La presentazione del libro di Marco Magnani, Sindona. Biografia degli anni Settanta (Einaudi 2016), tenutasi a Bologna presso l’Istituto per la storia e le memorie del ‘900 Parri - Emilia Romagna il 19 novembre 2016, è stata l’occasione per un serrato confronto sul rapporto tra finanza, imprenditoria e potere politico nella storia d’Italia. Moderati da Cinzia Venturoli, l’autore, l’economista Vera Negri Zamagni e il politologo Piero Ignazi hanno commentato da punti di vista anche diametralmente opposti la parabola del banchiere Michele Sindona, morto suicida nel 1986 nel carcere di Voghera dopo una carriera da finanziere spregiudicato tra Italia e Stati Uniti. Sfruttando solidi rapporti con importanti settori della Democrazia cristiana, in Vaticano e nella massoneria deviata, muovendosi con padronanza tra gli interessi della criminalità organizzata e le manovre di settori istituzionali coinvolti in disegni eversivi, da oscuro fiscalista messinese trapiantato a Milano nel 1946 divenne agli occhi di tanti analisti degli anni Sessanta un banchiere di successo: il campione del liberismo capace di costruire un impero di oltre 125 imprese sparse in undici paesi. La repentina bancarotta del 1974 e i successivi procedimenti giudiziari avviarono un declino a cui Sindona tentò inutilmente di sfuggire ricorrendo all’aiuto della mafia, che si prodigò con sistematiche intimidazioni a concorrenti e figure istituzionali giudicate ostili, fino all’omicidio del commissario liquidatore Giorgio Ambrosoli nel 1979 e alla messinscena di un finto sequestro del banchiere.

Nell’agile ricostruzione di Marco Magnani ritroviamo i protagonisti di una vicenda complessa, in cui spiccano i rapporti di Sindona con Giulio Andreotti e Licio Gelli, e l’isolamento dei pochi che si opposero al banchiere siciliano. «Sindona – sostiene l’autore – fu la personificazione estrema di una caratteristica italiana che iniziò ad assumere un forte rilievo negli anni Settanta, ben al di là del campo finanziario: il disprezzo nei confronti di regole che discendessero da esigenze di tutela del bene comune e la connessa incapacità da parte delle istituzioni politiche ed economiche di imporle con successo».

Piero Ignazi, commentando il libro, individua le principali responsabilità del caso Sindona nella mancanza di un’impronta etica nell’intera storia del capitalismo italiano, nell’ostilità più volte manifestata dalla classe imprenditoriale nostrana verso strumenti di controllo e garanzia a salvaguardia dell’interesse generale. Una predisposizione al guadagno facile, a tutti i costi, che avrebbe condotto la grande e media borghesia a spalancare sistematicamente le porte a quanti assicuravano scorciatoie redditizie nell’evasione fiscale e nelle speculazioni finanziarie. Sindona e la sua ascesa costituiscono per Ignazi l’ennesima prova d’immaturità nel percorso delle elites economiche italiane.

Vera Negri Zamagni si oppone con forza a questa lettura: nella storia del nostro paese l’intervento pervicace del potere politico in campo economico ha causato anomalie e distorsioni, ha impedito, in via definitiva, che le forze economiche dispiegassero liberamente il proprio potenziale. Dirigismo, nazionalizzazioni forzate e corruzione delle istituzioni sono i mali che hanno pregiudicato – a suo parere – il rafforzamento delle aziende nazionali sul mercato mondiale e in cui trovano opportunità personaggi come Sindona. Fuorviante, continua la Zamagni, valutare la vicenda del capitalismo italiano con i parametri dell’etica, un errore da non commettere mai nell’osservazione della storia economica di uno Stato.

Marco Magnani attribuisce al caso Sindona il valore di una «biografia degli anni Settanta», nelle sue pagine trovano in effetti rappresentazione tante dinamiche di quel periodo e si intravede il declino del sistema istituzionale che porterà alla fine della prima Repubblica. La complessità del decennio si offre certamente a molteplici letture, altri protagonisti riempiono la scena accanto al banchiere messinese, tuttavia le interpretazioni così divergenti e di largo respiro proposte da Ignazi e dalla Zamagni fanno pensare a una vicenda che ben si presta ad essere chiave di lettura per tanti passaggi cruciali dell’intera storia unitaria italiana.