Il Museo civico del Risorgimento di Bologna ha ospitato la mostra storico-documentaria Ebrei in camicia rossa. Mondo ebraico e tradizione garibaldina fra Risorgimento e Resistenza, realizzata dall’Associazione nazionale veterani e reduci garibaldini con il patrocinio del Museo ebraico di Bologna e del Museo civico del Risorgimento di Bologna, e curata da Eva Cecchinato, Federico Goddi, Andrea Spicciarelli e Matteo Stefanori.

La mostra ripercorre la storia della partecipazione degli ebrei alla costruzione dello Stato unitario italiano, attraverso le vicende degli israeliti che abbracciarono la causa garibaldina in un periodo di tempo lungo, che va dalla fase preunitaria e dal 1848 fino agli anni di fondazione della Repubblica italiana con l’entrata in vigore della Costituzione nel 1948.

I visitatori possono seguire i percorsi del volontarismo garibaldino e, al suo interno, di quello ebraico nel Risorgimento, nell’età liberale, nella Prima guerra mondiale, in epoca fascista e nella Resistenza.

L’efficace sintesi degli eventi storici principali si alterna con approfondimenti su biografie emblematiche di ebrei che vissero da protagonisti alcuni dei momenti fondamentali della storia d’Italia nelle file garibaldine, in senso proprio e in senso lato, tra cui Giacomo Venezian, volontario triestino nella Repubblica romana, i garibaldini Enrico Uziel e Enrico Guastalla che parteciparono alla spedizione del 1860, i volontari della Prima guerra mondiale Gino Finzi e Giorgio Melli, i combattenti di Spagna Carlo Rosselli e Pietro Giusto Jacchia, l’antifascista e poi dirigente del movimento resistenziale Eugenio Curiel, i partigiani Marisa Diena e Franco Cesana.

I testi della mostra sono corredati da riproduzioni di fotografie, dipinti, documenti e articoli di giornale che illustrano gli avvenimenti e fanno conoscere ai visitatori i volti dei protagonisti; inoltre, nell’allestimento presso il Museo del Risorgimento di Bologna, la mostra è stata impreziosita da alcuni documenti e oggetti originali appartenuti a garibaldini: dalle armi, alle camicie rosse.

Nell’adesione come volontari ai combattenti di Giuseppe Garibaldi e nella partecipazione all’esperienza della Repubblica romana – alla base del mito della tradizione garibaldina –, alla spedizione dei Mille e alle guerre di indipendenza, gli ebrei cercano una via per l’emancipazione e l’integrazione nello Stato italiano che si va formando e, nello stesso tempo, contribuiscono alla sua costruzione. In età liberale, poi, per diversi fra gli ex combattenti garibaldini si aprono le porte delle istituzioni e della carriera politica. È il caso, tra gli altri ebrei, di Riccardo Luzzatto, Cesare Parenzo e Alessandro Fortis, i quali con il loro ingresso nelle istituzioni locali e in Parlamento attestano il proprio senso di appartenenza al nuovo Stato e proseguono nel dare un contributo fattivo all’edificazione dell’Italia, spesso spendendosi per una sempre maggiore apertura in senso liberale e costituzionale e per l’estensione delle libertà e dei diritti politici e civili.

Accanto all’interpretazione del garibaldinismo in senso istituzionale, restano tratti tipici dell’atteggiamento dei garibaldini ebrei lo slancio volontaristico e il principio internazionalista, che portano alcuni di loro a seguire Giuseppe Garibaldi nell’armata dei Vosgi, impegnata in difesa della Francia – patria dei diritti e delle libertà – contro la Prussia nella guerra del 1870-1871 (Eugenio Ravà), o ad arruolarsi per sostenere l’insurrezione di Creta contro gli ottomani nel 1897 (Marcou Baruch) o nella legione garibaldina di volontari italiani che combatte nella zona delle Argonne inquadrata nell’esercito francese nel 1914, prima che l’Italia entri ufficialmente in guerra al fianco dell’Intesa (Guido Bauer).

Il primo conflitto mondiale vede numerosi ebrei italiani tra le file dei volontari (circa 5.500) e fra loro di ebrei garibaldini già presenti in Grecia o nella legione delle Argonne, come Camillo Lattes e Emilio Albino Ancona. Questa volta però non si accorre tra i combattenti per internazionalismo, ma per nazionalismo. Per i volontari la Prima guerra mondiale è, infatti, un momento di forte adesione ai destini nazionali, un momento in cui, secondo la retorica del tempo, l’appartenenza alla patria si dimostra con il sacrificio nel combattimento fino a dare la propria vita, e per gli israeliti rappresenta un ulteriore passo sulla via della completa integrazione nella nazione e nello Stato italiani.

La mostra non manca di affrontare il periodo fascista, durante il quale il mito della tradizione garibaldina e del volontarismo di guerra, attraverso il legame con il Risorgimento e il primo conflitto mondiale, è assunto tra gli elementi utili alla creazione del consenso al movimento fascista, prima, al partito e al regime, poi. Alcuni garibaldini – anche ebrei – vedono una continuità tra la guerra e il fascismo e aderiscono al movimento di Mussolini assumendo anche incarichi di rilievo. Tra loro, Camillo Hindard Barany, volontario nella legione delle Argonne e nel primo conflitto mondiale, legionario fiumano, partecipante alla marcia su Roma e poi membro del Partito nazionale fascista e della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, che parte volontario per le guerre in Libia e in Etiopia, dove muore nel 1936.

A fronte della strumentalizzazione da parte del regime fascista e di posizioni come quella di Barany, rimane viva in una parte dei garibaldini, tra gli antifascisti e i fuoriusciti l’idea che il garibaldinismo sia inserito nella tradizione democratica e libertaria, perciò avversa al fascismo, e che a quella tradizione vada riallacciato. La guerra civile spagnola del 1936-1939 offre l’occasione per riportare nel solco originario lo spirito garibaldino, riconnettendolo anche alla spinta internazionalista, attraverso la partecipazione di numerosi volontari italiani – tra cui si contano quasi 400 combattenti ebrei – nel battaglione e poi nella brigata Garibaldi, parte del contingente internazionale accorso in difesa della repubblica spagnola.

Prova della distanza tra il fascismo e le libertà civili per cui i garibaldini ebrei si sono battuti nel corso del tempo sono le leggi antisemite del 1938. Nel quadro di queste leggi razziste contro i diritti civili degli ebrei in ogni settore della vita pubblica e privata, il fascismo, che aveva esaltato i combattenti della prima guerra mondiale, ebrei inclusi, non si fa scrupoli ad espellere dall’esercito gli israeliti, a cancellare i loro meriti e le loro storie, a privare i decorati delle onorificenze guadagnate.

Durante la Seconda guerra mondiale, è la situazione che si crea in Italia dopo l’8 settembre 1943 a rappresentare un canale di continuità con l’esperienza delle brigate internazionali della guerra di Spagna e, più indietro nel tempo, con il Risorgimento, e Garibaldi e i suoi volontari diventano uno dei principali simboli della Resistenza antifascista e antinazista. Ancora una volta gli ebrei sono presenti e danno un apporto al movimento partigiano italiano: oltre un migliaio sono i volontari ebrei nelle brigate Garibaldi e nelle formazioni di Giustizia e libertà; fra loro il commissario politico Emanuele Artom, i partigiani poi catturati e deportati Luciana Nissim, Wanda Maestro e Primo Levi, i dirigenti Leo Valiani e Umberto Terracini. Per gli ebrei la partecipazione alla Resistenza non è solo una risposta alla persecuzione di cui sono vittime, ma anche un’affermazione della propria identità di italiani, in continuità con lo spirito che sin dal Risorgimento ha visto nel volontarismo tra i garibaldini un canale di emancipazione e integrazione nel tessuto nazionale.

La mostra si chiude con l’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica che, sancendo la libertà e l’uguaglianza di tutti i cittadini e la libertà delle confessioni religiose e della loro professione, apre nuovamente la strada alla piena cittadinanza degli ebrei italiani dopo la violenza delle leggi razziali del 1938 e la persecuzione culminata nella Shoah.


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