1. Introduzione
«Noi ci siamo messi in letargo. Ma per tantissimi anni. Non si parlava più del nostro passato, nemmeno coi nostri familiari. Questo è stato il nostro rimpatrio. Ed erano tutti nostri amici, amici di quartiere, amici di lavoro, così… […] E noi venivamo sempre messi in disparte e allora ci siamo messi in disparte». Con queste parole Giovanni Araldi, ex-internato di Salsomaggiore Terme, avrebbe ricordato l’oblio in cui gli internati militari italiani (Imi) vennero immersi per decenni dopo il loro rientro in Patria [1]. Proprio con la proiezione di questa video-testimonianza, ora simbolo di una memoria recuperata, si apre la mostra L’altra Resistenza. I militari italiani nei Lager tedeschi. Parma 1943-1945, realizzata dall’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Parma (Isrec Parma).
Inaugurata il 20 aprile 2024 presso l’Ape Parma museo [2], essa è frutto di un lavoro di ricerca durato diversi anni e dedicato alla deportazione dal Parmense, i cui risultati sono raccolti in un volume a cura di Roberta Mira [Mira 2024]. Gli autori della mostra sono Marco Minardi (direttore Isrec Parma), Domenico Vitale, Maddalena Arrighini e lo scrivente. Il filmmaker Amedeo Cavalca ha invece curato la parte multimediale degli spazi espositivi.
Com’è noto, da molto tempo gli internati militari italiani sono oggetto dell’attenzione storiografica. Dai lavori di Gerhard Schreiber sino al recente volume di Nicola Labanca [Labanca 1992; Schreiber 1997; Hammermann 2004; Labanca 2022], la vicenda dei soldati e ufficiali catturati dai tedeschi dopo l’8 settembre è stata analizzata sotto molteplici punti di vista. Vicenda che, anche grazie alle iniziative delle istituzioni a partire dagli anni Ottanta, è ormai entrata nella narrazione pubblica dell’Italia nella Seconda guerra mondiale, anche se non senza contraddizioni.
L’obiettivo della mostra è quello di restituire alla cittadinanza sia i risultati del lavoro di ricerca promosso da Isrec Parma, sia quello di interpellare la memoria pubblica sulla storia dei militari parmensi deportati nei Lager. In questa sede si esporranno i nodi tematici su cui gli autori hanno deciso di soffermarsi, le fonti e gli strumenti utilizzati, nonché la strategia narrativa.
2. L’interpretazione storiografica e le fonti utilizzate
A costituire la spina dorsale e il vero nerbo della mostra è una precisa tesi storiografica: quella de “l’altra Resistenza”, come riporta il titolo dell’evento. È un chiaro riferimento all’opera di Alessandro Natta [Natta 1997], che in maniera efficace sottolineò quanto l’esperienza degli Imi fosse indissolubilmente legata alla storia della Resistenza, tanto da costituire un capitolo importante della rigenerazione nazionale avvenuta tra il 1943 e il 1945. Molti storici hanno sottolineato quanto il “no” presentato dagli Imi alla collaborazione con il Reich e con la Repubblica sociale italiana (Rsi) e, in seguito, alla trasformazione in lavoratori coatti non sia stato per nulla scontato, e che ebbe un ruolo fondamentale per il ripudio della guerra che avevano combattuto e dei sistemi valoriali che l’avevano scatenata. Il filo rosso che guida il visitatore lungo tutta la mostra è proprio questo. Esso permea il racconto espositivo, segnato da molteplici sfumature grazie alle diverse esperienze individuali presenti lungo tutto l’arco narrativo. D’altronde non è un caso che essa sia stata organizzata nel contesto delle iniziative del 25 aprile e non in quelle del 27 gennaio.
La storia degli Imi parmensi [Melegari 2024], soprattutto nelle prime sale, è raccontata in correlazione con l’inizio della Resistenza armata e della Resistenza civile, mentre in quelle successive è declinata nel “no” presentato alla trasformazione in lavoratori civili e nel cambio di paradigma che costituì il Lager per molti militari. Nella parte conclusiva della mostra è affrontato il tema dell’oblio in cui “l’altra Resistenza” venne immersa per decenni dopo la guerra. In questo senso si inseriscono le riflessioni sul mancato accesso degli internati nella memoria pubblica, le auto-narrazioni compiute dagli stessi ex-Imi per raccontare, rimuovere o ridimensionare la propria vicenda e quindi il modo in cui cambiò l’auto-percezione degli stessi protagonisti nelle memorie individuali, familiari e collettive.
Se “l’altra Resistenza” costituisce il terreno su cui è fondata la mostra, le fonti utilizzate per raccontarla sono molteplici e di diversa provenienza.
Il nerbo centrale è costituto dal fondo archivistico della federazione parmense dell’Associazione nazionale reduci della prigionia (Anrp), conservato in Isrec Parma. Esso raccoglie le testimonianze e i documenti di 1.124 internati militari che si iscrissero all’Anrp nell’immediato dopoguerra. Costituiscono un bacino di notevole interesse per i dati anagrafici, per le carte conservate (dalle lettere ai documenti dei Lager), ma anche per le relazioni allegate alla richiesta di iscrizione. Queste ultime, veri e propri racconti della propria esperienza dell’internamento, hanno costituito la base da cui partire per comprendere la complessità del loro vissuto e della loro auto-percezione subito dopo la guerra; ma anche per trovare esperienze individuali potenzialmente utili per aiutare il visitatore a capire al meglio il significato dell’esperienza della prigionia nel Reich, oltre alle differenze che potevano caratterizzate le storie dei singoli [Melegari 2024, 127-132].
Sono state utilizzate anche fonti provenienti da diversi enti, come l’Archivio storico comunale di Parma e documenti già pubblicati in diverse raccolte di testimonianze [Catelli 2007-2009]. Degne di menzione sono le fotografie, segnalate all’istituto da Carlo Gentile e provenienti dai National Archives di Washington che ritraggono la cattura dei militari a Parma immediatamente dopo l’8 settembre.
Una significativa sequenza di immagini dell’avvento dell’occupazione tedesca in città, ma anche dell’inizio dell’esperienza della deportazione e che contribuisce a mettere in luce il legame strettissimo tra l’8 settembre, i combattimenti avvenuti a Parma, la Resistenza armata e “l’altra Resistenza” vissuta nei Lager.
Di fondamentale importanza sono stati però i documenti e gli oggetti che molte famiglie hanno messo a disposizione dei ricercatori. Ne sono pervenuti molti all’istituto, in particolare diari, taccuini, fotografie e lettere che hanno permesso di scandagliare a fondo l’esperienza di numerosi internati e di arricchire notevolmente la mostra. Sono stati rinvenuti anche disegni e acquerelli realizzati nei campi e che ricostruiscono paesaggi e immagini di grande impatto, come dimostrano le opere artistiche di Ettore Ponzi e Arnaldo Spagnoli, entrambi internati a Wietzendorf [3].
È opportuno menzionare i fondi di Giovannino Guareschi, Pietro Cavazzini e Giovanni Araldi, perché le loro esperienze travalicano i “confini” parmensi e assumono notevole importanza anche a livello nazionale.
La vicenda di Guareschi è molto nota. Isrec Parma ha potuto contare sulla disponibilità della Casa archivio Guareschi, che ha messo a disposizione una grande quantità di appunti e disegni dello scrittore parmense, ma anche molti oggetti della vita del campo. La Casa archivio costituisce un punto di indubbio valore per la ricostruzione della vicenda degli Imi, considerata la mole della documentazione conservata, anche se legata alla specifica esperienza di Guareschi (spesso mitizzata dalla memoria pubblica locale).
Le figlie dell’internato e tenente medico Pietro Cavazzini, nel 2023 hanno donato i documenti del padre all’istituto storico di Parma [4]. Per il loro valore e l’esperienza che raccontano, le carte di Cavazzini meriterebbero una trattazione a parte [Melegari 2024, 159-161]. In questa sede ci si concentrerà brevemente su quanto esposto nella mostra. Cavazzini, internato a Görlitz, venne impiegato nell’infermeria assistendo i molti internati malati, spesso ridotti in condizioni critiche. In quel contesto riuscì a realizzare un quaderno di fortuna in cui annotò i nomi dei 517 internati che persero la vita nel campo, oltre a trascrivere le cause della morte e l’indirizzo delle famiglie di appartenenza. Allegate al quaderno vi sono anche le mappe dei cimiteri del Lager, che realizzò lo stesso Cavazzini e in cui vi segnò il luogo di sepoltura di ogni caduto. Il quaderno costituisce quindi non solo un documento di eccezionale valore per ricostruire le difficili condizioni di vita in un campo come Görlitz, ma è un vero e proprio memoriale che Cavazzini costruì durante la prigionia. L’indirizzo delle famiglie denota proprio la volontà di proiettare i compagni nel futuro di pace che non avrebbero mai visto e restituendo alle loro famiglie il significato del sacrificio.
Analoga importanza assumono i cartellini che Giovanni Araldi riuscì a sottrarre dall’archivio del campo di Dora-Mittelbau a ridosso della Liberazione. Si tratta di parte di uno schedario in cui erano stati riportati nomi e numeri di matricola di ogni internato. I 302 cartellini che Araldi riuscì a salvare dalla distruzione riguardano in particolare gli internati che morirono a Dora. Nel 2003 Araldi affermò di averli voluti salvare per poter informare le famiglie della morte dei loro cari e per testimoniare il senso del loro sacrificio [5]. I cartellini e il quaderno di Cavazzini sono esposti nella mostra a simboleggiare non solo le dure condizioni di vita nei Lager, ma anche la consapevolezza che molti internati ebbero del significato della propria prigionia, intesa come una vera Resistenza contro i tedeschi e la Repubblica sociale.
3. Il percorso espositivo e la strategia narrativa
Il percorso espositivo si compone di otto blocchi tematici, divisi in sette sale, e seguono l’andamento cronologico della vicenda degli internati.
Il tema che viene offerto al visitatore all’inizio del percorso è quello dell’8 settembre e della conseguente occupazione del territorio nazionale da parte dei tedeschi. Il racconto è concentrato sulla realtà parmense, ma l’obiettivo è porre in evidenza quanto per i militari catturati a Parma il fattore resistenziale contro i tedeschi sia emerso già nel contesto dell’armistizio (le guarnigioni in città combatterono contro le Waffen-SS tra l’8 e il 9 settembre [Zannoni 1997]). Viene svolto un approfondimento anche verso coloro (la maggioranza degli Imi di Parma) che furono catturati all’estero. Alcuni, come quelli di stanza a Cefalonia e Corfù, vissero la cattura in sintonia con quanto accaduto nella propria città, cioè la deportazione come atto conseguente alla resistenza armata. Molti altri, invece, vissero la cattura in totale sbandamento, un sentimento di abbandono che segnò anche la vita nei Lager. Altri ancora, dopo mesi di prigionia, riuscirono a fuggire aderendo alla Resistenza in Francia o nei Balcani. La differenza di queste vicende è resa tramite il racconto di alcune emblematiche vicende personali, tutte diverse tra loro e che sono state selezionate proprio per la capacità di riassumere la grande differenza tra le vicende dei singoli internati.
Il racconto espositivo prosegue con gli episodi di “maternage” avvenuti in città e con un focus relativo alla Resistenza armata [Bravo, Bruzzone 1995]. La sala è un raccordo tra i blocchi tematici legati all’8 settembre e la vita nei Lager ed è costituita da proiezioni di video-testimonianze e i ruolini delle brigate partigiane. Quindi è stato scelto di utilizzarla come una sorta di “crocevia” per rendere conto di due fattori fondamentali. Il primo (già accennato in precedenza) è la differenza di significato che poteva assumere l’8 settembre a livello individuale per i militari (tra la cattura e la fuga), ma anche per i civili. In secondo luogo, per sottolineare quanto la Resistenza degli Imi sia parte di un insieme di “Resistenze”, da quella armata a quella civile. Il racconto di episodi come il salvataggio dei soldati da parte della popolazione, la fucilazione di Mascherpa e Campioni, ma anche la vicenda del militare Giacomo di Crollalanza (uno dei principali comandanti delle brigate parmensi) serve proprio a rappresentare plasticamente questo aspetto.
Segue la sala più grande, che costituisce il blocco tematico centrale: si tratta della quotidianità nei Lager, con le dure condizioni di vita e di morte. In questo contesto sono esposti gli oggetti di Guareschi, il quaderno di Cavazzini, la riproduzione dei cartellini di Araldi, ma anche numerosi disegni, lettere, taccuini e diari che costituiscono significative testimonianze di un’ordinarietà costituita per i soldati dal duro lavoro. Viene trattato il contesto del “no” alla trasformazione in lavoratori civili, il suo significato e le relative conseguenze.
L’ultimo blocco è costituito dal ritorno e dalla memoria. Tramite l’esposizione di diversi diari e memorie pubblicate [Guareschi 1949; Ferretti 1967; Valenti 2022] si racconta il difficile rientro degli Imi, l’oblio e le differenti auto-narrazioni che alcuni ex-internati intrapresero nei decenni successivi la guerra, come la costruzione (o la mancata costruzione) di memorie familiari, insieme alla consapevolezza di essere stati parte di una Resistenza dimenticata e non riconosciuta. Chiude la mostra la sala dedicata alla ricerca storiografica, che mette di fronte al visitatore i risultati conseguiti dall’indagine sul tema, nella consapevolezza che si tratta di un processo ancora in corso.
Accompagnano tutto l’arco narrativo importanti installazioni multimediali. In primis diverse video-interviste di testimoni raccolte a inizio anni Duemila, ma anche proiezioni dei disegni dell’internato Alberto Cavallari (conservati ai Musei di Palazzo dei Pio di Carpi), così come audio-racconti che guidano il visitatore in tutte le sale per approfondire quanto esposto nei pannelli e nelle bacheche. È presente anche un documentario di 15 minuti, realizzato da Amedeo Cavalca, che riassume la vicenda degli Imi parmensi e che viene reso fruibile a fine visita.
L’aspetto multimediale non è collaterale. Esso è fondamentale perché racchiude la strategia narrativa di tutta la mostra. Essa, volutamente, non si fraziona in singole vicende individuali, tenute insieme tramite un collage. Al contrario, al centro della mostra vi è il racconto dell’”altra Resistenza” che, come detto in precedenza, costituisce il vero fulcro e oggetto della narrazione. I video e gli audio, così come i pannelli e le bacheche, sono strumenti fondamentali per tenere compatta la narrazione e fornire strumenti al visitatore per comprendere il significato della mostra e la ricerca che ne è alla base.
4. L’inizio di una nuova memoria parmense degli Imi? Una conclusione in corso d’opera
La realizzazione di una mostra sugli internati militari ha posto sul tavolo numerose sfide. La memoria pubblica della guerra, a Parma, per molto tempo è stata costruita sul racconto della Resistenza armata, che negli ultimi decenni ha subito uno sbiadimento significativo, in sintonia con il contesto nazionale. Molto poco si era raccontato sulla deportazione dei militari e non era scontata una positiva accoglienza da parte del pubblico. Inoltre, vi era il rischio che la presenza di Giovannino Guareschi diventasse difficilmente gestibile, tanto da diventare preponderante rispetto a quella degli altri internati, per i quali si disponeva di poche fonti, almeno nelle fasi iniziali di ideazione della mostra.
A costituire un elemento essenziale e determinante è stata la disponibilità di molte famiglie nel mettere a disposizione le proprie carte.
La realtà parmense ha dimostrato, in questo senso, una inaspettata ricchezza di fonti. Una ricchezza intesa dal punto di vista quantitativo perché, al di là dell’importante fondo dell’Anrp conservato in Isrec Parma, è la documentazione delle famiglie che ha permesso un vero e proprio racconto plurale, facendo emergere per la prima volta vicende rimaste per anni nell’alveo delle memorie private e familiari. Ma anche dal punto di vista qualitativo. Grazie a questi documenti è stato possibile raccontare le molte sfaccettature dell’esperienze degli Imi e indagare storie che altrimenti sarebbero rimaste in penombra (si pensi a quelle dei “semplici” soldati) e che hanno rivelato un interesse storico decisamente elevato come dimostrano, fra gli altri, i documenti di Cavazzini e Araldi.
È troppo presto per pretendere di fornire delle conclusioni generali sull’esperienza di questa mostra e del ruolo che potrebbe avere in futuro sulla memoria della Resistenza di Parma. Nel momento in cui questo contributo viene scritto la mostra è a metà del suo percorso (chiuderà il 15 giugno 2024), ma ha già avuto un notevole successo di pubblico, con apprezzamenti più che positivi da parte della cittadinanza.
Certo è che con il coinvolgimento delle famiglie nella costruzione di questa esposizione si è, per certi versi, concluso, almeno per la realtà parmense, l’oblio in cui sono stati immersi gli internati per lungo tempo. Le loro vicende non sono più memoria delle singole famiglie: i diari, le lettere e i documenti sono passati dai cassetti delle case alle bacheche della mostra, diventando parte integrante della memoria pubblica.
L’internato Pietro Crimanti, una volta tornato a casa, scrisse nel suo diario (anch’esso esposto in mostra) che l’«Odissea dei figli di nessuno è finalmente terminata» [6]. Almeno per il caso di Parma è forse possibile affermare che anche grazie a questa mostra l’«Odissea» successiva, ovvero l’esclusione degli Imi dal racconto pubblico della Resistenza, sia veramente giunta al termine.
Bibliografia
- Bravo, Bruzzone 1995
Anna Bravo, Anna Maria Bruzzone, In guerra senza armi. Storia di donne 1940-1945, Roma-Bari, Laterza, 1995. - Catelli 2007-2009
Internati Militari Italiani “I.M.I.” e Politici italiani deportati e internati nei lager nazisti. Una Storia dimenticata. Frammenti di Storia, a cura di Fausto Catelli, 5 voll., s.l., s.e., 2007-2009. - Ferretti 1967
Gaetano Ferretti, Per la libertà. Gli internati militari italiani in Germania. Diario settembre 1943 – Settembre 1945, Parma, Scuola Tipografica Benedettina, 1967. - Guareschi 1949
Giovannino Guareschi, Diario clandestino 1943-1945, Milano, Rizzoli, 1949. - Hammermann 2004
Gabriele Hammermann, Gli internati militari italiani in Germania 1943-1945, Bologna, il Mulino, 2004. - Labanca 1992
Fra sterminio e sfruttamento. Militari internati e prigionieri di guerra nella Germania nazista (1939-1945), a cura di Nicola Labanca, Firenze, Le Lettere, 1992. - Labanca 2022
Nicola Labanca, Prigionieri, internati, resistenti. Memorie dall’“altra Resistenza”, Roma-Bari, Laterza, 2022. - Melegari 2024
Rocco Melegari, Prigionieri del Terzo Reich. Gli Internati militari italiani di Parma, in Mira 2024, pp. 121-178. - Mira 2024
Deportati dal Parmense. Oppositori politici, ebrei, internati militari, lavoratori coatti (1943-1945), a cura di Roberta Mira, Parma, Mup, 2024. - Natta 1997
Alessandro Natta, L’altra Resistenza. I militari italiani internati in Germania, Torino, Einaudi, 1997. - Schreiber 1997
Gerhard Schreiber, I militari italiani internati nei campi di concentramento del Terzo Reich 1943-1945. Traditi – Disprezzati – Dimenticati, Roma, Stato Maggiore dell’Esercito-Ufficio Storico, 1997. - Valenti 2022
Michele Valenti, Diario di un prigioniero, Parma, Grafiche Step, 2022. - Zannoni 1997
Mario Zannoni, Parma 1943. 8 settembre, Parma, Pps editrice, 1997.
Risorse
- Videodocumentario L’Altra Resistenza. Internati militari italiani a cura di Amedeo Cavalca, proiettato all’interno della mostra:
https://youtu.be/v-PW6ggy5U4 - Servizio 12TvParma su inaugurazione mostra
https://www.12tvparma.it/puntata/tg-parma-edizione-del-20-04-2024-ore-1245/laltra-resistenza-ape-museo-inagura-la-mostra-sugli-internati-militari/ - Banca dati Imi del Parmense
https://database.istitutostoricoparma.it/archivio/database/internati-militari-italiani-del-parmense.html
Note
1. Intervista a Giovanni Araldi, a cura di Guido Pisi e Primo Giroldini, Salsomaggiore, 14 novembre 2003, nell’ambito del progetto Archivi audiovisivi della memoria, https://www.testeparlantimemorie900.it/video/giovanni-araldi/.
2. La mostra è stata realizzata con il sostegno di Fondazione Monteparma, Città di Parma e Regione Emilia-Romagna.
3. In particolare, si ricordano le famiglie Battei, Cavazzini, Crimanti, De Vita, Orlandi, Ponzi, Ravanetti, Serventi, Spagnoli, Tardini Valenti.
4. Archivio Isrec Parma, fondo Pietro Cavazzini.
5. Intervista a Giovanni Araldi.
6. Diario di Pietro Crimanti, in data 29 settembre 1945, s.p. Il diario è conservato presso l’archivio familiare.