Scrivo questa nota all’indomani di una campagna elettorale in cui la coppia fascismo-antifascismo ha occupato nelle piazze e in rete uno spazio immenso, inversamente proporzionale al consenso, davvero minimale, concesso dagli elettori alle forze politiche che per le strade se le sono date di santa ragione richiamandosi allo storico dilemma. Quella che un tempo si chiamava dialettica degli opposti estremismi ha in Italia il crisma dell’eternità, ma, per fortuna, possiede, rispetto ai tardi anni Settanta, scarso potere seduttivo, se è vero, come è matematicamente vero, che, nelle urne, uno scarso 3% hanno raggranellato i movimenti che fanno capo ai centri sociali, a Forza Nuova e a Casa Pound: nemmeno se per assurdo si fossero presentati insieme quei movimenti avrebbero saputo mandare alle camere un loro rappresentante.
Il dato è confortante, consolatorio, visto il risultato politico globale, ma ha poco di che rallegrarsi chi abbia a cuore una serena ed equilibrata narrazione storica del fascismo e dell’antifascismo. E nel nostro caso specifico poco rincuora chi guardi con animo non perturbato al futuro del discusso museo di Predappio. La dialettica fascismo-antifascismo riempie le discussioni sui giornali e nei talk show, ma non le urne. Eppure, qualche cosa ci insegna ancora questa eterna, metastorica divisione fra fascisti e antifascisti immaginari che a ondate periodiche agita le nostre discussioni pubbliche.
“Una generazione fortunata la tua, non hai conosciuto la guerra!” Quante volte mi è capitato di ascoltare questa frase, che non considero del tutto vera. Negli ultimi anni Settanta l’Italia è stata attraversata da inaudita violenza. Nella sola cerchia dei miei compagni di liceo e di università ho visto con i miei occhi bruciare la giovinezza di almeno tre amici: uno si è perduto nella lotta armata, un altro nelle tossicodipendenze, un terzo nell’esilio politico senza ritorno. Non ripercorro volentieri i corridoi di Palazzo Nuovo a Torino: risuona nelle orecchie il rumore sordo dei passi cadenzati, i cortei interni, gli slogan di morte, le urla, il volto bianco e terrorizzato del professore che entra in aula e subito esce dicendo che la lezione è sospesa, le urla di giubilo, che accompagnano la sua fuga. La narrazione pubblica invece di ruotare, come avrebbe dovuto, intorno al dilemma democrazia-antidemocrazia, finiva imbrigliata nel dilemma antistorico fascismo-antifascismo, l’uno e l’altro raffigurati come entità metafisiche.
A quanto si è visto in queste ore, quel passato continua a non passare se è vero, come purtroppo sembra vero, che così tanti giovani si picchiano per strada pensando che l’orologio del tempo sia bloccato al 1943. Una parte non piccola di responsabilità ce l’hanno gli storici, la cui ricostruzione del fascismo evidentemente non è bastata a creare il clima di serenità necessaria a un paese per maturare e dunque a creare le basi solide su cui erigere un museo. Ieri come oggi, purtroppo, gli strumenti di lavoro dello storico si trasformano in pietre, bombe carta, bastoni: vuole dire che qualche cosa non ha funzionato - e ancora non funziona nella ricerca storica.
Sempre durante le ore di inquietudine della vigilia elettorale leggevo non senza imbarazzo il dialogo surreale e scollacciato di due intellettuali per altro brillanti e non banali (Quali sono oggi i corpi della politica italiana?), esercizio di pura estetica e virtuosismo della politica, dove il corpo del Duce è comparato al corpo di Berlusconi, di Renzi e, immancabilmente, della povera Boschi, che in compenso, nelle urne, alla faccia dei suoi detrattori maschilisti, ha fatto il pieno di voti.
Confesso di provare simpatia per il sindaco di Predappio, che cerca di uscire da una sgradevole situazione. Non è invidiabile il suo ruolo istituzionale. Per quanto paradossale possa sembrare è più tranquillo il suo collega e primo cittadino a Sant’Anna di Stazzema. In un paese civile, a circa settant’anni dagli eventi in discussione non dovrebbero esistere più amministrazioni comunali che nella partita dell’uso pubblico della storia giocano in serie A o in serie B. Provo l’istinto di proteggere il sindaco innanzitutto dalla boria litigiosa dei nostri storici, che non è nemmeno più politica, imbevuta come sembra di un vacuo estetismo,che si attarda a studiare il fascismo mimando, senza esserlo, il genio di George Mosse.
Intramontabile logica degli opposti estremismi e altrettanto intramontabile dannunzianesimo dei nostri contemporaneisti mi sembrano i due ostacoli maggiori, che rinvieranno di molto la realizzazione di un progetto serio a Predappio. La logica degli opposti estremismi non garantirà al primo cittadino - e nemmeno agli studenti delle scuole di Predappio - la sicurezza fisica, che lo stato dovrà garantirgli a caro prezzo in uno scenario che potrebbe diventare di guerriglia permanente. La boccaccesca svenevolezza di taluni storici del fascismo, la loro beata impoliticità, non offrirà inoltre agli abitanti di Predappio utili supporti di metodo e di rappresentabilità delle fonti.
La via di fuga sarà, come già accaduto in occasione del 150° anniversario dell’Unità, la costruzione di un non-luogo che più disneyano non si potrebbe immaginare. Esposizioni del corpo del Duce, effetti speciali, maxi-schermi, giochi di luce e di fuochi di artificio. I conti con il fascismo non sono mai stati la specialità nazionale: se quei conti li avessimo saldati per tempo (forse) il museo avrebbe qualche speranza di essere realizzato. Troppo comodo pensare, com’è stato suggerito, di costruire il museo a Fossoli: inebriante ma patetica metonimia storiografica che acceca, a quanto pare, la memoria. Molti storici che si schierano contro il progetto-Predappio cadono nella vecchia trappola di giudicare il passato immedesimandosi con il punto di vista “antifascista”, pensando che un museo su un ventennio di regime possa esaurirsi raccontando la storia dal punto di vista dei suoi oppositori, errore tra l’altro già denunciato, mentre erano in carcere, da Riccardo Bauer, Ernesto Rossi, Gaetano Salvemini. I luoghi dove sorgono i musei sono importanti almeno quanto i contenuti dei medesimi. Predappio sarebbe il più sbagliato di tutti, ma sarebbe egualmente sbagliatissimo se la scelta cadesse, che so, su via Tasso, Regina Coeli, villa Torlonia, Trieste-San Sabba. Il fascismo non è stato purtroppo soltanto Salò, ma una malattia che ha rovinato i nostri padri e i nostri nonni.