1. Introduzione: l’inizio della fine

Le colonie per l’infanzia sono un fenomeno sociale complesso, le cui radici affondano negli sviluppi igienico-sanitari dell’Ottocento, legati alla cura delle malattie infettive dell’apparato respiratorio. Nel corso del Novecento, le colonie hanno inoltre svolto un ruolo educativo e culturale importante, in Europa e a livello globale [Frabboni 1971; Balducci 2005a; Balducci 2007; Pivato 2023]. In Italia, le prime colonie hanno unito sperimentazioni mediche, cure climatiche e modelli di beneficenza borghese, come nel caso degli ospizi marini, promossi dal medico toscano Giuseppe Barellai a partire dagli anni Sessanta dell’Ottocento [Balducci 2016, 128-144]. Nel corso del Novecento, le colonie hanno acquisito molti altri significati, in particolar modo legati all’educazione delle masse e alla costruzione di un’identità politica nelle giovani generazioni, promossi sia dai regimi totalitari, sia da governi democratici. In molti casi, queste costruzioni hanno anticipato l’urbanizzazione di nuove mete turistiche costiere e montane, rese accessibili dalle nuove linee ferroviarie in costruzione [Balducci 2005b, 8-19]. Durante il ventennio fascista, le colonie sono state uno strumento prediletto dal regime di Benito Mussolini per la costruzione del consenso e l’educazione paramilitare della gioventù. In pochi anni, le colonie sono diventate un campo straordinario di sperimentazione architettonica e tecnologica, in linea con le finalità formative e militari del regime [Mucelli 2009; Franchini 2009; Mira, Salustri 2019] [1]. Negli anni del boom economico, dopo la caduta del regime e la fine del suo monopolio sull’educazione, il numero di colonie per l’infanzia costruite sul territorio italiano è aumentato a dismisura. Le multiformi direzioni pedagogiche promosse da diversi enti statali, religiosi, di partito o privati sono state tradotte in numerose nuove costruzioni dai diversi linguaggi architettonici, più o meno sperimentali e più o meno evidenti nel denso tessuto delle località di vacanza. Alla fine dei trente glorieuses, dalla seconda metà degli anni Settanta, l’esperienza delle colonie per l’infanzia è andata declinando in tutta Europa, Italia compresa. La progressiva individualizzazione del tempo libero e di vacanza ha minato alla base il concetto della colonia, il cui fenomeno si è di fatto estinto nel giro di pochi decenni. Sulla sola costa adriatica dell’Emilia-Romagna, nel 1986 erano presenti 252 colonie per l’infanzia: quasi la metà di tale patrimonio era ancora adibito a colonia estiva [Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna 1986]. Oggi, il quadro è radicalmente cambiato. Una recente mappatura ha rilevato che solo 22 colonie risultano in uso, in linea con la funzione originaria, 67 sono in abbandono e 50 edifici sono stati demoliti [Giannico 2020-2021]. Tuttavia, le tracce di queste strutture e delle attività che ospitavano sono ancora presenti nei tessuti urbani costieri, montani e rurali: centinaia di ex-colonie costellano la penisola italiana e sono in attesa di progetti di riqualificazione e riuso. A parte pochi esempi virtuosi, si assiste ad una generale indifferenza riguardo tali immobili e le loro storie, spesso rese complesse dalla frammentazione proprietaria, dalla dimensione dei fabbricati e dalle trasformazioni del paesaggio circostante.

Qual è lo stato, oggi, delle tante colonie che il Novecento ha lasciato dietro di sé sul territorio italiano? Quali significati sono veicolati da questo patrimonio, e in che modo è possibile salvaguardarlo? Questo saggio non ha l’ambizione di definire delle linee guida operative e pratiche sulle tecniche e le strategie per il restauro e il riuso di questo patrimonio, ma intende presentare una lettura panoramica, necessariamente non esaustiva, delle tracce materiali legate al fenomeno delle colonie per l’infanzia in Italia. Il testo si concentra su due categorie di ex colonie per l’infanzia: le grandi strutture costruite durante il regime fascista e le tante e diffuse costruzioni edificate nel secondo dopoguerra [2].

Fig. 1.L’ex-colonia Varese a Milano Marittima [foto Sofia Nannini, 2022].
Fig. 1.L’ex-colonia Varese a Milano Marittima [foto Sofia Nannini, 2022].

2. Le colonie per l’infanzia del regime fascista: un difficult heritage in rovina?

Gli anni del regime fascista in Italia hanno lasciato dietro di sé un consistente patrimonio architettonico e monumentale, che ancora caratterizza lo spazio pubblico di molte città italiane. Ignorata per decenni, per necessità o imbarazzo, solo di recente questa eredità è stata interpretata da numerosi studiosi sotto una nuova luce, attraverso la definizione di difficult heritage, coniata dalla studiosa Sharon Macdonald per analizzare il patrimonio del regime nazista [Macdonald 2009] e presto adottata per discutere dell’eredità architettonica del regime fascista in Italia [Arthurs 2010; Hökerberg 2018; Carter, Martin 2019; Belmonte 2019; Bartolini 2020; Albanese, Ceci 2022].

Fig. 2. Bambini figli di coloni italiani in Libia presso la Colonia Gil a Marina di Ravenna, estate 1942 [fotografie 29I/44I, Fondo Tino Dalla Valle, Biblioteca Oriani, Ravenna].
Fig. 2. Bambini figli di coloni italiani in Libia presso la Colonia Gil a Marina di Ravenna, estate 1942 [fotografie 29I/44I, Fondo Tino Dalla Valle, Biblioteca Oriani, Ravenna].

Tra le tante tracce materiali del regime, vi sono decine di ex colonie per l’infanzia dalle dimensioni imponenti, quasi sempre abbandonate e collocate in posizioni paesaggistiche strategiche. Le colonie promosse dalla politica fascista sono nate con l’intento di creare degli insediamenti permanenti nel paesaggio italiano, volti ad un’educazione di massa della gioventù. L’impatto sociale della politica assistenziale del regime non è trascurabile: nel 1942, sono attive quasi 6.000 colonie che ospitano oltre 900.000 bambini in tutto il Paese [Mira 2019, 38]. Si tratta di un patrimonio non unitario, ma frammentato per promotori, località e scopi, che segue l’andamento delle politiche del regime fascista tra gli anni Venti e l’inizio degli anni Quaranta, in costante tensione tra centro e periferia [Salustri 2019]. Da un lato vi sono le colonie promosse dai Fasci di combattimento e da enti statali come l’Opera nazionale Balilla (Onb) e l’Opera nazionale maternità e infanzia (Onmi), dall’altro sono numerose le industrie che promuovono le proprie colonie per figli dei dipendenti, tra cui la Fiat [Jocteau 1990]. Solo con l’istituzione della Gioventù italiana del littorio (Gil) nel 1937, che incorpora l’Onb e la Federazione giovanile dei fasci di combattimento, si giunge ad un controllo in senso totalitario sull’assistenza alla gioventù e, di conseguenza, sulla costruzione di architetture adibite a colonie per l’infanzia. Il risultato di queste politiche frammentate si concretizza in una disomogeneità architettonica, che comprende non solo le grandi colonie maggiormente note – come la colonia Costanzo Ciano, poi Varese a Milano Marittima (1937-39) –, ma anche tante costruzioni minori progettate a livello locale, sul lungomare o nelle campagne [Balducci 2019]. Durante gli anni della Seconda guerra mondiale, le colonie sono state utilizzate dal governo italiano per scopi strategici. Dal 1940, tante strutture hanno ospitato migliaia di bambini, figli e figlie dei coloni italiani in Libia [Prestopino 2007] [3]. Nei lunghi mesi del fronte interno e anche dopo la fine del conflitto, alcune colonie sono state trasformate in sedi di ospedali militari.

Alla fine della guerra, le tante colonie promosse durante gli anni del ventennio fascista risultano pesantemente danneggiate a causa dei bombardamenti e delle occupazioni militari e civili. Buona parte di questo patrimonio, un tempo appartenuto alla Gil, passa nelle mani del Commissariato nazionale della gioventù italiana, l’ente incaricato di occuparsi del recupero e della dismissione delle proprietà immobiliari dell’ex Gil, commissariata dal governo Badoglio nel 1944 [4]. Nonostante il commissariamento, con finalità temporanea, il Commissariato nazionale per la gioventù italiana, suddiviso in Commissariati provinciali, è rimasto attivo come ente statale fino al passaggio delle sue competenze nei confronti delle Regioni, nel 1975. La ripresa delle attività assistenziali per l’infanzia nei grandi edifici ereditati dal fascismo si deve dunque alla Gioventù italiana, che agisce talvolta in autonomia, talvolta tramite l’affidamento della gestione organizzativa a enti terzi. In certi casi, alcune strutture sono brevemente usate come colonia, per poi essere occupate per lungo tempo da profughi di guerra: un esempio è la colonia Fara a Chiavari, che ha ospitato numerosi profughi istriani fino alla metà degli anni Cinquanta.

L’eredità delle strutture monumentali del fascismo presenta una doppia complessità. Da un lato, si tratta di edifici dalle dimensioni imponenti, costosi da mantenere durante l’arco dell’anno. Dall’altro, fin dai primi anni Cinquanta alcuni commissari provinciali della Gioventù italiana sono consapevoli che queste strutture portano con sé un immaginario politico e militare che potrebbe influenzare i modelli educativi adottati durante le attività delle colonie. Come scrive il commissario provinciale di Ravenna nel 1951,

come negli edifici semidistrutti nei quali operavamo restava la traccia di quella Elle mancante e dei fregi, così restavano nella gente i vecchi metodi – o le vecchie abitudini – e anche la colonia di vacanza del Commissariato che avevo l’ordine di dirigere somigliava piuttosto ad una caserma [Dessì Fulgheri 1951, 37].

Per far fronte ad una gestione immobiliare costosa e complessa, nel 1952 l’allora commissario nazionale, e politico della Democrazia cristiana, Giovanni Elkan, firma una convenzione con la Pontificia commissione di assistenza, l’ente pontificio fondato da Ferdinando Baldelli e uno dei maggiori attori nelle politiche assistenziali italiane del dopoguerra. La convenzione Elkan-Baldelli dà in gestione una buona parte delle colonie della Gioventù italiana alla Pontificia commissione per una durata di cinque anni. Tramite la stipula di contratti di affitto, la gestione pontificia delle tante ex colonie fasciste – attraverso l’attività delle Sezioni diocesane di assistenza – prosegue per tutti gli anni Sessanta, nonostante le numerose proteste da parte di giornalisti e osservatori politici [Falconi 1956; Orsello 1956; Garofalo 1957; Falconi 1957].

Fig. 3. Colonia marina Fara a Chiavari, Commissariato provinciale della gioventù italiana di Bologna, estate 1946 [Archivio storico della Regione Emilia-Romagna, Fondo Gioventù italiana, Assistenza, b. 10].
Fig. 3. Colonia marina Fara a Chiavari, Commissariato provinciale della gioventù italiana di Bologna, estate 1946 [Archivio storico della Regione Emilia-Romagna, Fondo Gioventù italiana, Assistenza, b. 10].

Dagli anni Settanta in poi, il declino delle colonie per l’infanzia come modello turistico e le grandi dimensioni del patrimonio ereditato dal ventennio fascista hanno contribuito ad un abbandono repentino di queste strutture. Alcune scene del film Zeder, diretto da Pupi Avati nel 1983, mostrano come la colonia Varese di Milano Marittima, con le sue grandi rampe in cemento armato, fosse già abbandonata all’inizio degli anni Ottanta. Lo stesso processo di abbandono è stato comune a tante ex colonie nella Penisola: dalla colonia Vittorio Emanuele III a Ostia Lido [Fasolo 2021] [5] alla colonia Stella Maris a Montesilvano (Pesca­ra) [6]. In molti casi, è proprio la grande modernità della tecnologia costruttiva originaria che ha accelerato il processo di degrado delle strutture, generalmente in cemento armato e talvolta costruite sperimentando con materiali autarchici in cantiere, a cui si sono aggiunti ulteriori strati materiali nei decenni del dopoguerra [Di Resta, Danesi 2021]. Negli ultimi dieci anni, le tante ex colonie del fascismo sono state oggetto di una fascinazione fotografica promossa da numerosi progetti e pubblicazioni sul tema [Dubowitz 2010; Mini 2017]. Complice una più ampia attrazione esercitata dalle architetture abbandonate, gli scheletri in cemento armato delle colonie fasciste sono ritratti come monumenti archeologici nel paesaggio, spesso circondati da elementi naturali che si sono riappropriati degli spazi vuoti.

.
.

Figg. 4a-4b. Materiale a stampa sulle colonie della Gioventù italiana [Archivio storico della Regione Emilia-Romagna, Fondo Gioventù italiana. 4a: Assistenza estiva, b.1; 4b: Assistenza estiva, b. 32].
Figg. 4a-4b. Materiale a stampa sulle colonie della Gioventù italiana [Archivio storico della Regione Emilia-Romagna, Fondo Gioventù italiana. 4a: Assistenza estiva, b.1; 4b: Assistenza estiva, b. 32].

Proprio perché ampiamente usate negli anni del dopoguerra, le ex colonie costruite sotto il fascismo raramente presentano simboli espliciti del regime, come iscrizioni o fasci littori. Tuttavia, la loro finalità originaria è evidente: quella di formare l’identità delle giovani generazioni in chiave totalitaria. Spesso la matrice bellica di queste strutture è svelata dalla disposizione planimetrica, che talvolta allude in modo evidente ad un immaginario militare. Un esempio celebre è l’ex colonia per figli d’italiani all’estero (XXVIII Ottobre) presso Cattolica. Progetto di Clemente Busiri Vici, inaugurata nel 1934, la struttura si compone di quattro dormitori posizionati simmetricamente rispetto al padiglione centrale, richiamando l’immagine di navi corazzate pronte per salpare verso l’Adriatico [Dalmonte 2007; Dalmonte 2013].

Fig. 5. La colonia marina Agip a Cesenatico, progetto di Giuseppe Vaccaro, 1937-39 [foto Sofia Nannini, 2022].
Fig. 5. La colonia marina Agip a Cesenatico, progetto di Giuseppe Vaccaro, 1937-39 [foto Sofia Nannini, 2022].

Sono pochi i casi che mostrano una continuità d’uso per le colonie costruite negli anni del fascismo. Un esempio è la Colonia Agip (già Sandro Mussolini) di Cesenatico, ancora oggi di proprietà di Eni e sede di attività estive per l’infanzia [Massaretti 2013] [7].

Anche l’ex colonia Fiat Edoardo Agnelli a Marina di Massa è tutt’oggi utilizzata come centro di vacanza per minori. Tuttavia, l’alta torre che un tempo ospitava una rampa elicoidale continua, nella quale erano collocati i dormitori come in un gigantesco panopticon [Comerio 2022], è stata modificata in modo da alterare questa continuità e suddividere lo spazio in camerate chiuse [8]. Sono rari anche i casi di restauro e rifunzionalizzazione delle ex colonie in contenitori non riguardanti l’ospitalità turistica. Dopo decenni di abbandono e demolizioni che ne hanno alterato la simmetria, l’operazione più complessa ha riguardato la già citata colonia per i figli d’italiani all’estero di Cattolica, convertita in acquario nel 2000.

Nonostante l’interesse di lunga data nei confronti della conservazione di queste strutture [Canali 2005; Canali, Galati 2005], i casi di abbandono e fragilità strutturale delle ex colonie sono ancora tanti. Nell’estate del 2020, una porzione delle rampe in cemento armato della colonia Varese è crollata, suscitando un dibattito sulla sicurezza dell’edificio [Madiotto, Selmi 2021].

Fig. 6. Il precario stato della colonia Varese a Milano Marittima [foto Sofia Nannini, 2022].
Fig. 6. Il precario stato della colonia Varese a Milano Marittima [foto Sofia Nannini, 2022].

Oggi, molti di questi edifici suscitano l’attenzione di investitori privati, che ambiscono a trasformare i relitti del fascismo in hotel di lusso. Questo interesse speculativo, che purtroppo trasforma questi edifici in luoghi per un’élite e distanti dalla comunità locale, sembra non preoccuparsi della funzione originaria di queste strutture, che a pieno titolo rientrano in quello che possiamo definire il difficult heritage del regime fascista italiano. Un caso evidente è la recente trasformazione, dopo anni di aste e trattative, dell’ex colonia Fara di Chiavari nell’hotel Torre Fara. Il sito ufficiale evidenzia l’ambizione di ridefinire «la nuova dimensione del lusso in riviera», presentando il complesso come «un edificio storico dell’architettura futurista», che «riflette la cultura futurista ed espressionista del periodo» [9]. Scorrendo il sito, non si trova una sola parola sul contesto storico nel quale l’edificio fu inaugurato, nel 1938, né sul periodo in cui ospitò i profughi provenienti dall’Istria, né tantomeno sull’origine del nome – Gustavo Fara, generale attivo nelle guerre di Eritrea e Libia nei primi anni del Novecento. Il recupero dell’ex colonia sembra aver restaurato solamente la dimensione estetica dell’architettura, senza occuparsi di dare informazioni e creare consapevolezza sulle tante storie complesse e stratificate che hanno interessato l’edificio nel tempo [10].

Questa difficoltà non è una prerogativa unica delle colonie italiane. Il caso di Seebad Prora, colossale struttura turistica promossa dall’organizzazione nazista Kraft durch Freude sull’isola di Rügen, costruita a partire dal 1936, presenta molte analogie con alcune ex colonie del fascismo [Lögfren 2001, 242-246]. Nonostante il salto di scala – Seebad Prora ha uno sviluppo lineare di oltre quattro chilometri –, la storia controversa dell’edificio ancora si percepisce in modo altalenante nelle iniziative di recupero e rifunzionalizzazione. Da un lato vi è la presenza del centro di documentazione Prora Dokuzentrum, che offre la mostra permanente Macht Urlaub e vari allestimenti temporanei [11]. Dall’altro, tuttavia, le grandi dimensioni dell’edificio fanno perdere il contatto con la realtà storica in altre parti della struttura, dove si trovano addirittura porzioni adibite a residenze di lusso [Pirazzoli 2014, 128-135] [12].

Già nel 2010, l’architetto Patrick Duerden, collaboratore del fotografo Dubowitz nell’ambito del progetto Fascismo abbandonato, aveva rilevato con grande lucidità la difficoltà insita nelle operazioni di recupero delle colonie abbandonate costruite durante il ventennio fascista:

the abandonded colonie appear to me to be a metaphor for the legacy of the regime in the national collective consciousness; a legacy that is complex, difficult and painful to contemplate, but which is too important to be forgotten. The future of the colonie hangs on the resolution of this dilemma. Fascism has not been con­signed to history. It cannot be exorcised either by the obliteration of its monuments or by the packaging of them as heritage [Duerden 2010, 7].

Le ex colonie del regime non sono abbandonate perché tracce materiali di una memoria “difficile”. Al contrario, sono i progetti di riqualificazione scaturiti dall’abbandono che necessitano di una consapevolezza storico-critica in fase di restauro e restituzione alla comunità.

Fig. 7. Colonia marina Sacra Famiglia, Igea Marina, 1952 circa, Gioventù italiana, Commissariato provinciale di Bologna [Istituto storico Parri, Bologna, Fondo Gioventù italiana, A.7.18, 2/126].
Fig. 7. Colonia marina Sacra Famiglia, Igea Marina, 1952 circa, Gioventù italiana, Commissariato provinciale di Bologna [Istituto storico Parri, Bologna, Fondo Gioventù italiana, A.7.18, 2/126].

3. Una maggioranza invisibile: le colonie del secondo dopoguerra

Se la storiografia architettonica sulle colonie per l’infanzia in Italia si è concentrata principalmente sulle costruzioni del periodo fascista, le colonie costruite durante il secondo dopoguerra hanno ricevuto un’attenzione minore. In linea generale, il grande sperimentalismo tecnologico e figurativo promosso negli anni del ventennio fascista ha lasciato il posto ad una tipologia architettonica più sobria e anonima, che oggi si confonde nel tessuto urbano costruito. Dopo la caduta dello Stato totalitario, il dopoguerra ha portato ad un’ulteriore frammentazione dell’edilizia destinata ad attività assistenziali per le colonie estive in Italia. Non più coordinate da un unico ente come la Gil, le colonie tornano in mano ad una pluralità di attori, pubblici e privati, laici e religiosi, che si fanno promotori di una densa attività edilizia che porta ad un’espansione dei centri storici urbani. Con l’aumentare degli enti promotori di colonie, la dimensione delle strutture si riduce, fino ad assumere dimensioni non paragonabili con i grandi spazi costruiti dal regime fascista.

Un ruolo importante nell’organizzazione di colonie nel secondo dopoguerra è svolto da enti religiosi, in particolare la già citata Pontificia opera di assistenza (Poa), che agisce localmente tramite le Opere diocesane di assistenza [Manzia 1958; La colonia e il soggiorno di vacanza 1959]. Come visto, la Poa organizza le proprie colonie in edifici già esistenti, perlopiù ereditati da privati o presi in affitto all’interno del vasto patrimonio della Gioventù italiana. Spesso si mantengono reti di relazioni che vanno oltre i confini regionali e derivano dagli anni del fascismo: negli anni Cinquanta e Sessanta, la Sezione diocesana di assistenza di Bologna, ad esempio, gestisce la colonia alpina di Dobbiaco/Toblach, in origine di proprietà del comando di Bologna della Gioventù italiana del littorio, nota come colonia Costanzo Ciano [13].

Fig. 8. Opuscolo della Pontificia opera di assistenza, Diocesi di Bologna, 1954 [Archivio storico della Regione Emilia-Romagna, Fondo Gioventù italiana, Assistenza estiva, b. 25].
Fig. 8. Opuscolo della Pontificia opera di assistenza, Diocesi di Bologna, 1954 [Archivio storico della Regione Emilia-Romagna, Fondo Gioventù italiana, Assistenza estiva, b. 25].

L’espansione dei centri turistici balneari, soprattutto sulla riviera romagnola, ha portato al concretizzarsi di “città delle colonie” [14], organismi urbani dedicati all’attività assistenziale e spesso isolati rispetto ai centri storici, secondo un processo di «zonizzazione non scritta della spiaggia» [Orioli 2013, 13]. Un esempio noto è il caso di Cesenatico, la cui periferia a Nord e a Sud, a partire dal secondo dopoguerra, è unicamente adibita alla costruzione di colonie per l’infanzia. Con la progressiva chiusura delle colonie, queste porzioni di abitato si sono fatte via via più isolate e costellate da edifici in abbandono [15]. Oggi, Cesenatico Ponente appare come un catalogo a scala urbana di architetture in rovina – con pochi casi di continuità nella gestione delle attività assistenziali, tra cui spicca la colonia 12 Stelle della Caritas-Diocesi di Bolzano/Bressanone, fondata nel 1952 [Valente 2002].

Fig. 9a. La colonia marina 12 Stelle, proprietà della Caritas/Diocesi di Bolzano-Bressanone, Cesenatico [foto Sofia Nannini, 2022].
Fig. 9a. La colonia marina 12 Stelle, proprietà della Caritas/Diocesi di Bolzano-Bressanone, Cesenatico [foto Sofia Nannini, 2022].

Fig. 9b. Colonia marina Leone XIII, Cesenatico [foto Sofia Nannini, 2022].
Fig. 9b. Colonia marina Leone XIII, Cesenatico [foto Sofia Nannini, 2022].

Nonostante questo patrimonio architettonico sia generalmente abbastanza omogeneo e non presenti lo stesso sperimentalismo formale e materiale degli anni del regime, esistono tuttavia alcuni casi noti per l’eccezionale qualità architettonica. Tale qualità, purtroppo, non sembra essere un requisito sufficiente per promuovere operazioni di restauro e salvaguardia. La colonia Sip-Enel di Giancarlo De Carlo a Riccione (1961-63) e la colonia Enpas di Paolo Portoghesi e Eugenio Abruzzini a Cesenatico (1961-65) sono la prova di come la qualità progettuale non abbia operato come ostacolo all’abbandono.

Fig. 10a. Colonia Enpas, Cesenatico [foto Sofia Nannini, 2022].
Fig. 10a. Colonia Enpas, Cesenatico [foto Sofia Nannini, 2022].

Fig. 10b. Colonia Sip-Enel, Riccione [foto Sofia Nannini, 2022].
Fig. 10b. Colonia Sip-Enel, Riccione [foto Sofia Nannini, 2022].

Le vicende legate alla costruzione, alla sperimentazione pedagogica e al successivo abbandono della colonia Sip-Enel sono particolarmente rilevanti e molto studiate [Canali 2007; Balducci 2013], soprattutto in relazione al rischio di demolizione all’inizio degli anni Duemila, evitato grazie all’apposizione del vincolo di tutela nel 2006. Nonostante la presenza di un vincolo e l’acquisto da parte di privati dopo un’asta tenutasi nell’estate 2021, la struttura di De Carlo è oggi abbandonata e in condizioni quanto mai precarie. Una situazione del genere rileva le trame nascoste delle strategie immobiliari, che spesso puntano all’abbandono “ragionato”, con l’ambizione di accelerare un futuro processo di demolizione nonostante l’apposizione di un vincolo d’interesse culturale [16].

Anche le più note colonie alpine del secondo Novecento sembrano seguire destini incerti e per nulla lineari. La colonia montana Olivetti a Brusson, in Valle d’Aosta (1955-61) – la cui storia è stata documentata nel recente volume di Gabriele Neri [Neri 2021] – oggi ospita un centro assistenziale sanitario, che ha alterato l’aspetto interno del progetto [17]. La sperimentale colonia e il villaggio Eni progettati da Edoardo Gellner nella seconda metà degli anni Cinquanta a Borca di Cadore – nati dallo slancio utopico e imprenditoriale di Enrico Mattei [Edoardo Gellner 2002] – sono stati venduti da Eni nel 2000 e dal 2014 sono al centro del programma di rigenerazione Progettoborca, sviluppato in collaborazione tra l’attuale proprietà e Dolomiti contemporanee, che opera tramite residenze artistiche e attività culturali. Con l’avvicinarsi dei Giochi olimpici invernali del 2026, Dolomiti contemporanee ha proposto l’uso della struttura come sede del villaggio olimpico, al fine di evitare ulteriore consumo di suolo in una zona delicata come le Dolomiti – caso evidente di ruolo strategico che un’ex colonia può ancora giocare all’interno di una comunità e di un territorio [18].

Fig. 11. L’ex colonia Eni a Borca di Cadore [foto Sofia Nannini, 2016].
Fig. 11. L’ex colonia Eni a Borca di Cadore [foto Sofia Nannini, 2016].

Lungo le coste o in vallate alpine, le tante ex colonie del secondo dopoguerra sono il segno tangibile dell’attività antropica sul paesaggio, frutto del boom edilizio del Novecento di cui oggi ereditiamo le giovani rovine. Lo studio di questi edifici è un modo per comprendere come la società contemporanea sia in grado di porsi nei confronti del patrimonio del boom economico – un patrimonio relativamente recente e che tuttavia sembra giungere a noi da una preistoria lontana, già in forma archeologica.

4. Conclusioni

Gli spazi dove l’esperienza delle colonie si è concretizzata sono spesso stati definiti come delle “eterotopie”, secondo la celebre definizione di Michel Foucault [Mucelli 2005, 57]. Luoghi altri, lontani dalla vita quotidiana, dove si è tentato di realizzare il sogno di una società alternativa attraverso l’educazione della gioventù. L’abbandono delle colonie per l’infanzia ha lasciato dietro di sé una doppia dimensione di vuoto nei territori, soprattutto nelle località turistiche. Non solo si è assistito al progressivo degrado delle strutture architettoniche, ma con la chiusura delle colonie è venuta anche a mancare la comunità che abitava, seppur temporaneamente, questi spazi.

Fig. 12. Alcuni bambini, tra cui mio padre Roberto, in partenza da Bologna verso la colonia di Miramare di Rimini, 1960 [Archivio privato Sofia Nannini].
Fig. 12. Alcuni bambini, tra cui mio padre Roberto, in partenza da Bologna verso la colonia di Miramare di Rimini, 1960 [Archivio privato Sofia Nannini].

Oggi, la comunità degli ospiti delle colonie si può ritrovare sui tanti gruppi Facebook che raccolgono ricordi e fotografie dei bambini e delle bambine di un tempo. Qual è la comunità che invece ora può abitare gli spazi fisici delle tante ex colonie? Tra il 2018 e il 2021, l’associazione Il Palloncino Rosso ha portato avanti un’estesa e partecipata operazione di riuso temporaneo di una porzione della colonia Bolognese a Miramare di Rimini [Ruggeri, Russo, Villa 2022] [19]. Nonostante il successo, le attività dell’associazione non hanno portato ad un definitivo avvicinarsi degli spazi della colonia verso la comunità locale. Al contrario, dopo numerosi tentativi di vendita all’asta, nell’estate 2022 l’ex colonia è stata definitivamente venduta ad un investitore privato, interessato a trasformare il complesso in un hotel di lusso [20].

Fig. 13. Fig. 13. L’ex-colonia Bolognese, Miramare di Rimini [foto Sofia Nannini, 2022].
Fig. 13. Fig. 13. L’ex-colonia Bolognese, Miramare di Rimini [foto Sofia Nannini, 2022].

Nel caso delle strutture costruite durante gli anni del fascismo, le storie delle ex colonie non riguardano solo i giovani che le hanno abitate nel corso del tempo. Al contrario è quanto mai necessario riportare l’attenzione sulle politiche di colonialismo interno del regime, le operazioni di rafforzamento del popolo italiano in chiave militare e razziale e le tante comunità diverse, militari e civili, che hanno trasformato queste strutture in luoghi di memoria. Un’operazione promettente sembra essere Bagni di sole fascisti, un’installazione in corso a Pesaro, curata da Tommaso Fiscaletti e Nicola Perugini, che intende agire sull’ex colonia Villa Marina XXVIII Ottobre. L’ambizione del progetto, tramite l’affissione di immagini sui ponteggi che ora ricoprono l’edificio, è quella di «decolonizzare la colonia», per intraprendere un «processo di liberazione» dalle ambizioni razziali fasciste e creare consapevolezza sulla storia dell’edificio all’interno della cittadinanza [21].

Discutere, oggi, di colonie abbandonate è un pretesto per confrontare le tante tracce architettoniche e materiali che il Novecento ha lasciato dietro di sé come rovine nel paesaggio, luoghi di memoria e patrimonio fragile. Le colonie evidenziano infatti l’innata debolezza dell’architettura contemporanea, complessa da tutelare a causa del suo passato recente e delle tecniche costruttive adottate. Le dimensioni estese del patrimonio edilizio ereditato dal Novecento pongono ora problemi di recupero e di rifunzionalizzazione che, se necessario, potrebbero talvolta essere risolti con la demolizione degli edifici minori, per liberare le aree costiere dai segni più marcati dell’antropizzazione che ha caratterizzato gli anni del boom economico. Le colonie sono oggetti architettonici che offrono un campo d’indagine privilegiato, grazie al quale si possono affrontare tematiche di mantenimento della memoria storica, trasformazione dei paesaggi naturali e cambiamenti d’uso, anche in ottica internazionale: si tratta infatti di un fenomeno sociale che ha interessato numerosi paesi in tutto il mondo, lasciando dietro di sé un patrimonio frammentato e difficile da interpretare con un unico sguardo. Come afferma la storica e sociologa francese Amélie Nicolas, affrontare il presente delle tante colonie in abbandono significa superare una lunga serie di impasse – politiche e economiche – alle quali è possibile rispondere con l’immaginazione di nuovi futuri, tramite installazioni artistiche, riscoperte collettive, che possono diventare alternative valide alla speculazione edilizia e all’assenza di memoria [22].

Bibliografia

  • Albanese, Ceci 2022
    I luoghi del fascismo. Memoria, politica, rimozione, a cura di Giulia Albanese, Lucia Ceci, Roma, Viella, 2022.
  • Balducci 2005a
    Architetture per le colonie di vacanza. Esperienze europee, a cura di Valter Balducci, Firenze, Alinea, 2005.
  • Balducci 2005b
    Valter Balducci, L’identità molteplice delle colonie di vacanza, in Balducci 2005a, pp. 8-19.
  • Balducci 2013
    Valter Balducci, La colonia Sip-Enel a Riccione di Giancarlo De Carlo (1961-63), in Balducci, Orioli 2013, pp. 149-168.
  • Balducci 2016
    Valter Balducci, Le colonie di vacanza in Italia: architetture per il soggiorno terapeutico dell’infanzia (1853-1943), in «Archivio Trentino» 2 (2016), pp. 125-172.
  • Balducci 2019
    Valter Balducci, «Plasmare anime». L’architettura delle colonie per l’infanzia nel ventennio fascista, in Mira, Salustri 2019, pp. 107-129.
  • Balducci, Bica 2007
    Architecture and Society of the Holiday Camps: History and perspectives, a cura di Valter Balducci, Smaranda Bica, Timisoara, Editura Orizonturi Universitare, 2007.
  • Balducci, Orioli 2013
    Spiagge urbane. Territori e architetture del turismo balneare in Romagna, a cura di Valter Balducci, Valentina Orioli, Milano-Torino, Bruno Mondadori, 2013.
  • Canali 2005
    Ferruccio Canali, Il ‘Sistema’ delle colonie a mare della riviera romagnola tra restauro territoriale, tutela paesaggistica e restauro del moderno, in Balducci 2005a, pp. 113-117.
  • Canali 2007
    Ferruccio Canali, Giancarlo De Carlo and the Innovative Pedagogical Environment of the “Libertarian” “Sip-Enel Colonia” in Riccione (1960–63), in Balducci, Bica 2007, pp. 210-214.
  • Canali, Galati 2005
    Ferruccio Canali, Virgilio Galati, Raccomandazioni per la salvaguardia del sistema e dei manufatti monumentali delle colonie romagnole, in Balducci 2005a, pp. 122-123.
  • La colonia e il soggiorno di vacanza 1959
    La colonia e il soggiorno di vacanza: ad uso delle assistenti di colonia, Roma, Pontificia Opera di Assistenza, 1959.
  • Comerio 2022
    Luca Comerio, L’intreccio tra pratiche educative e architetture nelle colonie FIAT di Marina di Massa e Sauze d’Oulx, in Architectures du tourisme social: entre histoire(s) et devenirs, Journées d’études internationales, Resumes substantiels des presentations, Nantes, ENSA Nantes, 2022, pp. 30-34.
  • Dalmonte 2007
    Federica Dalmonte, The “Colonia marina” “XXVIII Ottobre per i figli degli italiani all’estero” (for children of italians living abroad) by Clemente Busiri Vici in Cattolica (1934), in Balducci, Bica 2007, pp. 240-241.
  • Dalmonte 2013
    Federica Dalmonte, Architettura e città nella colonia “XXVIII ottobre per i figli degli italiani all’estero” a Cattolica, in Balducci 2013, pp. 125-140.
  • Dessì Fulgheri 1951
    Giuseppe Dessì Fulgheri, Ravenna, in Commissariato regionale Emilia Romagna, Rassegna delle colonie estive dei commissariati provinciali di Bologna, Ferrara, Forlì, Modena, Parma, Ravenna, Reggio Emilia, a cura di Gioventù italiana, Bologna, Tip. Azzoguidi, 1951, pp. 37-38.
  • Di Resta, Danesi 2021
    Sara Di Resta, Giorgio Danesi, Come la modernità dimentica. Spazio, cura e tempo libero nella conservazione delle colonie marine del razionalismo italiano, in La città e la cura. Spazi, istituzioni, strategie, memoria, a cura di Marco Morandotti e Massimiliano Savorra, Torino, AISU International, 2021, pp. 705-719.
  • Dubowitz 2010
    Dan Dubowitz, Fascismo abbandonato: The Children’s Colonie of Mussolini’s Italy, Stockport, Lewis, 2010.
  • Duerden 2010
    Patrick Duerden, Fascism abandoned, in Dubowitz 2010, pp. 5-7.
  • Edoardo Gellner 2002
    Edoardo Gellner: Corte di Cadore, Milano, Skira, 2002.
  • Falconi 1956
    Carlo Falconi, La Chiesa e le organizzazioni cattoliche in Italia (1945-1955), Torino, Einaudi, 1956.
  • Falconi 1957
    Carlo Falconi, L’assistenza italiana sotto bandiera Pontificia, Milano, Feltrinelli, 1957.
  • Fasolo 2021
    Marco Fasolo, La colonia marina Vittorio Emanuele III, in Ostia. Architettura e città in cento anni di storia. Bollettino d’arte, numero speciale 2020, pp. 113-124.
  • Frabboni 1971Franco Frabboni, Tempo libero infantile e colonie di vacanza, Firenze, La Nuova Italia, 1971.
  • Franchini 2009
    Colonie per l’infanzia tra le due guerre: storia e tecnica, a cura di Francesca Franchini, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2009.
  • Garofalo 1957
    Anna Garofalo, La scadenza di giugno: Dove va la GI?, in «Nuova Repubblica», 14 aprile 1957, p. 8.
  • Giannico 2020-2021
    Gaetano Giannico, Le colonie estive in area romagnola nel Novecento: storia, architettura, evoluzione nei documenti dell’Istituto dei Beni Culturali dell’Emilia-Romagna come strumento per una metodologia di recupero, tesi di Laurea in Ingegneria Edile-Architettura, relatrice prof.ssa M. Antonucci, correlatrice prof.ssa G. Predari, Università di Bologna, a.a. 2020-2021.
  • Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna 1986
    Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna, Colonie a mare. Il patrimonio delle colonie sulla costa romagnola quale risorsa urbana e ambientale, Casalecchio di Reno, Grafis, 1986.
  • Jocteau 1990
    Gian Carlo Jocteau, Ai monti e al mare: cento anni di colonie per l’infanzia, Milano, Fabbri, 1990.
  • Löfgren 2001
    Orvar Lögfren, Storia delle vacanze, Milano, Bruno Mondadori, 2001.
  • Madiotto e Selmi 2021
    Michela Madiotto, Francesco Selmi, Milano Marittima: La Varese barcolla ma non molla, in «Il Giornale dell’Architettura», 20 gennaio 2021, https://inchieste.ilgiornaledellarchitettura.com/milano-marittima-la-varese-barcolla-ma-non-molla/.
  • Manzia 1958
    Carlo M. Manzia, Colonie di vacanza: organizzazione e tecnica, Roma, Pontificia Opera Assistenza, 1958.
  • Massaretti 2013
    Pier Giorgio Massaretti, La colonia “Sandro Mussolini” dell’Agip a Cesenatico (1937-38), in Balducci, Orioli 2013, pp. 141-148.
  • Mini 2017
    Lorenzo Mini, Colonie, Ravenna, Danilo Montanari, 2017.
  • Mira 2019
    Roberta Mira, Pedagogia totalitaria, uomo nuovo e colonie di vacanza, in Mira, Salustri 2019, pp. 17-40.
  • Mira, Salustri 2019
    Colonie per l’infanzia nel ventennio fascista. Un progetto di pedagogia del regime, a cura di Roberta Mira, Simona Salustri, Ravenna, Longo, 2019.
  • Mucelli 2005
    Elena Mucelli, Educazione e propaganda nelle colonie marine: lo spazio, le regole, i messaggi, in Balducci 2005a, pp. 57-60.
  • Mucelli 2009
  • Elena Mucelli, Colonie di vacanza italiane degli anni ‘30: architetture per l’educazione del corpo e dello spirito, Firenze, Alinea, 2009.
  • Neri 2021
    Gabriele Neri, La colonia Olivetti a Brusson: ambiente, pedagogia e costruzione nell’architettura italiana (1954-1962), Roma, Officina Libraria, 2021.
  • Orsello 1956
    Gian Piero Orsello, Una battaglia liberale: a proposito dei beni dell’ex G.I.L. e del Commissariato della Gioventù italiana, supplemento al n. 8 del «Tricolore», a cura della Gioventù Liberale di Reggio Emilia, Reggio Emilia, 1956.
  • Pivato 2023
    Stefano Pivato, Andare per colonie estive, Bologna, il Mulino, 2023.
  • Prestopino 2007
    I bimbi libici: storia e storie dei ragazzi della quarta sponda, a cura di Francesco Prestopino, Milano, La vita felice, 2007.
  • Ruggeri, Russo, Villa 2022
    Storia di colonia. Racconti d’estate dalla Bolognese, 1932-1977, a cura di Ilaria Ruggeri, Paola Russo, Luca Villa, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2022.
  • Salustri 2019
    Simona Salustri, Centro e periferia. Lo stato e il partito nazionale fascista nella gestione delle colonie di vacanza, in Mira, Salustri 2019, pp. 41-64.
  • Valente 2002
    Pane & mare: i 50 anni della colonia 12 stelle, a cura di Paolo Valente, Bolzano, Ideal marketing, 2002.
  • Zazzi 2007
    Michele Zazzi, The “Città delle colonie” in Emilia-Romagna as a Heritage. The Role of the Planning Tools in Their Protection and Regeneration, in Balducci, Bica 2007, pp. 238-239.

Note

1. Si veda anche il lavoro di catalogazione online delle colonie del fascismo, a cura di Arne Winkelmann e Dan Dubowitz: Le colonie. The Children’s Holiday Camps of Fascist Italy, http://www.lecolonie.com/home_en.htm.

2. Alcune considerazioni contenute in questo saggio derivano dal prezioso confronto con colleghe e colleghi durante le giornate del convegno internazionale Verso nuove estati. Passato, presente e futuro delle colonie per l’infanzia in Europa, tenutosi a Ravenna il 15 e 16 settembre 2022. Rimando al sito del convegno per maggiori specifiche sugli interventi presentati: https://towardsnewsummers.wordpress.com/.

3. Su questa esperienza si veda anche il documentario Vacanze di guerra di Alessandro Rossetto (2010).

4. In questo momento sto svolgendo una ricerca sulla storia immobiliare della Gioventù italiana (1944-1975). I fondi archivistici relativi a questo ente sono numerosi e sparsi su tutta la Penisola. Ad oggi ho consultato il fondo Gioventù italiana presso l’Archivio storico della Regione Emilia-Romagna e il fondo Gioventù italiana presso l’Istituto storico Parri di Bologna. Sto inoltre svolgendo ricerche sui rapporti tra Gioventù italiana e Pontificia opera di assistenza presso l’Archivio apostolico vaticano. I primi risultati di queste ricerche sono stati presentati al convegno Architectures du tourisme social: Histoire(s) et devenirs, ENSA Nantes, 4-5 luglio 2022: https://www.nantes.archi.fr/architectures-du-tourisme-social-histoires-et-devenirs/.

5. Sulle trasformazioni dell’ex colonia Vittorio Emanuele III di Ostia si vedano anche il recente intervento di Micaela Antonucci al già ricordato convegno Architectures du tourisme social: Histoire(s) et devenirs, https://www.nantes.archi.fr/architectures-du-tourisme-social-histoires-et-devenirs/, e l’intervento di Saverio Sturm, Marco Fasolo e Fabio Colonnese al già citato convegno Verso nuove estati, https://towardsnewsummers.wordpress.com/programme/.

6. Si veda la scheda prodotta da Docomomo Italia: https://www.docomomoitalia.it/colonia-marina-stella-maris/.

7. Le attività assistenziali sono appaltate ad una cooperativa: https://cooperativadoc.it/gestioni/vacanza-esperienza-soggiorni-estivi-eni/.

8. Si veda il sito ufficiale: https://torremarina.it/site/portfolio-articoli/residenza-torre/.

9. Si veda il sito ufficiale: https://www.torrefara.com/il-progetto/.

10. Si veda il lavoro in corso di Tim Brown, A Difficult Heritage of Italy’s Fascist Era Colonie, presentato alla conferenza di Ravenna Verso nuove estati: https://towardsnewsummers.wordpress.com/programme/.

11. Si veda il sito ufficiale: https://www.proradok.de/en/startseite-2/.

12. Il dibattito sul progetto di riqualificazione ha di recente ottenuto spazio anche sui media italiani, si veda l’articolo L’enorme edificio nazista che è diventato un resort turistico, in «Il Post», 13 settembre 2022, https://www.ilpost.it/2022/09/13/colosso-di-prora-germania-nazismo-turismo/.

13. Struttura nata come Grand Hotel e costruita nel 1878, l’edificio è adibito a colonia almeno fino alla fine degli anni Sessanta. Dopo un progetto di restauro negli anni Novanta, oggi ospita di nuovo una struttura alberghiera.

14. Il termine “città delle colonie” è stato per la prima volta introdotto dal Piano territoriale paesistico regionale (Ptpr) del 1986 (Zazzi 2007).

15. La “città delle colonie” di Cesenatico Ponente è tornata sotto i riflettori dopo la recente approvazione del Piano urbanistico generale che ambisce ad un recupero del comparto. Si veda la notizia in Il consiglio comunale di Cesenatico ha approvato il Pug, in «Corriere Romagna», 14 ottobre 2022, https://www.corriereromagna.it/il-consiglio-comunale-di-cesenatico-ha-approvato-il-pug/.

16. Sulle vicende recenti relative all’ex colonia di De Carlo, si veda l’intervento di Antonello Alici al convegno Verso nuove estati: https://towardsnewsummers.wordpress.com/.

17. Si veda la schedatura nell’Atlante delle architetture contemporanee: https://www.atlantearchitetture.beniculturali.it/colonia-olivetti/.

18. Si veda il comunicato di Progettoborca: http://www.progettoborca.net/olimpiadi-cortina-2026-unopportunita-di-crescita-e-rigenerazione-per-il-territorio-alcuni-spunti-di-riflessione-da-g-dinca-levis-curatore-di-dolomiti-contemporanee/.

19. Per una sintesi delle attività dell’associazione si veda il sito: https://www.ilpalloncinorosso.it/.

20. Si veda la notizia Rimini, ennesimo colpo di scena: l’ex colonia Bolognese a Bianchi per 5,22 milioni, in «Chiamami città», 3 agosto 2022, https://www.chiamamicitta.it/rimini-ennesimo-colpo-di-scena-lex-colonia-bolognese-a-bianchi-per-522-milioni/. Interessante notare che negli stessi mesi l’ex-colonia è stata usata come sfondo del video La dolce vita di Fedez, Tananai, Mara Sattei: https://www.youtube.com/watch?v=TX_csdgqhxA.

21. Si veda: https://antinomie.it/index.php/2022/10/04/bagni-di-sole-fascisti-note-per-una-installazione/. Ringrazio Luca Villa per la segnalazione di questo progetto.

22. Si veda l’intervento di Amélie Nicolas, The “Palais des gosses” in Saint-Hilaire-de-Riez (France): impasses and futurologies, al convegno Verso nuove estati: https://towardsnewsummers.wordpress.com/programme/.