Il nome di Filippo D’Ajutolo (24 gennaio1902/23 ottobre 1992) - medico otorinolaringoiatra, antifascista, membro delle formazioni partigiane di Giustizia e Libertà ed animatore del Partito d’Azione bolognese – è conosciuto in particolare per l’episodio del radio: dal luglio 1944 fino alla liberazione di Bologna tenne nascosta, infatti, nella sua cantina di via San Vitale la dotazione di radium dell’ospedale Sant’Orsola, trafugata insieme ad altri partigiani per sottrarla alla requisizione delle autorità tedesche. Il suo contributo alla Resistenza cittadina fu però ben più ampio di quel singolo episodio, pur importante.

[[figure caption="Ritratto di Filippo d'Ajutolo" width="300px" align="left"]]figure/2013/dadamo_pedrini/dadamo_pedrini_2013_01.jpg[[/figure]] Approfittando del permesso – accordatogli in qualità di medico – di circolare liberamente in bicicletta e di uscire di casa anche durante il coprifuoco, armato della propria macchina fotografica Reflex D’Ajutolo si impegnò in un paziente lavoro di documentazione della quotidianità di Bologna in guerra. Come fotografo dilettante, seppur di grande sensibilità estetica, riprese avvisi affissi dalle forze di occupazione tedesche, palazzi e strade sventrati dai bombardamenti alleati e soprattutto immortalò le condizioni di molti dei cadaveri di antifascisti, giunti all’obitorio cittadino dopo essere stati torturati e uccisi dai fascisti repubblicani. D’Ajutolo sviluppò di persona la maggior parte dei negativi, stampando le fotografie nella sua camera oscura e nascondendo questi eccezionali documenti in mezzo alle foto più “innocenti” di scene di vita cittadina. Sia le foto della città ferita, sia le foto di vita quotidiana, sia le terribili foto dei caduti antifascisti esprimono la presenza di uno sguardo di particolare intensità: dietro la scelta delle inquadrature è, infatti, ancora vivamente percepibile l’affetto per la propria città e la sua gente, la partecipazione emotiva e l’indignazione morale alla base della straordinaria opera di testimonianza visiva intrapresa negli anni di guerra.

1. Il Documentario fotografico 

Nei primissimi giorni dopo la liberazione di Bologna il dottor Filippo D’Ajutolo e il commissario di polizia Riccardo Parisi, ambedue appartenenti alle formazioni di Giustizia e Libertà, raccolgono in un albo fotografico alcune impressionanti immagini che testimoniano le torture e le uccisioni di partigiani e di civili avvenute a Bologna nei venti mesi precedenti per mano di funzionari della Polizia ausiliaria agli ordini del questore Giovanni Tebaldi, della Guardia nazionale repubblicana agli ordini del colonnello Angelo Serrantini, della Brigata nera Facchini agli ordini di Pietro Torri e della Brigata nera mobile Pappalardo agli ordini di Franz Pagliani. Questi solerti funzionari, insieme a altri rappresentanti di uno Stato ormai agonizzante, si erano esibiti in sequestri di persona, torture, ricatti, assassinii in strada, esecuzioni sommarie, scempio dei corpi degli uccisi. Alcuni dei loro nomi sono tristemente noti, come quelli di Renato Tartarotti, di Alberto Noci, di Bruno Calzolari, di Bruno Monti, di Giovanni Nicotera, di Michele Tossani, di Gaspare Pifferi, di Pietro Cristalli, di Franco Melloni, di Romeo Matteini, di Agostino Fortunati, di Aldo Costa, di Adriano Giostra, di Pietro Masi, di Martino Berti … [Sasdelli (ed.) 2007; D’Adamo e Pedrini 2012].

L’albo fotografico realizzato da D’Ajutolo e Parisi viene intitolato: Documentario fotografico di una parte delle vittime del brigantaggio nazifascista a Bologna 8.9.43/21.4.45. Di esso si conoscono soltanto due esemplari: uno è quello che gli autori consegnarono al Comitato di liberazione nazionale di Bologna per essere utilizzato come prova nei processi intentati contro i torturatori negli anni immediatamente successivi alla liberazione; l’altro è quello che il questore antifascista Romolo Trauzzi, dopo essere stato deposto dagli Alleati, invia il 4 luglio 1945 al «Compagno dott. prof. Ferruccio Parri, Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro per l’Interno». Il primo esemplare, dopo alterne vicissitudini, è stato depositato nell’archivio dell’Istituto per la storia e le memorie del Novecento Parri Emilia-Romagna ed è tutt’ora conservato all’interno del fondo Luigi Arbizzani; il secondo si trova invece presso l’Istituto nazionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia (Insmli) di Milano, al quale è pervenuto insieme a tanti altri documenti di Ferruccio Parri archiviati nel fondo Corpo volontari della libertà (Cvl).

Dal confronto fra le due copie del Documentario, pur essendo fra di loro molto simili, emerge la diversa caratterizzazione dei due esemplari. Il primo, consegnato al Cln bolognese, era stato realizzato per essere destinato a un uso locale e operativo: vi si leggono in alcuni casi sotto le fotografie il nome della persona uccisa, richiami o date che fungono da didascalia; una trentina di immagini sono stampate in formato ridotto, 9 sono state asportate lasciando dei vuoti qua e là, e risulta mancante un intero foglio contenente 8 fotografie. In qualche caso la stessa foto ha una numerazione doppia, in altri il numero è stato corretto, cancellato e riscritto. L’esemplare destinato a Ferruccio Parri, dotato di stampe qualitativamente migliori, presenta invece un’impaginazione più accurata: le foto sono tutte dello stesso formato, non vi sono segni di usura, né didascalie o altre annotazioni – a parte i numeri – in margine alle immagini. Il secondo esemplare del Documentario appare, infatti, concepito fin dall’inizio per un uso storico e istituzionale. Più in dettaglio, dopo le prime 175 fotografie, coincidenti per soggetto e collocazione (benché nell’esemplare bolognese risultino mancanti quelle relative ai numeri 33-41), l’ordine varia anche se i soggetti sono fondamentalmente gli stessi. Alcune fotografie milanesi non hanno riscontro nell’esemplare bolognese, mentre le foto dei corpi degli antifascisti di Imola, torturati e gettati nel pozzo della ditta Becca, presenti nei due fogli finali dell’esemplare bolognese, non compaiono nella versione milanese.

Il materiale fotografico utilizzato per assemblare le due copie del Documentario risulta composto di immagini di varia provenienza. La maggior parte delle fotografie dei corpi stesi sui tavoli dell’obitorio venne realizzata dal dottor D’Ajutolo in persona, grazie alla complicità del guardiano Giulio Gherardi, che di nascosto lo introduceva nei locali, gli accendeva la luce e lo aiutava ad immortalare i cadaveri. [[figure caption="Il cadavere di uno sconosciuto ritratto in obitorio, foto d'Ajutolo" width="450px" align="left"]]figure/2013/dadamo_pedrini/dadamo_pedrini_2013_02.jpg[[/figure]] Altre foto furono invece scattate dall’agente di polizia Sebastiano Morello per ordine di Riccardo Parisi. Queste e quelle, prima di essere inserite nell’albo fotografico, facevano parte di un più ampio archivio clandestino. Ad esse furono aggiunte anche una serie di fotografie istituzionali – come quelle relative ai morti nella battaglia dell’Università – scattate dalla polizia della Rsi per documentare le brillanti operazioni effettuate per reprimere il “banditismo” in città.

L’insieme dei documenti fotografici dai quali D’Ajutolo e Parisi selezionano le immagini prescelte si dimostra però più vasto di quanto non risulti dall’esame delle foto presenti nel documentario. Ne sono prova lo stesso titolo dell’albo (Documentario fotografico di una parte delle vittime...), le parole utilizzate da Romolo Trauzzi nella lettera di accompagnamento dell’esemplare consegnato a Ferruccio Parri («Credo opportuno di farti omaggio di un esemplare del documentario fotografico di cui trattasi, peraltro incompleto a causa della mancanza del necessario materiale fotografico»); un articolo di Filippo D’Ajutolo del 30 agosto 1945 [Bergonzini 1970, 686-7], in cui si fa riferimento ad una foto di Mario Bastia, scattata dalla Questura dopo la strage e non inserita nell’albo; e infine la restante documentazione dell’archivio D’Ajutolo, fra cui sono comprese alcune stampe fotografiche effettuate all’obitorio e non utilizzate per il documentario.

Nel numero speciale di “Resistenza oggi 40°” del 1985 Giuseppe Brini presenta, ad esempio, alcune fotografie del corpo di Giuseppe Casoni appena assassinato, steso per terra in via Begatto e coperto da un cappotto. Gli sono accanto le figlie e alcuni passanti. Le fotografie fanno parte di una serie di 12 scatti che il 14 novembre 1944 Filippo D’Ajutolo aveva catturato di nascosto, fotografando dalla finestra della sua abitazione posta all’angolo fra via Begatto e via San Vitale. [[figure caption="Il corpo esamine di Giuseppe Casoni in via Begatto, foto D'Ajutolo " width="300px" align="left"]]figure/2013/dadamo_pedrini/dadamo_pedrini_2013_03.jpg[[/figure]] I negativi dell’intera sequenza risultano tutt’ora conservati nell’archivio privato del dottor D’Ajutolo, ma nel Documentario lui e Parisi scelgono di inserire una foto di Casoni effettuata all’obitorio (la n. 210 nell’esemplare bolognese) e non una di quelle scattate in strada, che resteranno invece a lungo inedite. Solo in occasione del quarantesimo anniversario della Resistenza Filippo D’Ajutolo sollecitato dall’amico Giuseppe Brini “tira fuori dai cassetti” i negativi e le lastre che conserva gelosamente, insieme ad alcune stampe di foto scattate all’obitorio. Riemergono, ad esempio, due fotografie del corpo di Irma Bandiera diverse da quelle inserite nell’albo e l’immagine del cadavere di un individuo sconosciuto che non compare né nell’esemplare bolognese del Documentario, né in quello milanese. 

Dietro alcune stampe D’Ajutolo annota con la sua calligrafia elegante l’indicazione del numero delle lastre e dei negativi relativi allo stesso soggetto: «di questa un negativo e due lastre»; oppure «di questa due negativi». Testimonianza del tentativo di mantenere un preciso ordine e controllo sui materiali relativi alle fotografie scattate all’obitorio quarant’anni prima. Molti dei negativi delle immagini inserite nel documentario, nonostante le vane ricerche condotte dagli eredi dopo la morte dell’autore, sono comunque andati perduti. [[figure caption="Il cadavere di Irma Bandiera ritratto in obitorio, foto d'Ajutolo" width="450px" align="right"]]figure/2013/dadamo_pedrini/dadamo_pedrini_2013_04.jpg[[/figure]]Eppure, stando all’importante testimonianza di Concetta Tarozzi, vedova di Giuseppe Brini, nel 1985 D’Ajutolo e Brini progettarono di stampare tutte le fotografie di cui ancora esistevano i negativi per realizzarne una specifica pubblicazione. Filippo D’Ajutolo stampò infatti per sé alcune fotografie, ma poi rinunciò al progetto forse per le cattive condizioni dei negativi piuttosto deteriorati; o forse perché temeva che il libro si potesse rivelare un’impresa inutile, come lo era stata l’albo fotografico preparato nel 1945, documento insufficiente a far condannare i torturatori chiamati in giudizio nei primi anni del dopoguerra [D’Adamo e Pedrini 2012, 212-3]. Brini insistette affinché D’Ajutolo rendesse pubblico tutto il materiale iconografico in suo possesso, sostenendo che altrimenti quelle importanti testimonianze sarebbero andate perdute, ma D’Ajutolo lo rassicurò affermando che all’interno del proprio archivio niente avrebbe potuto andare disperso.

2. L’archivio D’Ajutolo 

I documenti fotografici hanno un’importanza preponderante all’interno dell’archivio personale di Filippo D’Ajutolo. In esso sono conservati 616 negativi che raffigurano le fughe nei rifugi antiaerei, i bombardamenti del centro di Bologna e scene di vita quotidiana durante la guerra: panzer tedeschi, edifici pericolanti, gente in bicicletta. Tra i negativi conservati sono compresi anche i 12 relativi all’assassinio di Giuseppe Casoni. [[figure caption="Interni della chiesa di San Giovanni in Monte dopo il bombardamento, foto d'Ajutolo" width="300px" align="right"]]figure/2013/dadamo_pedrini/dadamo_pedrini_2013_05.jpg[[/figure]] Nell’archivio sono inoltre raccolte più di 500 stampe di soggetto diverso riferibili per lo più al periodo 1940-1945: Bologna durante la guerra, gli allarmi, i manifesti di propaganda, la clinica oculistica. Fra di esse sono presenti anche una serie di fotografie scattate nel giorno della liberazione della città e altre che riprendono i pannelli di una mostra sull’antifascismo allestita nell’immediato dopoguerra. Buona parte delle foto relative a Bologna bombardata sono state pubblicate all’interno di due opere edite da Pendragon: Bologna ferita [Manaresi F., D’Ajutolo F. 1999] e Bologna trema [Salvati B., Veggetti P. 2003]. Altre risultano ancora inedite. Una scelta di foto di vicoli e di luoghi suggestivi di Bologna è stata pubblicata dallo stesso editore nel 2002 all’interno di Album fotografico di un bolognese [D’Ajutolo F. 2002]. 

Non meno interessanti risultano i documenti cartacei presenti all’interno dell’archivio. Vi si trovano: lettere della Commissione d’epurazione, elenchi di aderenti e relazioni sull’attività del Partito d’Azione, attestati di patriota e di antifascista, documenti del Governo militare alleato e documenti in copia dell’Ufficio politico della Gnr e della Questura. Un opuscolo del 1945 intitolato In memoria dei medici e degli studenti in medicina caduti nella lotta di liberazione, ritagli di giornali e l’intervento dello stesso D’Ajutolo al convegno L’operazione Radium (organizzato il 12 dicembre 1988 presso l’Università di Bologna) permettono di ricostruire il contesto in cui si svolse l’incredibile vicenda della dotazione di radio trafugata dall’ospedale Sant’Orsola ad opera del partito d’Azione e occultata all’interno della cantina dello stesso D’Ajutolo.[[figure caption="21 Aprile 1945 Arrivo degli Alleati  (via San Vitale), foto d'Ajutolo" width="300px" align="left"]]figure/2013/dadamo_pedrini/dadamo_pedrini_2013_06.jpg[[/figure]]

È compresa nell’archivio anche la “Relazione Trauzzi”, recentemente edita in forma integrale per gentile concessione della dottoressa Maria Longhena [D’Adamo e Pedrini 2012, 297-324]. Dopo la liberazione sulla base dei decreti legislativi luogotenenziali e delle ordinanze emanate del governo militare alleato sull’epurazione il questore Romolo Trauzzi aveva proceduto alla sospensione di funzionari compromessi con il passato regime e aveva assunto provvisoriamente nelle file della polizia molti giovani partigiani. Alla fine del maggio 1945 il suo comportamento gli valse la destituzione da parte delle autorità alleate e già ai primi di giugno al suo posto era subentrato il questore fascista Michele Iantaffi, che riprese in servizio tutti gli epurandi e osteggiò i poliziotti antifascisti inserendoli negli organici della polizia ferroviaria o della stradale, trasferendoli d’ufficio in altre sedi o semplicemente licenziandoli. Romolo Trauzzi – non più questore – il 4 luglio 1945 decise quindi di inviare a Ferruccio Parri una particolareggiata relazione (27 pagine), elencando circostanze e nominativi e ricostruendo nel dettaglio la storia del nucleo di poliziotti partigiani organizzato da Riccardo Parisi, che rischiando la vita aveva costituito un archivio clandestino di documenti e fotografie, aveva carpito informazioni ai fascisti e ai tedeschi a favore del Cln cittadino, aveva prodotto documenti falsi e lasciapassare per aiutare il movimento di Resistenza.

[[figure caption="Relazione dell'ex questore Romolo Trauzzi a Ferruccio Parri, 4 luglio 1945, p. 1" width="300px" align="left"]]figure/2013/dadamo_pedrini/dadamo_pedrini_2013_07.jpg[[/figure]]La denuncia di Trauzzi trova una puntuale conferma nei documenti dell’Archivio centrale dello Stato [Onofri 2004; Onofri 2007, 134] e dell’Archivio di Stato di Bologna [D’Adamo e Pedrini 2012, 115-125], che comprovano la capillare e rapida occupazione delle istituzioni cittadine attuata dopo la liberazione da parte di personalità compromesse con il fascismo. Per dimostrare l’efficacia del lavoro svolto dal nucleo di poliziotti antifascisti agli ordini di Riccardo Parisi, Trauzzi mette in luce in particolare «il servizio dei rilievi fotografici su numerosissime vittime dei nazifascisti per scopi storici e di polizia». Le prove fotografiche dei crimini commessi da funzionari inquisiti impongono – sostiene Trauzzi – di riorganizzare su basi nuove la Questura, sede fino a pochi mesi prima di trame e di piani criminosi. D’Ajutolo, principale autore della denuncia fotografica sui crimini fascisti compiuti a Bologna, custodisce con cura per anni fra le sue carte una copia della relazione, opportunamente rilegata in un cartellina sulla cui copertina è scritto: «Relazione Trauzzi. Importantissimo!».

L’Istituto Parri Emilia Romagna dovrebbe acquisire in tempi brevi l’intero archivio D’Ajutolo, che la dottoressa Maria Longhena ha deciso di donare all’istituto per permetterne liberamente la consultazione e lo studio. Il nostro augurio è che la possibilità di usufruire di tale documentazione stimoli i ricercatori a svolgere nuove indagini, che potrebbero forse portare anche al ritrovamento di quel nucleo di negativi e di lastre mancanti, al quale attingevano ancora D’Ajutolo e Brini negli anni del loro sodalizio.

Bibliografia

Bergonzini L.1970
La Resistenza a Bologna: testimonianze e documenti, vol. III, Bologna: Istituto per la storia di Bologna.
D’Adamo C. Pedrini W. 2012
Un passato che non passa. Il documentario fotografico di D’Aiutolo e Parisi, Bologna: Pendragon
D’Ajutolo F. 2002
Album fotografico di un bolognese, Bologna: Pendragon
Manaresi F., D’Ajutolo F. 1999
Bologna ferita. Fotografie inedite 1943-1945, Bologna: Pendragon
Onofri N. S. 2004
La mancata epurazione nella Bologna liberata, “I Quaderni di Resistenza oggi III. 1945 La libertà riconquistata”, 53-57, supplemento al n. 5 del 2004 di “Resistenza oggi”
Onofri N. S. 2007
Il triangolo rosso, Roma: Sapere
Salvati B., Veggetti P. 2003
Bologna trema (1943-1944), Bologna: Pendragon
Sasdelli R. (ed.) 2007
Ingegneria in guerra. La facoltà di ingegneria a Bologna dalla RSI alla ricostruzione 1943-1947, Bologna: Clueb

Risorse

Museo virtuale della Certosa di Bologna – Operazione Radio
http://certosa.cineca.it/chiostro/eventi.php?ID=74
Istituto per la storia del movimento di liberazione in Italia – Risorse archivistiche on line 
http://www.italia-resistenza.it/risorse-on-line