1. Lo Stabilimento fotografico Revedin, Armando Orsini e Luigi Marzocchi
Lo scoppio della Grande guerra generò immediatamente la necessità di documentarne gli eventi in tempo reale attraverso il mezzo fotografico. In Italia, tra giugno e luglio 1915, fu istituito il Reparto fotografico del Comando supremo che, nel febbraio 1916, prese forma ufficiale in una Sezione fotografica strettamente connessa all’Ufficio stampa del Regio esercito [Della Volpe 1989, Fabi 1998, Mannucci 2012, Pizzo 2014]. La sezione era strutturata in una Segreteria per il Servizio di protocollo e per le direttive della propaganda, gestita dall’allora tenente Ugo Ojetti [Bassanello 2011-2012] e dal sottotenente Maurizio Rava [1], in una sezione dedicata interamente alla censura fotografica e in squadre fotografiche da campagna e telefotografiche da montagna impegnate sul territorio. Comprendeva inoltre lo Stabilimento fotografico Revedin, gestito autonomamente dal conte Antonio Revedin, arruolato come caporale, proprietario delle attrezzature e dei materiali e coadiuvato dal sergente Luigi Marzocchi [2]. Lo stabilimento eseguiva attività di sviluppo e stampa dei negativi prodotti nelle campagne di documentazione, ma possedeva anche propri operatori e manteneva una dimensione estranea al resto della sezione [Della Volpe 1989, 16]. Già nel giugno 1916 la situazione del laboratorio viene indicata come «questione complessa da esaminare più a fondo» dallo stesso generale Armando Diaz [3]. In effetti questo servizio, all’inizio caldeggiato nella sua costituzione spontanea di iniziativa privata, cominciava ad essere piuttosto anomalo, sfuggendo in parte al totale controllo dell’Ufficio stampa e propaganda. È importante comprendere le connessioni, ma anche le forti tensioni, tra i vari organismi che gestivano la produzione fotografica, la successiva selezione e soprattutto la pubblicazione delle immagini.
Sono anni in cui la diffusione degli apparecchi fotografici maneggevoli e di semplice utilizzo favorisce l’attività individuale dei fotoamatori e alimenta i problemi legati alla riservatezza, tanto da giungere all’esplicito divieto di effettuare riprese in alcuni luoghi o contesti. Anche la carica più alta dello stato italiano, re Vittorio Emanuele III, si presenta in visita al fronte quasi sempre accompagnato dalle sue macchine e di questa attività ci restano otto grandi album fotografici di guerra [4].
Le singole armate cominciano a prendere iniziative autonome, richiedendo allo Stato maggiore di poter gestire le risorse private per organizzare gabinetti fotografici presso i propri comandi, ma la risposta negativa del generale Porro si basa su una doppia necessità: limitare il consumo di materiale fotografico sempre più raro e costoso sul mercato nazionale e controllarne l’utilizzo, ma soprattutto ricondurre sotto il totale controllo della Sezione fotografica del Comando supremo tutta la produzione che potrebbe sfuggire alla censura [5].
Le vicende dello Stabilimento Revedin si avviano velocemente verso una necessaria normalizzazione, ovvero l’accorpamento alla Sezione fotografica del Comando supremo. Ci vengono in aiuto le fonti ufficiali che sottolineano la necessità di unificare e coordinare le relazioni tra la sezione fotografica e il laboratorio dando incarico di dirigenza e riorganizzazione al Maggiore Marzinotto. Le difficoltà si susseguono a causa dell’eccessiva burocratizzazione di un’attività che necessitava invece di tempi brevi e di decisioni immediate; vengono richieste «disposizioni nette per la necessaria rapidità del lavoro il quale, se non potesse essere rapido, sarebbe inutile che fosse fatto» [6]. Revedin e Marzocchi devono dunque sottostare ad una gerarchia lontana dall’autonomia del fare pratico e quotidiano che aveva caratterizzato la nascita e il primo periodo di vita del laboratorio. Nelle annotazioni più informali, riportate nei taccuini di Marzocchi [7], si percepisce sempre tra le righe l’enorme passione per il suo compito di documentatore, ma si legge anche la forte delusione per ogni mancato riconoscimento, la consapevolezza di un lavoro così importante e così sottostimato dalle più alte cariche militari. In questo contesto, accanto alla figura di Marzocchi, estremamente lucido nella sua disamina, seppure non imparziale perché pienamente coinvolto nel processo di riorganizzazione dello Stabilimento fotografico, collochiamo il soldato Orsini.
Armando Orsini era nato a Bologna nel 1889 e proprio in questa città aveva intrapreso la sua esperienza in campo fotografico impiegandosi come aiutante di bottega dei fratelli Alfredo e Angelo Bolognesi, titolari dello studio La Moderna, con sede in via Indipendenza [8]. Lo scoppio della guerra lo vede arruolato nel corpo degli alpini; grazie alla sua esperienza tecnica entra a far parte delle squadre fotografiche del Regio esercito italiano. Le tracce del suo percorso sono purtroppo molto scarne: presso il Distretto militare non è rintracciabile il suo fascicolo e mancano nel fondo documenti cartacei di corredo al materiale fotografico che ne indichino il percorso dall’arruolamento alla fine della guerra; inoltre non sono stati individuati eredi in vita da interrogare direttamente per delineare meglio il suo profilo umano e professionale. Fortunatamente qualche utile elemento di riscontro è giunto dalle ricerche d’archivio presso il Museo della Battaglia di Vittorio Veneto. Nel già citato Fondo Marzocchi, che raccoglie testimonianze ricchissime dell’attività del sergente fotografo durante gli anni di guerra, tra i taccuini manoscritti il nome di Orsini è collegato alle attività del Laboratorio fotografico. In un appunto del febbraio 1918 si legge: «Orsini è arrivato nel pomeriggio. Spero ora di avere un po’ d’aiuto!». Per il grande carico di lavoro lo stesso Marzocchi deve sacrificare il suo ruolo di operatore, cercando di gestire le molteplici e continue richieste [9].
Oltre alla necessità di produrre più copie di ogni ripresa per il controllo della censura, così come prescritto dall’Ufficio stampa del Comando supremo [10], il laboratorio era un collettore di ordinativi per ingrandimenti di ogni tipo, realizzazione di album fotografici da destinare ad alte autorità [11], stampe da inviare ad eventi espositivi in Italia e all’estero, forniture di immagini per i giornali o per la produzione di cartoline e per il Gabinetto di propaganda.
Si eseguivano inoltre interventi tecnici, come ritocchi su negativo o lastre controtipo, ovvero negativi ottenuti da una copia positiva, qualora il negativo originale si fosse rotto o deteriorato: non dimentichiamo che molti dei supporti erano in vetro e quindi estremamente fragili, soprattutto in fase di trasporto nelle aree di ripresa, sulla linea del fronte. Il laboratorio produceva anche diapositive da proiezione, sempre in relazione alle numerose attività di propaganda.
Nel fondo Orsini troviamo una bella stereoscopia di Armando in laboratorio, come indica la didascalia apposta dal figlio Enrico, intento al lavoro accanto a un alto stereoscopio a colonna (fig. 5).
Una seconda immagine, che si differenzia morfologicamente dal resto del fondo perché incollata su supporto in cartoncino, è una fotografia di gruppo dello Stabilimento fotografico militare, in cui si riconoscono a destra Orsini e Marzocchi. Analogamente presso il Museo della Battaglia di Vittorio Veneto è conservata una fotografia di gruppo in cui Orsini posa insieme agli altri membri dell’Autodrappello del Comando supremo, nel gennaio 1919: sul supporto secondario, tra le firme di alcuni dei soggetti ritratti, troviamo quelle di Orsini e di Marzocchi, a testimoniare la prosecuzione del loro rapporto in ambito militare fino a date molto avanzate.
Tutti questi elementi suggeriscono l’ipotesi dell’impiego di Orsini come tecnico stampatore, grazie all’apprendistato presso lo studio dei Fratelli Bolognesi e alla competenza acquisita prima di arruolarsi, ma è documentata anche una sua sporadica attività come operatore sul campo. Nell’ottobre e novembre 1916 lo troviamo tra Friuli e Slovenia, in genere in coppia con il tenente Peradotto, a documentare il Monte Pecinka appena conquistato, la collina del Nad Logem e la zona tra Doberdò del Lago e Opachiasella: sono le uniche campagne in cui viene indicato con certezza dalle fonti come autore delle riprese, ma è assai probabile che non siano le sole.
2. Il fondo fotografico Orsini
Il fondo fotografico Armando Orsini giunge all’Istituto storico Parri di Bologna nei primi anni 2000 grazie al donativo del figlio Enrico e alla sua volontà di condividere e valorizzare i materiali appartenuti al padre. In precedenza numerose fotografie erano state utilizzate per progetti editoriali che si sono avvalsi di un corredo iconografico estrapolato da questa raccolta: ricordiamo la serie in tre volumi titolata Inedito dal fronte, curata da Corrado Fanti e pubblicata nel 1988 [Fanti e Bonvicini 1988], e a seguire Tapum. Immagini della Grande Guerra tra mito e realtà a cura di Eugenio Dal Pane, catalogo di una mostra tenutasi a Lugo nel 1991 [Dal Pane 1991]. Queste esperienze editoriali hanno fortemente modellato il fondo, organizzandone l’ossatura in modo funzionale alla pubblicazione, suddividendo le stampe in oltre 200 buste di archiviazione con un criterio principalmente topografico-cronologico. Non sappiamo quindi come fosse strutturata in origine la raccolta, ma certamente questo intervento mirato a cercare un preciso ordine di lettura, escludendo buona parte del materiale ritenuto non interessante per la pubblicazione dei volumi, ha causato spostamenti arbitrari che hanno reso talvolta difficile la comprensione dell’insieme.
Il fondo, costituito da oltre 8000 fototipi, è suddiviso in due nuclei omogenei: le circa 200 stereoscopie positive e negative su vetro e gli oltre 7000 positivi su carta. Autore di buona parte delle stereoscopie è Luigi Marzocchi: nella sua attività di operatore sul campo utilizza contemporaneamente due apparecchi fotografici, di cui uno stereoscopico, ed effettua contestualmente le riprese dando vita a due serie parallele di immagini: ne sono la riprova tanti esempi di soggetti analoghi, se non identici, rintracciati nella raccolta e gli appunti sui taccuini dove annota questa sua consuetudine [12].
A guerra conclusa Marzocchi acquista i diritti delle stereoscopie, quasi una sorta di risarcimento per il servizio prestato all’esercito con tanta abnegazione, e fonda la società La Stereoscopica, con sede a Milano e a Roma, insieme ad Antonio Revedin e Vittorio Lazzaroni, con l’intento commerciale di promuovere la diffusione di immagini di soggetto militare, grazie alla Collezione stereoscopica della Guerra Italo Austriaca. Il progetto, naufragato in breve tempo, lo riporterà alla sua vocazione principale ovvero la costruzione di strumenti elettromeccanici, chiudendo la lunga e intensa parentesi fotografica della sua vita.
Nel fondo Orsini troviamo 105 delle 700 stereoscopie che compongono la Collezione. Alcune di esse mostrano viraggi e intonazioni cromatiche, tutte sono corredate da precise didascalie con dati topografici e cronologici dei singoli eventi raffigurati e alcuni esemplari mostrano in basso a destra il monogramma LM, a ulteriore conferma dell’autorialità di ripresa.
Vanno inoltre segnalate nel fondo altre immagini stereoscopiche realizzate da Armando Orsini, molto interessanti perché relative alla prima “Grande Escursione Nazionale nella Venezia Tridentina” organizzata dal Touring col patrocinio della Prima Armata, tra il 14 e il 19 luglio 1919. Riprese che possiamo definire amatoriali, realizzate in un contesto festoso ma ancora fortemente segnato dalle tracce lasciate da una guerra così vicina.
Per quanto concerne i positivi, la presenza di molteplici copie degli stessi soggetti, la varietà di formati e di supporti – con carte di ottima qualità ed altre molto leggere adatte alla semplice lavorazione – così come talvolta l’imprecisione delle stampe, non perfettamente allineate ai margini e con i bordi scuri del negativo a contatto ben visibili, lasciano supporre attività di prova in laboratorio, per selezionare le riprese migliori da inserire poi negli elenchi ufficiali. Conferma ulteriore viene dai numerosi timbri a inchiostro sul verso delle fotografie che riportano proprio la dicitura «Laboratorio Fotografico del Comando Supremo» [13]. Nel fondo troviamo anche molti ingrandimenti, spesso con viraggi tonali blu o seppia, che indicano l’estrema cura nel circoscrivere parti delle riprese, per concentrare lo sguardo, e dunque l’attenzione, solo ad alcuni elementi di maggiore effetto.
A corredo del materiale strettamente fotografico fanno parte del fondo Orsini alcuni registri manoscritti che si sono rivelati strumenti preziosissimi per l’individuazione precisa dei soggetti delle immagini [14], per eventuali cronologie di riferimento e l’individuazione di aree topografiche sul fronte. Strumenti analoghi sono stati rintracciati al Museo del Risorgimento di Roma e al Museo della Battaglia di Vittorio Veneto: il riscontro tra i vari esemplari ha consentito di riconoscere le stesse selezioni organizzate in oltre 50 album, ognuno dei quali costituito da 100 scatti, e la medesima numerazione dei negativi [15].
3. Alla ricerca degli operatori
La presenza di innumerevoli raccolte fotografiche relative alla Grande guerra, disseminate negli archivi, nelle istituzioni a carattere storico pubbliche e private, nelle biblioteche e nei musei, ha spesso portato a un grosso fraintendimento, immaginando i singoli militari artefici delle raccolte come autori delle stesse e sottovalutando la necessaria e capillare organizzazione centralizzata della produzione fotografica, direttamente gestita ai livelli più alti della gerarchia militare. Lo stesso equivoco ha interessato il fondo Orsini [16] la cui attuale disamina accurata ha sgomberato il campo da frettolose interpretazioni. Se abbiamo individuato in Luigi Marzocchi il responsabile di gran parte delle riprese [Ragusa 2001, Da Frè 2015, Museo della Battaglia 1988], incaricato soprattutto di servizi ufficiali proprio in virtù del suo talento [17], non possiamo dimenticare tutti gli altri operatori che si sono avvicendati nel corale lavoro di documentazione sulla linea del fronte e di cui vogliamo ricordare solo qualche nome, rintracciato grazie alle annotazioni sui registri manoscritti.
Il tenente Benedetto Fera, classe 1888, laureato in giurisprudenza e ufficiale di Cavalleria è fotografo per passione: viene assegnato alla V squadra fotografica del XVI corpo d’Armata; il suo occhio è attirato da tutto ciò che è misura e geometria, strumentazione e meccanica, forse per consuetudine con l’ingegneria, attività esercitata dal padre.
Il sottotenente Aldo Molinari «della cui esperienza delle fotografie di guerra è inutile far lodi e al quale soltanto si devono finora le fotografie che hanno dato qualche buon successo al Reparto» [18]è impiegato nella Sezione fotografia e censura fotografica del Comando supremo e le sue qualità sono ampiamente riconosciute dai superiori.
Al caporale Valerio Lazzaroni, che viene definito da Ojetti «un buon fotografo, ancora poco capace d’operare con quella rapidità e con quel senso del pittoresco che sono necessari nella fotografia di guerra», va riconosciuta la capacità di cogliere l’elemento umano, senza alcuna retorica, mentre il caporale Antonio Revedin non si rassegna all’omologazione e firma le sue riprese, incidendo il proprio nome sulla lastra negativa. La sua è una documentazione che ambisce al riconoscimento autoriale e che mantiene un carattere parzialmente privato: lo troviamo ad esempio al seguito del Generale Luigi Cadorna documentandone le visite al fronte o in altre occasioni ufficiali.
Sono solo alcune delle figure di cui purtroppo conosciamo parzialmente i nomi e i ruoli effettivi, senza sapere se la loro appartenenza al Servizio fotografico sia frutto di competenza tecnica acquisita prima della guerra, o derivi da un’attitudine pregressa, da un approccio amatoriale. Sono stati attori in prima linea nella straordinaria opera di documentazione e meriterebbero uno studio dedicato e approfondito, per provare a sottrarli a quello stile comune che necessariamente appiattiva e omologava la loro soggettività, provando ad evidenziarne alcuni tratti peculiari.
Bibliografia
- Bassanello 2011-2012
Monica Bassanello, Ugo Ojetti: Sottotenente “Soprintendente” ai monumenti nelle Terre Redente (1915-1919), tesi di laurea, Università Ca’ Foscari Venezia, AA. 2011-2012 - Catalogo generale delle fotografie 1929
Catalogo generale delle fotografie eseguite dalle sezioni e squadre fotografiche del Comando supremo e delle varie armate durante la guerra 1915-1918, Roma, Tip. del Gruppo Aerostieri del Genio, 1929 - Da Frè 2015
Alex Da Frè, Il primo conflitto mondiale nelle fotografie di Luigi Marzocchi. Percorso di approfondimento «L’obiettivo della Grande Guerra», Museo della Battaglia, Vittorio Veneto, 2015 - Dal Pane 1991
Tapum. Immagini della Grande Guerra tra mito e realtà, a cura di Eugenio Dal Pane, Bologna, Diesse, 1991 - De Felice 1987
Renzo De Felice, Vittorio Emanuele III. Album fotografici di guerra, 1915-1918, in Diario fotografico di Vittorio Emanuele III e Elena di Savoia, a cura di Michele Falzone Del Barbarò, Torino, Allemandi, 1987, pp. 15-19. - Della Volpe 1989
Nicola Della Volpe, Esercito e propaganda nella Grande guerra, Roma, Ufficio storico SME, 1989 - Fabi 1998
Lucio Fabi, I reparti foto-cinematografici dell’esercito italiano, in Id., La prima guerra mondiale 1915-1918, Roma, Editori Riuniti, 1998, pp. 44-37 - Fanti e Bonvicini 1988
Inedito dal fronte 1915-1918, a cura di Corrado Fanti e Candido Bonvicini, Bologna, Europrom, 1988 - Mannucci 2012
Stefano Mannucci, La Grande Guerra fotografata in Dossier Storia e fotografia, Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea, 2012, https://www.sissco.it/fotografia-e-storia-1294/. - Museo della Battaglia 1988
Immagini della Grande guerra: da Caporetto a Vittorio Veneto (1915-1918). Collezione Luigi Marzocchi (1888-1970) del reparto fotografico del Comando supremo, catalogo della mostra, Vittorio Veneto, Museo della Battaglia, 1988. - Pizzo 2004
Fotografie del Risorgimento italiano. Repertori del Museo Centrale del Risorgimento, a cura di Marco Pizzo, Roma, Gangemi, 2004. - Pizzo 2012
Marco Pizzo, Il “Fondo Guerra” del Museo Centrale del Risorgimento, in Verso la Grande Guerra. Storia e passioni d’Italia dalla crisi di fine ottocento a D’Annunzio, catalogo della mostra, Roma, Gangemi, 2012, pp. 101-105 - Pizzo 2014
Marco Pizzo, La grande guerra in fotografia, in La prima guerra mondiale 1914-1918. Materiali e fonti, catalogo della mostra, Roma, Gangemi, 2014, pp. 60-81 - Ragusa 2001
Tiziana Ragusa, Luigi Marzocchi (1888-1970) in Fotografare la grande guerra. Per una conoscenza del patrimonio di fotografie e attrezzature dei fondi fotografici veneti. Guida alla mostra fotografica, Treviso, F.A.S.T., 2001, pp. 44-47. - Regio esercito italiano 1917
Regio esercito italiano, Comando Supremo, Ufficio stampa e propaganda, Norme per i corrispondenti di guerra- Prescrizioni per il servizio fotografico e cinematografico, ottobre 1917, Roma, Laboratorio tipo-litografico del Comando Supremo, 1917 - Rossoni 2009
Grande guerra e costruzione della memoria. L’Esposizione Nazionale della Guerra del 1918 a Bologna, a cura di Elena Rossoni, Bologna, Editrice Compositori, 2009 - Ruzzi 2015
La Grande Guerra. Fotografie dal fronte, note da Cuneo e dalle città irredente, a cura di Marco Ruzzi, Cuneo, Primalpe, 2015. - Sandri, Serena 2015
Diario fotografico della Grande Guerra, a cura di Serena Sandri e Marco Serena, Bologna, BraDypUS, 2015 - Zadra 2020
Camillo Zadra, Il fondo fotografico Maurizio Rava, in «Annali. Museo Storico Italiano della Guerra», 28 (2020), pp. 207-225. - Zannier 1988
Italo Zannier, Recensione a Inedito dal fronte 1915-1918, a cura di Corrado Fanti e Candido Bonvicini, in «Fotologia», 11 (1988), p. 160.
Note
1. Sulla figura di Maurizio Rava e sul suo ruolo nella Sezione foto-cinematografica: Zadra 2020.
2. Luigi Marzocchi nasce a Molinella (Bologna) nel 1888. Nel giugno 1915 viene arruolato e inviato in zona di guerra col drappello automobilistico del Comando supremo. La sua passione per la fotografia lo porta a documentare, dapprima occasionalmente poi sistematicamente, gli eventi bellici con riprese fotografiche e stereoscopiche, gestendo al contempo il Laboratorio di sviluppo e stampa.
3. Archivio dell’Ufficio Storico SME, E1, Servizi vari, Servizio fotografico.
4. Gli album, realizzati da Vittorio Emanuele III per il figlio Umberto, sono conservati a Ginevra presso la Fondazione Umberto II e Maria Josè di Savoia. Gli otto volumi accolgono una ricca documentazione composta dai suoi scatti personali e stampe prodotte dal Servizio fotografico del Regio esercito, accorpati a ritagli di pubblicazioni italiane ed estere sul tema della Grande guerra [De Felice 1987].
5. Con la Circolare 537 del 14 gennaio 1916 viene sancito il divieto di pubblicazione e diffusione di fotografie, schizzi o disegni relativi alle zone di guerra senza l’approvazione dell’Ufficio censura del Comando supremo, ma un anno più tardi si denuncia ancora la libera circolazione di immagini non vistate dall’ufficio competente per la censura. Nel marzo 1916 il Tenente Generale Capo di Stato maggiore della Terza Armata Augusto Vanzo richiede, tramite circolare, a tutti gli ufficiali che eseguono fotografie di sottoporre i loro materiali al Comando supremo per acquisirne eventualmente i diritti stabilendo un equo compenso. Archivio dell’Ufficio Storico SME, E1, Servizi vari, Servizio fotografico.
6. Archivio dell’Ufficio Storico SME, F1, b.8, f. 71. Ugo Ojetti, Memoria fra i rapporti del Reparto fotografico dell’Ufficio stampa e lo Stabilimento fotografico militare, 2 luglio 1916.
7. Museo della Battaglia di Vittorio Veneto, Fondo Luigi Marzocchi.
8. Al termine della guerra Orsini tornerà a Bologna, con un bagaglio di esperienza acquisita durante il conflitto e nell’agosto 1921 fonderà, insieme ad Alfredo Bolognesi, lo studio fotografico Bolognesi e Orsini, formalizzando un rapporto già solido e di lunga data. La ditta avrà una clientela numerosa e una produzione ricca e diversificata, fino alla prematura morte di Armando, avvenuta nel giugno 1934.
9. «Nello Stabilimento si trovano altri quattro operatori: uno ottimo, il sergente Marzocchi, purtroppo adibito provvisoriamente alla sorveglianza dello stabilimento, alla contabilità e alla vendita». Archivio dell’Ufficio Storico SME, F1, b.8, f. 71. Ugo Ojetti, Memoria fra i rapporti del Reparto fotografico dell’Ufficio stampa e lo Stabilimento fotografico militare, 2 luglio 1916.
10. «Delle fotografie dovranno essere presentati alla censura tre esemplari, ben riusciti, con la precisa dicitura del titolo che sarà apposto per la pubblicazione, esibizione, esposizione, vendita o distribuzione. Due esemplari saranno trattenuti dalla Censura Militare e il terzo, munito del timbro d’approvazione e di un numero a stampiglia, corrispondente a quello del catalogo esistente presso il Comando Supremo sarà restituito». (Circolare 537 del 14 gennaio 1916 – Ufficio affari vari – Decreto luogotenenziale n. 498 del 1 maggio 1916). [Regio Esercito italiano, 1917].
11. Nei taccuini del Fondo Marzocchi presso il Museo della Battaglia di Vittorio Veneto, si citano espressamente «ingrandimenti e album prodotti per le LL. Maestà». Il fondo Orsini conserva inoltre tra i documenti alcuni fascicoli titolati Album Wilson, che contengono gli elenchi manoscritti di una nutrita selezione di immagini, estrapolati dall’intera produzione del Servizio cinefotografico dell’Esercito proprio da Luigi Marzocchi nel febbraio 1919, per la realizzazione di un album da donare al presidente degli Stati Uniti Thomas Woodrow Wilson.
12. «I soldati mi dicono di stare attento perché vi è una mitragliatrice postata dall’altra parte del fiume [..] faccio parecchie fotografie e stereoscopie, poi ci dirigiamo verso il basso Piave passando da Treviso». Museo della Battaglia di Vittorio Veneto. Fondo Marzocchi.
13. I positivi del fondo Orsini riportano svariati timbri alcuni dei quali espressamente legati all’attività di censura dell’Ufficio Stampa e Propaganda: COMANDO SUPREMO/ CENSURA FOTOGRAFICA/ Decr. Luog. 491-1° Maggio 1916/ VISTO/ Fotografie, Schizzi, Disegni - COMANDO SUPREMO/ UFFICIO AFFARI VARI/ VISTO/ FOTOGRAFIE/ PUBBLICABILI.
14. È interessante notare l’evoluzione delle didascalie che accompagnano le fotografie, talvolta al verso a matita o inchiostro, o proprio nei registri, spesso con calligrafie ricorrenti. A iniziali titolazioni sintetiche, legate principalmente alle aree geografiche dei luoghi di ripresa o agli eventi documentati, si sostituiscono con progressiva enfasi, titoli carichi di retorica che si accompagnano ad immagini a effetto, ad esempio: «Padova. In via S. Pietro. Ecco contro chi il nemico lancia il suo grido di morte» [Fondo Orsini ORE_6663].
15. Già nell’agosto 1915 era stata diramata una circolare per la raccolta di ogni testimonianza bellica, al fine di costituire un archivio, una biblioteca e un museo della guerra con sede al Vittoriano. Dal 1915 al 1918 confluirono in questo archivio circa 150.000 negativi, frutto del lavoro delle squadre fotografiche e nel 1919 l’intera documentazione venne destinata al Comitato nazionale per la storia del Risorgimento italiano. Anni dopo verrà pubblicata una selezione per temi con 30 voci in ordine alfabetico (da Artiglieria a Vedute varie di guerra). [Catalogo generale delle fotografie, 1929].
16. Nella recensione del volume Inedito dal fronte, Italo Zannier indica come sostanzialmente inedite le fotografie del fondo Armando Orsini e identifica in lui l’autore di gran parte delle riprese «schiette e intelligenti», indicandolo come una voce nuova nel panorama fotografico italiano [Zannier 1988, p. 160].
17. È Marzocchi che il 6 febbraio 1918 attende alla stazione i Reali del Belgio, come sarà testimone dell’arrivo del Re Vittorio Emanuele III sul cacciatorpediniere Audace nella Triste liberata. Sue sono le documentazioni di numerose visite al fronte di delegazioni ufficiali, o di cerimonie ufficiali.
18. Archivio dell’Ufficio Storico SME, F1, b.8, f. 71. Ugo Ojetti, Memoria fra i rapporti del Reparto fotografico dell’Ufficio stampa e lo Stabilimento fotografico militare, 2 luglio 1916.