraddittorio: alle elezioni politiche del 15 maggio comunisti e socialisti non si presentano; a luglio sorgono gli arditi del popolo (che il 20 organizzano un agguato contro lo squadrista Giacomo Iori); il 5 agosto viene firmato anche a Cavriago il patto di pacificazione coi fascisti.
Ancora il 6 settembre il Consiglio comunale stanzia 500 lire, una cifra corrispondente al 2% del bilancio, per il popolo russo sofferente. Il 20 però Arduini viene aggredito dai fascisti reggiani; e sono una decina i socialisti cavriaghesi attaccati entro la fine dell’anno [Casotti 2004] [8]. Il 30 dicembre si svolge l’ultima seduta del Consiglio comunale e il 6 agosto successivo il prefetto nomina un commissario. Il fondo pro-Russia già stanziato anche per il 1922 viene destinato al monumento ai caduti della Grande guerra. È sottratta ai socialisti la gestione della scuola di musica, dell’asilo e delle case popolari e sono liquidate la cassa rurale e la cooperativa di consumo. Cavecchi viene arrestato.
Nel marzo 1923 si tengono le nuove elezioni, a cui le sinistre non partecipano. Viene nominato sindaco Anselmo Virgilio Bonilauri (1886-1974), commerciante di bovini e pioniere del fascismo locale, che nel maggio 1924 concede la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini e nell’ottobre commemora solennemente la Marcia su Roma.
Simboli della conquista dello spazio politico (e simbolico) sono anche la trasformazione di via Ferrer in via Maramotti (11 maggio 1925) e l’inglobamento della biblioteca popolare nell’Opera nazionale dopolavoro (20 ottobre 1929). Nel 1932, in occasione del decennale, via della Stazione diviene via Roma; nel 1934 la Casa del popolo viene ribattezzata cinema teatro Impero; nel 1937 vengono installati due fasci littori luminosi sulla sede municipale [Fincardi 1988].
Persino nel duro ventennio del regime, però, i comunisti mantengono nel reggiano una solida struttura clandestina, che arriva a superare nel 1932 i 1.000 militanti (la prima federazione in Italia), attirando le attenzioni della direzione estera del Pcd’I e poi dello stesso Comintern.
Anche a Cavriago i comunisti si fanno valere [9]: il 21 gennaio 1924, alla morte di Lenin vengono diffusi dei volantini commemorativi [10]; alle elezioni farsa del 6 aprile sono ancora 42 i voti per il Pcd’I (e 152 per i socialisti); nel settembre 1926 in casa Zanti si stampa clandestinamente «l’Unità».
Molti sono gli antifascisti cavriaghesi perseguitati: otto i deferiti al Tribunale speciale; otto i confinati, 14 gli ammoniti. Quasi 20.000 i giorni di carcere inflitti. Tra gli altri si distinguono i tre fratelli Boni, artigiani del ferro e poi anche loro operai alle Reggiane, ferventi comunisti, molto stimati per la qualità del lavoro e per il coraggio con cui portano avanti le loro idee.
Diversi antifascisti emigrano in Francia, dove una “piccola Cavriago” nasce ad Argenteuil, alla periferia di Parigi [Canovi 1999]. Da qui 12 vanno volontari in Spagna durante la guerra civile, come Fortunato Belloni, che cade a Huesca il 16 giugno 1937 [11].
Nell’aprile del 1939 una decina di dirigenti è arrestata dai fascisti. Il partito reagisce con la nascita del Centro comunista cavriaghese – costituito da 16 soci «per svolgere attività di cospirazione antifascista» – che tra il 1940 e il 1943 diffonde volantini in paese e anche nei luoghi di destinazione dei soldati di leva [12].
Il 25 luglio 1943 questa componente comunista rientra in Italia o viene liberata e diventa la spina dorsale di una Resistenza molto partecipata [Casotti 2013] a cui aderiscono molti giovani attratti dal mito di Stalin liberatore sviluppatosi a partire dalla battaglia di Stalingrado [Flores, Gori 1990; L’invenzione dell’Emilia rossa 1998]. A Cavriago agisce un distaccamento della 76ª Sap e diverse sono le azioni gappiste (tra queste il 1° dicembre 1943 l’uccisione del seniore della Milizia Giovanni Faggiani e il 20 giugno 1944 quella di Romeo Pioli).
L’inizio del 1945 è terribile: il 22 gennaio i fascisti rastrellano 40 persone e cinque cavriaghesi sono tra le vittime della successiva strage del ponte del Quaresimo. Il 27 marzo i tedeschi in ritirata spostano da Albinea a Cavriago il comando di zona; ne consegue un aumento dei bombardamenti alleati: durissimi quelli del 16-19 aprile. Ma il 24 i partigiani liberano il paese e nel pomeriggio arrivano gli alleati. A fine guerra il Comune conta 230 tra partigiani e patrioti riconosciuti, con 32 caduti e sei decorati, tra i quali il comandante militare della piazza di Reggio Angelo Zanti [13] (cui è intitolata la Sap della collina) e ben tre donne: Rosina Becchi, Clarice Boniburini e Lucia Bruna Davoli.
4. Piccola Russia emiliana
Dopo il 25 aprile viene nominato sindaco di Cavriago uno dei già citati fratelli Boni, Francesco [14], che si prodiga nell’azione di ricostruzione, resa comunque difficile dai residui fascisti e dalle pressioni governative, ma anche dalle insofferenze dell’ala più dura del partito. Il 27 Giuseppe Dossetti, come membro del Comitato di liberazione nazionale (Cln) cavriaghese [15], celebra la liberazione dal balcone del palazzo municipale. Il 3 maggio i partigiani smobilitano, ma la Resistenza resta l’ideale di riferimento.
Il 17 marzo 1946 si svolgono le prime elezioni amministrative (con il 93% dei votanti): viene nominato sindaco il comunista Luigi Emore Gilli [16], che rimane primo cittadino fino al 1958. Il 96% degli aventi diritto partecipa al referendum del 2 giugno 1946 e l’86% degli elettori vota in favore della Repubblica. Il Pci ottiene da solo il 54% dei voti per la Costituente.
Ma la frattura del fronte ciellenista avviene già nel corso del settembre 1946: il 21, su pressione del nuovo vescovo Socche, l’assessore della Democrazia cristiana Magnani lascia la Giunta; il 30 si registra uno scontro sulla sede della cooperativa di consumo. Nei mesi successivi i cattolici escono dalla Azienda case popolari e dalla Cooperativa casa del popolo [Carrattieri 2008]. ll paese si distingue a quel punto come uno dei più “rossi” d’Italia: il Fronte popolare qui prende iI 70% alle elezioni del 1948 e a quelle amministrative del 1951; dopo il Pci non scenderà mai sotto il 65%. Gli iscritti sono quasi il 20% della popolazione residente complessiva. Ricca e articolata è l’attività di propaganda, dal giornale murale, a quello parlato, fino al periodico «Paese nostro» (che esce a partire dal 1953) [17].
Già nell’agosto 1945 si svolge la settimana dell’«Unità» (oltre 2.000 copie distribuite); il 9 novembre viene celebrato l’anniversario della rivoluzione russa. Il 28 maggio 1946 il teatro Impero torna Casa del popolo; il 30 giugno viene accolta una delegazione del Konsomol; il 23 marzo 1947 Giancarlo Pajetta tiene un affollato comizio sul tema Il ruolo che deve svolgere l’Emilia rossa nella rinascita dell’Italia [Casotti 2016b].
Ma è il 1951 l’anno d’oro del Pci cavriaghese: in febbraio Onder Boni [18] viene nominato segretario della federazione provinciale (in sostituzione dell’eretico Valdo Magnani); il mese dopo viene inaugurato in paese il cinema teatro Nuovo; in giugno una delegazione partecipa al Festival internazionale della gioventù a Berlino Est e un’altra si reca in Urss col sindacato [19]; in agosto si tiene la prima Festa dell’Unità nel campo sportivo. A novembre proprio Boni celebra l’anniversario della rivoluzione bolscevica con un articolo sul giornale di partito in cui esplicita il sostegno all’Urss, che in patria costruisce fabbriche e centrali (mentre in Italia le imprese licenziano); e aiuta anche il popolo italiano inviando trattori dopo l’alluvione del Po [20].
Nel 1953, per la morte di Stalin, la commemorazione cavriaghese è solenne e molto partecipata; il sindaco viene denunciato per l’esposizione della bandiera comunale abbrunata [21]. Anche il “terribile 1956” non scalfisce la fede cavriaghese: il 26 settembre gli esiti del XX congresso del Partito comunista sovietico vengono discussi da Franco Boiardi e Ermes Grappi. Il 22 marzo 1957 Davide Lajolo celebra in paese il 33° anniversario della fondazione dell’«Unità». La destalinizzazione del partito avviene a Reggio solo con la conferenza regionale del giugno 1959, che porta alla destituzione di Boni dalla segreteria provinciale il 23 novembre [Rinaldi 2014].
Il 18 ottobre 1959 viene inaugurata da Umberto Terracini la nuova Casa dei lavoratori in piazza Zanti, dove trovano sede il partito e le principali associazioni collegate. Numerosi sono anche i concittadini che vanno a studiare in Russia (ad esempio Rodolfo Curti, detto Pravda, classe 1933, iscritto dal 1956 e inviato a Mosca dal 1964 al 1967) o frequentano la scuola di partito in Italia, alle Frattocchie o alla scuola regionale Mario Alicata di Albinea, non lontano da Cavriago. Molte vie cittadine sono dedicate agli eroi dell’Urss [22]; e anche ai bambini vengono dati nomi che ricordano l’epopea rivoluzionaria.
Ma il comunismo cavriaghese partecipa delle specificità del contesto emiliano, combinando l’estremismo ideologico con la pratica riformista, aperta alla cultura del benessere [De Maria 2022]. Già nel 1947 nasce un Comitato divertimenti; dal 1948 al 1950 si svolge un partecipatissimo Festival della gioventù; nel 1954 il teatro Nuovo acquista una televisione «per vedere Lascia o raddoppia e Sanremo» [Casotti Margini, Riva 1999, 155]. Con il boom economico l’amministrazione Casotti si apre alle necessità di sviluppo, come dimostrano la lottizzazione edilizia e l’apertura dell’area artigianale di Corte Tegge. È la stagione dei “riformisti di Lenin” [Ferretti 1982], in cui la piccola media impresa e le cooperative rosse costruiscono quello che solo molto dopo verrà definito “modello emiliano”, con un circolo virtuoso tra politica, economia e società [De Maria 2014].
Sulle trasformazioni di Cavriago nel corso degli anni Sessanta si sofferma il reportage della «Pravda» dell’aprile 1965 firmato da Vladimir Ermakov, che significativamente si intitola Da noi a Cavriago. Ma si veda anche quanto scrive nell’articolo Lenin sindaco onorario di Cavriago del 25 settembre 1969 Jurij Lopatin dell’agenzia Tass, a cui il sindaco Battista Cerioli conferma «l’indissolubile amicizia con l’Urss».
Una delle caratteristiche più interessanti della politica estera realizzata dal Pci attraverso gli enti locali è rappresentata dalle iniziative di gemellaggio con i paesi d’oltrecortina, che fioriscono soprattutto negli anni Sessanta e trovano in Emilia-Romagna un terreno di elezione. Tra i più precoci e duraturi si segnalano i legami di Ferrara con Krasnodar’ dal 1965, di Bologna con Charkov (oggi Kharkiv) dal 1966, di Rimini con Soči dal 1977. Reggio Emilia si lega con la città polacca di Bydgoszcz nel 1962, con quella tedesca orientale di Schwerin nel 1966, con quella jugoslava di Zadar nel 1972.
Cavriago entra in rapporto con Bendery (in moldavo Benderi), città della Moldavia di circa 100.000 abitanti e l’appuntamento per il gemellaggio viene fissato simbolicamente per il 1970, centenario della nascita di Lenin.
5. Storia di un busto
In Russia fin dall’aprile 1918 viene predisposto da Lenin un piano di “propaganda monumentale”, che prevede la sostituzione dei simboli zaristi con una nuova generazione di statue dedicate al movimento socialista e ai suoi precursori [Michalski 1998]; e già durante i suoi ultimi anni di vita, pur funestati dalla malattia, si sviluppa un vero e proprio culto della personalità del leader, tradotto anche sulla pietra [Piretto 2001].
Nel novembre 1918, primo anniversario della Rivoluzione, un monumento a Lenin viene eretto a Korotojak, nella regione di Voronež. Lo scultore Georgij Alekseev realizza poi nel 1919 un busto di Lenin dal vivo, che viene replicato in una trentina di altre località. Il 7 novembre 1922 è inaugurata a Mosca, in via Pavlovskaja (luogo dell’attentato a Lenin di Fanja Kaplan), una stele a lui dedicata, sostituita nel 1925 da un monumento in bronzo.
Alla morte del leader, il 21 gennaio 1924, si sviluppa poi un complesso rituale: lo scultore Sergej Merkurov effettua un calco del viso che sarà alla base di numerose immagini successive [23]; e Ivan Šadr osserva il corpo per giorni per realizzare in presa diretta il suo Lenin nella bara [24]. Ai funerali di Stato, cui è dedicata un’altra famosa opera di Merkurov – Il funerale del capo, del 1927, conservata presso il Museo di Gorki – segue l’imbalsamazione del cadavere e l’immediata costruzione di un mausoleo sulla piazza Rossa, realizzato prima in legno e poi, nel 1929, in granito da Aleksej Ščusev. Una risoluzione del II congresso dei Soviet prevede l’erezione di monumenti in varie località del paese, fissando anche i limiti temporali per la loro realizzazione [Platt 2015].
Già il giorno successivo alla morte, per motivi del tutto casuali (doveva essere inaugurato il 9) e senza sapere del decesso, viene eretto quello che è abitualmente considerato il primo monumento a Lenin, quello di Noginsk (all’epoca e fino al 1930 Bogorodsk), eretto in cemento, opera di Fëdor Kuznecov e dono dei lavoratori della fabbrica Gluchov [25]. Nel 1925 vengono inaugurati molti monumenti, per lo più opera di uno degli artisti di punta dell’arte sovietica, Vasily Kozlov: a Kaluga; a Orenburg; a Nižnij Tagil (dove la figura del leader si erge su un insolito piedistallo a forma di libri che reggono un globo terrestre). Si delinea il modello del “calling Lenin”, che indica l’avvenire con una mano e nell’altra stringe il berretto, ripreso dalle più note statue dello Smolny di Leningrado (1927), di Aşgabat (1927) e di Vladivostok (1930).
Fin dal 1924 è previsto un monumento anche a Simbirsk, luogo di nascita di Lenin, ora ribattezzata Uljanovsk; ma verrà eretto solo nell’aprile 1940, dopo una complessa trafila [Shabalkin 2005]. Il progetto di Matvey Manizer [26] è però già dagli anni Venti il riferimento per diverse altre statue [27].
Si avvia una fase di monumentalizzazione del regime, in cui le statue di Lenin diventano parte di una nuova strategia di sovietizzazione della memoria [Deschepper 2018]. In particolare va ricordato il grandioso progetto di una statua di 100 m da collocare in cima al nuovo palazzo dei Soviet. Il concorso viene bandito nel 1931 e assegna la vittoria a B. M. Iofan nel 1933. La statua viene commissionata a Merkurov. Ma i lavori vengono interrotti a livello delle fondamenta a causa dello scoppio della guerra. Nuovi esempi realizzati sono il Lenin seduto di Merkurov a Leningrado (scolpito nel 1932 e poi ripreso a San Pietroburgo); quello di Shilnikov a Kirov, con il foglio arrotolato (1933); e soprattutto i monumenti con Lenin e Stalin insieme, sviluppati a partire da quello del 1938 di E. I. Belostotsky, G. L. Pivovarov e E. M. Fridman.
In Ucraina una prima statua, realizzata da Fedor Balavenskij, viene eretta a Kiev in piazza Sofijvskaja già nella primavera 1919, ma è poi abbattuta dai “bianchi” durante la guerra civile. Un busto in bronzo viene invece inaugurato a Žitomir, nei pressi del Palazzo del Lavoro, il 7 novembre 1922.
Gli operai della fabbrica di treni di Lugansk decidono di omaggiare Lenin ancora in vita e dopo aver recuperato una figura ridotta a Charkov, ne affidano la copia al modellista Ivan Petrovich Borunov. Il busto disegnato da Borunov viene fuso da una campana dal maestro G. I. Stolzer [28] e poi collocato davanti alla fabbrica su una base di legno. L’inaugurazione avviene il 1° maggio 1922. Nel gennaio 1924, alla morte di Lenin, il busto viene spostato sulla piazza principale della città, che dall’ottobre 1922 era dedicata alla Rivoluzione [Zakoretskaja 2013].
Nel 1930 il Comitato esecutivo di Lugansk commissiona la progettazione di un nuovo monumento alla sezione scultorea della Società degli artisti di Mosca (OMH) e stanzia 80 mila rubli. Nel 1932, il busto di Lenin viene quindi trasferito al Comitato cittadino del Partito comunista dell’Ucraina e collocato nell’edificio di via Puškinskaja. Sulla piazza viene invece installato il nuovo monumento, opera di Boris Korolev, che lo inaugura personalmente il 7 novembre. Nel 1941, però, l’Urss viene invasa dalle truppe tedesche, supportate anche dagli italiani dello Csir, poi Armir [Schlemmer 2009]. All’interno dell’VIII armata c’è anche un contingente della Milizia della strada, che è di stanza proprio nell’area di Vorošilovgrad.
Il 22 luglio 1942 la VI centuria della Milizia asporta il busto di Lenin come bottino di guerra [29]; riesce a preservarlo durante la disfatta e a portarlo in Italia nella faticosa ritirata (di cui è protagonista, tra l’altro, il cavriaghese Luigi Reverberi [30]). Oggi sappiamo che anche la statua di Korolev in piazza è stata asportata dalle truppe dell’Asse, probabilmente la settimana successiva [31], insieme con tutti i bassorilievi tranne uno, quello di destra, raffigurante il mausoleo di Lenin. Di essa però si sono perse le tracce [32].
Non così del busto. Esso infatti viene portato a Roma e collocato all’Armeria delle prede belliche, collegata al Sacrario dei caduti della Milizia e pochi mesi dopo viene esposto nella terza edizione della Mostra della rivoluzione fascista, inaugurata a Valle Giulia, nella sala dedicata alle campagne belliche [33]. Il fatto è notevole perché la mostra rappresenta il principale evento espositivo dell’Italia fascista e definisce l’autorappresentazione del regime. L’edizione del 1942 dedica molto spazio alla guerra e alla raffigurazione del nemico [Carli 2020].
Circa la sorte successiva del busto, restano numerose incertezze: in alcuni articoli a stampa si parla del suo recupero da parte di un gruppo di partigiani toscani, ma non ci sono documenti che lo accertino. Sicuramente dopo la fine della guerra è rinvenuto nei fondi della Galleria nazionale d’arte moderna di Roma e restituito all’ambasciata sovietica di via Gaeta.
6. Torna a casa Lenin
In previsione del gemellaggio fra Bendery e Cavriago, i partner sovietici decidono di omaggiare gli emiliani con una statua del leader bolscevico, una grande testa di scagliola bianca che viene tempestivamente inviata a Roma in febbraio. Intanto il Comune di Cavriago il 13 marzo 1970 avvia le celebrazioni per il centenario della nascita di Lenin alla presenza di una delegazione sovietica e l’8 aprile gli dedica la piazza antistante il campo sportivo.
Ma per i compagni emiliani si pone il problema di come recuperare la statua a Roma. Prima mandano in avanscoperta Piero Cadoppi, col suo camioncino delle Latterie riunite; poi inviano con lui il già citato Curti, che sapendo il russo dovrebbe dare una mano. Ma quando i due giungono in via Gaeta e avviano la trattativa con il delegato Rodolfo Petrov, si accorgono che la scultura inviata dalla Moldavia è troppo grande per essere trasportata (e a dire il vero anche troppo brutta per ornare la loro piazza). Nel giardino dell’ambasciata vedono però il busto bronzeo di Borunov e, constatata la sua maggiore idoneità, negoziano con i funzionari per prendersi quello e, abbastanza incredibilmente, ci riescono.
Il 17 aprile è il gran giorno: il paese è pavesato a festa. Arrivano delegati russi (Alekej Rumancev) e moldavi (Jurij Melkov). Da Roma giungono l’ambasciatore Nikita Rykov, il segretario generale dell’Associazione Italia-Urss Leone Kapalet e il senatore comunista Gelasio Adamoli. È presente anche il sindaco del capoluogo, Renzo Bonazzi. Al momento dello svelamento dell’opera, i delegati di Bendery hanno un sussulto e provano a reclamare, ma il suono dell’Internazionale e (probabilmente) le ricche libagioni fanno passare in secondo piano il dettaglio [34].
Nel centenario della nascita di Lenin, dunque, Cavriago si dota di una piazza dedicata al leader, il cui busto campeggia al centro dell’area (e la cui vasca diventa ben presto una sorta di piscina per i giovani locali). Lolli Zamojskij realizza un reportage per l’«Izvestija», in cui esalta lo spirito di solidarietà internazionalistica manifestato dal sindaco e anche la generosa accoglienza della Festa dell’Unità di Gorganza [Reverberi 2019].
Il 1° maggio 1971 viene firmato ufficialmente il gemellaggio tra Casotti e il presidente del Soviet di Bendery, Nicolaj Shelar [35]. Il Comune pubblica per l’occasione l’opuscolo Un dialogo di civiltà e dedica a Bendery l’ex piazza della Pesa; viene anche stampato un francobollo commemorativo [36].
Nel marzo 1972 una delegazione è inviata in Moldavia per ricambiare la visita; un’altra verrà mandata nel luglio 1975 per partecipare alle celebrazioni per il 30° anniversario della fine della Seconda guerra mondiale. Dal novembre 1972 viene più volte ospitato il balletto folcloristico Prietenija (amicizia) della città moldava.
Cavriago diviene punto di riferimento per le celebrazioni legate al calendario commemorativo comunista (e antifascista) e sosta obbligata per tutte le delegazioni sovietiche di passaggio in Italia. In vent’anni vi si recano politici, artisti, scienziati. Nel 1977 la televisione russa realizza un filmato sull’Italia in cui, dopo Roma, si concentra su Reggio Emilia, «la città dei fratelli Cervi, del luglio 1960, degli asili e delle lotte sindacali», ma poi si sposta a Cavriago: il sindaco Flisi dichiara che «la presenza di Lenin qui si percepisce quotidianamente» e il segretario del Pci Barbieri ribadisce che in paese si segue «l’insegnamento di Lenin e l’esempio dell’Urss» [37].
Ovviamente non mancano gli scontenti, né le polemiche. ll busto stesso subisce vari atti di vandalismo, il più grave il 24 aprile 1977, quando viene minato e divelto. A questo punto il Comune decide di spostare l’originale, che viene sistemato prima nella sede del Pci e poi nell’atrio della Biblioteca comunale in piazza Zanti, e di esporre una copia fedele fissandola su un plinto di cemento ancorato a cinque metri di profondità.
Il legame con l’Urss si mantiene forte per tutti gli anni Ottanta, nonostante l’avvento in Comune di una nuova giunta giovane guidata da Vincenzo Delmonte: ne sono prova i legami rinnovati con Bendery nel 1981, a dieci anni dal gemellaggio, e il fatto che il 20 agosto 1988 la partigiana cavriaghese Rosina Becchi venga insignita dal presidente del Soviet supremo Andrej Gromiko dell’ordine di prima categoria della guerra patria «per la coraggiosa lotta contro il fascismo e per l’aiuto dato ai soldati sovietici fuggiti dai campi di concentramento nazifascisti».
Due documenti poco noti esplicitano, ancora alla fine degli anni Ottanta, la specificità del “caso Cavriago”: nel novembre 1987 un dossier dell’«Europeo» di Lanfranco Vaccari; e nel gennaio 1989 il documentario L’île sovietique, girato da Sergio Bianchi ed Eugenio Cappuccio, rimasto inedito.
7. Orfani della rivoluzione
Poi arrivano la caduta del muro di Berlino e la dissoluzione dell’Urss, che segnano “la fine del comunismo” [38]. Di certo le notizie provenienti dalla Russia a Cavriago generano sconcerto [39]: emblematico il suicidio di Luciano Grossi, classe 1910, già volontario in Spagna, confinato a Ventotene (dove era diventato amico di Terracini), e commissario politico durante la Resistenza. E del resto in tutto il reggiano questi eventi producono una riconfigurazione della memoria, anche dei militanti, nella quale si intrecciano (e talvolta cortocircuitano) il ricordo personale e i temi dell’immaginario.
La scelta del Pci di cambiare nome e simbolo a Cavriago viene per lo più disdegnata: al congresso locale del febbraio 1990 la mozione Occhetto prende il 35%; in quello di dicembre la proposta di scioglimento ottiene il 43%. Alle elezioni di maggio il Pci raggiunge ancora il 65%. Nel febbraio 1991, dopo la conclusione del XX congresso nazionale che sancisce la fine del Pci, i sostenitori delle mozioni contrarie al cambio di nome, guidati da Jones Reverberi, escono dal Partito democratico della sinistra (Pds) con l’obiettivo di «mantenere nel paese un punto di vista comunista» e danno vita al circolo locale di Rifondazione comunista (Prc).
Soprattutto in questa prima fase la reazione è per lo più difensiva: quando nell’estate 1990 i giovani socialisti chiedono la rimozione del busto, il partito e la giunta di Ugo Ferrari si oppongono. Così pure alla proposta dell’anno successivo di intitolare la piazza a Turati. Anzi, nel settembre 1991 i compagni di Bendery segnalano con orgoglio il fatto che a Cavriago, al contrario di quanto avviene anche in alcune parti dell’ex Urss, Lenin «rimane in piedi» [40]. E in novembre viene inviata in Moldavia una nuova delegazione, guidata dal sindaco.
Il paese diventa oggetto di attenzione dei media nazionali: Samarcanda di Rai 3 vi dedica una puntata nel 1990; Uno mattina di Rai 1 nel 1991. Significativo è quanto avviene a fine anno, quando proprio in piazza Lenin si tiene il Red flag rave, organizzato da Roberto Meglioli: un grande drappo rosso viene lanciato in cielo attaccato a palloncini rossi; e sui cartelli si legge che «il muro di Cavriago non crolla» e che «Mosca ammaina la bandiera rossa, i comunisti di Cavriago la rialzano». Nell’agosto 1993 si svolge a Cavriago la Festa nazionale di «Liberazione», il giornale del Prc; e la Festa dell’Unità di Gorganza continua con questo nome fino al luglio 1996.
Nell’aprile 1995, in corrispondenza con la comparsa in varie parti d’Italia di Madonne piangenti, anche il busto di Lenin viene visto piangere [41]. Immediato il collegamento al dialogo col crocifisso di don Camillo, altra saga reggiana di diverso colore politico. E infatti nel dicembre 1999 un consigliere di opposizione propone di bilanciare la presenza del busto affiancandogli il carro armato del film direttamente da Brescello.
Giuseppe Caliceti, creativo maestro reggiano, pubblica intanto Fonderia Italghisa, romanzo che narra con malinconica ironia l’Emilia postcomunista nel passaggio «dalla fabbrica alla discoteca» [Caliceti 1996]. E nel presentare il libro nel magazine televisivo Confini, dedica ampio spazio al busto cavriaghese.
Qualcosa sta cambiando: e infatti le principali iniziative in paese non riguardano più il Pci, ma uno dei suoi più illustri avversari, Giuseppe Dossetti, cresciuto in paese e cittadino onorario dal 1988. Il 7 gennaio 1997 (a poche settimane dalla morte) si svolge una cerimonia funebre con Romano Prodi e Nilde Iotti. Il 20 marzo 1998 il Comune pubblica il volume Giuseppe Dossetti tra Chiesa e Stato e pochi mesi dopo Dossetti, un protagonista del nostro tempo. Il 16 maggio gli viene intitolata la piazzetta del Comune; l’anno dopo il locale Istituto comprensivo. E altre iniziative verranno assunte in seguito, tra le quali spicca il Premio Giuseppe Dossetti per la pace, istituito nel 2006 e divenuto nazionale due anni dopo.
L’11 maggio 1999 muore Bruno Ferrari storico e fedelissimo custode del busto e della piazza, latore di tanti aneddoti e leggende [42].
E in qualche modo avviene un passaggio di fase. Il busto da riferimento strettamente politico diventa soprattutto un frammento dell’immaginario, una specie di simbolo della ostalgie o nostaljascee emiliana [Banchelli 2007]. Ne scrive mirabilmente Caliceti nel 2004, in un altro fortunato romanzo, specificatamente dedicato al monumento, in cui esso diventa il tramite tra due generazioni [Caliceti 2004].
Gli Offlaga Discopax dedicano a Cavriago il brano Piccola Pietroburgo del 2005, in cui si fa esplicito riferimento al busto. Remo Ramon Delmonte comincia a produrre il lambrusco Rossissimo Lenin per il centro culturale Medardo Rosso di Montecavolo.
Ma aumentano anche gli attacchi: nel 2009 i militanti di Casa Pound mascherano Lenin con il loro simbolo Tartaman; nel 2013 c’è un altro tentativo di sradicarlo. Nel 2011 la piazza viene restaurata e nella nuova versione, con alberi, aiuole e tettoia, perde l’aura di realismo socialista che la caratterizzava in precedenza. Nel 2013 la Bbc inserisce Cavriago tra le cinque collocazioni più strane di Lenin nel mondo.
Ciò non significa che per tutti venga meno il valore politico del busto. Già dal 2004 infatti il Partito marxista leninista italiano (Pmli) organizza ogni anno a Cavriago una commemorazione dell’anniversario della morte di Lenin il 21 gennaio. Ancora il 15 novembre 2016 lo visita il generale Viktor Eliseev, direttore del coro dell’Armata rossa in tournée a Reggio Emilia.
E a maggior ragione il busto riemerge nel 2017, in occasione del centenario della Rivoluzione. Siamo in una fase in cui anche a livello internazionale le polemiche su Lenin si riaccendono: da una parte la sua definitiva condanna come archetipo del totalitarismo novecentesco, e dall’altra il tentativo di recuperarlo come anticipatore del postmoderno libertario [Lenin 150 2020].
In gennaio la tradizionale commemorazione vede unirsi al Pmli anche Pci, Prc e il gruppo consiliare Cavriago città aperta, guidato da Liusca Boni, che propone addirittura la fondazione di un museo dedicato a Lenin. Arrivano i media nazionali e “riscoprono” questa anomalia emiliana [43].
Si riaccendono gli attacchi e le polemiche: nel 2019 il parlamentare di Alleanza nazionale Ignazio La Russa arriva in paese per lamentare che in Italia si tenga in piedi un busto di Lenin e non si voglia intitolare una via ad Almirante; pochi mesi dopo Salvini chiama in causa Cavriago sulla televisione nazionale per orientare gli elettori emiliani; nel 2020 viene disegnata una svastica sul piazzale.
Peraltro una nuova generazione di cavriaghesi sembra dare al busto un significato diverso, non più solo politico. Nel 2016 esso trova largo spazio nella Guida narrativa di Cavriago coordinata da Caliceti. In particolare Dario Ferrari Lazzarini avvia in quell’occasione un lavoro di ricerca che mira esplicitamente a sottrarre il monumento dalla stretta dimensione ideologica, per farne piuttosto un simbolo identitario del paese. Il concetto è riaffermato anche in un’inchiesta di Michele Smargiassi su «Repubblica», in cui emerge lo sforzo dei giovani di smarcarsi dalle vecchie polemiche e di affrontare i problemi del presente, senza però rinunciare alle proprie radici [44]. Un’altra cavriaghese, Linda Magnoni, pubblica nel 2018 Lenin nell’era dei millennials, in cui il leader bolscevico da guida politica si trasforma in icona pop [Magnoni 2018].
Significativamente nel marzo 2018 i Cinque stelle diventano a Cavriago il partito di maggioranza; per la prima volta nel dopoguerra non prevale la cultura socialista. Va detto però che alle amministrative del maggio 2019 si impone di nuovo il centro-sinistra, con la sindaca Francesca Bedogni. In vista del 150° anniversario della nascita di Lenin, il 22 aprile 2020, la nuova amministrazione progetta una serie di iniziative, tra le quali la riesposizione del busto originale al nuovo centro culturale Multiplo, poi rinviata causa Covid. Ma la pandemia non ferma le manifestazioni: anzi l’immagine del busto con la mascherina chirurgica, diffusa nel febbraio 2020, diventa virale.
Il giornalista di Mediaset Toni Capuozzo dedica a Cavriago una sezione del suo documentario Il sogno di una cosa, trasmesso nell’aprile 2021. E il 18 maggio esce il fortunato volume La trionferà, di Massimo Zamboni che ripercorre l’epopea del socialismo a Cavriago attraverso la storia di alcuni personaggi reali (il sindaco Arduini, il militante Albo Partisotti detto Principe, l’autore stesso) sempre sotto lo sguardo vigile del busto di Lenin [Zamboni 2021].
Potremmo dire che una nuova stagione è avviata dal collettivo Piazza Lenin Rosso 17, nato come blog nel 2010, quindi come pagina Facebook nel 2017 e poi formalmente come associazione il 26 luglio 2021. Il promotore è Davide Farella e il presidente onorario Rodolfo Curti (sulla tessera associativa spicca il busto stilizzato). Tra gli scopi, oltre alla manutenzione e alla tutela della piazza («il luogo più internazionale del pianeta»), la valorizzazione del municipalismo socialista emiliano e dell’internazionalismo antifascista.
La prima iniziativa di rilievo è la festa del 2 settembre 2017, Sconvolti, con Caliceti, Ivano Marescotti e la Banda di quartiere. Per l’occasione vengono realizzati un disegno originale del fumettista Giuseppe Camuncoli e una vignetta di Vauro. Il 28 ottobre Zamboni presenta a Cavriago il suo spettacolo I soviet + l’elettricità (poi andato in scena il 17 dicembre a Reggio). Il 7 novembre si svolge la manifestazione Lenin, luce e rivoluzione con lo slogan «non è nostalgia, è giustizia sociale».
Il 12 settembre 2020 si festeggia la nascita dell’associazione col coro l’Amata rossa di Casa Bettola; e arriva addirittura la Popolare ciclistica da Bergamo. Se ne occupano Radio 2, Canale 5 e il «Corriere della Sera». Tra i gadget, oltre a vari tipi di magliette, trionfa il busto di Lenin da scrivania: in pochi mesi 350 fermacarte bianchi di gesso e vetroresina di 12 cm vengono venduti a dieci euro; e consegnati, rigorosamente a mano, il 12 giugno 2021.
Il 7 novembre 2021 si svolge un’altra manifestazione, con la bandiera sovietica issata nuovamente in cielo coi palloncini. Partecipano oltre 200 persone provenienti da tutta Italia; e gli iscritti all’associazione raddoppiano con adesioni anche da Parigi e New York. 100 piccoli busti rossi sono messi in vendita a 15 euro per finanziare la nuova pannellatura della piazza. Si tratta di alcune placche in acciaio recanti testi di Zamboni che narrano la storia del busto. Il 2021 si chiude con un nuovo video sul monumento, prodotto da Vd, che include interviste alla sindaca Bedogni, a Curti, Farella e Zamboni.
Il busto di Lenin di Cavriago trova ampio spazio anche sulla rete. Tra i siti di viaggio, diversi lo segnalano come attrazione turistica. È interessante notare i commenti: dei 52 presenti su Tripadvisor dal luglio 2013, 33 sono positivi e si concentrano nei primi e negli ultimi anni. Per alcuni il busto è «inamovibile», «un pezzo di storia da visitare assolutamente», «un simbolo delle passioni locali», che «mostra una faccia dell’Emilia che oggi in molti tendono a dimenticare» e «resta un punto di riferimento che continua a guardare avanti». Per altri invece, soprattutto nei mesi intorno all’anniversario del 2017, è «un relitto della storia», «un insulto alla memoria», che «crea divisioni» e «risulta totalmente fuori luogo».
Anche sui social non mancano spunti interessanti. Su Facebook, oltre alla ricchissima pagina di Piazza Lenin Rosso 17 (preceduta da Buongiorno Lenin, attiva dal 2013 al 2017), si segnalano Busto di Lenin a Cavriago (on line dal gennaio 2009, ora 1.967 followers), Piazza Lenin (sottotitolo Il comunismo è la gioventù del mondo; dal 2015, ma preceduto dall’omonimo blog dal 2009 al 2012), Cavriago ribelle (dal 2015 al 2016, legata all’Associazione partigiani Anpi comunale), Ilic Ulianov Lenin, legata a Rifondazione comunista di Cavriago, «città del busto di Lenin» (come si legge sul logo), con 967 followers.
Il podcast Radiovanloon in una sua recente puntata si è soffermato sul “Lenin pop”, ricordando il busto, le canzoni di Spartacus Picenus e degli Offlaga Discopax, ma anche i fumetti di Daniele Panebarco [Panebarco 1981].
8. Red lives matter
Le vicende cavriaghesi sono peculiari, ma non uniche, e acquistano un significato più definito se le si inserisce nel contesto globale post 1989-1991. La caduta dei regimi comunisti in Europa dell’Est e poi il crollo dell’Urss hanno infatti prodotto, come sempre in questi casi, una riconfigurazione delle memorie pubbliche, non priva peraltro di inerzie, reazioni, ritorni [45]. In essa un ruolo decisivo hanno giocato la riconnotazione, l’abbattimento, la sostituzione dei monumenti; tanto più estesa e profonda quanto più massiccia e pervasiva era stata la monumentalistica sovietica [Merridale 2001].
E proprio le statue di Lenin si trovano al centro del fenomeno [Tumarkin 1997]. Diffuse in Urss fin dalla fondazione [Yampolsky 1995], poi dilagate in tutta l’Europa orientale comunista [Piretto 2014] [46], sopravvissute non senza sussulti al 1956, che ha segnato invece il primo smantellamento di quelle di Stalin, hanno tratto nuovo vigore dal centenario del 1970 e continuato a sorgere fin quasi alla fine del regime: l’ultima è quella di Lev Kerbel, uno degli ultimi grandi interpreti del realismo socialista, famoso per la testa di Marx a Chemnitz, che è stata inaugurata ad Archangel’sk nel 1988.
Ma dopo il 1991 i loro abbattimenti sono diventati la norma; e i piedistalli vuoti il simbolo della trasformazione in atto [Scotini 2014]. Lo mostrano bene film come Lo sguardo di Ulisse (1995) e Good Bye Lenin! (2002) che ritraggono in diverse modalità le statue rimosse e il loro spostamento. Il fenomeno non è peraltro uniforme, né sincrono: Antonella Salomoni in un recente intervento invita opportunamente a «cogliere la complessità del fenomeno iconoclasta… Occorre misurarne frequenza e radicalità; e distinguere tra rimozione, distruzione, vandalismo, modifica, decadimento e anche reinterpretazione» [Salomoni 2021].
Le statue di Lenin nella ex Urss rimangono oltre 6.000, la maggior parte in Russia (oltre 100 solo a Mosca); ma anche in Bielorussia e Kazakistan sono più di 300. E sono diffuse in tutto il mondo: ce ne sono infatti ancora in una ventina di paesi, in tutti i continenti [47]. Di recente sono state collocate statue a Goa (2006) in un villaggio per turisti russi; a Montpellier (2010) per iniziativa del controverso presidente della regione del Languedoc-Roussilon, Georges Freche; a Caracas (2017) sul Paseo de la Revolución; e a Gelsenkirchen (2020) davanti alla nuova sede del Partito marxista leninista tedesco.
Curiosamente, proprio nelle città coinvolte dalla vicenda cavriaghese, Lugansk e Bendery, l’immagine di Lenin mostra una particolare resistenza all’iconoclastia diffusa nell’ex Urss. In Ucraina essa è stata tardiva e composita. Al momento dell’indipendenza (dicembre 1991) esistevano nel paese oltre 5.500 monumenti dedicati a Lenin. Dopo quella data si sono verificate tre grandi stagioni di attacchi ai simboli comunisti, diverse per motivazioni e intensità [Kyslyuk 2016]: quella del 1990, che ha riguardato le regioni occidentali; quella corrispondente alla “rivoluzione arancione” del 2004, legata soprattutto alla nuova attenzione dedicata alla tragedia dell’Holodomor; e infine quella corrispondente alla rivolta nota come Euromaidan della fine del 2013 [48].
Essa ha imposto una nuova politica della memoria [Bellezza 2014], anche attraverso un vero e proprio “statuicidio” [Kozyrska 2016]: dalla singola azione dimostrativa si è passati a una pratica di demolizione sistematica e sostanzialmente istituzionalizzata, in seguito alle leggi memoriali emanate nel 2015, che hanno portato all’abbattimento di oltre 1.300 statue in due anni [Himka 2015] [49].
L’abbattimento delle statue di Lenin in Ucraina è diventato così un fenomeno culturale, che ha assunto il significativo nome di Leninopad (caduta di Lenin) [Gaidai 2021]. La politica di decomunistizzazione, in questo caso accompagnata anche dalla derussizzazione, ha avuto indubbiamente molto rilievo, ma gli esiti restano controversi [Shevel 2015; Marples 2018].
In Crimea (inglobata unilateralmente dalla Russia di Vladimir Putin nel marzo 2014) e nelle regioni a maggioranza russa (in cui dall’aprile 2014 si combatte la cosiddetta guerra del Donbass [Dubrovina 2021]) la situazione è resa più complessa dalla violenza degli scontri di confine e dai cortocircuiti creati dagli spostamenti forzati di popolazione [Merlo 2021].
E proprio in quest’area si trova Lugansk, dove la già citata statua di Lenin in piazza della Rivoluzione è rimasta al suo posto, anche se nel 2009 è stato rifatto il basamento, togliendo i bassorilievi; e nel febbraio 2014 il monumento è stato dipinto di giallo e azzurro [50]. Così pure resta in piedi la statua collocata in piazza del Teatro, eretta nel 1967 e opera di Manizer e di suo figlio Ossip. Altre sette se ne contano ancora in giro per la città, tra le quali il monumento Gloria al lavoro, di Apollinarij Adolfovič Stempkovskij, inaugurato nel 1977 davanti alla fabbrica di locomotive.
Non dissimile la situazione in Moldavia. Anche qui la repubblica resasi indipendente nell’agosto 1991 ha provveduto subito a cancellare i principali simboli sovietici; e tra questi i monumenti a Lenin. In alcuni casi i militanti filorussi li hanno protetti o ricostruiti, soprattutto durante la presidenza Voronin. Ma poi ha prevalso la nuova logica nazionalista.
A Chišinëv (Chisinau) la statua di Merkurov eretta nel 1949 davanti al governo è stata spostata nel 1991 presso il parco Valea Morilor (nella ex zona fiera); e sostituita in piazza con una pietra dedicata alle vittime del regime comunista. A Falesti la statua è stata rimossa nel 1991 dal piazzale del municipio, dove è stata avvicendata da un monumento a San Giorgio; è stata poi ricollocata in periferia nel 2001 e infine abbattuta e decapitata nell’agosto 2017. A Beltsy (Balti), seconda città del paese e importante centro industriale, la statua del 1970 è stata spostata nel 2003 per far spazio a Stefano il grande.
Ma restano aree filorusse, che hanno rivendicato formalmente la loro indipendenza. È il caso della Transnistria, repubblica autonoma non riconosciuta dalle autorità internazionali e tristemente nota soprattutto per il traffico d’armi e di droga. Il bel reportage realizzato da Simone Benuzzo con il collettivo Volna Made (presentato anche a Cavriago il 25 ottobre 2018) conferma il congelamento dei simboli sovietici [Il futuro dopo Lenin 2018]: monumenti a Lenin sono ancora in piedi nella capitale Tiraspol, dove una statua campeggia davanti al parlamento e un busto davanti al municipio; e in una decina di centri minori [51].
In questa regione si trova anche Bendery, dove è ancora presente la statua di Lenin eretta nel 1951 (il cosiddetto Lenin giallo), mentre una nuova statua (il Lenin verde) è stata collocata davanti alle scuole, nel parco cittadino. Inoltre è presente una via intitolata a Cavriago, cui nell’ottobre 2020 il museo locale ha dedicato una mostra.
Se si guarda al mondo dei social, in Russia va segnalata la campagna Un selfie con Lenin lanciata nel 2015 dal Konsomol della Repubblica di Komi per familiarizzare le nuove generazioni col leader bolscevico (e insieme mapparne i residui monumenti). L’iniziativa, avviata sul social russo VKontakte, è stata poi allargata a Instagram, ricevendo il sostegno ufficiale del Partito comunista russo (e le critiche dell’associazione Memorial, che vi ha colto un tentativo di «domesticate the tyrant» e «slide Lenin into the mainstream»). Tra i premi i 45 volumi delle opere complete di Lenin su tablet. «TJournal» ha passato al setaccio i risultati con hashtag #селфислениным (#selfieconlenin), con risultati sorprendenti: la rete vede accese reazioni pro e contro, oltre che evidenti prese in giro [Lokot 2020]. Alexander Bork si è ispirato a questo per inventare un nuovo gioco, il Lenining, per chi fa più selfie con statue di Lenin.
Con la fine del secolo scorso siamo entrati in una fase post-monumentale [Pirazzoli 2010] e la rete rende ormai fluide e cangianti anche le forme di rammemorazione e commemorazione (e muta la stessa funzione del ricordare) [Bidussa 2012]. Il gesto della distruzione materiale dei monumenti non può quindi essere isolato dalle altre forme di rimodulazione del “regime di storicità” [Hartog 2007]. Le strategie alternative dell’integrazione, della risemantizzazione e della musealizzazione, ma anche le forme di elaborazione di contro e anti monumenti, che ribaltano la logica dei totalitarismi novecenteschi, appaiono più funzionali a gestire questo passaggio di fase senza cadere in amnesie o in rovescismi pericolosi.
9. Dalla guerra delle statue alle statue in guerra
In Ucraina peraltro il Leninopad è proseguito anche nel nuovo decennio: nel 2020 ci sono state altre 11 deposizioni, tra le quali le statue di Golitsa, Vesely Podil, Vinogradovka e Pervomaiskoye. Quella di Zaliznichnoe è stata sostituita dalla statua di un colono bulgaro.
Nel gennaio 2021 rimanevano in piedi ancora 152 monumenti in Crimea, 85 nella regione di Lugansk e 77 in quella di Donetsk [52]. Ma nel corso dell’anno ci sono stati almeno altri 13 abbattimenti, tra i quali le statue di Kalcheva, Kostovatoe e Bandurovo.
L’invasione russa dell’Ucraina il 24 febbraio 2022 ha determinato un nuovo scenario [Goujon 2021; Bellezza 2022]. La guerra delle memorie ha assunto il volto di un conflitto armato vero e proprio, di cui le statue sono ora obiettivi d’attacco e strumenti di propaganda.
Poco prima di avviare quella che ha definito “operazione speciale”, del resto, Putin ha ripreso le sue personali “lezioni di storia”, sostenendo che l’abbattimento delle statue di Lenin è un non senso perché proprio lui aveva voluto l’Ucraina [53].
Significativo quanto avvenuto a Kiev: il monumento dell’amicizia russo-ucraina, una statua in bronzo di due operai, è stato decapitato davanti agli occhi dell’architetto Serhii Myrhorodskyi, che lo aveva progettato nel 1982; e il sindaco Vitaly Klitschko ne ha annunciato l’abbattimento per sostituirlo con un simbolo «della libertà ucraina». Quanto al grande arco di titanio lì a fianco, sulla riva del Dnepr, su cui già nel 2018 era stata disegnata una crepa nera, si progetta ora di ridipingerlo di giallo e azzurro. È stato inoltre programmato lo smantellamento di altri 60 monumenti e la ridenominazione di oltre 400 vie; attaccando non solo i russi, ma anche gli autori ucraini che scrivevano in russo o che «hanno assunto identità russa» (a rischio la statua di Bulgakov) [54].
Intanto nelle zone occidentali del paese è ripreso l’abbattimento delle immagini di Lenin: il 17 aprile è stata deposta quella di Chernobyl, il 22 eliminato il busto di Vlasovka. Mentre vengono protette con sacchi di sabbia o incelofanate le statue simbolo dell’Ucraina. La derussificazione ha colpito anche altri soggetti: a Ternopil è stato cambiato il nome a una via intitolata al cosmonauta Yuri Gagarin. Fontanka, villaggio nei pressi di Odessa, ha eliminato via Mayakovsky e l’ha sostituita con via Boris Johnson [55].
Nella zona orientale, intanto, i governi separatisti hanno abolito il decreto di Kiev sulla eliminazione dei monumenti comunisti dalle liste del patrimonio tutelato. Il 9 maggio, nella tradizionale sfilata per la vittoria, una imponente manifestazione si è svolta davanti alla statua di Lenin di Lugansk.
A sud, sulla costa del Mare di Azov, alcuni monumenti di Lenin sono stati ricollocati dagli invasori russi: ad esempio a Henichesk la statua era stata abbattuta e segata in tre pezzi nel 2015; il 18 aprile è stata riassemblata ed è tornata al suo posto davanti al palazzo del governo della regione di Kherson [56]. Così anche la statua di Nova Kachovka, rimossa nel febbraio 2014, è stata rimessa sul suo piedistallo il 30 aprile [57].
La risposta ucraina non si è fatta attendere: a Kharkiv, la statua del generale Georgy Konstantinovich Zhukov, capo di stato maggiore dell’esercito sovietico durante la Seconda guerra mondiale, è stata abbattuta dai soldati di Zelensky; a Lvov il memoriale ai militari russi uccisi nelle due guerre mondiali è stato spogliato della stella rossa e della falce e martello [58].
Di fronte a questi fenomeni che hanno luogo in un contesto drammatico di guerra, la domanda se abbia un senso o meno tenere in piedi un busto di Lenin a Cavriago può apparire oziosa o irriverente. Infatti il Comune ha nuovamente rimandato le celebrazioni per il ritorno in pubblico dell’originale. Ma anche il caso reggiano sollecita una riflessione approfondita su se e come si possano far convivere virtuosamente le diverse (e sempre nuove) memorie che i monumenti novecenteschi materializzano; costringendoci a mettere in discussione le nostre certezze, anche quelle scolpite nel bronzo [Portelli 2014 e 2020].
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Risorse
Su Cavriago e il busto
- Scheda del busto sul sito del Comune di Cavriago
https://www.comune.cavriago.re.it/news/il-busto-di-lenin-da-cinquantanni-in-piazza-a-cavriago/ - Documentario sovietico su Cavriago
https://www.youtube.com/watch?v=EM4SrM5K3U4 - Servizio di Samarcanda su Rai 3
https://m.youtube.com/watch?v=YXaUiIJrX78 - Canzone degli Offlaga Discopax sul busto
https://www.youtube.com/watch?v=bq-5P6dZL74 - Trasmissione della televisione locale sul busto di Lenin
https://www.facebook.com/cavriagonair/videos/lenin-e-cavriago/685660688867229/ - Puntata di RadioVanLoon su Lenin Pop
https://radiovanloon.info/2020/05/04/lenin-pop-maggio/ - Servizio della televisione moldava su Cavriago
https://www.youtube.com/watch?v=Z1HsFGmjqps - Ultimo video sul busto
https://fb.watch/a0hSlQeRpV/
Sulle statue di Lenin nel mondo
- Sito sull’arte sovietica
https://soviet-art.ru/soviet-monumental-propaganda/ - Portale tematico sulle statue di Lenin
http://lenin.tilda.ws/ - Database delle statue di Lenin nella ex Urss
http://leninstatues.ru/ - Rassegna delle tipologie di monumenti a Lenin
https://rusmania.com/lenin-monuments - Mostra virtuale per il 150° di Lenin
https://lenincenter.ru/ - Mappatura dei monumenti a Lenin nel mondo
http://monulent.ru/
Sul Leninopad
- Mappa degli abbattimenti in Ucraina
https://gis.huri.harvard.edu/leninfall - Montaggio dedicato al Leninopad in Ucraina (2014-2016)
https://www.youtube.com/watch?v=Y-BbDKxvWIs - Intervento di Antonella Salomoni a un seminario internazionale sull’iconoclastia
https://www.youtube.com/watch?v=MeNhUx9KyD8 - Conferenza di Antonella Salomoni sul Leninopad al Palazzo blu di Pisa (3 marzo 2022)
https://www.youtube.com/watch?v=v0YeTQsvW7w
Note
1. Una lapide marmorea, inaugurata da Pietro Nenni nel 1948 sotto il porticato del palazzo municipale, ne celebra le benemerenze.
2. «La Giustizia», 14 settembre 1919, dove Zibordi denuncia l’interruzione di un suo comizio con questo grido; e il successivo Le due facce di Lenin, ivi, 28 giugno 1920.
3. Significativo il contrasto con l’odg Prampolini-Turati, votato dal gruppo parlamentare socialista il 15, che è contro l’instaurazione del socialismo «attraverso atti istantanei e prodigiosi» e a favore invece del gradualismo.
4. L’«Avanti!», 12 gennaio 1919; si veda anche «La Giustizia», 19 gennaio 1919.
5. Si vedano soprattutto gli articoli Leninismo e socialismo e Penso ai più diseredati, in «La Giustizia», 2 e 23 marzo 1919.
6. Alle elezioni del 1920 i socialisti ottengono 681 voti, i popolari 176, la lista Rinnovamento cinque, quella Avanguardia due.
7. Una targa dedicata alle due vittime è stata apposta sotto il porticato del centro culturale il 1° maggio 1991.
8. Casotti, classe 1931, sindaco dal 1958 al 1960 e poi dal 1970 al 1972, in seguito direttore di Istoreco, è stato la memoria storica del paese. È scomparso il 20 dicembre scorso.
9. Si veda in proposito l’autorevole testimonianza di Nilde Iotti, sfollata a Cavriago dal gennaio 1944 al maggio 1945: «A Cavriago la presenza dei comunisti era concreta. La provincia di Reggio Emilia è stata durante un certo periodo quella che ha avuto più comunisti iscritti illegalmente al partito» [Caiti, Guarnieri 1996, 637].
10. Cfr. Due rivoluzioni. Da Lenin a MacDonald, in «La Giustizia», 27 gennaio 1924.
11. Belloni verrà commemorato il 27 maggio 1976 alla presenza di Vittorio Vidali.
12. In particolare su un muro di via Gazzolo compare l’8 febbraio 1943 questa scritta ironica: «Cittadini italiani, vi debbo dare un grande dispiacere: perdiamo!».
13. Zanti, nato nel 1896 a Cavriago, lavora come falegname. Entrato giovanissimo nel Psi, è consigliere comunale dal 1920; nel 1921 passa al Pcd’I. Emigra in Francia nel 1923, rientra brevemente in patria tra il 1925 e il 1928, poi viene nuovamente espulso. Si reca quindi ad Argenteuil (sua moglie Amelia Panciroli lo raggiunge nel 1930, con i due figli Carmen e Arrigo), dove è attivista e capo cellula dal 1931 al 1933. Si trasferisce poi a Nizza dove, fino al 1939, ricopre la duplice funzione di segretario del Partito comunista e dell’Unione popolare italiana. Estradato in Italia, viene condannato e confinato a Ventotene dal 23 aprile 1940. Torna a Cavriago nell’estate del 1943 ed è protagonista della Resistenza con il nome di Amos; ma viene arrestato con tutto il Comando piazza il 27 novembre 1944 e poi fucilato il 13 gennaio 1945 nel cortile della caserma Zucchi.
14. Boni, detto Pipo, era stato ammonito nel 1930 per aver affermato pubblicamente: «Lenin è un genio!». Era poi stato catturato e percosso nel gennaio 1945.
15. Sorto il 3 settembre 1943, il Cln di Cavriago comprendeva, oltre a Dossetti per la Democrazia cristiana e al comunista Gilli, il socialista Francesco Guerra e l’azionista Dino Iotti.
16. Gilli, di famiglia socialista, intagliatore, era iscritto al partito dal 1932. Già incarcerato a Castelfranco, era stato poi arrestato nell’aprile 1939 e condannato a sei anni di reclusione, di cui quattro scontati nello stabilimento penale di Civitavecchia, dove aveva contratto il tifo.
17. Nel 1972 il periodico verrà rilevato dall’amministrazione comunale.
18. Boni, classe 1913, era entrato nel partito giovanissimo nel 1929. Nel 1939 era stato incarcerato, fino al 1942. Aveva poi guidato la Resistenza, venendo ferito, imprigionato e torturato.
19. Le impressioni sull’URSS della delegazione sindacale italiana, in «Per la salvezza delle Reggiane» (il giornale della fabbrica occupata), 29 giugno e 13 luglio 1951.
20. O. Boni, Intensificando la lotta per la pace i lavoratori reggiani salutano la pacifica e amica Unione Sovietica, in «La Verità», 4 novembre 1951. Pochi giorni dopo Boni tiene anche un comizio sul tema Uomo nuovo, vita felice nel paese del socialismo.
21. Sulla memoria di Stalin a Cavriago si vedano le interviste ai paesani raccolte per il documentario Finchè dura la memoria: la doppia morte di Stalin di Nelo Risi, trasmesso su Rai 3 nel 1982.
22. Via (o piazza) Lenin esiste in nove Comuni reggiani, quando in tutta Italia se ne contano 37 (tra le grandi città solo a Roma e Bologna, non senza polemiche).
23. Dalla maschera funeraria derivano sia la statua in granito rosso realizzata per l’esposizione di New York del 1937 e poi collocata a Kiev; che quella realizzata per la sala conferenze del Cremlino nel 1939. Statue di Merkurov, con la classica posa di Lenin che guarda l’orizzonte, si trovano in oltre 200 località del paese; un’altra tipologia, in cui indica il futuro, si può vedere a Kolomna (1938).
24. Šadr è autore di 16 diverse statue di Lenin, tra le quali, oltre a quest’opera, conservata presso il Museo di Mosca, la più importante è quella presso la diga di Zemo.
25. Questi operai avevano visitato Lenin a Gorki nel novembre 1923 portandogli in dono delle piante di ciliegio. Al loro ritorno avevano deciso di erigergli un monumento.
26. Manizer realizzerà altre statue di Lenin molto note: in particolare quella per la fiera di Bruxelles del 1958, che verrà poi collocata nell’aprile 1960 davanti allo stadio di Mosca (dal 1992 Lužniki). E Lenin sul carro armato del 1966, conservata al Museo di Mosca.
27. Ad esempio quelle di Khabarovsk e Kirovograd del 1925, di Samara del 1927, di Minsk nel 1933. Manizer usa qui come riferimento alcuni cinegiornali e una serie di fotografie scattate a Gorki.
28. Il busto è firmato: «Impianto di locomotiva statale di Lugansk, 1922». Inoltre porta in rilievo un’iscrizione: «Disegno I. Borunov» e le iniziali dei fonditori G. S. Kiciev e P. F. Ivonin.
29. La targa apposta all’epoca, e ancora presente sul monumento, dice che il busto è stato tratto «dalla sede del partito comunista di Woroschilowgrad».
30. Reverberi, classe 1892, figlio di Torquato, farmacista del paese, studia all’Accademia di Modena e intraprende la carriera militare. Già sottotenente in Libia, nella Prima guerra mondiale da capitano degli alpini sul Grappa si guadagna tre medaglie al valore. Promosso generale, combatte in Albania. Ma il suo nome è legato soprattutto alla campagna di Russia: Reverberi guida la divisione Tridentina nella storica battaglia di Nikolaiewka del 26 gennaio 1943 e riesce a mettere in salvo 30.000 alpini assediati dal nemico, guadagnandosi la medaglia d’oro. Nel dopoguerra viene epurato e si dedica al commercio, ma promuove la nascita dell’Associazione nazionale alpini. Muore a Milano nel 1954. Nel 1975 è stata apposta una targa in suo onore sulla casa natale; nel 2009 gli è stato dedicato un monumento nei pressi del centro commerciale di Cavriago.
31. Lo testimoniano due fotografie in una rara pubblicazione autobiografica di Attilio Scolari [Scolari 2000]. La prima foto, datata 26 luglio 1942, mostra il monumento; la seconda, datata 25 dicembre 1942, vede il piedistallo vuoto. La piazza senza statua è visibile anche nella fotografia di una parata di truppe sovietiche in Vorošilovgrad liberata del 14 febbraio 1943.
32. Dopo la liberazione di Vorošilovgrad, la statua di Korolev viene sostituita da un altro busto, opera di Viktor Muchin e Vasil’ Fedčenko; e poi il 1° maggio 1944 da una statua a figura intera, opera degli stessi autori e di Vasilij Agibalov e Ivan Čumak, che riprende il tema di Lenin col leggio; vengono anche ricreati i bassorilievi.
33. «Almanacco fascista del Popolo d’Italia», XXII (1943), p. 270.
34. A. Giannini, Cavriago onora Lenin nel centenario della nascita, in «Reggio 15», 26 aprile 1970.
35. Il Comune di Bendery risulta gemellato dal 1989 anche con quello di Montesilvano, in provincia di Pescara, ma il rapporto risulta silente.
36. I francobolli sono del resto uno degli ambiti di punta delle cosiddette “Leniniana”. In Russia si calcola che più del 10% dei francobolli emessi dopo il 1924 portino il volto di Lenin.
37. https://www.youtube.com/watch?v=EM4SrM5K3U4&t=53s.
38. Significativamente, il volume omonimo di Marcello Flores riporta in copertina la rielaborazione grafica di una foto di John A. Giordano che rappresenta la deposizione della statua di Lenin di Addis Abeba abbattuta il 23 maggio 1991.
39. Per le vicende successive è utile la consultazione del periodico «23 marzo: Cavriago nella politica, nella cultura, nella storia», rivista quadrimestrale edita da Bertani e sorta per iniziativa del gruppo di storia locale, il cui primo numero esce il 18 dicembre 1989.
40. Si vedano gli articoli di Nikolaj Korickin in «Benderskaja Vedomosti», 7 settembre 1991 e di nuovo in «Tempi Nuovi», 9 ottobre 1991.
41. «Gazzetta di Reggio», 20 aprile 1995.
42. Un servizio su di lui su «Die Zeit», 19 aprile 1996.
43. Radio 2, il 18 ottobre 2017; il «Corriere della Sera» il 26 ottobre 2017; La 7 il 3 Novembre 2017.
44. Abbiamo paura del domani, in «Repubblica», 30 gennaio 2017.
45. Sulle continuità che questa netta cesura non può comunque cancellare del tutto si sofferma Kalashnikov 2021.
46. La prima statua del dopoguerra in Polonia è quella di Schwartz a Poronina del 1950; in Ungheria è quella di Seghedino del 1950; in Cecoslovacchia quella di J. Lauda a Podebrado del 1952; in Bulgaria quella di S. Krumov a Pernik del 1957.
47. Ne restano in piedi diverse in Europa Occidentale (in Gran Bretagna, Spagna, Scandinavia), negli Usa (da New York a Seattle), in Africa (Mauritius), Asia (dall’India alla Cina), Australia (Leura), Artide (il busto nel villaggio abbandonato di Pyramiden, sulle Isole Svalbard, in territorio norvegese) e Antartide. L’archivio Alamy conserva oltre 1.500 immagini di monumenti di Lenin nel mondo: https://www.gettyimages.it/immagine/monument-of-lenin.
48. Nel 2013 le statue di Lenin nel paese erano ancora più di 2.000 (1.300 secondo «Libertà»; la discordanza dei dati è essa stesso un aspetto della “guerra di memorie”).
49. Il complesso di leggi ha comportato anche il cambiamento di nome di oltre 50.000 strade e quasi 1.000 centri abitati. Nel 2016 a Kalyny via Lenin è diventata via Lennon.
50. Sulla statua vedere https://lug-info.com/news/iskusstvoved-rasskazala-o-legendakh-svyazannykh-s-pamyatnikom-leninu-na-ploschadi-revolyutsii-foto-44573.
51. Sul turismo sovietico in Transnistria: https://www.rferl.org/a/transdniester-tourism-lenin/ 25130341.html.
52. http://leninstatues.ru/leninopad.
53. Putin: “Ucraina è la creazione di Lenin, ma ora abbattono le sue statue. È la decomunistizzazione, in «Agenzia Vista», 21 febbraio 2022, https://www.agenziavista.it/europa/2022/499352_putin-ucraina-e-la-creazione-di-lenin-pronti-a-mostrarvi-cosa-significa-liberarla-dal-comunismo/.
54. Kiev ‘decapita’ statua amicizia Ucraina-Russia, in «Ansa», 28 aprile 2022, https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2022/04/26/kiev-decapita-statua-amicizia-ucraina-russia_922c43a6-5e8c-457b-9f22-9ae45130a5e1.html.
55. In Ucraina stanno abbattendo tutte le statue dedicate a personaggi russi, https://www.rivistastudio.com/statue-russe-ucraina/.
56. B. Giovara, La statua di Lenin torna a essere simbolo nella città occupata dai russi a Kherson, in «La Repubblica» online, 20 aprile 2022, https://www.repubblica.it/esteri/2022/04/20/news/la_statua_di_lenin_torna_a_essere_simbolo_nella_citta_occupata_dai_russi_a_kherson-346084298/; La statua di Lenin torna nella città occupata dai russi nella provincia di Kherson, in «Corriere della Sera», 20 aprile 2022, https://www.corriere.it/esteri/22_aprile_20/statua-lenin-torna-citta-occupata-russi-provincia-kherson-fb9017d8-c07a-11ec-a9eb-2524bc1194db.shtml. Per una analisi si vedano: G. B. Guerri, Il ritorno della statua di Lenin, in «il Giornale», 20 aprile 2022,
57. https://www.ilgiornale.it/news/politica/ritorno-statua-lenin-2027528.html e R. Cristiano, Putin il furbo: da anti-leninista ripristina le statue di Lenin per favorire i progetti di estrema destra nazionalista, in «Globalist Syndication», 21 aprile 2022, https://www.globalist.it/world/2022/04/21/putin-anti-leninista-statue-lenin-estrema-destra-nazionalista/.
58. R. Farina, Vladimir Putin, orrore comunista in Ucraina: arrivano i russi? E nella piazza centrale di Henichesk…, in «Libero», 21 aprile 2022, https://www.liberoquotidiano.it/news/esteri/31283661/vladimir-putin-ucrain-russia-stati-lenin-henichesk.html.