1. Premessa: la parabola dell’Aup tra continuità e cambiamento
L’Organismo rappresentativo, la sua Assemblea non sono nomi vani od etichette in virtù dei quali sia possibile tenere a disposizione un bar […], o avere il tesserino Enal, ovvero un tavolo da ping-pong disponibile; i veri valori di quegli istituti, valori dei quali chi vi ha parte deve avere un’esatta cognizione, sono quelli di creare un valido strumento per il miglioramento della vita universitaria di ciascuno di noi e di noi tutti presi come comunità [1].
Così scriveva nel marzo del 1955 Roberto Balestrieri, membro del Consiglio direttivo dell’Associazione universitaria parmense (Aup) e responsabile della Sezione assistenziale dell’Organismo rappresentativo, dalle pagine de “Il Landò”, il periodico dell’Aup pubblicato dal gennaio del 1955 agli inizi del 1969.
Pochi anni erano passati dalla fine della guerra e già appariva piuttosto evidente la metamorfosi che, in meno di un decennio, aveva segnato la natura dell’associazionismo studentesco e lo stesso sistema della rappresentanza all’interno dell’Ateneo parmense. Nata all’indomani della conclusione del conflitto come associazione dichiaratamente apartitica con fini di carattere ricreativo e assistenziale, alla metà degli anni Cinquanta non soltanto gli obiettivi programmatici dell’Aup, ma anche gli equilibri interni all’Assemblea dell’Organismo rappresentativo mostravano l’emergere sempre più netto di elementi politici e sindacali, aprendo la via ad una crescente politicizzazione dell’associazionismo universitario, che avrebbe poi toccato il proprio apice nel corso degli anni Sessanta.
Si tratta, a ben guardare, di una trasformazione genetica che, pur nel contesto di alcune specificità locali, segue di pari passo l’evolversi della rappresentanza studentesca a livello regionale e nazionale [Urbani 1966; Catalano 1969; Ambrosoli 1982; Orsina e Quagliariello (eds.) 2005], che a sua volta è specchio dei mutamenti in atto nel mondo universitario, dei profondi cambiamenti culturali e socio-economici che attraversavano il Paese e dell’ingresso nell’Università di nuove generazioni di studenti cresciute nel clima rinnovato del dopoguerra. Come nella maggior parte degli Atenei della Penisola, anche a Parma è, infatti, possibile individuare, dietro la formale continuità di nomi e strutture associative, il susseguirsi di tre diverse fasi nello sviluppo del sistema della rappresentanza:
1. una prima fase, che dalla rinascita delle associazioni studentesche nell’immediato dopoguerra si è protratta fino alle soglie degli anni Cinquanta, caratterizzata dalla volontà di riannodare i fili del tessuto sociale dell’Università, gravemente compromesso e lacerato dall’esperienza traumatica della guerra, e dal tentativo, rivelatosi per molti aspetti fallimentare, di riallacciarsi alla tradizione goliardica pre-fascista, in un contesto di esplicita rivendicazione di autonomia rispetto ai partiti e alle forze politiche in genere;
2. una seconda fase, che ha abbracciato grosso modo tutti gli anni Cinquanta, segnata da un lato dalla normalizzazione della vita universitaria, cui ha fatto riscontro il riconoscimento – su un piano de facto più che de iure – dell’Aup quale interlocutrice diretta delle autorità accademiche, e dall’altro da una crescente diversificazione all’interno dell’associazionismo studentesco, con il delinearsi di una più serrata dialettica politica in seno all’Organismo rappresentativo, quale riflesso paradigmatico dell’approfondirsi della distanza ideologica tra le varie fazioni e tendenze in campo;
3. una terza fase, inaugurata dalle elezioni studentesche del 1959-60 e che ha toccato il proprio acme in corrispondenza dell’esplodere della contestazione giovanile del Sessantotto, che, a fronte del mutamento degli equilibri interni all’Assemblea rappresentativa e dell’intensificarsi, quanto meno sul piano delle dichiarazioni di principio, della battaglia per la democratizzazione dell’Università, ha visto la crisi progressiva dell’Aup fino alla sua definitiva esautorazione nel marzo del 1968.
Obiettivo precipuo del presente contributo è, dunque, quello di ripercorrere le varie tappe della parabola vissuta in quegli anni dall’Organismo rappresentativo parmense (Orup), tra elementi di continuità e momenti decisivi di ristrutturazione interna e cambiamento delle forze in campo, con l’occhio rivolto ad un periodo della storia locale ancora poco indagato per quel che concerne il delicato e, per molti versi, ambiguo rapporto tra associazioni studentesche e gruppi politici attivi nel panorama cittadino. Mentre, infatti, per gli anni turbolenti della contestazione giovanile si registra ormai, anche a livello locale, una discreta densità storiografica, con volumi e ricerche che ricostruiscono da diversi punti di vista l’irrompere sulla scena politica, sociale e culturale del movimento studentesco e il confronto dialettico da esso instaurato, tra convergenza di obiettivi e competizione egemonica, con i partiti della sinistra storica [Oliva e Rendi 1969; Flores e De Bernardi 1998; Becchetti et al. 2000; Breccia 2013; Tolomelli 2015], non altrettanto può dirsi per il periodo compreso tra l’immediato dopoguerra e il 1968, per il quale manca ancora uno studio organico che focalizzi l’attenzione sulle forme di rappresentanza democratica sperimentate nell’Ateneo parmense.
Da qui la scelta di privilegiare un’ottica di lungo periodo che, attraverso l’analisi di una composita documentazione archivistica e a stampa (annuari universitari, statistiche elettorali, carteggi amministrativi, verbali del Senato accademico e del Consiglio direttivo dell’Aup, ma anche la serie storica di alcuni periodici da quest’ultima pubblicati), permetta di rileggere anche le vicende del Sessantotto alla luce del progressivo irrigidimento degli Organismi rappresentativi e della loro incapacità a rispondere in modo adeguato alla crescente domanda di protagonismo del corpo studentesco.
2. «Centro di irradiazione dello spirito nuovo»: la rinascita dell’Aup nel dopoguerra
La nascita, o meglio la ricostituzione, dell’Associazione universitaria parmense all’indomani della Liberazione, come testimoniato da diversi documenti conservati nell’Archivio storico dell’Ateneo, si può collocare già nella primavera del 1945 [2], in quei mesi di fermento democratico in ogni ambito della società e laboriosa ripresa della vita universitaria che seguirono la fine della guerra e dell’occupazione nazi-fascista [Avellini 1997, 719-733].
A darne ufficialmente notizia con viva soddisfazione nel novembre di quell’anno fu il neoeletto Rettore dell’Ateneo parmense, prof. Teodosio Marchi, che nel suo discorso inaugurale dell’anno accademico volle salutare anche a nome dei colleghi la nuova Associazione, «risorta» a nuova vita dopo la triste parentesi fascista e destinata a sostituirsi finalmente «a quella che, creata dal passato regime e repellente perfino nel nome», aveva costituito durante il Ventennio «un mezzo di asservimento della gioventù alle mire del governo» [3]. Di segno opposto doveva essere, invece, il compito della rinata «libera Associazione degli universitari parmensi»:
In essa, oltre che nella scuola, voi giovani, destinati a concorrere alla formazione della nuova classe dirigente, voi giovani dovete creare il nuovo clima spirituale destinato a preparare, nell’aspra realtà della vita civile e politica, la morale ricostruzione della Patria [4].
Al di là della volontà politica di prendere nettamente le distanze dal passato fascista, non si può, tuttavia, fare a meno di notare una certa continuità, almeno in questa prima fase, tra il nuovo Organismo studentesco e quello che era stato lo spirito animatore dei Guf. Una continuità che pare trasparire dalle stesse parole del Rettore, allorché all’augurio di una vita feconda per la novella Associazione, quale «centro di irradiazione dello spirito nuovo», si affiancava il monito rivolto ai suoi membri ad «associa[re] in mirabile fusione di spirito e di voleri le discordanti e diverse tendenze», a «vince[re] gli egoismi dei contrastanti interessi» e a «porta[re] nelle battaglie del pensiero la pacata riflessione, la tolleranza serena» [5], in un accorato quanto generico invito alla solidarietà che sembrava privilegiare il richiamo corporativo all’unità di intenti della comunità accademica rispetto alla promozione di una vivace dialettica democratica [Montroni 2016].
Non si deve, del resto, dimenticare che proprio all’interno dei Guf i giovani universitari avevano avuto modo di confrontarsi con una realtà associativa che per la prima volta ne aveva riconosciuto esplicitamente il protagonismo in seno al sistema accademico; come anche va tenuto nella dovuta considerazione il ruolo cruciale della componente studentesca nel governo dell’Opera universitaria, l’organo deputato alla gestione dell’assistenza allo studio, che era stata istituita dal Regime nel 1933 e che avrebbe poi ulteriormente ampliato e potenziato le sue funzioni nel dopoguerra. Non stupisce, pertanto, che da più parti [Urbani 1966; Salustri 2009] la nascita degli Organismi rappresentativi nell’Italia post-fascista sia stata ricollegata proprio all’esperienza associativa di quei Guf rispetto ai quali si intendeva marcare la differenza e che diversi studi condotti a livello nazionale, ma applicabili senza difficoltà anche al caso parmense [La Rovere 2003; Duranti 2008], abbiano riconosciuto nei Gruppi universitari fascisti un “vivaio” di energie intellettuali al cui interno maturarono forme silenti di opposizione al Regime e in cui compì la propria decisiva incubazione quel «prepotente desiderio di parlare, di discutere, di respirare, di lottare, in una parola di vivere» [6] che avrebbe più tardi trovato un proprio spazio di azione nel sistema democratico della rappresentanza.
Ciò non toglie che nella retorica istituzionale, non meno che nella narrazione pubblica del dopoguerra, a prevalere fossero le discontinuità, nel tentativo di sottolineare l’assoluta novità della neonata Associazione rispetto a qualunque precedente di matrice fascista e di riallacciarsi semmai alla tradizione goliardica dell’età liberale [Quagliariello 1987].
Proprio questa, in effetti, sembra essere una delle finalità prioritarie che si dette l’Organismo rappresentativo parmense all’atto della sua rifondazione, come dimostrato anche dallo sforzo di rilanciare tutti quei riti e quelle liturgie collettive [7], prime tra tutte le Feste matricolari, che avevano caratterizzato agli inizi del secolo la vecchia goliardia pre-fascista. Nella pratica quotidiana, tuttavia, la componente goliardica finì ben presto col diventare una dimensione marginale dell’azione dell’Aup, a vantaggio di più stringenti questioni di natura organizzativa che spaziavano dai rapporti con le autorità accademiche per la definizione di lezioni, sessioni d’esame e laboratori all’assistenza sanitaria per i fuorisede, dalla predisposizione di un servizio mensa e foresteria alla previsione di agevolazioni a favore degli iscritti più bisognosi e meritevoli, dal coordinamento nazionale delle rappresentanze studentesche all’organizzazione di attività culturali, sportive e ricreative.
Un simile aggiustamento di rotta trova, del resto, conferma nella stessa struttura organizzativa che si dette l’Associazione sin dai suoi primissimi anni di vita. Come si evince chiaramente dalla Relazione del Consiglio direttivo per l’anno sociale 1946-47, l’impalcatura interna dell’Organismo rappresentativo si componeva di sei Sezioni:
1. una Sezione sindacale, cui era demandato il compito di curare i rapporti con i vertici politici e amministrativi dell’Università per ottenere «facilitazioni d’esami, prolungamenti di appelli e riduzioni delle tasse»;
2. una Sezione assistenziale, in questi anni impegnata soprattutto nell’organizzazione di un servizio mensa e nella predisposizione di sussidi e alloggi gratuiti a favore degli studenti «forniti di particolari meriti scolastici e appartenenti a famiglie disagiate»;
3. una Sezione culturale, il cui mandato si concretizzava nell’organizzazione di concerti, cicli di conferenze, proiezioni cinematografiche, ma anche nell’acquisto di libri e riviste e nella pianificazione di scambi culturali e gemellaggi;
4. una Sezione stampa, deputata a curare le pubbliche relazioni e la pubblicazione e diffusione del periodico dell’Associazione (all’epoca “La Civetta”, cui sarebbe poi subentrato, verso la metà degli anni Cinquanta, “Il Landò”);
5. una Sezione ricreativa, prevalentemente impegnata nell’organizzazione di feste da ballo, per ospitare le quali si provvide ad allestire un apposito spazio presso la Cittadella;
6. infine, una Sezione sportiva, tra le prime a costituirsi nell’immediato dopoguerra, le cui cure vennero, in questi primi anni di attività, quasi interamente assorbite dalla ricostruzione e il successivo ampliamento dei campi da tennis, anch’essi situati all’interno della Cittadella, avuti in gestione dall’Università [8].
Nessun riferimento esplicito, dunque, all’elemento goliardico che, pur permanendo nella denominazione di alcuni tornei e negli «eccessi rituali» delle Feste matricolari, appare decisamente relegato sullo sfondo delle attività sportive e ricreative promosse dall’Associazione, ormai svuotato del suo significato originario e inadeguato a calamitare l’interesse e la partecipazione di massa degli studenti e delle studentesse universitarie, di cui non a caso, dalle colonne irriverenti de “La Civetta”, si lamenta in più di un’occasione l’assenteismo alle varie manifestazioni dei Ludi matriculares, soprattutto in confronto al ben più ampio e generalizzato successo riscosso dalle omologhe iniziative bolognesi [9].
Per converso, sembra emergere, già in questa prima fase, una sotterranea vocazione “politica”, in senso lato, dell’Organismo rappresentativo parmense, da subito in prima linea nella difesa dei diritti e degli interessi degli iscritti e consapevolmente impegnato nella laboriosa costruzione di una prassi democratica all’interno di un sistema ancora rigidamente gerarchico e classista come quello universitario. A dispetto dell’esplicito richiamo alla natura «apartitica e indipendente» della propria azione e della tendenza a circoscrivere programmaticamente le proprie attività al campo ricreativo, culturale, editoriale, sportivo e assistenziale [10], appare, infatti, evidente lo sforzo dell’Aup di proporsi quale unico interlocutore ufficiale delle autorità accademiche e centro esclusivo di organizzazione e mobilitazione degli universitari parmensi [11], contro ogni possibile tentativo di ingerenza da parte dei partiti e delle diverse forze politiche.
Di impegno “politico” dell’Aup si può, in effetti, compiutamente parlare già nella tarda primavera del 1945, allorché l’Organismo rappresentativo si mobilitò per ottenere dal Senato accademico la predisposizione di sessioni straordinarie d’esame e corsi accelerati estivi a favore di tutti gli studenti «patrioti o comunque benemeriti» che, per ragioni connesse agli eventi bellici, non avevano potuto frequentare le lezioni, al fine di consentire loro di recuperare il tempo perduto e, nel contempo, appianare l’iniquo «conflitto di interessi determinatosi fra gli studenti cui l’assoluta mancanza di ogni coscienza politica e nazionale [aveva] consentito di curare meticolosamente la propria preparazione di studio, e coloro cui il disagio, il rischio e la sofferenza della montagna, della galera e della cospirazione [avevano] impedito ogni proficuo lavoro» [12]. Analogo valore “politico” avevano il categorico rifiuto dell’Associazione di avvallare la proposta avanzata dal Ministero dell’Educazione nazionale di riconoscere agli universitari partigiani, internati o reduci dal conflitto «il 18 di guerra ed ogni manifestazione affine di delittuosa indulgenza» e la contestuale richiesta di speciali esenzioni dal pagamento delle tasse universitarie a beneficio di tutti gli «studenti patrioti che [erano] stati materialmente danneggiati dalle contingenze belliche» [13]. Come pure un chiaro significato “politico”, agli occhi delle stesse autorità accademiche, assunsero la Mozione del settembre 1945, indirizzata al Ministro per protestare contro una serie di provvedimenti «lesivi degli interessi degli Universitari dell’Italia Settentrionale» [14], e la conseguente iniziativa, promossa dal neoeletto Consiglio interfacoltà d’accordo con la Sezione sindacale dell’Aup, di indire a partire dal 15 ottobre di quell’anno uno sciopero a oltranza del corpo studentesco, con l’astensione completa dalle lezioni e il blocco totale di tutte le attività didattiche e amministrative, al fine di paralizzare l’Università per ottenere la soppressione degli sbarramenti dei corsi e l’apertura a tutti gli iscritti della sessione d’esame di febbraio [15].
Da questo punto di vista, si può forse ipotizzare, almeno per questi primi mesi di vita dell’Associazione, l’imporsi alla guida dell’Organismo rappresentativo di una minoranza abbastanza politicizzata che intendeva consapevolmente presentarsi come custode e depositaria dei valori del patrimonio antifascista, facendosi promotrice di battaglie sindacali a tutela degli interessi e dei diritti di quegli universitari che più attivamente avevano contribuito alla lotta di Liberazione. Un’ipotesi, questa, che pare confermata dalla proposta, poi rigettata dalle autorità accademiche, di «revisione degli esami già sostenuti per quegli studenti sui quali si abbiano sospetti di averli superati per meriti fascisti» [16], ma anche dalla presenza all’interno del Consiglio direttivo provvisorio dell’Aup di alcune figure note del panorama resistenziale parmense [Urbani 1966, 53-54] [17], tra cui spiccava il nome di Ottavio Braga (partigiano “Rolando”), all’epoca studente di Medicina, che era stato Commissario politico della 32ª brigata Garibaldi “Monte Penna”.
Già negli anni seguenti, tuttavia, di pari passo con il delinearsi dello scenario bipolare della Guerra fredda e la conseguente rottura dell’accordo politico tra i partiti del Cln, si registrò anche all’interno dell’Orup il progressivo incrinarsi di tali equilibri politici, con l’emergere sempre più netto di tre diverse fazioni in aperta competizione tra loro: il gruppo «marxista» – come lo definiva, non senza una punta di sarcasmo, un articolo pubblicato su “La Civetta” nel maggio del 1947 [18] – , la «cellula cattolica», in cui forte era l’influenza degli aderenti alla Fuci, e la cosiddetta «lista indipendente», che agli inizi del 1947 si staccò dall’Aup per dar vita ad un’associazione autonoma ad essa concorrente, la Libera unione goliardica parmense (Lugp).
Proprio la «scissione» della Lugp dall’Associazione universitaria parmense, tacciata di essere nient’altro che «un circolo chiuso di amici, esteso tutt’al più agli studenti residenti a Parma» [19] e incapace di far propri e tutelare gli interessi degli studenti fuorisede, tradiva dietro l’accusa ufficiale di campanilismo la volontà di prendere le distanze dalle crescenti interferenze dei principali partiti di governo nella definizione degli orientamenti politici e delle linee programmatiche delle differenti liste universitarie che si andavano costituendo in seno all’Organismo rappresentativo, cui si affiancava il tentativo, non passato inosservato agli occhi dei protagonisti più attenti, di aggirare il veto imposto dallo Statuto dell’Aup all’iscrizione all’Associazione dei «volontari di tutti i reparti militari e le organizzazioni politiche della Republica [Sic!] Fascista» [20].
Erano questi i segnali del prender forma, già sul finire degli anni Quaranta, di una sempre più marcata diversificazione all’interno dell’associazionismo studentesco, che sarebbe stata la cifra distintiva del decennio successivo e che avrebbe provocato, da lì a pochi anni, un crescente inasprimento della dialettica politica tra le varie fazioni in campo. Come ebbe a notare già nel 1947 uno dei membri più attivi del Consiglio direttivo dell’Aup:
A ben considerare infatti è questa una cosa spiegabilissima: gli studenti, come cittadini, partecipano direttamente o indirettamente al travaglio del momento politico attuale e ne riportano più o meno consapevolmente gli estremi di discussione in seno alla Associazione [21]
3. «Un riconoscimento parziale e indiretto»: la normalizzazione degli anni Cinquanta
Gli anni Cinquanta, come già anticipato, videro la progressiva normalizzazione della vita universitaria [Luzzatto 1986; Miozzi 1993; Bonini 2007], cui fecero riscontro il consolidamento e un sempre più chiaro riconoscimento, almeno su un piano de facto, degli Organismi rappresentativi quali legittimi portavoce degli interessi degli studenti e interlocutori affidabili per le autorità accademiche. Sebbene, infatti, essi non riuscirono mai ad ottenere un effettivo riconoscimento giuridico e tutte le proposte di legge avanzate in tal senso rimasero lettera morta di fronte alla sostanziale mancanza di volontà politica dei vertici universitari, preoccupati che un riconoscimento di tal genere avrebbe potuto aprire la strada a richieste di maggiore democraticità nella gestione della vita universitaria [Urbani 1966, 18-21], non mancarono in quegli anni innumerevoli Circolari ministeriali e rettoriali che, pur senza mai precisarne la qualifica giuridica specifica, facevano esplicito riferimento a tali organismi come enti di fatto, riconoscendone in modo indiretto l’esistenza e il ruolo cruciale nell’ambito del sistema accademico [22]. «Un riconoscimento parziale e indiretto», come l’ha definito Giuliano Urbani [Urbani 1966, 19], che, preparato già nel 1948 dalla costituzione dell’Unuri, l’Unione nazionale universitaria rappresentativa italiana, trovò un’importante sanzione con la Legge n. 1551 del 18 dicembre 1951, meglio nota come “Legge Ermini”, la quale stabiliva che 1.000 lire delle tasse annuali versate da ogni iscritto dovessero essere destinate alle attività e al funzionamento del locale Organismo rappresentativo, andando di fatto a formalizzare una prassi già invalsa in molti Atenei, ivi compreso quello parmense dove, su espressa autorizzazione del Ministero della Pubblica istruzione [23], a partire già dall’immediato dopoguerra era stato introdotto un contributo studentesco di lire 100 (successivamente innalzato a lire 250) per finanziare le attività sportive e assistenziali promosse dall’Aup [24].
A ciò si aggiunse, seppure a prezzo di aspre polemiche tra i vertici stessi dell’Associazione [25], una più stabile definizione della struttura interna all’Orup. Risale, infatti, agli inizi del decennio la modifica del sistema elettorale in esso vigente, in direzione di una più efficace governabilità dell’Assemblea generale, inizialmente composta da tutti gli iscritti all’Aup [26], e nel contempo di una maggiore rappresentatività dei suoi organi di governo. Come si ricava da un Bando pubblicato nel novembre del 1955 su “Il Landò” per il rinnovo annuale dell’Assemblea, a metà degli anni Cinquanta l’Organismo rappresentativo parmense aveva ormai stabilmente adottato un sistema elettorale “misto”, per cui diciotto dei trentasei membri dell’Assemblea venivano eletti da tutto l’Ateneo «con sistema proporzionale di liste concorrenti», mentre gli altri diciotto erano eletti «con sistema maggioritario in base a collegi comprendenti ciascuno una facoltà, in numero di tre membri per ogni collegio (Facoltà di Legge, Medicina, Scienze, Farmacia, Veterinaria, Economia e commercio)» [27]. All’Assemblea spettava, poi, entro dieci giorni dalla sua elezione, la nomina dei nove componenti del Consiglio direttivo, dei quali il Presidente e il Vice-presidente erano eletti a maggioranza semplice, mentre i sette Consiglieri con un sistema proporzionale per liste.
Si trattava di un sistema complesso, non dissimile da quello adottato anche in altri Atenei [Urbani 1966, 44-47], che con alcune modifiche – ad esempio, il periodico aumento dei membri dell’Assemblea, in funzione della crescita esponenziale della popolazione universitaria e dell’istituzione di nuove facoltà – sarebbe rimasto pressoché invariato fino alla dissoluzione dell’Aup nel 1968.
Per quanto concerne, invece, il peso delle diverse liste in seno all’Organismo rappresentativo, un quadro piuttosto indicativo dei rapporti di forza delineatisi sin dagli inizi degli anni Cinquanta all’interno dell’Assemblea è offerto da una Nota ufficiale diramata nel dicembre del 1952 dal neoeletto Segretario dell’Aup Luigi Roncoroni, con cui si comunicavano al corpo accademico i risultati delle elezioni studentesche da poco tenutesi nell’Ateneo parmense [28]. Ad ottenere una schiacciante maggioranza nelle preferenze degli universitari parmensi, con ben diciotto seggi ottenuti sui trenta all’epoca previsti per l’Assemblea, era stata, infatti, l’Intesa universitaria, la lista che dal 1950 riuniva – in ambito locale non meno che a livello nazionale – gli studenti cattolici, prima organizzati in diversi gruppi e movimenti giovanili, tra cui un ruolo decisivo aveva avuto soprattutto la Fuci. Otto seggi erano stati, invece, conquistati dalla Concentrazione goliardica, lista di riferimento degli studenti missini e di estrema destra, che a partire dalle elezioni per l’anno accademico 1956-57 sarebbe confluita nel Fuan, il Fronte universitario di azione nazionale, destinato nella seconda metà degli anni Cinquanta a veder sensibilmente ridursi, nonostante un’attività di propaganda piuttosto intensa e non di rado aggressiva [29], il proprio peso elettorale in seno all’Organismo rappresentativo. Decisamente minoritaria la presenza degli universitari repubblicani, che con l’Unione goliardica Oberdan avevano ottenuto due seggi, e dell’Ugi (Unione goliardica italiana), la lista di ispirazione laico-liberale che si richiamava ai partiti minori del centro democratico parlamentare, cui, a dispetto del ruolo di primo piano rivestito a livello nazionale e in altri Atenei della regione [Mansi 2017] [30], era andato un solo seggio. Un seggio soltanto era, infine, spettato anche agli studenti comunisti facenti capo al gruppo Università nuova.
Anno accademico | Intesa | Ugi | Concentrazione goliardica – Fuan | Unione goliardica Oberdan | Università nuova – Grup. goliardico democratico | Agi | ||||||
---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|
% voti | seggi | % voti | seggi | % voti | seggi | % voti | seggi | % voti | seggi | % voti | seggi | |
1952-53 | n.d. | 18 | n.d. | 1 | n.d. | 8 | n.d. | 2 | n.d. | 1 | – | – |
1955-56 | 53,6 | 19 | 19,5 | 8 | 21,0 | 8 | – | – | 5,9 | 1 | – | – |
1956-57 | 67,2 | 30 | 14,1 | 3 | 14,6 | 3 | – | – | 4,1 | 0 | – | – |
1957-58 | 53,7 | 22 | 10,7 | 4 | 10,8 | 2 | – | – | – | – | 24,8 | 8 |
1958-59 | 46,2 | 20 | 10,2 | 2 | 4,4 | 0 | – | – | 3,2 | 0 | 36,0 | 14 |
Tab. 1: Risultati elettorali Orup 1952-1959
Appaiono, dunque, già chiaramente abbozzate, in questo primo scorcio del decennio, alcune tendenze nel comportamento elettorale degli universitari parmensi che si sarebbero poi accentuate negli anni seguenti: la netta prevalenza dell’Intesa, che avrebbe toccato l’apice dei consensi nelle elezioni per l’anno accademico 1956-57, con ben trenta seggi su trentasei conquistati all’interno dell’Assemblea [31]; la progressiva perdita di terreno della lista di estrema destra, che, a seguito dell’adesione al Fuan e della conseguente fuoriuscita del gruppo dei monarchici, avrebbe visto drasticamente ridimensionarsi la propria presenza in seno all’Organismo rappresentativo (tre soli seggi ottenuti nelle elezioni del 1956-57 [32]), fino ad essere del tutto estromessa dal governo dell’Aup; lo scarso radicamento, soprattutto se confrontato con la media nazionale [Urbani 1966, 76], delle liste di sinistra (l’Ugi, alleata a livello locale col Gruppo democrazia laica, e i comunisti del Gruppo goliardico democratico), accusate di eccessiva «politicizzazione e stortura demagogica delle cose universitarie» [33] e incapaci di ampliare il proprio bacino di sostenitori oltre i limiti un po’ angusti del «proprio tradizionale elettorato, invero assai modesto» [34].
Un elemento di novità che nella seconda metà del decennio intervenne a diversificare ulteriormente il panorama dell’associazionismo studentesco, contribuendo a modificare in modo significativo gli equilibri politici all’interno dell’Aup, fu invece rappresentato dalla comparsa sulla scena universitaria locale e nazionale dell’Associazione dei goliardi indipendenti (Agi), staccatasi dall’Ugi nell’autunno del 1956 a seguito del Congresso di Perugia, che aveva visto la confluenza di socialisti e comunisti tra le fila dell’Unione goliardica italiana, determinando una decisa svolta di quest’ultima verso la sinistra marxista [Urbani 1966, 200-202]. Proprio in reazione alla crescente egemonia della componente radicale e socialista alla guida dell’Ugi, si assistette, infatti, anche a Parma alla fuoriuscita dei liberali e alla costituzione, in accordo con monarchici e qualunquisti, di una nuova lista di orientamento laico, il Gruppo universitario goliardico indipendente, che si presentò per la prima volta alle elezioni studentesche nel dicembre del 1957, ottenendo per quell’anno accademico ben otto seggi in seno all’Organismo rappresentativo [35] – peraltro, destinati ad aumentare sensibilmente nel corso degli anni seguenti – e sottraendo un numero tutt’altro che trascurabile di voti tanto ai marxisti dell’Ugi quanto ai cattolici dell’Intesa.
Si configurava, così, con evidenza, alle soglie degli anni Sessanta, un quadro dei rapporti di forza tra le diverse liste concorrenti all’interno dell’Ateneo parmense che si discostava nettamente non solo dalle tendenze in atto nel Paese, ma anche dal panorama politico cittadino, segnato per tutto il dopoguerra e fino alla crisi della prima Repubblica dalla stabile presenza delle sinistre, con in testa il Partito comunista, alla guida dell’amministrazione comunale [Vecchio (ed.) 2017]. Una sfasatura che, come rilevato da Urbani in riferimento al sistema universitario italiano nel suo complesso, si può ragionevolmente spiegare sulla base dell’evidente constatazione che le Università della Penisola – e in questo sicuramente l’Ateneo parmense non faceva eccezione – erano in quegli anni «frequentate da una popolazione scolastica che non riflette[va] in alcun modo (per provenienza sociale) la stratificazione della società italiana» [Urbani 1966, 96]; il che ovviamente incideva in modo decisivo sul differente comportamento elettorale degli studenti universitari rispetto ai risultati registrabili tanto nelle consultazioni politiche nazionali quanto nelle elezioni amministrative.
Ciò non significa, tuttavia, che il mondo accademico costituisse una realtà a sé stante, avulsa dalla società locale ed estranea alle dinamiche politiche in atto nel Paese. Al contrario, gli anni Cinquanta furono segnati da una crescente intromissione dei partiti, per il tramite dei rispettivi centri universitari e circoli giovanili [36], nella dialettica che si andava delineando all’interno degli Organismi rappresentativi, con il conseguente acuirsi degli elementi politici e sindacali e un generale innalzamento della tensione tra le varie fazioni concorrenti, di pari passo con l’inasprirsi dello scontro ideologico in ambito nazionale e internazionale.
Termometro eloquente dell’accresciuta politicizzazione delle rappresentanze studentesche all’interno dell’Ateneo parmense fu senza dubbio, a partire dal gennaio 1955 quando uscì il suo primo numero, il “Landò”, il periodico dell’Aup, sulle cui colonne i delegati dei vari gruppi in competizione per il governo dell’Assemblea condussero una battaglia senza esclusione di colpi nel tentativo di ampliare la propria platea di consensi e sottrarre voti alle liste avversarie. Basta sfogliare in rapida successione le singole annate della rivista per notare una vera e propria escalation dei toni polemici del confronto, tra continui botta e risposta che si rincorrono da un numero all’altro, provocazioni neanche tanto velate cui spesso fanno seguito inevitabili precisazioni e smentite, accuse al vetriolo contro i gruppi di orientamento opposto e, di tanto in tanto, accorate Lettere al Direttore in cui si punta il dito contro gli «aspetti deleteri della “politica” universitaria» e si cerca di richiamare i candidati delle diverse liste ad un dibattito leale e costruttivo sui «problemi reali della vita universitaria» [37]. Come pure, un analogo esacerbarsi dei contrasti di natura ideologica tra gli eletti delle varie fazioni traspare dalla lettura dei verbali dell’Organismo rappresentativo, anch’essi pubblicati su “Il Landò” in un’apposita rubrica, che fotografano senza gli infingimenti del linguaggio giornalistico tutta la durezza dello scontro tra le varie componenti dell’Assemblea, non di rado caratterizzato da fragili alleanze e accenti personalistici.
È questo, ad esempio, il caso di un episodio verificatosi nell’autunno del 1954 e destinato a provocare vastissimo clamore non solo a livello locale, ma anche sulle principali testate della stampa nazionale. Terreno dello scontro fu, in modo significativo, un tema “caldo” del dibattito politico dell’epoca, quale la memoria della Resistenza, oggetto in quegli anni di una vera e propria «disputa» tra le varie forze politiche e del tentativo da parte di alcune di esse di appropriazione esclusiva del patrimonio ideologico dell’antifascismo, a seguito della rottura dell’accordo politico tra i partiti che avevano fatto parte del Cln e del conseguente incrinarsi della narrazione condivisa sull’esperienza della guerra e della lotta di Liberazione [Focardi 2005, 14]. A fungere da detonatore della durissima polemica che ebbe al centro proprio l’Ateneo parmense fu la decisione del Senato accademico, con delibera del 21 luglio 1954, di conferire una laurea ad honorem alla memoria allo studente Pier Luigi Paliasso, già iscritto alla Facoltà di Giurisprudenza e «deceduto a Tortona il 9 maggio 1945 per causa di guerra» [38]. La delibera stabiliva, inoltre, che il suo nome dovesse essere inciso sulla lapide in marmo posta nell’atrio del Palazzo dell’Università e che, in occasione della cerimonia di inaugurazione del successivo anno accademico, dovesse essere consegnato alla famiglia il relativo diploma, cosa che avvenne puntualmente nel novembre del 1954.
Era, questa, una prassi ormai consolidata che, a partire già dall’anno accademico 1946-47, aveva visto insigniti del titolo accademico tanti giovani patrioti e partigiani «caduti sul campo dell’onore e per la causa della libertà» [39], che proprio a ragione della loro “scelta” coraggiosa non erano riusciti a portare a termine gli studi [40]. L’attribuzione dell’importante riconoscimento al sottotenente Paliasso suscitò, tuttavia, un vasto movimento di protesta, a seguito della pubblicazione su “Il Resto del Carlino” di un articolo in cui, nel rendere noto in anteprima il nome dello studente alla cui memoria veniva conferita la laurea ad honorem, si denunciava la militanza dello stesso nell’esercito repubblichino e la sua fucilazione «in seguito a condanna pronunciata dalle forze di Liberazione dopo il 25 aprile 1945» [41].
A prendere subito posizione contro quella che i giornali non tardarono a definire la «laurea vergogna» [42] furono sia il Sindaco di Parma, Giacomo Ferrari, e il Presidente dell’Amministrazione provinciale, Primo Savani, entrambi esponenti del locale Partito comunista ed ex partigiani, che inviarono al Rettore, prof. Giorgio Canuto, una lettera indignata [43], sia le principali Associazioni partigiane della città (Anpi, Apc e Alpi), che, nel stigmatizzare «questa inaudita violazione della Legge», chiesero la revoca immediata dell’«illegale e oltraggioso provvedimento» [44]. Durissima anche la reazione della stampa democratica, che giunse ad accusare il Rettore di «apologia del fascismo» [45] e a invocarne a gran voce le dimissioni [46], e delle stesse famiglie di alcuni dei partigiani insigniti della laurea honoris causa da parte dell’Ateneo parmense, che in segno di protesta si recarono in delegazione dal Rettore per restituirgli i diplomi di laurea concessi meritatamente alla memoria dei loro congiunti [47]. Un coro unanime di sdegno che, nei mesi seguenti, avrebbe alimentato un acceso dibattito non solo in ambito cittadino, con l’intervento degli Esecutivi provinciali dei partiti di governo [48] e la presentazione di un’apposita interpellanza in Consiglio comunale [49], ma anche a livello nazionale, con la presa di posizione delle varie forze politiche e ben tre interrogazioni parlamentari [50], che avrebbero infine portato alla revoca del riconoscimento con delibera del Senato accademico del 30 giugno 1955 [51].
Mentre, però, l’opinione pubblica e le stesse istituzioni cittadine si mobilitavano contro «l’insulto del Rettore» [52] e facevano voti per una tempestiva soluzione del “caso Paliasso”, la comunità accademica e l’Assemblea dell’Organismo rappresentativo si spaccavano in due. All’indignazione degli universitari comunisti e dei delegati dell’Ugi facevano eco l’atteggiamento attendista dei cattolici dell’Intesa e l’invito a «non recedere dalla loro deliberazione» rivolto alle autorità accademiche dagli studenti missini del Gruppo universitario Farnese, cui giunse attraverso la stampa la pronta solidarietà della Direzione nazionale del Fuan e degli universitari romani del Gruppo Caravella [53]. Divergenze, queste, che culminarono, in occasione della seduta del 27 aprile del Consiglio direttivo dell’Aup, in una violenta rissa tra lo studente missino Frati, proponente «un ordine del giorno di solidarietà con l’universitario repubblichino», e il liberale Fabbri, rappresentante dell’associazione Liberi goliardi parmensi, aderente all’Ugi [54].
Si trattò di un episodio che provocò «viva impressione» non soltanto nel corpo studentesco, ma anche nella cittadinanza tutta, soprattutto a seguito della pubblicazione da parte dell’Ugi e dell’Unione goliardica Oberdan di un «vibrante manifesto» che denunciava l’accaduto e dichiarava che «simili atteggiamenti squadristi non saranno più oltre tollerati» [55]. Esso era, però, solo la punta dell’iceberg di un più generale innalzamento della tensione tra i vari gruppi rappresentati all’interno dell’Assemblea e dell’approfondirsi di una distanza ideologica ormai sempre più difficile da colmare, come emerse del resto anche in occasione delle celebrazioni per il decennale della Resistenza, quando una mozione avanzata dallo stesso Fabbri, che proponeva una serie di iniziative per ricordare il movimento di Liberazione, incontrò la decisa opposizione dei delegati di estrema destra e una generale perplessità da parte dei cattolici, venendo infine respinta a maggioranza «dopo una sostenuta polemica» [56]. Segno evidente del livello sempre più elevato di politicizzazione del confronto interno all’Organismo rappresentativo e della difficoltà di trovare un accordo ampio e trasversale intorno a obiettivi, battaglie sindacali e programmi condivisi. Come ammoniva, ancora un anno più tardi, uno dei delegati dell’Intesa dalle pagine de “Il Landò”:
L’Assemblea generale […] è stata troppo spesso luogo di vane polemiche, di manovre di corridoio, di tatticismi più o meno abili, di discorsi che assomigliavano più a comizi che a serie trattazioni di problemi universitari. Troppo spesso si è avuta l’impressione che molti rappresentanti tenessero più al prestigio e all’affermazione politica del proprio gruppo, che non ai reali interessi dell’Associazione. Mi pare di intravvedere, in questo fenomeno sintomatico, un pericolo grave […]: la eccessiva politicizzazione dell’Organismo rappresentativo che finirebbe per snaturarlo e allontanarlo dalla reale sostanza e dai veri fini della democrazia universitaria [57].
4. «Ma finché continua a occuparsi di politica...»: la crisi dell’Aup negli anni Sessanta
Le elezioni studentesche del 1959-60 segnarono una svolta decisiva negli equilibri interni all’Organismo rappresentativo parmense, con la fine della «decennale supremazia» dell’Intesa e il definirsi di nuovi rapporti di forza nel quadro di una sostanziale parità tra la lista cattolica e «gli indipendenti» dell’Agi. Fu, questo, un «fatto nuovo» nella sia pur breve storia dell’Aup che, determinando di fatto «l’impossibilità per entrambi i gruppi di poter formare la Giunta, senza il voto favorevole dell’altra parte» [58], inaugurò una prassi di labili alleanze tra le diverse fazioni, destinata a divenire un marchio di fabbrica del nuovo decennio e a produrre un crescente scollamento tra rappresentanze e corpo studentesco. Breve durata ebbe, ad esempio, l’accordo stretto tra Intesa e Agi all’indomani delle elezioni del dicembre 1959, nelle quali entrambe le liste ottennero diciassette seggi, a fronte di un solo seggio conquistato rispettivamente dall’Ugi e dal Fuan: già l’anno successivo, un anonimo sostenitore della lista indipendente, nell’abbozzare un bilancio sull’anno di «gestione comune» appena trascorso e sui risultati delle recenti consultazioni elettorali in cui l’Agi aveva perso ben tre seggi, in un pungente articolo pubblicato su “Il Landò”, lamentava come la «fittizia alleanza» tra i due gruppi di maggioranza non avesse tardato a mostrare i suoi limiti, con i delegati cattolici impegnati a «strizzare l’occhio all’Ugi» per isolare gli indipendenti e ridurli di fatto in minoranza [59].
Anno accademico | Intesa | Ugi | Goliardia nazionale – Fuan | Agi | Aga | Università nuova – Grup. goliardico democratico | ||||||
---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|
% voti | seggi | % voti | seggi | % voti | seggi | % voti | seggi | % voti | seggi | % voti | seggi | |
1960-61 | 42,3 | 17 | 9,4 | 1 | 5,6 | 1 | 40,7 | 17 | – | – | 2,0 | 0 |
1961-62 | 41,8 | 17 | 12,8 | 3 | – | – | 35,2 | 14 | 10,2 | 2 | – | – |
1962-63 | – | – | 12,1 | 2 | 20,6 | 5 | 67,3 | 29 | – | – | – | – |
1963-64 | 43,2 | 18 | 8,5 | 1 | 12,1 | 3 | 36,2 | 14 | – | – | – | – |
1964-65 | 45,6 | 17 | 10,7 | 4 | 17,0 | 6 | 26,7 | 9 | – | – | – | – |
Tab. 2: Risultati elettorali Orup 1960-1965
Proprio un nuovo tentativo di collaborazione «tra cattolici e marxisti» fu l’esito dei risultati delle elezioni per l’anno accademico 1960-61, che videro la lista di maggioranza relativa dell’Intesa, forte dei suoi diciassette seggi in Assemblea, rifiutare decisamente l’appoggio offertole dagli indipendenti e orientarsi, invece, verso la costituzione di una «Giunta a due insieme con l’Ugi», uscita notevolmente rafforzata dalle ultime consultazioni, col 12,8% delle preferenze e ben tre seggi conquistati in seno all’Orup [60]. Una scelta, questa, motivata «da una comune valutazione sia sulla funzione degli Organismi rappresentativi sia sui problemi che assillano la nostra Università» [61], che non appariva, invece, condivisa dai rappresentanti dell’Agi, che, «nascondendosi dietro la falsa etichetta di “indipendenza”», avevano nei fatti dimostrato la propria incapacità di emanciparsi da sterili «posizioni di qualunquismo protestatario» per offrire il proprio contributo concreto alla «tanto auspicata riforma dell’Università» [62]. Ulteriore elemento di novità delle elezioni studentesche di quell’anno fu, inoltre, la creazione di una nuova lista “autonoma”, l’Aga, nata dall’inedita convergenza tra esponenti del Fuan e alcuni rappresentanti della comunità ellenica [63], da sempre molto radicata nell’Ateneo parmense e attivamente impegnata nella politica universitaria [64], che agli inizi degli anni Sessanta era arrivata a contare poco meno di un centinaio di studenti [65].
Anche in questo caso, tuttavia, si trattò di alleanze effimere, nate all’ombra di «precise opportunità politiche» e destinate a consumarsi nel breve volgere di un anno accademico. L’«ibrido connubio» tra cattolici e marxisti si ruppe già nel novembre del 1961, con la conseguente dimissione dei delegati dell’Ugi dal Consiglio direttivo [66]; come anche il fragile accordo tra neo-fascisti e studenti greci non si rinnovò nelle successive consultazioni elettorali, che videro gli esponenti del Fuan tornare a presentarsi da soli al voto con una propria lista che assunse la denominazione di Goliardia nazionale, mentre la lista cattolica dell’Intesa, per un «cavillo formale», veniva sorprendentemente esclusa dalla competizione, lasciando campo libero agli avversari dell’Agi [67].
Ma il dato indubbiamente più emblematico, a prescindere dall’estrema fluidità degli schieramenti e delle coalizioni, è il progressivo assottigliarsi del numero dei partecipanti al voto, tanto più significativo se si considera che gli anni Sessanta furono caratterizzati, a Parma come nel resto della Penisola [Martinotti 1969; Ricuperati 1995; Lazzaretto e Simone (eds.) 2017], da un massiccio incremento della popolazione universitaria, dovuto ai rilevanti mutamenti sociali, economici e culturali in atto nel Paese. A fronte della crescita esponenziale del numero degli iscritti alle varie facoltà, passati da 3.438 nel 1946 a 5.269 nel 1960, per poi ulteriormente raddoppiarsi nel successivo quinquennio – nel 1966 l’Ateneo parmense sarebbe arrivato a contare 10.541 studenti [Rapporto sulla Università di Parma 1971, 16] – l’affluenza elettorale degli universitari fece registrare un andamento esattamente opposto, riducendosi da circa il 31,3% sul totale degli iscritti nelle elezioni del 1956-57 [68] al 21,4% in quelle del 1965-66 [69], con un picco particolarmente negativo nel 1961-62 (appena il 16,3% dei votanti) [70], verosimilmente in connessione con l’esclusione dei cattolici dalle votazioni e il conseguente astensionismo di buona parte dei loro sostenitori.
Era, questo, il segnale più lampante della crisi del sistema stesso della rappresentanza, irrigidito su posizioni sempre più ideologiche e autoreferenziali e incapace di offrire risposte adeguate al crescente assenteismo degli universitari parmensi, superando «sfiducia e disinteresse» delle masse studentesche. Ne erano ben consapevoli, del resto, gli stessi vertici dell’Aup: chiamati a commentare gli esiti sconfortanti di un’inchiesta condotta da “Il Landò” su un campione casuale di studenti iscritti alle diverse facoltà [71], i delegati dei vari gruppi concorrenti con lucidità individuavano le cause di una simile stasi «non in fattori esterni alla rappresentanza, ma proprio interni ad essa» e, precisamente, nella «estrema particizzazione» dell’Organismo rappresentativo, divenuto «un piccolo parlamento, di cui i rappresentanti si servono come trampolino di lancio politico», nonché nella rigidità del meccanismo di funzionamento dell’Assemblea e nella sua «degenerazione burocratica». Al tempo stesso, riconoscevano le responsabilità dei singoli gruppi, troppo spesso «strumentalizzati dai partiti […] e immersi nelle loro polemiche spicciole», al punto da perdere di vista l’interesse della collettività studentesca, e indicavano una possibile soluzione a questo stato di cose nella modifica delle strutture della rappresentanza e nell’istituzionalizzazione dei Consigli di Facoltà [72].
Non molto dissimili apparivano, d’altra parte, le impressioni degli studenti intervistati nel corso dell’inchiesta, le cui risposte evidenziavano una distanza crescente rispetto alle élites dirigenti, puntando il dito, in particolare, contro la politicizzazione dell’Orup e la sua incapacità di farsi portavoce delle reali esigenze degli universitari. Come evidenziava ad esempio uno degli intervistati:
CARLO SICURO – 3° anno di Legge: «La rappresentanza mi piace molto poco. Per me dovrebbe occuparsi delle cose che riguardano gli studenti, per avere senso. Non so, curare meglio gli orari degli esami, lo sport, vedere se le ore di lezione sono disposte bene. E poi dovrebbe cercare di avvicinare un po’ di più i professori e gli studenti. Ma finché continua a occuparsi di politica…» [73].
Lo scollamento tra rappresentanze e base studentesca sembrò emergere in modo ancora più palese nel corso delle agitazioni che, sulla scorta della «lotta vigorosamente intrapresa dagli studenti pisani e culminata con l’occupazione del loro Ateneo» [74] nel gennaio del 1964 [Carlucci 2012], videro nei mesi seguenti la mobilitazione anche degli universitari parmensi. Scarso interesse e un’adesione piuttosto superficiale riscossero, come ebbero a rilevare gli stessi vertici dell’Aup [75], le iniziative promosse dall’Organismo rappresentativo per ottenere una maggiore democratizzazione del governo dell’Università e maggiori finanziamenti per l’assistenza e il diritto allo studio. Come pure del tutto inadeguate apparivano, agli occhi del corpo studentesco, le «ben misere concessioni», in termini di appelli straordinari per i fuori corso e istituzione di Comitati interuniversitari investiti di un potere meramente consultivo [76], ottenute dall’Orup a fronte di una lunga trattativa con le autorità accademiche, non priva di esitazioni e ambiguità [77].
Se è vero, infatti, che sin dagli inizi del decennio si erano intensificate le battaglie condotte dall’Aup in direzione di un maggiore coinvolgimento della componente studentesca nella gestione didattica e amministrativa dell’Università, troppo incerta ed attendista veniva giudicata da ampi settori della massa studentesca la strategia da essa adottata per negoziare con le autorità accademiche graduali aperture in tal senso. Soprattutto, la si accusava di eccessiva autoreferenzialità, individuando nell’«insufficiente rapporto organico fra la base universitaria e la rappresentanza» la causa ultima del «dissolvente scetticismo» dilagante tra gli iscritti [78].
L’inadeguatezza del sistema della rappresentanza non sfuggiva, del resto, agli stessi dirigenti dell’Aup [79], sempre più coscienti delle proprie responsabilità nella mancata sensibilizzazione degli universitari parmensi rispetto all’urgenza di una riforma globale dell’Università e della propria impreparazione e incapacità di recepire i profondi cambiamenti in atto, offrendo risposte convincenti a quegli «strati studenteschi che intend[evano] usare altri modi e battere altre vie di quelle seguite dalla rappresentanza per arrivare a cose concrete» [80]. Una frattura che si manifestò con estrema evidenza nel dicembre del 1964, quando, nel corso di alcune agitazioni promosse a livello nazionale dall’Unuri di concerto con l’Associazione nazionale professori universitari incaricati (Anpui) e l’Unione nazionale assistenti universitari (Unau) [Viola 2005; Agostini, Giorgi e Mineo (eds.) 2014], una ventina di studenti occuparono la sede centrale dell’Università «sbarrando tutti gli ingressi e impedendo così il libero accesso alle aule, agli Istituti e agli uffici posti nel Palazzo stesso» [81]. L’episodio, avvenuto nella notte tra il 2 e il 3 dicembre all’insaputa dei vertici dell’Orup e protrattosi per diversi giorni in un clima di forte tensione anche a seguito della decisione del Senato accademico di autorizzare il Rettore a denunciare all’autorità giudiziaria gli studenti coinvolti [82], appare significativo soprattutto per la decisione dell’Aup di dissociarsi dall’occupazione. Il pomeriggio del 9 dicembre, nell’intento di riportare sotto il controllo dei rappresentanti una situazione che gli era ormai sfuggita di mano, il Presidente dell’Aup Alberto Bertora arrivò, anzi, a richiedere l’intervento della Forza pubblica per ristabilire l’ordine, suscitando l’indignazione degli occupanti che inviarono al Ministero della Pubblica istruzione e alla stampa un comunicato volto a stigmatizzare una simile iniziativa come «illegittima e arbitraria» [83]. Era, questo, un ulteriore segnale dell’indebolimento dell’Organismo rappresentativo, contestato da quegli stessi studenti che avrebbe dovuto rappresentare e stretto tra la difficoltà crescente di dialogare con la base studentesca e il tentativo, rivelatosi in questo caso del tutto fallimentare, di mantenere la protesta in una cornice di legalità e ordinaria contrattazione con le autorità accademiche.
Il punto di non ritorno fu, però, toccato alcuni anni più tardi, nel marzo del 1968 [Brugnoli 2000; Gambetta 2017, 351-358]. Sull’onda del vasto movimento contestativo esploso già da diversi mesi nei principali Atenei italiani [Flores e De Bernardi 1998, 204-218; Carlucci e Moretti 2014, 53-85; Tolomelli 2015, 108-111], anche l’Università di Parma fu investita da un’impetuosa ondata di agitazioni studentesche che finirono col travolgere l’Organismo rappresentativo, esautorandolo di fatto della sua funzione “politica” in nome della sperimentazione di forme nuove di democrazia diretta e partecipativa. Ad innescare il processo dissolutivo dell’Aup, il 5 marzo 1968, fu la convocazione, da parte degli stessi dirigenti dell’Associazione, della prima Assemblea generale di Ateneo che doveva discutere della riforma universitaria prospettata dal D.L. n. 2314/65 (il cosiddetto “Piano Gui”) e della linea politica da seguire dopo gli scioperi generali degli studenti medi e universitari avviati già dalla fine di gennaio [Mobiglia 1988-89; Capano 1998]. Riuniti nell’Aula dei Filosofi, nella sede centrale dell’Ateneo, gli universitari parmensi ottennero dal Senato accademico la sospensione delle lezioni per consentire la convocazione di Assemblee di Facoltà e la costituzione di quattro Commissioni di studio che avrebbero dovuto elaborare proposte e progetti alternativi di riforma del sistema universitario da inoltrare al Rettore e al Ministro della Pubblica istruzione [84]. Nel corso di quelle giornate, tuttavia, l’Assemblea generale avocò a sé il ruolo di unico interlocutore delle autorità accademiche, rivendicando al corpo studentesco la rappresentanza diretta e delegittimando l’Organismo rappresentativo quale organo di mediazione tra i vertici dell’Ateneo e la base studentesca [85]. Come si legge in una memoria pubblicata nel gennaio del 1969 sull’ultimo numero de “Il Landò” prima della sua definitiva soppressione, non era più l’Aup a dirigere le agitazioni e il dibattito, ma un Comitato di studenti, «avendo di fatto riconosciuto che le stesse, per avere valenza politica, devono essere movimento di massa e non della solita élite» [86].
Un simile indirizzo venne immediatamente recepito nella cosiddetta Mozione degli otto punti, elaborata in prima stesura dall’Assemblea il 14 marzo, ma il cui testo definitivo venne votato il 26 dello stesso mese. Come recita, infatti, il primo punto del documento:
1. L’Assemblea generale è l’organo attraverso il quale si esprime il potere politico del M.S. [il Movimento studentesco] nell’ambito dei problemi di carattere generale e nel quale avviene la mediazione con altre forze del mondo universitario. L’Organismo rappresentativo si ritiene superato, in quanto incapace di rappresentare gli studenti e privo di forza di contrattazione [87].
L’Aup restava temporaneamente in piedi come organo puramente tecnico, «fino a che le Assemblee di Corso di laurea e l’Assemblea generale si daranno un assetto definitivo» [88]. Era, questo, l’ultimo atto della parabola discendente vissuta dall’Orup nel corso degli anni Sessanta, il fallimento di uno strumento – e della stessa concezione della rappresentanza ad esso sottesa – che appariva ormai inadeguato al momento storico, incapace di adattarsi ai rapidi cambiamenti in atto nel Paese e nel mondo universitario e di offrire risposte efficaci al desiderio di partecipazione e al protagonismo di massa del corpo studentesco. Un’inerzia che pare trovare conferma nella stessa decisione tardiva di dissoluzione dell’Aup, che giunse ad adottare una mozione di autoscioglimento soltanto nel dicembre del 1968, a ridosso della scadenza di mandato dei delegati dell’Orup, dopo un faticoso dibattito che mostra tutta la stanchezza e l’autoreferenzialità di quegli ultimi anni di crisi. Gli stessi dirigenti dell’Associazione non potevano, però, ignorare che «non vi è nulla di più dannoso che uno strumento vecchio per idee nuove» [89], per cui il 17 dicembre 1968, riuniti in assemblea presso la Casa dello Studente, approvarono quasi all’unanimità (tutti favorevoli, tranne due astenuti) la seguente mozione:
L’Assemblea dell’Organismo rappresentativo di Parma prende atto che durante il trascorso anno sono maturate situazioni che hanno reso da tempo morto in ogni sua funzione l’Organismo rappresentativo. In particolare, l’Aup-Orup non ha più capacità di ente rappresentativo degli studenti dell’Università di Parma, superato in questo dalle Assemblee di Corso di laurea, di Facoltà, di Ateneo e dalle strutture che esse via via estrinsecano. Tantomeno gli può restare valore di unicità e democraticità di rappresentanza degli studenti dell’Università. [...] In questo contesto l’Organismo rappresentativo è una struttura superata ed ormai al di fuori della storia, per cui l’Assemblea decide l’estinzione dell’Associazione [90].
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Oligarchie. Una storia orale dell’Università di Palermo, Roma: Donzelli
Note
1. R. Balestrieri, Impegno comunitario nell’Organismo rappresentativo, “Il Landò”, a. I, n. 3 (mar. 1955), p. 2.
2. Particolare interesse riveste, in tal senso, una lettera inviata al Rettore l’11 agosto 1945 in cui, nel richiedere che l’Aup venga riconosciuta quale «associazione ufficiale dell’Università di Parma», si data la sua costituzione il 10 maggio 1945, specificando che in pochi mesi «il numero degli aderenti è già di circa 600 e in progressivo aumento». Archivio storico dell’Università degli studi di Parma (d’ora in poi ASUP), Carteggio (d’ora in poi CR) 1945, Studenti (d’ora in poi ST), b. 1685, Aup, Lettera indirizzata dal Presidente dell’Aup al M. Rettore della R. Università di Parma. Oggetto: Riconoscimento dell’Aup quale associazione ufficiale degli Universitari parmensi, 11 agosto 1945.
3. ASUP, Annuario accademico dell’Università di Parma. Inaugurazione dell’Anno accademico 1945-46: relazione del Rettore, Prof. Teodosio Marchi, pp. 46-47.
4. Ivi, p. 47.
5. Ibidem.
6. Ivi, p. 43.
7. Cfr. Via dei Goliardi: Duca – Disfida – Disdetta. Diario breve di tre giorni, “La Civetta”, a. I, n. 1 (mar. 1947), p. 2 e V. Venturi, Origini della goliardia. Bacco, Tabacco e Venere, ivi, a. I, n. 2 (apr. 1947), p. 4.
8. ASUP, CR 1947, ST, b. 1838, Aup, Relazione del Consiglio direttivo per l’anno sociale 1946-47, s.d., pp. 1-9.
9. Lettera aperta alle studentesse, “La Civetta”, a. I, n. 1 (mar. 1947), p. 2.
10. Su questo punto appare piuttosto chiaro lo stesso Statuto dell’Associazione. ASUP, CR 1948, ST, b. 1908, Aup, Statuto dell’Aup, s.d., pp. 1-2.
11. Ivi, Aup, Lettera indirizzata dal Presidente dell’Aup al M. Rettore della R. Università di Parma cit.
12. Ivi, Aup, Lettera del Consiglio direttivo al M. Rettore della R. Università di Parma, 28 maggio 1945.
13. Ivi, Aup, Lettera del Consiglio direttivo provvisorio al M. Rettore della Università di Parma, 1° giugno 1945.
14. Ivi, R. Università di Parma – Consiglio interfacoltà, Mozione degli studenti Universitari di Parma al Ministero dell’Educazione nazionale, 28 settembre 1945.
15. Ivi, Consiglio interfacoltà e Sezione sindacale dell’Aup, Lettera al M. Rettore della R. Università di Parma, ottobre 1945. L’ampia adesione del corpo studentesco all’iniziativa promossa dall’Aup è testimoniata dallo stesso Rettore in un accorato telegramma inviato al Ministro. Ivi, R. Università di Parma, Telegramma “urgentissimo” del Rettore Marchi al Ministro dell’Istruzione pubblica, 17 ottobre 1945.
16. Ivi, Aup, Promemoria dell’Aup per il M. Rettore della R. Università di Parma, 19 maggio 1945.
17. Come ha scritto Giuliano Urbani in riferimento a questa prima fase di vita degli Organismi rappresentativi studenteschi: «Fu allora, per la prima e ultima volta, di scena l’irripetibile generazione dei reduci, degli ex-partigiani, dei fuori corso che riprendevano gli studi interrotti a causa della guerra e scoprivano d’impeto, nelle forme della vita comunitaria studentesca, una dimensione corale, appassionata e fraterna della democrazia».
18. Cfr. Il Congresso si diverte, “La Civetta”, a. I, n. 3 (mag. 1947), p. 4.
19. E. Amadei, Perché la Lugp. Doppione inutile, ivi, a. I, n. 2 (apr. 1947), p. 1.
20. ASUP, CR 1948, ST, b. 1908, Aup, Statuto dell’Aup, s.d., p. 1.
21. P. L. Olivieri, Aup e no, “La Civetta”, a. I, n. 1 (mar. 1947), p. 1.
22. ASUP, Senato accademico (d’ora in poi SA), Verbali e deliberazioni (d’ora in poi VD) 1947-1957, Seduta del giorno 9 novembre 1949, p. 46.
23. ASUP, CR 1947, ST, b. 1838, Ministero della Pubblica istruzione – Direzione generale dell’Istruzione superiore, Circolare del Ministro Gonella. Oggetto: Contributo per opere sportive ed assistenziali, 2 aprile 1947.
24. Ivi, Aup, Richiesta di aumento contributi per attività sportive indirizzata al M. Rettore dell’Università di Parma, 27 ottobre 1947.
25. Cfr. G. Marconi, Divagazione elettorale, “Il Landò”, a. II, n. 7 (gen. 1956), p. 1.
26. Si veda, a tal proposito, quanto prescritto dall’art. 6 dello Statuto dell’Associazione. ASUP, CR 1948, ST, b. 1908, Aup, Statuto dell’Aup, s.d., p. 2.
27. Bando per le elezioni della nuova Assemblea e per la nomina del nuovo Consiglio direttivo, “Il Landò”, a. I, n. 6 (nov. 1955), p. 15.
28. ASUP, CR 1952, ST, b. 2227, Aup, Nota ufficiale del Segretario dell’Aup. Oggetto: Risultato delle elezioni universitarie e composizione del nuovo Consiglio direttivo, 22 dicembre 1952.
29. Archivio Prefettura di Parma (d’ora in poi APP), Gabinetto, cat. 12, f. 11, Relazione politica, sindacale ed economica della Provincia, 28 dicembre 1958, p. 5.
30. Basti pensare al caso bolognese, dove per tutti gli anni Cinquanta l’Ugi rimase la lista maggioritaria, riuscendo a governare con continuità l’Organismo rappresentativo dell’Alma Mater.
31. Cfr. I risultati delle elezioni, “Il Landò”, a. III, n. 13-14 (gen.-feb. 1957), p. 5.
32. Ibidem.
33. Cfr. G. Jacopozzi, Processo all’Aup, ivi, a. II, n. 10-11 (giu.-lug. 1956), p. 10.
34. Cfr. F. Barbacini, Commento alle elezioni. I risultati, ivi, a. V, n. 21 (gen.-feb. 1959), p. 8.
35. Cfr. Risultati delle elezioni 1957-58, ivi, a. IV, n. 18 (gen.-feb. 1958), p. 4.
36. Emblematica, da questo punto di vista, una nota del dicembre 1958 inviata dall’Incaricato provinciale del Centro universitario democristiano, Graziano Buzzi, alle Direzioni dei movimenti giovanili del Partito repubblicano italiano, del Partito radicale, del Partito socialista italiano e del Partito socialdemocratico, in cui si denunciava come, durante le ultime elezioni studentesche per il rinnovo dell’Assemblea dell’Orup, l’Ugi «che si professa “gruppo di democrazia laica”», non avendo presentato propri candidati, avesse invitato i propri elettori a votare per la lista liberal-monarchica, squalificandosi sul piano politico per via dell’inaccettabile «collusione di forze democratiche con movimenti negatori di ogni valore della Resistenza e che rappresentano gli ultimi residui di un’Italia avveniristica e plebiscitaria». Archivio Isrec Parma (d’ora in poi ISREC), Fondo Partito repubblicano italiano, b. 50, fasc. 1, Centro universitario democristiano, Nota dell’Incaricato provinciale Cud, 1 dicembre 1958.
37. Così si esprime, dalle pagine della rivista, uno studente universitario all’indomani delle elezioni studentesche del 1955-56. G. Marconi, Divagazione elettorale cit.
38. ASUP, SA, VD 1947-1957, Seduta del giorno 21 luglio 1954, p. 145.
39. ASUP, Annuario accademico dell’Università di Parma. Inaugurazione dell’Anno accademico 1946-47: relazione del Rettore, Prof. Teodosio Marchi, p. 16.
40. ASUP, CR 1945, ST, b. 1685, Anpi, Elenco degli studenti caduti nella Guerra di Liberazione, 3 novembre 1945.
41. La laurea ad honorem al milite della Repubblica sociale, “Il Resto del Carlino”, 25 novembre 1954.
42. Il Rettore Magnifico annulli la “laurea vergogna”, “L’eco del lavoro”, 18 marzo 1955.
43. ISREC, Sez. 4, b. II, Laurea Paliasso (d’ora in poi LP), Lettera del Sindaco di Parma e del Presidente della Amministrazione provinciale al Ch. Prof. Giorgio Canuto, Rettore dell’Università di Parma, 27 novembre 1954.
44. Ivi, Comunicato stampa dell’Anpi, dell’Apc e dell’Alpi, 25 marzo 1955.
45. Il Rettore è imputabile di apologia del fascismo, “l’Unità”, 5 marzo 1955.
46. Si chiedono le dimissioni del Rettore prof. Canuto, “Avanti!”, 8 marzo 1955.
47. L’iniziativa, cui aderirono i familiari di Giacomo Ulivi, Ottavio Ricci, Attilio Derlindati, Enzo Dell’Aglio, Ferdinando Salterini, Alberto Zanrè e Bonfiglio Tassoni, ebbe amplissima risonanza anche sulla stampa nazionale. Cfr. Restituite per protesta le lauree ad honorem, “Avanti!”, 4 marzo 1955; Solenne gesto di protesta contro un’illegalità del Rettore, “l’Unità”, 4 marzo 1955; I familiari di alcuni Caduti restituiscono le lauree “ad honorem”, “Il Resto del Carlino”, 4 marzo 1955 e Famigliari di Caduti partigiani restituiscono la “laurea ad honorem”, “L’Avvenire d’Italia”, 4 marzo 1955.
48. ISREC, Sez. 4, b. II, LP, Lettera aperta al Ministero della Pubblica istruzione dei partiti della coalizione governativa, 8 marzo 1955. Il documento è sottoscritto dagli Esecutivi provinciali della Dc, del Pli, del Pri e del Psdi.
49. Ivi, Consiglio Comunale – Seduta del 12 aprile 1955. Ordine del giorno: Interpellanza del cons. prof. Febbroni Olimpio, 12 aprile 1955, pp. 1-2.
50. Un’interrogazione al Ministro della P.I. per lo scandalo dell’Università, “l’Unità”, 9 marzo 1955.
51. ASUP, SA, VD 1947-1957, Seduta del giorno 30 giugno 1955, pp. 175-176.
52. S. Cervi, Parma ha respinto l’insulto del Rettore, “Patria indipendente”, 20 marzo 1955.
53. Gli universitari per Paliasso, “Il Secolo d’Italia”, 2 luglio 1955.
54. Grave provocazione all’Università di Parma, “L’eco del lavoro”, 6 maggio 1955. L’episodio venne riportato, unitamente ad un comunicato ufficiale dell’Ufficio di presidenza dell’Assemblea dell’Orup, anche da altre testate giornalistiche, oltre che dal periodico dell’Aup. Cfr. Conciliazione tra i goliardi dopo uno scontro improvviso, “Il Resto del Carlino”, 5 maggio 1955; Aggredito dai fascisti uno studente liberale, “Avanti!”, 5 maggio 1955; Una precisazione dell’Ufficio di Presidenza dell’Aup, “Gazzetta di Parma”, 5 maggio 1955 e Un episodio da dimenticare, “Il Landò”, a. I, n. 5 (mag. 1955), p. 1.
55. Aggredito dai fascisti uno studente liberale cit.
56. Il verbale della Assemblea dell’Organismo rappresentativo, “Il Landò”, a. I, n. 3 (mar. 1955), pp. 3-4.
57. G. Iacopozzi, Aup. Situazione 1956, ivi, a. II, n. 12 (nov. 1956), p. 3.
58. Chi ha vinto le elezioni?, ivi, a. VI, n. 26 (gen.-feb. 1960), pp. 9-10.
59. Sui risultati delle elezioni, ivi, a. VII, n. 33 (gen.-feb. 1961), pp. 7-8.
60. Ibidem.
61. U. Squarcia, Per una moderna politica universitaria. Discorso programmatico del Presidente dell’Aup, ivi, p. 4.
62. Sui risultati delle elezioni cit., pp. 7-8.
63. Ibidem.
64. Basti pensare che nelle consultazioni studentesche del 1957-58 tra gli eletti all’Assemblea figuravano ben tre studenti greci, due dei quali appartenenti all’Ugi e uno all’Intesa. Cfr. Risultati delle elezioni 1957-58 cit., p. 4.
65. ASUP, Annuario accademico dell’Università di Parma. Dati statistici 1960-61. Studenti stranieri distribuiti secondo le nazionalità, p. 233.
66. M. Zanella, Consuntivo di un anno, “Il Landò”, a. VII, n. 38 (nov.-dic. 1961), p. 2.
67. A fronte dell’esclusione dei cattolici, nelle elezioni studentesche del 1961-62 gli indipendenti ottennero la maggioranza assoluta nell’Assemblea con ben ventinove seggi conquistati. Cfr. Risultati delle elezioni, ivi, a. VIII, n. 39 (gen.-feb. 1962), p. 10.
68. Cfr. I risultati delle elezioni, ivi, a. III, n. 13-14 (gen.-feb. 1957), p. 5.
69. Cfr. Risultati delle elezioni 1965-1966, ivi, a. XII, n. 49 (mar.-apr.-mag. 1966), p. 2.
70. Cfr. Risultati delle elezioni, ivi, a. VIII, n. 39 (gen.-feb. 1962), p. 10.
71. C. Valentini, Aup in crisi, ivi, a. IX, n. 44 (mar. 1963), pp. 9-11.
72. Ibidem.
73. Ibidem.
74. ASUP, CR 1964, ST, b. 3859, Aup, Universitari conducete con noi questa battaglia democratica! (manifesto murale), s.d.
75. Cfr. A. Soda, C. Valentini, Intervista a Alberto Bertora, Nunzio Astone, Ermanno Magi, Paolo Amadei, “Il Landò”, a. X, n. 46 (feb.-mar. 1964), pp. 8-11.
76. Ivi, p. 9.
77. ASUP, CR 1964, ST, b. 3859, Aup, Richieste avanzate dall’Orup al M. Rettore, al Senato accademico e al Consiglio di amministrazione, 22 gennaio 1964.
78. A. Soda, Perché tutto non resti com’è, “Il Landò”, a. X, n. 46 (feb.-mar. 1964), pp. 3-4.
79. «Riteniamo che questi organi [i costituendi Consigli di Facoltà] riusciranno a superare ad un tempo sia la frattura fra il vertice e la base studentesca che il dilettantismo che così spesso caratterizza gli Organismi rappresentativi. Questo infatti è uno dei punti oscuri della Rappresentanza». Così scriveva Alberto Bertora, Presidente dell’Aup nel 1963-64, nella sua relazione conclusiva dell’anno sociale, che poco più avanti proseguiva, individuando un altro grave limite del sistema della rappresentanza: «La proposta politica del Movimento studentesco è troppo spesso una proposta di vertice che precorre le esigenze sentite dalla media degli studenti». ASUP, CR 1964, ST, b. 3859, Aup, Relazione del Presidente, s.d.
80. Cfr. A. Soda, C. Valentini, Intervista a Alberto Bertora cit., p. 9.
81. ASUP, CR 1964, ST, b. 3859, Università degli studi di Parma, Denuncia presentata dal M. Rettore, prof. Giancarlo Venturini, al Procuratore della Repubblica, 3 dicembre 1964.
82. ASUP, SA, VD 1963-1965, Seduta del giorno 3 dicembre 1964, p. 94.
83. ASUP, CR 1964, ST, b. 3859, Comunicato contro lo studente Alberto Bertora indirizzato al Ministero della Pubblica istruzione, 9 dicembre 1964.
84. ASUP, SA, VD 1966-1968, Seduta del giorno 5 marzo 1968, pp. 139-140.
85. Cfr. Esautorato dagli studenti l’Organismo rappresentativo, “Gazzetta di Parma”, 14 marzo 1968 e L’Aup esautorata dall’Assemblea degli studenti, “Il Resto del Carlino”, 14 marzo 1968.
86. Nuove strutture per nuove funzioni, “Il Landò”, a. XV, n. 51 (gen. 1969), p. 3.
87. ASUP, CR 1968, ST, b. 4833, Assemblea generale degli studenti, Mozione degli otto punti, 14 marzo 1968.
88. Ibidem.
89. Perché ci si autoscioglie, “Il Landò”, a. XV, n. 51 (gen. 1969), p. 9.
90. ASUP, CR 1968, ST, b. 4833, Aup, Mozione di autoscioglimento, 17 dicembre 1968.