Premessa
L'irregolare successo storiografico del tema delle zone libere può essere utilmente analizzato anche dal punto di vista cartografico.
Questo approccio è certo di per sé insufficiente a illuminare tutti i chiaroscuri interpretativi che risultano anche da questo dossier; ma può rendere in modo immediato le difficoltà definitorie, la complessa collocazione e delimitazione del fenomeno, l'evoluzione non lineare delle sue memorie.
In effetti è sorprendente notare come la dimensione geografica della resistenza, pure così importante in chiave strategica, non abbia ricevuto una attenzione storiografica adeguata, almeno fino a tempi recenti.
Nel caso delle zone libere, poi, la difficile delimitazione dei confini di esperienze spesso effimere e non sempre formalizzate ha finito per reiterare rappresentazioni approssimative quando non parziali.
1. I fase: 1945-1960
Nella primissima fase di rappresentazione della resistenza, dominata dalla memorialistica, il tema delle zone libere è cavalcato soprattutto dal Partito comunista, che ne fa una sorta di anticipazione della democrazia postbellica.
È Luigi Longo a parlarne prima su "Il Combattente" e "Nostra lotta" nel 1944, poi sull'"Unità" nel 1945.
Nel 1947 in Un popolo alla macchia [Longo 1947] Longo descrive le «zone liberate» come «oasi di libertà in territorio nemico», «scuola di fraternità, di dignità civile e di democrazia», «fucine di una nuova inebriante democrazia».
Ne vengono citate 16, a partire dalla Valsesia «liberata d'un tratto [...] ricacciando e inseguendo audacemente fascisti venuti a rastrellare»; poi la Repubblica di Torriglia nella VI zona ligure (Val Trebbia, Val d'Aveto, Val Borbera) dai primi di luglio; la Valle Staffora nell'Oltrepò pavese, «da luglio a settembre, in alcune località fino a novembre, definitivamente dal 27 marzo»; l'alta Val Ceno dal 10 giugno; la Repubblica di Montefiorino; la Carnia; il Cansiglio; e ancora in Piemonte la Valle di Lanzo nel Torinese; le valli Maira e Varaita nel Cuneese; le Langhe; il Monferrato; la zona ligure occidentale tra Savona e Sanremo; il Canavese e la Valle d'Aosta; la Val Sassera e la Val Mosso nel Biellese; l'Ossola.
Come criterio discriminante Longo (come poi anche Bocca e Visani) cita quanto scrive Giancarlo Pajetta su "Il Combattente" di Domodossola del 15 ottobre 1944:
Una zona è davvero libera se, in stretta collaborazione con i partigiani, le popolazioni si governano in modo che ognuno sia cosciente collaboratore, che ognuno abbia la sua parte di responsabilità, che ognuno possa intervenire ad esprimere la propria opinione e a realizzare il proprio controllo sulle misure da prendersi [...] Le zone libere devono essere i modelli dello stato italiano democratico.
Tra gli altri testi sul tema dell'immediato dopoguerra, vanno ricordati quello di Solari a proposito della Val Trebbia [Solari 1945]; quello di Lazagna su Torriglia (definita «stato partigiano») [Lazagna 1946]; quello di Marchetti sull'Ossola [Marchetti 1947].
Dante Livio Bianco, parlando delle valli cuneesi, ricorda che:
In luglio si inaugurano le repubbliche: vale a dire, intere valli, che prima erano soltanto controllate, poste semplicemente sotto l'influenza dei partigiani, adesso vengono anche formalmente e permanentemente occupate; e poiché i partigiani costituiscono non un esercito invasore, ma un esercito di liberazione, giustamente si parla, più che di zone occupate, di territori liberati [Bianco 1946].
Interessanti per un confronto le memorie dei monarchici: Cadorna ad esempio stigmatizza l'avventurismo dell'esperienza ossolana [Cadorna 1948]; Martini invece esalta quanto fatto nelle Langhe [Martini 1947].
Nella mostra fotografica italo-francese curata da Italo Pietra e Remo Muratore nel 1947 (e nel successivo catalogo edito nel 1949 dal Cvl - Corpo volontari della libertà - [La resistenza italiana 1949]) le zone libere trovano anche una prima rappresentazione cartografica (fig. 1).
Ne risultano 13: Montefiorino, Val Ceno, Bobbio e Torriglia, Langhe e Monferrato, Pigna, Val Maira e Val Varaita, valli di Lanzo, Valsesia, alta Valtellina, Ossola, Cansiglio, Carnia, Friuli orientale.
Rispetto a Longo, manca il Biellese; Torriglia e Varzi sono insieme a Bobbio; Langhe e Monferrato sono unite; ci sono in più la Valtellina e il Friuli orientale.
All'elenco di Longo si rifà sostanzialmente anche Roberto Battaglia, che però nella sua Storia della Resistenza del 1953 [Battaglia 1953] introduce una distinzione tra una prima fase delle zone libere, nell'estate 1944, caratterizzata soprattutto dall'attività economico-amministrativa; e una seconda, più matura e dichiaratamente politica, in autunno. In quest'ultima inserisce solo l'Ossola («fatto improvviso, determinato da un'azione fortunata dei partigiani») e la Carnia («coronamento legale all'impetuosa offensiva estiva dei partigiani veneti»).
Battaglia sottolinea come «ciò che conta non è tanto l'oggetto, ma il modo in cui si attua il rinnovamento democratico, l'esame delle forme in cui rinasce la democrazia in Italia»; e, anche qui riprendendo Longo, fa riferimento al «comune rustico» medievale. Sottolinea poi il ruolo dei delegati civili introdotti ad esempio nelle Langhe; e le politiche annonarie e fiscali ispirate al bene comune. Delle esperienze di settembre, pur così diverse tra loro, evidenzia l'attenzione per il problema giudiziario e per quello scolastico.
Quanto all'elenco delle zone, anche qui non c'è il Biellese; il Monferrato è definito Astigiano; ma ci sono le valli Gesso, Stura, Grana nel Cuneese. Per l'Appennino emiliano si parla genericamente di «maggiori vallate appenniniche fra Parma e Modena». Battaglia accenna anche ai territori «ripuliti dai presidi fascisti» dalla Brigata Gramsci in Umbria, dalla Val Nerina al Reatino, sottolineando però (a differenza di quanto egli stesso aveva scritto in Un uomo, un partigiano) la scarsa partecipazione popolare e la mancanza di principi di autogoverno.
Nel volume scritto nel 1955 con Garritano [Battaglia e Garritano 1955], peraltro, Battaglia ricorda anche la liberazione di Champorcher il 2 maggio e l'isolamento della zona mineraria di Cogne in Val d'Aosta; le valli biellesi liberate da "Gemisto"; la Val Chisone difesa da "Bluter"; la Valcamonica in Lombardia; la Val Nure e Val d'Arda nel Piacentino; la Val Taro nel Parmense.
Nell'edizione del 1964 la Storia riporta invece una carta dei rastrellamenti del 1944 nella quale le «zone controllate dai partigiani» risultano addirittura una cinquantina (fig. 2).
Nella sua sintesi del 1955 [Salvadori 1955] Max Salvadori parla invece di «repubbliche ciellenistiche», ricordando le città amministrate dai Comitati di liberazione nazionale (Cln) in Italia centrale (Firenze e Ancona); i comuni liberi nelle valli valdesi e del Corno; ma soprattutto «le 15 repubbliche dell'estate 1944», tra le quali cita Montefiorino, Torriglia, Bobbio, Valle Gesso, Ossola, Alba, Carnia, Nimis.
In corrispondenza del decennale escono anche il saggio di Canepa su Torriglia, poi più volte ristampato [Canepa 1955]; e i ricordi di Bianca Ceva sull'Oltrepò [Ceva 1954].
Nel 1957 Carli Ballola [Carli Ballola 1957] elenca 13 casi solo in Piemonte, compresa la Val Vermegnana.
L'anno dopo Pietro Secchia e Cino Moscatelli [Secchia e Moscatelli 1958], parlano diffusamente di Biellese, Val Sesia, Ossola.
A quest'ultima è dedicato anche il volume curato da Filippo Frassati nel 1959 [Frassati (ed.) 1959].
In questa fase è rilevante il ruolo dell'Insmli, l'Istituto nazionale per la Storia del movimento di liberazione fondato da Parri nel 1949.
Nelle sue collane esce infatti nel 1954 il volume di Anita Azzari sull'Ossola [Azzari 1954]; sulla rivista "Il movimento di liberazione in Italia" escono diversi articoli importanti [Luraghi 1959, Londei 1960].
2. II fase: 1960-1975
Il 1960, dopo i fatti di Genova, segna una ripresa dell'antifascismo nel discorso pubblico.
Di qui i corsi di lezioni nelle principali città italiane [Vigorelli 1962] e l'inserimento della storia contemporanea nei programmi scolastici e nell'università italiana.
Escono in questa fase la ricerca di Francesco Vuga sulla Carnia [Vuga 1961] e i ricordi di Giovanni Padoan sul Friuli orientale [Padoan 1965], che spaziano anche sul quadrante jugoslavo.
È però in occasione del ventennale della resistenza, quando essa entra nel canone istituzionale della memoria pubblica, che il tema delle repubbliche partigiane acquista un rilievo centrale come anticipazione delle pratiche democratiche postbelliche.
In particolare nel 1964 escono il volume di Anna Bravo sul Monferrato (frutto di una tesi con Quazza) [Bravo 1964], quello di Mario Giovana sulla Val Maira (e il suo più ampio volume sulla resistenza nel Cuneese [Giovana 1964]), quello di Giorgio Bocca sull'Ossola [Bocca 1964].
Questi nel 1966 scrive anche un importante volume di sintesi sulla lotta partigiana [Bocca 1966], nel quale riprende sostanzialmente l'elenco e la scansione di Battaglia, parlando però di «piccole» e «grandi repubbliche».
Tra le prime, «liberate e non occupate», inserisce anche Champorcher in Val d'Aosta, la Val Pellice e la Val Chisone in Piemonte, la Valle Scrivia in Liguria; e ricorda il progetto del Cvl del luglio 1944, che prevede 21 zone.
Tra le seconde, «piccole patrie con tradizioni ed economie ben distinte, entro confini ben delimitati», dà più spazio all'Alto Monferrato; anche se, a suo parere, «la più matura, la più avanzata, la più ricca di esperienze politiche e amministrative è senza dubbio l'ossolana».
Nel 1963-1964 Pietro Secchia riprende l'argomento su "Rinascita" [Secchia 1963 e 1964], parlando delle zone libere come di «scuole di democrazia effettiva che nasceva nel fuoco della lotta». Porta ad esempi precoci la Valsesia (di cui riporta mappa - fig. 3) e Montefiorino, ma cita una quindicina di casi, comprese le valli biellesi, la Val Trebbia e la Liguria occidentale.
Nel 1965 pubblica con Frassati una storia illustrata in due volumi [Secchia e Frassati 1965], nella quale c'è un capitolo apposito sulle zone libere, che parte dall'elenco allegato alla circolare n. 14 del Cvl del 19 luglio 1944.
La aree citate sono le stesse, con l'aggiunta del Cansiglio e una particolare attenzione alla V zona.
Nello stesso anno esce anche l'antologia La resistenza racconta, con varie testimonianze sulle zone libere, tra cui una di Parri sull'Ossola [Pescetti e Scalpelli (eds.) 1965].
Nel 1966 Ermanno Gorrieri pubblica La Repubblica di Montefiorino [Gorrieri 1966], una ampia e documentata rassegna sulla resistenza modenese centrata su un approccio antiretorico alla zona libera. Nello stesso anno anche la parte reggiana è ampiamente indagata da Guerrino Franzini [Franzini 1966]; e esce il saggio di Gino Cacchioli sulla Val Taro [Cacchioli 1966].
Anche in Piemonte sono numerosi gli studi sul tema: Lucio Ceva sull'Alessandrino [Ceva 1966], Carminati Marengo sulle Langhe [Carminati Marengo 1967], Pansa sul Monferrato [Pansa 1967], Diena sul Piemonte occidentale [Diena 1970].
In questa fase si deve però soprattutto a Massimo Legnani, direttore dell'Insmli, lo sforzo di raccogliere documenti sul tema e offrirne un quadro interpretativo meno schematico.
In particolare nel saggio [Legnani 1967a] e poi nel volume [Legnani 1967b] curati nel 1967 egli mappa 18 zone libere: rispetto all'elenco di Longo introduce anche la Val Parma-Val d'Enza; la Val Taro; il Friuli orientale; l'Imperiese; l'alto Tortonese.
Distingue due periodi per Torriglia; separa Val Maira e Val Varaita; distingue Alba dalla Langhe; l'Oltrepò diventa Varzi; mancano l'aostano, il Savonese, il Biellese.
Queste ultime sono tra le zone «per le quali la documentazione non è esaustiva», insieme alle valli Gesso-Stura-Grana, alla Valtellina, alla zona Valdobbiadene-Cansiglio, alla Val Nure.
Legnani rileva come le esperienze dell'estate 1944 siano strettamente legate ad una decisiva offensiva alleata che non arriverà; e scontino poi le difficoltà di rapporto tra resistenza militare e resistenza politica, all'interno di quest'ultima e tra entrambe e la popolazione.
Certo egli ricorda come il fenomeno sia ampiamente riconosciuto dai documenti della Repubblica sociale (Rsi), che nel luglio 1944 arrivano a parlare di «stato nello stato». E compiuta è la sua analisi delle diverse forme di amministrazione, che vede nella Carnia la realizzazione di un «secondo tempo delle repubbliche partigiane».
Ma vengono anche esplicitati tutti i limiti di maturità e le ristrettezze di tempo che in qualche modo ridimensionano il valore di queste esperienze.
Chiari risultano anche i problemi militari creati dall'occupazione di territori vasti.
E soprattutto si ricordano gli effetti non sempre positivi nei rapporti successivi con la popolazione del luogo.
In contrasto con «certa tradizione retorica legata alla lotta armata» e con
lo schematismo delle visuali di partito», Legnani conclude che «arretratezza politica e difficoltà materiali [...] sono le componenti essenziali che caratterizzano le esperienze delle zone libere [...] nella maggior parte dei casi ogni volontà di radicali riforme è stata sacrificata alla necessità di restituire alla vita delle zone un assetto di normalità.
A lui si deve anche l'articolo generale sulle zone libere nell'Enciclopedia dell'antifascismo e della resistenza diretta da Secchia e Nizza, uscita in vari volumi tra il 1968 e il 1989 [Enciclopedia 1968-1989].
Qui egli descrive le zone libere come «i territori posti temporaneamente sotto controllo partigiano e sui quali si realizzavano, accanto al presidio militare, interventi di carattere amministrativo e politico», distinguendo come "repubbliche" quelle in cui
tali interventi hanno assunto caratteri di particolare durata e intensità, a sottolineare il rilievo degli avvenimenti connessi e la loro incidenza sul profilo complessivo del movimento di resistenza in quanto anticipazioni dell'assetto futuro della vita locale.
Legnani chiarisce peraltro che si tratta di «una multiforme realtà in divenire, caratterizzata, da territorio a territorio, da forti analogie ma anche da profonde diversità».
Distingue quindi due fasi, inserendo l'Imperiese nella seconda; introduce quella umbra come prima esperienza di repubblica partigiana; cita la Val d'Enza e Cogne.
Nei volumi sono presenti anche alcune carte delle singole zone (Ossola, Cascia - fig. 4 -, Val Maira, valli di Lanzo, Langhe), di recente riprese da Vallauri.
Questa intensa stagione di studi culmina nel convegno internazionale tenutosi a Domodossola il 25-28 settembre 1969, i cui atti escono però solo nel 1974 [Le zone libere 1974].
In questa sede è ancora Legnani a fare il punto degli studi svolti e dei problemi aperti con una relazione su Il significato delle zone libere nella storia della Resistenza italiana, nella quale sostiene che «il principale tratto distintivo espresso dalle zone libere consiste nell'aver messo in stretto e diretto rapporto il disegno operativo – militare e politico del movimento clandestino – con certi settori della società italiana».
Quindi lo studio di questo tema deve a suo parere approfondire soprattutto gli effetti di questo incontro, le modificazioni che porta nei due campi, la tensione e anche il conflitto tra essi.
Quanto all'origine delle zone, Legnani fissa l'innesco nell'espansione estiva del movimento partigiano, ma ricorda anche l'avanzata alleata, le zone grigie della Rsi «pronte a trasformarsi in terra di nessuno, in zone franche»; gli imperativi di politicizzazione propri di alcune componenti della resistenza. Sottolineando altresì la dialettica tra le direttive del centro (emanate dal Cvl e non dal Clnai, Comitato di liberazione nazionale Alta Italia) e i contesti locali.
Qui Legnani riproduce l'elenco del 1967, ma include a pieno titolo anche la Val d'Aosta, il Cuneese occidentale, l'Imperiese.
Distingue però tra zone libere e repubbliche, riservando questo termine «per quei territori nei quali si è realizzata effettivamente una equilibrata collaborazione – non sovrapposizione – tra comandi partigiani e organi politico-amministrativi».
Il principale limite di questa esperienza viene identificato «nella posizione elusiva e insufficiente assunta dagli organi centrali della resistenza verso i ceti contadini»; ma «entro i limiti detti, le zone libere restano comunque uno dei risultati più tangibili degli sforzi intesi a trasformare la lotta armata in movimento di massa».
Nel corso del convegno vengono tematizzati, a confronto con diversi casi europei, il distretto di Montefiorino; le zone libere del Friuli, l'Ossola; e, in comunicazioni più brevi, le valli Stura, Gesso e Grana; il Biellese orientale; l'alta Val Taro; le Langhe a l'Alto Monferrato.
Nella sua relazione su Bobbio e Varzi, riscontrando i limiti di questa esperienza, Lucio Ceva peraltro si chiede «se anche le zone più famose presentino al di là di certe apparenze una sostanza profondamente diversa».
Alcune delle relazioni di Domodossola vengono pubblicate a parte nei diversi contesti regionali.
In particolare in Piemonte esce nel 1969 un numero ad hoc dei "Quaderni dell'Istituto Nuovi Incontri" [Le repubbliche partigiane in Piemonte 1969]; mentre i saggi emiliani vengono editi in volume, con alcune integrazioni, nel 1970 [Saggi e notizie sulle "zone libere" in Emilia Romagna 1970].
In questa sede si trova anche una replica di Luigi Arbizzani e Luciano Casali alle tesi espresse da Gorrieri in appendice alla seconda edizione della Repubblica di Montefiorino (aprile 1970), proprio in risposta al loro intervento a Domodossola.
La questione è se, come suggerisce lo studioso cattolico, si possa considerare una repubblica partigiana anche quella modenese dell'inverno 1944-1945, più vasta e organizzata di quella dell'estate, ma non frutto di una azione di combattimento, bensì della ritirata tedesca.
Così Arbizzani:
Se Gorrieri vuole definire "repubblica" partigiana ogni fetta del territorio nazionale nel quale, per un periodo più o meno lungo e per motivi più o meno accertabili, i tedeschi non abbiano messo piede, e solo per questo, allora l'elenco delle "repubbliche partigiane" dovrebbe divenire estremamente lungo ed occorrerebbe aggiungere, oltra alla "seconda repubblica di Montefiorino", la "prima zona" modenese con tre mesi di repubblica, la valli del ravennate (ove per 16 mesi i tedeschi non hanno mai messo piede, vivi), le colline a sud di Forlì (sgomberate dai tedeschi per 2 mesi), le zone occupate da Silvio Corbari nell'appennino tosco-emiliano (dal dicembre 1943 al gennaio 1944), gran parte delle Alpi piemontesi e delle Langhe (in vari periodi) ecc.
Nel volume viene riprodotta la cartina del Cvl del 1949; ma viene anche fornita una nuova carta delle zone libere emiliane (fig. 5).
Nel 1971 escono poi il volume di Masera sulle Langhe [Masera 1971] e quello di Angeli e Candotti sulla Carnia [Angeli e Candotti 1971].
Per il trentennale sono invece da segnalare gli studi di Fogar sul Friuli orientale [Fogar 1974]; di Bergonzini sull'Emilia [Bergonzini 1975]; di Fini [Fini (ed.) 1975] e Beltrami [Beltrami 1975] sull'Ossola.
L'11-12 ottobre 1974 si svolge anche a Norcia un convegno sulla zona libera di Norcia-Cascia, ma gli atti non vengono pubblicati fino al 2014 [Martocchia (ed.) 2014].
La principale sintesi del 1975 è comunque quella di Mario Visani, pubblicata da La Nuova Italia come introduzione a una ricca raccolta di documenti in grande formato [Visani 1975].
Nell'elenco figurano 18 zone libere; mentre viene esplicitamente negato tale status a Sestola nel Modenese (17 giugno - 4 luglio) e Tossignano nel Bolognese (13-23 settembre), che vedono secondo Visani solo una presenza militare partigiana.
Nello stesso anno in un'opera collettanea uscita per Mondadori, Vittorio Emanuele Giuntella parla così delle repubbliche:
Non si tratta più di zone liberate in mano ai partigiani dove i tedeschi non osano entrare, mettendo ai confini cartelli ammonitori: "Bandengebiet", territorio delle bande. Si tratta di zone dove l'amministrazione torna nelle mani dei civili. Longo parla di quindici piccole repubbliche (solo nel Cuneese se ne possono contare cinque, nelle valli Varaita, Maira, Grana, Stura, Gesso), ma le più grandi e quelle dove l'esperimento dura più a lungo sono quelle dell'Alto Monferrato, della Valdossola, della Carnia e, al di sotto del Po, nell'Appennino modenese, la repubblica di Montefiorino [...] L'esperimento di vita democratica che si compie nella Valdossola è aperto e vivace. L'amministrazione è avveduta; si prepara un sistema fiscale moderno ed efficiente; si stabiliscono contatti politici e commerciali con la Svizzera [...] Dall'agosto al settembre i partigiani riescono a liberare anche la Carnia e l'Alto Monferrato. Il 26 settembre si installa ad Ampezzo la giunta della Carnia, mentre l'Alto Monferrato si dà un suo governo solo ai primi di novembre [...] Con la caduta dell'Alto Monferrato (la repubblica che esplicitamente nel fondare la sua "Giunta popolare di governo provvisorio" affermava con grande realismo e forza d'animo di richiamarsi alle esperienze di Montefiorino e Domodossola, già tornate nelle mani dei nazifascisti, e di non nascondersi le difficoltà e i rischi da affrontare) la grande stagione delle "repubbliche" è finita. [Giuntella 1975].
3. III fase: 1975-1995
La canonizzazione del tema e l'istituzionalizzazione della memoria resistenziale portano riconoscimenti ufficiali a diverse zone libere; ma per contro non si registrano avanzamenti significativi nella storiografia.
Nella sua sintesi interpretativa del 1976 [Quazza 1976] Guido Quazza riprende le tesi di Legnani, senza risparmiare aspre critiche alla scelta dell'occupazione, nella quale le esigenze ideologiche sembrano fare velo a quelle strategiche.
Di contro nell'Enciclopedia della Resistenza di Boldrini [Boldrini (ed.) 1980] si trova un'ampia voce sulle "repubbliche partigiane" nella quale si fa riferimento alle pionieristiche esperienze della bassa Umbria e del vallone di Champorcher; e, in esplicita polemica con Gorrieri e con lo stesso Quazza, si rilevano i meriti di Montefiorino, «prima vera repubblica partigiana».
Nel frattempo si moltiplicano gli studi locali, in particolare in Emilia: nel 1977 esce la ricerca di Michele Tosi su Bobbio [Tosi 1977]; nel 1978 quella di Piero Pellizzari su Bardi [Pellizzari 1979]; nel 1980 quelle di Giacomo Vietti sull'alta Val Taro [Vietti 1980] e di Giuseppe Prati sulla Val d'Arda [Prati 1980].
Nel 1979 viene anche tradotto il volume di Hubertus Bergwitz sull'Ossola, risalente al 1972 [Bergwitz 1979]. Si tratta del primo studio significativo di un autore straniero, che riconosce a quell'esperienza «un valore di modello per l'intero mondo libero» e di dimostrazione che gli italiani «erano capaci di governarsi senza la dittatura».
Gambino su Caulonia [Gambino 1981] e Ciccone su Maschito [Ciccone 1982 ]aprono la stagione degli studi sulle repubbliche contadine.
Anche in occasione del quarantennale non compaiono nuove sintesi, ma si tengono diversi convegni importanti: "La Repubblica partigiana della Carnia e del Friuli" ad Ampezzo a fine 1983 [La Repubblica partigiana della Carnia e del Friuli 1984]; "La repubblica partigiana dell'Ossola" a Novara tra marzo e maggio 1984 [La repubblica partigiana dell'Ossola 1984]; "Le repubbliche partigiane e i territori liberi" a Montefiorino il 7 luglio 1984; "La libera repubblica partigiana di Alba" ad Alba il 2 novembre 1984 [Alba libera 1985]; "Contadini e partigiani" a Asti e Nizza Monferrato il 14-16 dicembre 1984 [Contadini e partigiani 1986].
Altri studi di caso vengono realizzati negli anni successivi: quello di Contestabile su Pigna [Contestabile (ed.) 1986]; quello di Prati su Morfasso [Prati 1987]; quello di Della Libera sul Cansiglio [Dalla Libera 1987]; quello di Dolini sulle valli di Lanzo [Dolini 1989].
Anche Legnani torna sul tema parlando di autonomie locali [Legnani 1985].
Gli eventi internazionali del 1989-1992, con le loro travolgenti ricadute italiane, contribuiscono a riconfigurare anche la storiografia sulla resistenza.
Ma il tema delle zone libere rimane per lo più sotto traccia.
Nel fondamentale volume di Pavone Una guerra civile [Pavone 1991] si citano esplicitamente le repubbliche di Montefiorino, Ossola e Carnia, oltre ad alcuni altri territori liberati; ma l'argomento non viene tematizzato, neanche a proposito di politica e attesa del futuro.
Cascia e Cansiglio vengono pure ricordati, ma non come zone libere.
Con il volume di Mancino su Maschito [Mancino 1992] si apre una nuova stagione di studi sulle repubbliche nell'Italia meridionale, che trova una rilevante sistemazione nel 1996 nella sintesi di Gloria Chianese sul Mezzogiorno [Chianese 1996].
Vengono tematizzate per la prima volta come zone libere anche altre aree del nord: nei primi anni Novanta escono gli studi di Carlo Rubaudo sull'Imperiese [Rubaudo 1992], di Mario Renosio sull'Oltretanaro [Renosio 1994], di Mimmo Franzinelli sulla Val Saviore [Franzinelli 1995] e Alberto Cotti su Lizzano in Belvedere [Cotti 1999].
Tra le zone più note, si segnalano il lavoro di Cesare Bermani sulla Valsesia [Bermani 1995-2000], quello di Buvoli e Domenicali sulla Carnia [Buvoli e Domenicali 1994] e quello curato da Aldo Aniasi sull'Ossola [Aniasi 1997].
In corrispondenza del cinquantennale, segnato dalla crisi della "Repubblica nata dalla Resistenza", l'oggetto sembra in effetti tornare storiograficamente "caldo".
Ricompaiono infatti alcuni tentativi di sintesi: Oliva ne I vinti e i liberati [Oliva 1994] distingue tra zone libere «dichiarate» o «di fatto»; e evidenzia la distanza tra propositi di rinnovamento e realizzazioni. Cita Montefiorino, Ossola, Carnia e Langhe-Monferrato.
Nel Dizionario della Resistenza di Rendina [Rendina 1995] si ricordano anche Cascia, Champorcher, Val Maira e Torriglia.
Nell'album illustrato curato da Luraghi [Luraghi 1995] figurano invece 11 repubbliche partigiane: Montefiorino, valli parmensi, il sistema Bobbio-alto Tortonese-Varzi-Torriglia, quello Alba-Langhe-Monferrato, Pigna, Val Maira, Val Varaita, le valli di Lanzo, Ossola, Valsesia, Cansiglio, Carnia, Friuli orientale (fig. 6).
Due importanti convegni si tengono a Montefiorino il 17 giugno 1994; e ad Asti il 24-25 febbraio 1995 ("Territori e identità nella Resistenza").
In questa sede è ancora una volta Legnani ad abbozzare un quadro di sintesi [Legnani 1997]. Riparte come sempre da Battaglia, ma sottolinea come la riconsiderazione delle zone libere vada condotta «in aderenza all'asse di sviluppo della guerriglia». Così analizza il fenomeno alla luce di due fattori determinanti: la natura militare di alcune formazioni e la territorialità del reclutamento partigiano. Pur nella ribadita consapevolezza dei limiti di queste esperienze, i toni appaiono meno critici che in passato; e si insiste sulla maturazione politica insita nel passaggio dai territori alle zone libere alle repubbliche partigiane.
4. IV fase: 1995-2010
Nelle due grandi opere di sintesi uscite col nuovo secolo le zone libere ricevono una attenzione significativa, ma un trattamento non sempre soddisfacente.
L'Atlante Bruno Mondadori, uscito nel 2000, segna indubbiamente uno spartiacque nella cartografia sulla resistenza [Baldissara L. (ed.) 2000].
Ma le zone libere non hanno molto rilievo nell'economia dell'opera.
La carta tematica specifica (fig. 7) distingue tra «zone libere con confine riconoscibile» (Montefiorino, Langhe, Monferrato, Ossola, Carnia, Friuli orientale); e «zone di insediamento partigiane» (sono segnate la Val Parma, la Val Taro, la Val Ceno, Bobbio, Torriglia, Varzi, l'alto Tortonese, l'Imperiese, la Val Maira, la Val Varaita, le valli di Lanzo, la Valsesia). Non vengono considerate le zone della alta Lombardia e del Veneto.
Nel testo si distingue tra una prima fase, nella quale «con l'eccezione di Montefiorino, la liberazione dei territori non produce zone dal confine chiaramente segnato e militarmente presidiato»; e una seconda, nella quale invece si attuano «esperimenti di governo di maggior respiro». Sia la prima che la seconda, però, appaiono legate essenzialmente alle dinamiche della guerra; e si specifica che «le zone libere non sono staterelli nello stato». Ma si rileva la loro importanza come segnale di maturazione politica della lotta; e si nota come «il prolungarsi e rinnovarsi dell'esperienza delle zone libere quando ormai l'avanzata alleata si è fermata» dimostri un ulteriore salto di qualità.
Nelle carte territoriali peraltro si adottano criteri non sempre coerenti.
Per esempio si parla esplicitamente di una zona libera sull'altopiano di Leonessa tra marzo e aprile 1944, ma nella carta rimangono fuori sia Norcia che Visso, che la storiografia sul tema tende invece ad includere. Nei quadri sull'Italia centrale vengono indicati come «occupati dai partigiani» anche i centri di Bibbiena, Vinci, Ribolla, Sticciano e Arcidosso.
Nelle carte regionali sul 1944 le zone libere non compaiono in Piemonte (pure sono ampiamente citate nel testo, comprese la Val Champorcher e la Val Chisone), mentre ci sono in Liguria (Torriglia, Pigna, Osiglia, Val Vara), in Lombardia (solo Varzi; ma nel testo si fa riferimento anche alla Valsassina; mentre si parla di zone franche per Valcamonica e Valtellina), in Friuli (Carnia, Friuli orientale e anche Bainsizza), in Emilia (ma manca la Val Parma e la zona piacentina viene indicata complessivamente come Val Nure/Val Trebbia/Val Tidone).
In quelle del 1945 compare invece solo quella di Varzi; Alba, Pometo e Bobbio sono nuovamente qualificate come «occupazioni partigiane»; mentre le repubbliche del sud sono rubricate come «sommosse contadine».
Nel Dizionario Einaudi del 2001 [Collotti, Sandri e Sessi (eds.) 2001] l'apparato cartografico rimanda sostanzialmente all'Atlante.
Nella mappa Estate 1944: la lotta partigiana nell'Italia settentrionale vengono indicate Montefiorino, Val Taro, Val Ceno, Bobbio, Varzi, Torriglia, l'Imperiese, Val Maira e Val Varaita, le valli di Lanzo, Valsesia, Carnia, Friuli orientale e Bainsizza. Sorprendentemente manca l'Ossola (fig. 8).
Nel testo viene dedicata alle zone libere una sezione specifica del secondo volume, con una introduzione di Gianni Oliva.Vengono distinte le zone formalmente dichiarate da quelle di fatto; si individuano tre risposte prevalenti al problema delle forme di organizzazione politica (governo partigiano, scelta da parte dei commissari politici, elezioni); si ricorda l'esempio jugoslavo.
Viene sostanzialmente mantenuto l'elenco canonico, con l'aggiunta di Cascia e Saviore. Ma Carnia e Friuli vengono trattate insieme, come anche Langhe e Monferrato (compare però una insolita voce Mombercelli); c'è Bardi, ma non Borgotaro; non compaiono le zone liguri a parte Torriglia; non c'è il Cansiglio.
Nelle voci geografiche ci sono molte più informazioni, ma non sempre coerenti con la sezione specifica e con la carta.
Anche le opere di consultazione di carattere locale non danno molto spazio al fenomeno: nel dizionario ligure alla voce "repubbliche partigiane" vengono citate solo Torriglia e Pigna [Gimelli e Battifora (eds.) 2008]; in quello bresciano non ci sono voci specifiche [Anni 2008].
Tra le eccezioni, l'atlante friulano [Buvoli, Cecotti e Patat (eds.) 2006], che tenta anche un confronto con la Jugoslavia; la cronologia di Canali sull'Umbria [Canali (ed.) 2005], che ricorda anche il caso di Pietralunga; e il testo di Giacomini sulle Marche [Giacomini 2005], che parla invece di Cingoli.
In corrispondenza del Sessantesimo, si segnala un saggio di Mirco Dondi, nel quale si rileva che "l'appellativo di Repubbliche è eccessivo rispetto alla natura del fenomeno"; si riprende, aggiornandolo rispetto a Battaglia, il riferimento al "sistema delle città stato-medievali"; e si fornisce un'originale rassegna delle rappresentazioni audiovisive delle zone libere. Tra le aree citate figurano anche le valli meno note dell'Emilia occidentale (Morfasso e Coli per Val d'Arda e Val Trebbia, Val Parma e Val d'Enza); le valli valdesi; la Valnerina in Italia centrale. Si parla anche, con i dovuti distinguo, delle repubbliche contadine del sud, tra le quali vengono ricordate anche Ferrandina e Roccaforte del Greco. C'è però qualche errore di attribuzione (la Valsesia all'Alessandrino, Villa Minozzo al Modenese).
Nel suo fortunato volume di sintesi sulla Resistenza italiana Santo Peli riprende invece l'elenco di Legnani, distinguendo tra "zone libere" e "repubbliche partigiane" sulla base della durata, delle intenzioni e delle realizzazioni. Insiste poi sulle origini esogene del fenomeno, rilevando il peso dell'avanzata alleata e lo sfaldamento della Rsi; ma anche sulle specificità locali. Il bilancio del fenomeno viene quindi definito "in chiaroscuro", attribuendo però un valore positivo allo sforzo compiuto per "costruire un'immagine propositiva della resistenza".
Tra le ricerche specifiche, si segnalano i lavori di tesi di Anna Balzarro sull'alto Tortonese (La zona libera dell'alto tortonese nel movimento di Resistenza, Roma, Lettere, 1989), poi sviluppata in una interessante comparazione con il Vercors [Balzarro 2007]; di Alessandro Cortiana sull'Alto Monferrato (La Repubblica partigiana dell'Alto Monferrato: governo e amministrazione, Milano Cattolica, Scienze politiche, 2003); di Tommaso Mandalà su Piana degli Albanesi (Una storia nostra: la repubblica popolare di Piana degli Albanesi, Lettere, Palermo, 2005).
In occasione del 60° vengono anche ripubblicate le pagine di Breuve su Cogne [Breuve 2003] e quelle di Giannantoni sulla Valtellina [Fini e Giannantoni 2003]; e si svolge a Locarno un importante convegno sull'Ossola.
A questa altezza temporale, compaiono anche le prime carte online.
Nel sito www.carnialibera1944.it, originato da convegno di Treppo del 9 ottobre 2004, vengono però indicate solo le 5 «principali zone libere», attraverso le loro capitali: Montefiorno, Torriglia, Alba, Domodossola, Ampezzo (fig. 9).
L'Istituto Storico di Modena inserisce a fine 2006 nel suo sito una schedatura delle zone libere curata da Monica Casini, cui fa seguito una carta, proposta al pubblico francese nel 2008, nella quale figurano 11 grandi zone, con confini molto stilizzati, a cui si aggiunge l'area dei Grigioni.
Nel sito dell'Anpi di Milano figurano invece 17 zone libere; però mancano del tutto quelle lombarde (fig. 10).
La voce Wikipedia compare il 15 settembre 2007 e riporta lo stesso elenco.
5. Verso e oltre il Settantesimo: 2010-2015
Il tema delle zone libere ha indubbiamente ripreso momento in corrispondenza dell'avvicinarsi del 70°.
In poco tempo sono infatti uscite diverse sintesi, utili per i dati e i documenti che riportano; ma molto tradizionali nell'impianto interpretativo. Anche l'aspetto cartografico appare piuttosto sommario.
Il volume curato da Carlo Vallauri [Vallauri (ed.) 2013] raccoglie alcune ricerche della Fondazione Brodolini, che risalgono però agli anni Novanta.
Gabriella Spigarelli, occupandosi del Piemonte sostiene che le zone libere «diventano repubbliche partigiane quando assumano notevole estensione territoriale, comprendano un elevato numero di asbitanti e si prolunghino nel tempo per almeno oltre un mese»; e infatti pone come limiti il mese di durata, i 1000 kmq di estensione e i 10.000 abitanti, restringendo così il campo a Valsesia, Val Maira, Val Varaita, valli di Lanzo, Langhe e Alba, Ossola, Alto Monferrato.
Paolo Saija, che si occupa di Lombardia e Liguria, rileva in entrambi i casi la difficoltà dei partigiani a liberare porzioni significative di territorio; ma attribuisce poi pieno status di repubbliche sia all'Oltrepò pavese che a Torriglia.
Come canoni di riferimento elenca: «densità di popolazione, estensione della zona controllata, attività politica amministrativa prodotta, continuazione nel tempo».
Da notare anche il riferimento a casi meno noti, come Campione d'Italia nel comasco o Pigna e Triora nell'Imperiese. Mancano invece riferimenti significativi alla Valtellina e al Savonese.
Fiammetta Fanizza ricostruisce la vicenda della Carnia, evidenziandone la durata e l'importanza come laboratorio di democrazia per il «peculiare tentativo di netta separazione tra potere militare e potere amministrativo»; ma ricorda anche il peso dell'oppressione tedesca e cosacca nell'innescare la rivolta, che è civile, prima ancora che patriottica o politica. Sorprendentemente si accenna appena al Friuli orientale; e non si parla affatto del Cansiglio.
Per quanto riguarda l'Emilia, Simonetta Annibali attribuisce lo status di repubbliche a Montefiorino, Bobbio e, «entro certi parametri», a Val Ceno e Val Taro (considerate insieme in virtù di vicinanza geografica, tempi di evoluzione, contatti tra i comandi, mobilità dei combattenti); lo nega invece a Val Parma e Val d'Enza per scarsità e discordanza delle fonti disponibili.
Ci sono inoltre alcune incongruenze di nomi, date e numeri.
Dal punto di vista cartografico si riprendono semplicemente alcune mappe del passato: quelle dell'Enciclopedia dell'antifascismo per il Piemonte, quelle di Arbizzani per l'Emilia.
Nel volume di Nunzia Augeri [Augeri 2014], che riprende un testo della stessa autrice del 2010 [Augeri 2010], si parla delle zone libere come di «evento significativo della resistenza» e «esperienze di democrazia in fieri».
Si rileva l'improprietà della definizione di repubbliche in un contesto ancora monarchico; e le ridotte dimensioni di molte zone.
Ma si parla poi di «decine di paesi liberati e mezzo milione di persone coinvolte»; si tematizza il ruolo delle donne, dei contadini, del clero; si vede nelle repubbliche partigiane una anticipazione diretta della Costituzione in tema di partecipazione nella cosa pubblica e di riconoscimento dei diritti.
Si definiscono repubbliche «le zone liberate da tedeschi e fascisti ad opera delle unità partigiane nei territori del nord e del centro Italia, che furono amministrate da giunte popolari di governo, nello spirito e secondo gli ordinamenti previsti dal Clnai». Ma si aggiunge che
per estensione si fanno ricadere sotto la denominazione di repubbliche anche le zone libere dove non venne eletta una direzione politico-amministrativa centrale formata da civili, ma in cui le popolazioni, sotto la guida delle formazioni partigiane, in maniera collettiva e unitaria crearono una prima forma di autogoverno locale democratico.
Su questa base vengono identificate 26 zone libere.
Da notare i riferimenti alla Val Saviore (Cevo, luglio 1944) e alla Valtellina (Buglio, giugno 1944); a Champorcher (maggio 1944) e Cogne (luglio-settembre 1944); all'alta Val Chisone (tra febbraio e marzo, poi maggio-luglio, con anche la Val Susa); al Biellese orientale (Val Sessera e Val Ponzone, giugno-novembre); alle «zone libere della provincia di Cuneo», accomunate, così come Langhe e Monferrato; all'Imperiese e al Savonese (con una testimonianza inedita di Giovanni Urbani sulla "microrepubblica" di Osiglia); alla Val Taro e alla Val Ceno, invece separate (ma erroneamente si parla di Val Parma e Val d'Enza come contigue alla Val Ceno); l'inclusione del Corniolo; la presenza di zone del centro sud (Apuania, Cascia, Maschito).
Viene proposta una carta originale (fig. 11), ma priva di confini definiti; vengono infatti indicate solo le «capitali partigiane» (in alcuni casi con nomi geograficamente scorretti) e i capoluoghi di provincia (non tutti, però).
Nel settembre 2014 anche "Patria", la rivista dell'Anpi, dedica un numero speciale al tema [Semi di Costituzione 2014].
Fin dall'apertura si parla di «fiori sbocciati nel tragico scenario della repubblica sociale», in cui «si respira l'aria di un nuovo grande patto nazionale che si incarnò nella Costituzione». E in effetti si intende sottolineare soprattutto il ruolo politico delle zone libere, intese, nella parole di Smuraglia, come «esperimenti di traduzione nella realtà dell'utopia democratica». Si parla di anticipazioni di Costituzione; di prove generali di nuove istituzioni; e addirittura si rievoca la repubblica romana del 1849.
L'intervento di Claudio Silingardi introduce però alcuni spunti critici importanti: sulla distinzione tra zone libere e zone liberate, sul rapporto tra autorità militari e autorità politiche, sulle dinamiche di relazione tra partigiani e popolazione civile. A fronte dei limiti evidenziati, si conclude peraltro che
con le zone libere la resistenza italiana ha evidenziato tutta la debolezza militare e politica della Rsi, ha assunto una immagine nuova agli occhi degli alleati, ha attivato processi di crescita politica che portano i partigiani ad avere una maggiore consapevolezza della prospettiva democratica nella quale si inserisce la lotta contro il nazifascismo.
Nel testo della rivista si trattano gli esempi più noti; ma si parla anche, attraverso alcune interviste a testimoni, di Varzi («la repubblica che visse due volte»), di Osiglia («capitale dei partigiani») e di Cogne («l'esperienza di repubblica partigiana di più lunga durata»).
La carta alle pp. 24-25 è graficamente accattivante, ma priva di contenuti fondamentali (fig. 12).
Vengono distinte, senza spiegazioni specifiche, 18 repubbliche partigiane: Cogne insieme con Champorcher, Biellese orientale, valli di Lanzo, Ossola, Carnia orientale (!), Friuli orientale, Alto Monferrato e Langhe, Varzi, Montefiorino, Apuania, Val di Vara, Torriglia, alto Tortonese, Osiglia, Imperiese, valli Stura-Gesso-Grana, Val Maira, Val Varaita.
Vengono poi indicate 12 zone libere: alta Val Chisone, Valsesia, Buglio in Monte, Val Saviore, Cansiglio, Val Ceno, valli Enza e Parma, Corniolo, Val Taro, Cascia, Bobbio, Alba.
Si aggiungono infine 3 repubbliche contadine: Maschito, Sanza e Calitri.
Non vengono riportati i confini, ma solo i centri di localizzazione, con alcune scelte peculiari.
Anche le date sono incomplete.
Tra le ricerche originali si segnalano invece quella di Demuru su Varzi [Demuru 2012]; quella di Mielati su Bobbio [Mielati 2014]; quella di Dal Pozzo sull'Alto Monferrato [Dal Pozzo 2014].
Molto importante anche il ripensamento storiografico sulle repubbliche contadine, che ha trovato una tappa fondamentale nel convegno di Napoli del 2011 [La repubblica prima della repubblica 2012], cui si sono accompagnate le importanti ricerche di Maffucci [Maffucci 2009] e Cogliano [Cogliano 2013] su Calitri.
Tra i progetti commemorativi si segnala repubblicadellacarnia1944.uniud.it, avviato già nel 2007, nel cui ambito si è svolto nel 2011 un importante convegno, i cui atti rappresentano a mio parere la pubblicazione più aggiornata disponibile sul tema [Buvoli A. e at. (eds.) 2013].
Oltre ad approfondimenti sulla Carnia e a un quadro generale di portata europea (coordinato da Gustavo Corni), il volume offre infatti alcuni saggi di notevole spessore interpretativo.
Nella sua introduzione Luigi Ganapini, ripercorrendo l'evoluzione della storiografia sul tema a partire da Battaglia e attraverso Legnani, sottolinea il ruolo degli studi locali recenti, che portano ad un ampliamento dei temi e a un approfondimento dei contesti, non sempre facile però da portare a sintesi.
Nella seconda parte del volume (Le zone libere italiane: partigiani e popolazione tra nazifascismo e libertà) Santo Peli fa il punto, rilevando soprattutto l'importanza dei casi di Montefiorino, Ossola, Carnia, Monferrato e Valsesia.
Stigmatizzando il lungo silenzio storiografico seguito ai lavori di Legnani, nota che «l'esperienza delle zone libere contiene, ad uno straordinario livello di densità, tutte le grandi questioni che attraversano la resistenza italiana»; in particolare il problema della necessità e insieme difficoltà «di trasformare la guerra partigiana in una crescita di consapevolezza e di capacità di formazione politica», sia per l'esiguità delle risorse disponibili che per la genesi del tutto dipendente dalle logiche della guerra. La scommessa delle zone libere, è dunque, a suo parere, quella di «trasformare una contingenza militare favorevole in una grande novità politica».
Peli peraltro ribadisce il generale insuccesso dell'esperimento, sia sul piano militare, sia su quello politico. E invita a compiere nuovi studi sulle memorie sedimentate da queste esperienze, a partire dai comportamenti elettorali del dopoguerra.
Il progetto è ancora in corso e ha prodotto tra l'altro un documentario e un portale storico-turistico con un moderno sistema di georeferenziazione.
Occorre in effetti segnalare alcuni recenti prodotti multimediali che rappresentano un indubbio passo avanti nella divulgazione del tema.
Nel nuovo portale storico dell'Anpi (www.anpi.it/mappa-delle-repubbliche-partigiane) sono elencate 17 zone libere. Non figurano però Cogne, Biellese, Val Chisone, Torriglia, Savonese.
In Wikipedia (it.wikipedia.org/wiki/Repubbliche_partigiane), al 15 luglio 2015 le zone citate sono 21, compresi Corniolo, Pigna e Maschito.
Da notare il fatto che manchino voci per esperienze significative come Langhe, Torriglia, Varzi, Cansiglio, Friuli orientale.
E ci sono carte solo per Langhe e Bobbio (fig. 13).
Infine nel sito www.1944-repubblichepartigiane.info, promosso dal Centro studi Luciano Raimondi a partire dal 2014, le zone libere risultano 23, seguendo sostanzialmente il volume della Augeri, che risulta infatti autrice dei testi.
Vengono inclusi anche Cascia, Corniolo, Val di Vara, Apuania, Osiglia, Val Chisone, Biellese, Buglio; Monferrato, Alba e Langhe sono insieme, così come le valli del Cuneese, ma non quelle parmensi. Non ci sono Torriglia e la Val Saviore.
Manca anche qui una cartografia precisa: la carta presente sul sito riporta solo le capitali; non ci sono Champorcher, Val Ceno e Maschito; ci sono invece Torriglia e Val Saviore (fig. 14).
In occasione del 70° convegni sul tema si sono svolti a Santa Sofia (2 febbraio 2013), a Sacile (13 aprile 2014), a Borgotaro (14 giugno 2014), a Cogne (23 agosto 2014), a Varzi (18-20 settembre 2014), a Cividale-Tarcento (26-27 settembre 2014), a Pigna (28-29 settembre 2014), a Nizza Monferrato (18 ottobre 2014), ad Alba (22 novembre 2014), a San Leo (24 aprile 2015). Importanti anche i progetti sull'Ossola, tra i quali segnalo la mostra "Ricordo la luce", inaugurata a Milano l'11 novembre 2014; e il portale www.repubblicadellossola.it.
In quest'ultima fase emergono tre tendenze:
- l'accento sulle capitali partigiane piuttosto che sui territori liberi in quanto tali;
- l'estensione del concetto, con il recupero di alcuni casi in precedenza assai discussi dalla storiografia: Buglio, il Corniolo, Apuania e l'estensione della definizione di repubbliche a zone libere come Cogne, Pigna o Val di Vara.
- l'accostamento all'esperienza delle zone libere delle cosiddette "repubbliche contadine" del sud Italia.
6. Per un bilancio critico
Da questo rapido excursus, emergono alcune delle difficoltà connesse al tema.
Prima di tutto il problema definitorio di cosa sia da intendersi come zona libera.
Come si è visto, esistono diversi criteri che sono stati chiamati in causa nelle diverse stagioni storiografiche.
Tre appaiono comunque quelli principali:
- l'origine: occorre cioè distinguere tra zone liberate da attacchi partigiani mirati, zone lasciate libere dall'occupante, zone divenute franche per accordi tra le due parti;
- la durata: qui contano la stabilità ma anche la resistenza ai rastrellamenti;
- l'assetto politico-amministrativo, ossia il rapporto tra autorità militari e civili: in quest'ambito le distinzioni proposte sono le più varie e non sempre precipue. Occorrerebbe invece chiarire in primo luogo se l'autorità civile è esercitata direttamente dai partigiani o da loro delegati (ad esempio in alcuni casi vengono nominati dei "commissari civili"); se è svolta dai Cln (e in questo caso, su quale scala e in quali tempi); o se vengono elette delle giunte (nel caso, con quali criteri). Dopo di che ovviamente c'è tutta la questione dei provvedimenti assunti da questi organi amministrativi, che è molto importante per giudicare il rapporto tra risposta alla contingenza e elaborazione di nuove prospettive; ma esula evidentemente dai limiti di questo saggio.
È interessante notare comunque come la classificazione delle zone libere sia tutt'altro che consolidata.
Esistono aree che sono da sempre incluse; altre che emergono solo da un certo momento in poi (quelle lombarde solo dagli anni Sessanta, quelle del sud negli ultimi vent'anni; Apuania e il Corniolo praticamente solo nell'ultima fase); altre ancora con un andamento alterno: Biellese, Cansiglio, Cogne, Osiglia, Val Nure-Val d'Arda, Val Parma-Val d'Enza, Osiglia.
Anche le denominazioni non sono uniformi.
Non solo perché occorre distinguere, come si è detto, tra zone libere e repubbliche (o distretti o zone partigiane o territori liberi); ma anche perché i singoli territori vengono talvolta denominati nel complesso, altre in riferimento solo al centro più importante. Emblematico il caso Varzi-Oltrepò pavese.
Ancora più oscillanti sono poi i dati sugli abitanti (anche per la mobilità causata dalla guerra), sulle presenze partigiane (spesso gonfiate dalle fonti resistenziali) e su quelle tedesche (anch'esse in genere enfatizzate, soprattutto in riferimento alle battaglie decisive).
Ma in questa sede conviene limitare l'analisi alla questione strettamente geografica, cioè a forme e dimensioni delle zone.
Il riferimento a confini stabiliti e a dimensioni sovracomunali è presente in effetti in alcune analisi come ulteriore criterio discriminante.
Ma è evidente come la superficie delle zone raramente coincida con confini amministrativi precisi, creando non poche sfasature e in taluni casi anche equivoci.
Se prendiamo anche solo i casi più noti e storiograficamente consolidati, possiamo notare diverse incongruenze.
Per quanto riguarda ad esempio Montefiorino, i comuni coinvolti oscillano tra 6 e 8, includendo in taluni casi anche Baiso o Carpineti; la superficie passa da 600 a 1200 kmq; gli abitanti da 30 a 50.000 (fig. 15).
Nel caso dell'Ossola i comuni sono tra i 28 e i 35; la superficie tra 1500 e 1600 kmq; gli abitanti tra 47.000 a 85.000.
Nel caso dell'Ossola i comuni sono tra i 28 e i 35; la superficie tra 1500 e 1600 kmq; gli abitanti tra 47.000 a 85.000.
Circa la Carnia, i comuni sono secondo alcuni 37, secondo altri fino a 42; altri ancora distinguono tra 38 occupati totalmente e da 7 a 10 solo parzialmente; così la superficie varia tra i 2100 e i 2900 kmq; gli abitanti tra 70 e 90.000.
Ancora più complessa la situazione laddove ci sono più zone contigue.
La zona libera del Monferrato (chiamata a volte Oltretanaro o Astigiano) viene spesso considerata insieme alle Langhe (a loro volta includenti, ma non sempre, Alba).
Insieme risultano coinvolti tra i 36 e i 58 comuni; e circa 40.000 persone. Ma alcune pubblicazioni danno per buone le testimonianze di Mauri, che parla di «un centinaio di comuni e quasi 150.000 abitanti».
La zona libera di Bobbio, contigua a quelle di Torriglia in Liguria, di Varzi nell'Oltrepò pavese e dell'alto Tortonese nell'Alessandrino, viene talvolta estesa a comprenderle.
In conclusione, pur tenendo conto dell'estrema precarietà delle fonti, appare auspicabile che nella apprezzabile ripresa storiografica del tema che si sta delineando, si ponga maggiore attenzione anche ad una più precisa ridefinizione dei confini e ad una valutazione non impressionistica delle forze in campo. Anche questi elementi potranno contribuire ad una interpretazione meno sommaria e più persuasiva.
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Risorse
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- www.1944-repubblichepartigiane.info
- Repubbliche partigiane - Rai Storia
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- Repubblica partigiana dell’Ossola. Quaranta giorni di libertà - Città di Domodossola
- www.repubblicadellossola.it
- Repubblica della Carnia 1944. Alle radici della libertà e della democrazia
Università di Udine Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia - repubblicadellacarnia1944.uniud.it
- Museo della Repubblica di Montefiorino e della Resistenza italiana
- www.resistenzamontefiorino.it
- Museo della Casa della Memoria, della Resistenza e della Deportazione di Vinchio
Istituto per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea in provincia di Asti - http://www.casamemoriavinchio.it/index.php?option=com_content&view=article&id=15&Itemid=121
- Il territorio libero di Norcia e Cascia
- www.cnj.it/PARTIGIANI/norciacascia.htm