Nell’ultimo triennio la pandemia derivata dalla diffusione del Covid-19 ha posto nuovi interrogativi in molti ambiti di vita. La scuola, più di altri settori, ha dovuto rispondere con rapidità allo stravolgimento imposto dal lockdown. L’introduzione della didattica a distanza, per di più in un contesto segnato da evidenti limiti tecnologici [Laneve 2020], ha messo in evidenza anche nel nostro Paese una forte eterogeneità degli apprendimenti che, amplificando in parte problemi già in essere [Vicari, Di Vara 2021], hanno già avuto importanti ripercussioni [Save the Children 2021] [1].

Sin dai primi mesi di pandemia, specialisti di diverse discipline si sono interrogati sui modelli formativi guardando anche fuori dai confini tradizionali della scuola, elemento centrale dell’asse educativo, per ripensare l’educazione nella situazione emergenziale e per guardare al futuro. L’attenzione si è concentrata innanzitutto sui diversi metodi educativi che nel corso di Otto e Novecento hanno rivoluzionato la didattica tradizionale, ponendo al centro il valore della natura e l’idealità del rapporto tra bambino e mondo circostante, e portando la formazione fuori dai limitati confini delle sue sedi canoniche, attraverso un’inedita relazione con il mondo esterno. L’educazione all’aperto [2], sviluppatasi per far fronte alle difficoltà di apprendimento nei bambini provenienti dalle classi sociali più povere afflitti da problemi di salute, si è diffusa a partire dall’Ottocento in relazione alle esigenze dei vari paesi che, in forme e tempi diversi, hanno sperimentato le teorie educative di importanti pedagogisti convinti della necessità di ristabilire un contatto tra la natura, le cose e il bambino per addivenire ad una crescita completa dell’essere umano (ci basti ricordare Jean-Jacques Rousseau, ma prima di lui anche John Locke e successivamente Johann Heinrich Pestalozzi e Friedrich Fröebel, le sorelle Rosa e Carolina Agazzi fino ad arrivare a Maria Montessori).

In Italia la pratica dell’outdoor education, oggi in crescita [Schenetti, Salvaterra, Rossini 2015; Farné, Bortolotti, Terrusi 2018], ha attraversato fasi alterne e all’indomani dell’Unità si è maggiormente sviluppata in territori nei quali insegnanti e medici hanno interagito con amministratori interessati a investire sulla lotta alle malattie infantili e sull’igiene scolastica [D’Ascenzo 2018].

Nell’educazione en plein air un ruolo importante ha avuto l’esperienza delle colonie per l’infanzia. Il termine colonia, che trae la sua origine dal latino ad indicare una comunità “colonizzatrice” di uno specifico territorio organizzato attraverso leggi e gerarchie militariste, fu inizialmente utilizzato a fine Ottocento dal pastore svizzero Walter Hermann Bion per individuare strutture di soggiorno per i più giovani durante le vacanze [Balducci 2005]. Affermatesi velocemente in tutta Europa e anche negli Stati Uniti, le colonie divennero ben presto un luogo destinato a fronteggiare le esigenze igienico-sanitarie dei figli delle famiglie disagiate [Houssaye 1977].

Tra le prime forme di assistenza e welfare rivolte ai minori, gli ospizi marini e montani, e poi le colonie, puntavano a integrare le cure per bambini poveri malati di rachitismo, tubercolosi ossea e altre patologie con i bagni di mare e di sole e con l’esposizione all’aria salubre, lontano dalle città [Barellai 1853]. Progressivamente in Italia le strutture presero ad accogliere anche bambini sani che però vivevano in condizioni non ideali dal punto di vista sanitario, condizioni che potevano predisporli a contrarre malattie o a debolezza fisica e deperimento [Frabboni 1971].

Durante gli anni del regime mussoliniano questi centri divennero veri e propri luoghi in cui le finalità assistenziali e terapeutiche di età liberale furono affiancate dagli intenti politico-educativi fascisti, fino a soppiantare lo scopo filantropico che ne aveva caratterizzato le origini. Nel welfare di regime, caratterizzato da una fitta rete di enti, istituti e associazioni funzionali innanzitutto alla ricerca di consenso e legittimazione [Salustri 2014], il fascismo dedicò ampio spazio anche alle colonie marine. Migliorare la salute degli italiani significava infatti accrescere la razza italica, incrementando le nascite, e rafforzare la stirpe in funzione della costruzione dell’uomo nuovo fascista, un giovane maschio forte cresciuto nei dettami del regime e pronto a combattere per la patria [Mira 2019]. La trasformazione da cittadino a soldato richiedeva dunque strutture in grado di irrobustire e al contempo inquadrare gli italiani, luoghi in cui la separatezza dalla vita comune permettesse di controllare e di indottrinare i più piccoli seguendo rigide regole elaborate dal regime e fatte rispettare grazie al ruolo di personale formato all’educazione e alla cura [Salustri 2021].

A partire dal secondo dopoguerra, le colonie sono state investite da una nuova stagione in cui le finalità, dapprima assistenziali e poi educative e ricreative, hanno progressivamente superato gli scopi propagandistici e di indottrinamento assegnati a questi luoghi dal regime fascista [Comerio 2023]. All’indomani del secondo conflitto mondiale, e fino allo sviluppo del moderno turismo figlio del boom economico, l’assistenza ha ripreso infatti ad essere una delle funzioni principali delle colonie rientrando pienamente nelle politiche di welfare rivolte all’infanzia, politiche che in Italia hanno contrassegnato, a fasi alterne, le prime legislature repubblicane [Minesso 2011].

A partire da questi presupposti, la rivista E-Review dedica il dossier 2023 alle colonie e a quelle forme educative extrascolastiche che, anche attraverso il confronto con esempi tratti da altre realtà territoriali, pongono la storia emiliano-romagnola all’interno del contesto nazionale e internazionale.

L’Emilia-Romagna è la regione che bene si presta ad un’analisi su questi temi per la complessità delle esperienze che si sono avute nel corso di tutto il Novecento e che dopo la Seconda guerra mondiale hanno visto l’impegno di inediti protagonisti. Giovanna Caleffi nella colonia Maria Luisa Berneri, o Margherita Zoebeli a Rimini [Pironi 2014, in particolare capp. 4-5], sono solo alcuni esempi di una sperimentazione che si è sviluppata in nuove forme di attivismo pedagogico, legando l’impegno resistenziale di alcune di queste protagoniste alla ricostruzione del paese e alle strutture che vennero messe in campo anche dai soggetti associativi vicini ai partiti. In tal senso ci basti pensare all’Unione donne italiane che seppe tenere insieme il ruolo assistenziale per l’aiuto ai bambini delle classi sociali più deboli, all’interno di un Paese integralmente da ricostruire, e l’orientamento politico e sociale che contraddistinse l’impegno dell’Udi nelle sue molteplici attività.

Le colonie in regione sono infatti rimaste un importante contesto entro il quale hanno agito attori politici pubblici e privati, istituzioni e organismi periferici e centrali. La conflittualità politica, frutto della guerra fredda, ha avuto i suoi risvolti anche nella creazione e nella gestione delle colonie che a pieno titolo sono state esempio del pluralismo di modelli formativi, il cui sviluppo ha investito, ideologizzandolo, l’ambito dell’extra-scuola [Zago 2017].

Significativa in Emilia-Romagna la presenza di colonie statali e private, sia lungo la costa che nei territori collinari e appenninici, così come l’esistenza di colonie gestite dall’Associazione pionieri d’Italia (nata nel 1947 come espressione del comunismo italiano) e di strutture in cui l’educazione è stata segnata da un chiaro indirizzo cattolico attraverso la Pontificia Commissione di Assistenza (che dal 1952 ereditò tutte le colonie organizzate negli immobili della ex Gioventù italiana del Littorio), senza dimenticare singole sperimentazioni quali quella di Loris Malaguzzi a Cesenatico. Le diverse esperienze regionali ci portano dunque a considerare l’importanza di questi luoghi anche nello sviluppo di una nuova stagione pedagogica apertasi all’indomani del conflitto, nella quale si è discusso sulla formazione di insegnanti ed educatori, venendosi a creare un rapporto inedito tra questi ultimi e gli allievi, con al suo centro il lavoro individuale e/o di gruppo.

L’evoluzione di questi aspetti non è stata però accompagnata da cambiamenti negli spazi adibiti a colonia, che hanno avuto, ancora per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta, una loro continuità. Al riutilizzo di sedi preesistenti, segnate dalle finalità del regime fascista, si affiancarono nuovi edifici o vennero adattate strutture nate con altri fini. Tranne poche eccezioni, maggiormente funzionali alle esigenze dell’infanzia e della pedagogia, in buona parte delle colonie rimase l’elemento istituzionalizzato [Goffman 1968], in cui poco spazio era lasciato all’individualità. Va infine sottolineato come sia le esperienze più avanzate sia i casi di continuità mantennero un carattere eterotopico, di luoghi in cui si tendeva a trasformare il periodo trascorso in colonia in un’esperienza altra rispetto alla quotidianità vissuta dagli ospiti a scuola e in famiglia [Foucault 1986] [3].

Bibliografia

  • Balducci 2005
    Valter Balducci, L’identità molteplice delle colonie di vacanza, in Architettura per le colonie di vacanza. Esperienze europee, a cura di Valter Balducci, Firenze, Alinea, 2005.
  • Comerio 2023
    Luca Comerio, Le colonie di vacanza italiane (1968-1990). Una pedagogia fra tradizione e innovazione, Milano, Unicopli, 2023.
  • D’Ascenzo 2018
    Mirella D’Ascenzo, Per una storia delle scuole all’aperto in Italia, Pisa, Ets, 2018.
  • Farné, Bortolotti, Terrusi 2018
    Outdoor education: prospettive teoriche e buone pratiche, a cura di Roberto Farné, Alessandro Bortolotti, Marcella Terrusi, Roma, Carocci, 2018.
  • Foucault 1986
    Michel Foucault, Spazi altri. I principi dell’eterotopia, in «Lotus international», 48-49 (1986), pp. 9-18.
  • Frabboni 1971
    Franco Frabboni, Tempo libero infantile e colonie di vacanza, Firenze, La Nuova Italia, 1971.
  • Goffman 1968
    Erving Goffman, Asylums. Le istituzioni totali: I meccanismi dell’esclusione e della violenza, Torino, Einaudi, 1968 (ed. or. 1961).
  • Houssaye 1977
    Jean Houssaye, Un avenir pour les colonies de vacances, Paris, Ed. Ouvrières, 1977.
  • Laneve 2020
    Giuseppe Laneve, In attesa del ritorno nelle scuole, riflessioni (in ordine sparso) sulla scuola, tra senso del luogo e prospettive della tecnologia, in «Osservatorio Costituzionale», 3 (2020), pp. 411-428.
  • Minesso 2011
    Welfare e minori. L’Italia nel contesto europeo del Novecento, a cura di Michela Minesso, Milano, FrancoAngeli, 2011.
  • Mira 2019
    Roberta Mira, Pedagogia totalitaria, uomo nuovo e colonie di vacanza. Il fascismo e l’assistenza climatica infantile, in Colonie per l’infanzia nel ventennio fascista. Un progetto di pedagogia del regime, a cura di Roberta Mira, Simona Salustri, Ravenna, Longo, 2019, pp. 17-40.
  • Pironi 2014
    Tiziana Pironi, Percorsi di pedagogia al femminile, Roma, Carocci, 2014.
  • Salustri 2014
    Simona Salustri, Le colonie di vacanze fasciste: un esempio di welfare nel Ventennio, in Dalle Società di mutuo soccorso alle conquiste del welfare state, a cura di Anna Salfi, Fiorenza Tarozzi, prefazione di V. Lamonica, Roma, Ediesse, 2014.
  • Salustri 2021
    Simona Salustri, Le vigilatrici nelle colonie di vacanza fasciste e l’organizzazione della pedagogia fascista [Воспитательницы в детских летних лагерях и организация педагогики фашизма (на ит. яз.)], in Sapere storico e pedagogico all’inizio del terzo millennio: retrospettiva storico-pedagogica della teoria e della pratica della formazione contemporanea [историко-педагогическое знание в начале iii тысячелетия: историко-педагогическая ретроспектива теории и практики современного образования], a cura di Grigorij B. Kornetov, Dorena Caroli, Vol. 2, Ricerche di storia dell’educazione di autori europei, Mosca, ASOU, 2021.
  • Vicari, Di Vara 2021
    Stefano Vicari, Silvia Di Vara, Bambini, adolescenti e covid-19. L’impatto della pandemia dal punto di vista emotivo, psicologico e scolastico, Trento, Erickson, 2021.
  • Save the Children 2021
    Save the Children, Un anno in pandemia: le conseguenze sull’istruzione in Italia e nel mondo, in «Save the Children – Blog e notizie», 2 marzo 2021, https://www.savethechildren.it/blog-notizie/un-anno-pandemia-le-conseguenze-sull-istruzione-italia-e-mondo.
  • Schenetti, Salvaterra, Rossini 2015
    Michela Schenetti, Irene Salvaterra, Benedetta Rossini, La scuola nel bosco. Pedagogia, didattica e natura, Trento, Erickson, 2015.
  • Zago 2017
    Giuseppe Zago, Extrascuola e storiografia educativa. Linee di ricerca su un trentennio, in L’educazione extrascolastica nella seconda metà del Novecento. Tra espansione e rinnovamento (1945-1975), a cura di Giuseppe Zago, Milano, FrancoAngeli, 2017.

Note

1. Vedere anche i risultati delle prove Invalsi 2021: https://www.invalsiopen.it/risultati/risultati-prove-invalsi-2021.

2. Per riferimenti bibliografici sul tema si veda: https://scuoleallaperto.com/progetto.

3. Nell'immagine a commento dell'articolo: Giovanna Libretti Negruzzo (Pavia, 29.2.1944 - Mede, 9.10.2020), in colonia a Igea Marina nei primi anni Cinquanta. Per gentile concessione di Simona Negruzzo.