Come può immaginare, il progetto per la realizzazione del Museo nazionale della resistenza e della libertà di Peniche è quasi completamente sconosciuto in Italia. Per questo, le vorremmo chiedere di iniziare presentandolo brevemente al pubblico italiano

Una volta completato, il Museo nazionale della resistenza e della libertà di Peniche diventerà il maggiore polo museologico dedicato al tema della repressione politica e della resistenza politica all’Estado Novo tra il 1926 e il 1974. Dunque, anche se ospitato nella Fortezza di Peniche, non sarà un museo che si concentrerà sul racconto di una singola struttura repressiva, bensì un polo nazionale dedicato alla repressione politica e al momento resistenziale alla dittatura la cui tutela ricadrà sotto la responsabilità del Ministero della Cultura e non solo della Camera municipale di Peniche. La struttura sarà dunque riconosciuta come museo nazionale e otterrà lo stesso status che hanno già altri musei portoghesi, come ad esempio quello di arte antica di Lisbona. Tuttavia, il museo di Peniche manterrà al tempo stesso anche una forte connotazione con il tessuto locale. Questo è dovuto alla stessa storia del luogo che andrà ad ospitarlo, ovvero la Fortezza. L’edificio risale al XVI secolo, quando venne costruito per la difesa del Portogallo durante l’antico regime. Fu solo durante l’invasione napoleonica che fu trasformato in prigione, continuando a svolgere tale compito sino all’epoca dell’Estado Novo e anche oltre. Dunque la Fortezza ha una sua propria storia in qualità di roccaforte militare e poi di prigione. Una storia che travalica quella dell’Estado Novo e che il museo intende ricostruire e raccontare. È in questo modo, quindi, che questo progetto abbraccerà le due dimensioni locale e nazionale, raccontando la storia della repressione politica e della resistenza durante l’Estado Novo, ma anche quella della Fortezza di Peniche come luogo prima militare e poi di detenzione, dal XVI secolo in avanti.

Per quanto riguarda la narrazione della repressione politica il museo ne seguirà il decorso specificandone le differenziazioni lungo tutta la storia dell’Estado Novo. A partire dal colpo di stato militare del 1926 fino agli anni Cinquanta, nella Fortezza di Peniche la repressione fu soprattutto disorganizzata e blanda. Solo successivamente, quando la Fortezza divenne una prigione politica come già ve ne erano in altre parti del Portogallo - si pensi ad esempio alla prigione di Aljube a Lisbona o al campo di Tarrafal a Capo Verde – che la repressione si fece organizzata e sistematica. Inizialmente, appunto, la Fortezza era un luogo dove i prigionieri venivano rinchiusi senza però essere sottoposti a particolari processi politici o punizioni fisiche. Vi erano ovviamente delle guardie, ma non c’era alcun clima particolarmente repressivo e i prigionieri erano liberi di organizzare le loro attività come i corsi di alfabetizzazione o di coscienza politica. Tutto ciò scomparve in una fase successiva. Dopo gli anni Cinquanta la vita dei reclusi si fece più difficile. Vennero costruite celle individuali, celle di isolamento, sezioni carcerarie che dividevano i detenuti con una maggiore coscienza politica nonché in base alle loro affiliazioni politiche, in modo da separare repubblicani, anarchici, socialisti e comunisti.

In conclusione possiamo affermare che la storia della Fortezza di Peniche racconta di due momenti della repressione dell’Estado Novo: uno meno professionalizzato, fino agli anni Cinquanta; ed uno, successivo, più istituzionalizzato. Questo verrà raccontato attraverso un percorso museologico già approvato, che sarà in linea di principio simile a quello già utilizzato per il Museo di Aljube, dunque articolato in clusters che spiegheranno la storia della fortezza; la storia della dittatura e la repressione messa in atto dall’apparato poliziesco; la resistenza e le sue diverse correnti interne; la forma della prigione e la sua evoluzione.

Come si è svolto il processo decisionale sui contenuti museologici?

L’iniziativa di creare un museo nazionale nella Fortezza di Peniche che racconti la repressione e la resistenza all’Estado Novo è stata presa dall’Assemblea nazionale e più precisamente da quei partiti che appoggiano l’attuale maggioranza parlamentare [Partido socialista, Partido comunista português (Pcp) e Bloco de esquerda]. Questi ultimi, nonostante il tema sia ovviamente universale e politicamente trasversale, sono stati però gli unici a nominare i membri della commissione organizzatrice. Quest’ultima è formata da tre diverse tipologie di membri: ex resistenti, funzionari governativi e ricercatori universitari.

Il primo gruppo è composto da membri della resistenza all’Estado Novo che, nominati dal Ministero della Cultura, hanno diritto di voto in quanto rappresentanti delle varie correnti di opposizione alla dittatura. In generale questi sono stati indicati dal Partido socialista, dal Partido comunista e dal Bloco d’esquerda, e sono tutte persone imprigionate durante la dittatura, a Peniche o altrove. Tra questi vi è, ad esempio, Fernando Rosas, che non è dunque presente nella commissione in qualità di storico, ma come ex prigioniero politico. Il secondo gruppo è quello formato da funzionari governativi in rappresentanza della struttura del Ministero: il capo di gabinetto, la direttrice generale del patrimonio culturale e due tecnici, uno dell’area della museologia e l’altro della produzione di contenuti. Questi hanno diritto di voto in rappresentanza del Ministero. Infine, vi sono tre rappresentanti di tre unità di ricerca, il Centro de investigação transdisciplinar «Cultura, espaço e memória» (Citcem) dell’Università di Porto, l’Instituto de história contemporânea (Ihc) dell’Università Nova di Lisbona e il Centro de estudos interdisciplinares do século XX (Ceis20) dell’Università di Coimbra [al quale appartiene anche il prof. João Nunes, n.d.t], questi ultimi senza diritto di voto ma solo in qualità di consulenti.

In questo modo, i contenuti del museo sono conseguenza diretta della composizione della commissione e dunque espressione dei partiti politici della maggioranza di governo. In questo senso, ad esempio, la commissione ha deciso che la dittatura portoghese sarà comparata solamente con altre dittature fasciste e non con regimi di altra natura politica del Novecento.

Un Museo della resistenza e della libertà aveva già aperto nel 2015 nell’antica prigione di Aljube, nel centro di Lisbona. Qual è la relazione tra il nuovo Museo di Peniche il Museo di Aljube? Quali sono le differenze e le somiglianze espositive tra i due poli museali?

Una prima differenza tra i due poli è che il Museo di Peniche sarà più ampio e si occuperà di trattare tutte le strutture penitenziarie e repressive dell’Estado Novo – compreso il campo di concentramento di Tarrafal, a Capo Verde – evidenziandone i vari strumenti e gli spazi che venivano utilizzati a tale scopo. Vi saranno, ad esempio, degli approfondimenti specifici su come venivano costruite le celle e i luoghi per gli interrogatori. Inoltre, a Peniche avranno maggiore spazio le diverse correnti politiche che organizzarono la resistenza all’Estado Novo, nonché le varie forme e modalità che questa prese nel corso degli anni. Infine, nella narrazione si cercherà di dare una caratterizzazione sistematica dei prigionieri politici che effettivamente furono detenuti nella Fortezza. A tal proposito, ad esempio, è già previsto un memoriale dove saranno identificati i nomi e cognomi di tutti coloro che vennero imprigionati nella Fortezza di Peniche.

È inoltre previsto un centro di documentazione e un archivio. Questo conterrà documenti relativi ai temi trattati dal museo e sarà concepito come spazio di ricerca aperto, dunque disponibile per organizzare le esposizioni temporanee, che potranno essere basate sui documenti presenti nell’archivio. Sarà un centro aperto anche nel senso che è previsto un programma di raccolta delle memorie orali sia dei prigionieri politici di Peniche ancora viventi sia dei familiari dei detenuti. La creazione di questo archivio presenta al momento alcune difficoltà logistiche, soprattutto per quanto riguarda la vicinanza della Fortezza al mare e tutte le problematiche di salinità e umidità connesse. Il tema deve ancora essere trattato nello specifico, ma nel caso non fosse possibile impiantare l’archivio nella Fortezza questo sarà organizzato comunque in un’altra parte della cittadina. Infine, per tornare alla compenetrazione tra locale e nazionale, il museo affronterà anche il rapporto che si venne a creare durante l’Estado Novo tra la popolazione di Peniche e la presenza della prigione politica, soprattutto raccontando le forme e le modalità dell’appoggio che la comunità locale diede ai prigionieri politici.

I due musei – di Aljube e di Peniche – si focalizzano sulla fase resistenziale alla dittatura di Salazar. Desideravamo chiederle quali sono le motivazioni che stanno dietro alla decisione di centrare l’attenzione su questo specifico aspetto narrativo e non sulla dittatura in generale, e come il Museo di Peniche si inserisce nel dibattito di costruzione di un centro di interpretazione dell’Estado Novo.

Nella commissione il tema non è stato assolutamente affrontato e non c’è stato nessun dibattito. Non vi è neanche stata nessuna proposta per costruire una rete museale su questi temi, né con il museo di Aljube, né con il futuro centro di documentazione e interpretazione sull’Estado Novo [da realizzarsi a Santa Comba Dão, città natale di Salazar, il cui progetto è attualmente in fase di definizione, n.d.t.]. Tra l’altro sarebbe stata una ottima idea in quanto il Museo di Peniche avrebbe potuto credibilmente proporsi come centro promotore di una rete museologica sull’Estado Novo.

La mia opinione è che, come anche a Predappio, si tratta di una questione di occupazione degli spazi pubblici al fine di limitare la presenza neofascista, molto più forte in Italia ovviamente che in Portogallo. Questo obiettivo può essere raggiunto solamente attraverso un discorso storiografico maturo e serio che proponga una lettura della realtà storica da contrapporre a quella, non scientifica, propagandistica e politica, dei gruppi neofascisti. Questa è dunque un’iniziativa che non deve essere presa dalla Camera municipale, ma dall’Assemblea insieme a poli storiografici come ad esempio l’Ihc di Lisbona il Ceis20 di Coimbra, e che deve sviluppare un museo non nella casa di Salazar, ma in qualche locale vicino, così da permettere di non fare una narrazione solamente personale, ma sull’Estado Novo in generale. Quando la critica storiografia è debole, lo spazio da essa lasciato libero è occupato dall’estrema destra. Dunque gli storici hanno il dovere morale di ricoprire coscienziosamente il loro ruolo pubblico.


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