Le polemiche innescate dalla proposta del sindaco di Predappio per un museo sul fascismo, che hanno raggiunto il loro culmine nel biennio 2016-2017, non si sono ancora esaurite del tutto. Nonostante nelle intenzioni del sindaco e dei sostenitori del progetto la realizzazione del museo sia cosa certa, legata solamente al reperimento dei fondi necessari e ai tempi materiali per il restauro dell’edificio e dell’allestimento della mostra permanente, nel 2018 si torna a parlare di Predappio.
A inizio anno sul “Corriere della Romagna” il progetto museale incontra il parere favorevole dell’Unione delle comunità ebraiche italiane (Ucei). La presidente Noemi Di Segni, in sintonia con il sindaco Frassineti, condivide la sua volontà di liberare Predappio dalla morsa dei pellegrinaggi nostalgici e del neofascismo: «noi ebrei italiani siamo sicuri che edificare luoghi della memoria che contribuiscano a trasmettere la conoscenza storica di quanto drammaticamente avvenuto a causa del fascismo e del nazismo sia un antidoto contro il riaffacciarsi di questi fantasmi del passato». Di Segni afferma anche la necessità e il dovere di lavorare sulla storia e sulla memoria, con una particolare attenzione alle nuove generazioni. Il progetto viene visto perciò dalla presidente come un apripista per la nascita di altre iniziative tese alla promozione della storia e la memoria.
Ma di Predappio non se ne parla soltanto in Italia. La vicenda finisce per attirare nuovamente l’attenzione della stampa estera. È il caso del “Washington Post”, con un articolo uscito alla fine di gennaio e ripreso da “Il Secolo d’Italia” il giorno successivo. Gli autori (Michael Birnbaum e Stefano Pitrelli) si mostrano sorpresi dal fascino che – a loro avviso – ancora esercitano Mussolini e il Ventennio sul nostro paese, e dalla proposta di costruire un museo sul fascismo a Predappio, che ha riacceso un lungo dibattito sul rapporto conflittuale fra l’Italia e Mussolini (nel 2017 nominato uomo dell’anno da “Il Tempo”). «Molti storici e politici affermano che l’Italia non ha mai fatto i conti con il suo passato fascista» scrive il quotidiano statunitense. Oggigiorno in questo vuoto molti politici di destra si ispirano direttamente o meno a Mussolini come modello. Da qui la curiosità verso la proposta del sindaco del Pd della piccola cittadina romagnola che ha dato i natali proprio a Mussolini: «Predappio è il posto giusto per farlo, perché è un simbolo fascista. Voglio usare la cultura come arma di distruzione di massa per l’ignoranza», dichiara Frassineti al “Post”. «In Europa c’è un vento che soffia in quella direzione» - afferma riferendosi al ritorno delle destre e dei nazionalismi - «questo paese ha rinunciato ad un’intera generazione, perché le scuole e i politici non hanno fatto il loro lavoro». Vengono poi ascoltate tutta una serie di voci sia favorevoli al progetto, come Noemi di Segni, Marcello Flores e Emanuele Fiano, sia contrarie come Anna Foa e Carla Nespolo.
Mentre si consumavano gli ultimi giorni della campagna elettorale in vista delle elezioni politiche del 4 marzo, su “4live” (giornale online di riferimento nel territorio forlivese) si scriveva di «un passo decisivo per il recupero dell’ex Casa del fascio e dell’ospitalità di Predappio». Vengono, infatti, stanziati dal Mibact un milione e 500 mila euro per il recupero e il restauro dell’edificio. Lo dichiara il deputato forlivese Marco Di Maio del Partito democratico, che fin dall’inizio del suo mandato ha spinto per la realizzazione di questo progetto. Si è occupato, in particolare, di sensibilizzare le istituzioni nazionali sull’importanza dell’iniziativa e del suo investimento in denaro, tenendo contatti diretti con Giorgio Frassineti, il Comitato scientifico e l’allora ministro dei beni e delle attività culturali Dario Franceschini. «Ora potremmo realizzare un progetto di portata storica, culturale e didattica. Un investimento sul futuro del Paese, del nostro territorio e dei nostri ragazzi» - conclude Di Maio.
Diversamente dai precedenti interventi, dove chi scriveva solitamente si dichiarava favorevole o contrario al progetto per un museo sul fascismo a Predappio ed esponeva le motivazioni a sostegno della sua tesi, su “WuMingFondation” viene pubblicato un corposo articolo in cui l’autore guarda la questione Predappio da una prospettiva diversa. La firma è di Gianluca Gabrielli, storico e insegnante, che lamenta la mancanza di continuità di lavoro fra gli storici e gli insegnanti: gli storici, a suo avviso, non fanno in modo che i risultati delle loro ricerche siano trasmessi in ambito didattico, dove l’unico punto di contatto con l’insegnante rimane il manuale scolastico. E il progetto del museo di Predappio non fa eccezione, mancando una dimensione didattica poiché l’esposizione sembra «pensata per chi già sa e conosce». Partendo dall’ottica di un insegnante o di un mediatore didattico, Gabrielli prosegue chiedendosi come debba essere organizzata una visita scolastica al museo di Predappio. Inizia dai più giovani: «se avessi una classe di scuola elementare semplicemente non ci andrei» - afferma -, essenzialmente per la difficoltà nello spiegare loro il fascismo senza parlare delle due guerre mondiali. Per quanto riguarda le scuole medie inferiori, il suo discorso si concentra sulle terze medie «ma limitatamente a chi insegna nella provincia di Forlì, perché occorre ricordare che tra le caratteristiche di cui gli insegnanti devono tenere conto per preparare un’uscita didattica c’è la logistica»: in altre parole, Predappio non è facile da raggiungere, e per questo la gita scolastica richiederebbe più giorni. Il problema logistico, secondo Gabrielli, si presenta anche nelle scuole secondarie di secondo grado. Nonostante ciò, quegli insegnanti che decidono di organizzare una gita a Predappio devono necessariamente tenere conto che «il museo sta in un contesto fortemente segnato: allestito nella ex Casa del fascio, è dunque collocato fra la casa natale di Mussolini e la sua tomba, di fronte ad una scuola a forma di “M”, in una città di fondazione punteggiata da oggettistica nazifascista». Quindi Gabrielli ipotizza quattro diverse opzioni: cercare di evitare alle classi il contatto con il contesto esterno al museo e con il mondo del merchandising fascista, provando a contenere la loro curiosità; affidare la gita a docenti che sanno poco o nulla su Predappio e di tutto il dibattito che si è creato attorno al museo, permettendo così alle classi di venire a contatto con i souvenir e i gadget legati al fascismo; approfondire le conoscenze preliminari sulla situazione di Predappio e sulla presenza della memoria legata a Mussolini, ma in tal modo rischiando di focalizzare l’attenzione esclusivamente sulla figura del Duce; preparare un itinerario nella cittadina per vedere l’eredità del passato, così affrontando anche il tema del neofascismo e della sua attualità e proponendo confronti con altri casi presenti in Europa. Ma questo sarebbe possibile solamente con molte lezioni preparatorie, alla fine delle quali sopravvivrebbe il dubbio di non aver stimolato a sufficienza le classi tanto da far nascere in loro una partecipazione emotiva. A conclusione della sua riflessione, Gabrielli sottolinea come nel nostro paese ci siano molti musei, piccole realtà territoriali che si sono sviluppate in contesti locali e che tentano di affrontare il fascismo e la lotta di liberazione anche nella dimensione nazionale: un «museo diffuso», che «è diventato la strada italiana alla riflessione pubblica sul Ventennio». È una rete che spesso non gode né di fondi né dell’appoggio delle istituzioni: «perché non sostenere, valorizzare e incrementare questa capillarità di luoghi nel territorio, questi micro musei scolastici e cittadini, perché non iniziare ad affiancare ai monumenti e alle architetture fasciste delle didascalizzazioni storiche e critiche?» Per fare ciò ci vorrebbe un punto di riferimento a livello nazionale facilmente raggiungibile, eliminando così ogni problema legato alla logistica: Milano e/o Roma, per il loro ruolo avuto nella storia del fascismo, sarebbero ideali secondo Gabrielli. Predappio potrebbe invece essere una delle sedi minori di questa «rete informale».
Ad aprile sulla rivista culturale “Pangeanews” troviamo un reportage a firma di Davide Brullo, che si è recato a Predappio per intervistare il sindaco Frassineti. Inizia descrivendo il paesaggio collinare romagnolo che si incontra prima di giungere a Predappio. Una volta arrivato nella piccola cittadina emergono subito i primi elementi di identificazione col fascismo: il volto di Mussolini impresso nelle vetrine dei negozi di souvenir, i manifesti che invitano esplicitamente i turisti a visitare villa Mussolini. «Predappio è la città del Duce» scrive Brullo. L’edificio storico sede dell’ufficio del sindaco era la scuola elementare dove insegnava la madre di Mussolini, poi divenuto dimora della famiglia del duce. «Mussolini è dappertutto, a Predappio. Insistente, pervasivo, profondo. Come un fischio». Brullo poi si concentra sul progetto del museo del fascismo, intervistando Frassineti: «per troppo tempo» - dichiara il sindaco - «i cittadini di Predappio hanno dovuto subire il peso di un’onta: essere i concittadini del Duce. A Predappio è nato Mussolini, è vero, ma tutti sanno che il fascismo è nato a Milano. Predappio non è la Chernobyl della Storia, noi non abbiamo disonorato l’Italia». Brullo allora fa notare a Frassineti che nel 2019 dovrà giocoforza abbandonare la poltrona di sindaco, e gli domanda se questo potrà mettere a rischio il completamento del progetto: «tra un paio di mesi varerò la Fondazione Predappio» - risponde il sindaco - «una struttura privata con il compito di trovare risorse per terminare il progetto museale. Vigilerà affinché i lavori non finiscano per strada».