Già nel 1919, quando ancora il movimento fascista e la stessa leadership di Benito Mussolini erano tutt’altro che definiti, i primi ammiratori di quello che molti consideravano l’“uomo nuovo” cominciarono ad apparire fra le rade abitazioni di una borgata rurale denominata Dovìa, in Comune di Predappio. Visite sporadiche che si risolvevano in breve tempo. Da vedere c’era pochissimo. La tomba della madre, la maestra Rosa Maltoni, nel cimitero di campagna di San Cassiano in Pennino e, a due chilometri di distanza, l’abitazione scalcinata dove egli era nato il 29 luglio 1883, nel podere Varano di Costa. Cent’anni fa esatti prendeva il via in modo frugale un fenomeno che, nel giro di un ventennio, avrebbe suscitato enorme clamore in Italia e nel mondo: una vicenda originale che se affrontata correttamente, non con enfasi o pregiudizi, offre un campo di analisi di assoluto interesse per la storia del XX secolo. Il centro urbano situato nella collina forlivese vede ancora oggi la propria identità condizionata dallo stereotipo di paese natale di Benito Mussolini con una sovrapposizione fra luogo e personaggio che può apparire scontata. Eppure di spontaneo c’è ben poco in questa storia perché il cliché rappresenta il frutto di un’opera complessa, connotata da contraddizioni e animata dal susseguirsi di apparati simbolici. Il “caso Predappio” è un unicum.
Ormai, grazie al corposo impegno scaturito nell’ultimo quarto di secolo, il panorama bibliografico risulta ricco e autorevole, soprattutto sul versante della storia dell’architettura, dell’urbanistica e della politica finalizzata all’analisi del culto mussoliniano [1]. Recentemente alcune analisi stanno intercettando ulteriori filoni di ricerca quali, ad esempio, l’approccio di tipo antropologico e sociologico. In questo saggio l’accento sarà posto su un aspetto peculiare: il rapporto fra il luogo (la nuova Predappio) e i suoi visitatori [2].
1. Cronaca di un’invenzione
Dove oggi sorge l’abitato di Predappio, capoluogo di un Comune assestato a inizio 2020 attorno a quota 6.200 abitanti, esisteva fino al 1925 solo una minuscola frazione denominata Dovìa, uno snodo fra strade che correvano nella campagna e attorno al quale gravitavano case sparse occupate in prevalenza da contadini, mezzadri, braccianti. Si trattava di una comunità rurale, in prossimità di un ponte sul fiume Rabbi, con un piccolo mulino, un’osteria e alcune botteghe artigiane funzionali al magro traffico di passaggio. All’epoca l’ente amministrativo di riferimento era ugualmente il Comune di Predappio ma la superficie territoriale e la conformazione interna risultavano di gran lunga differenti da quelle odierne. Quale centro principale figurava l’insediamento di impostazione medievale arroccato su uno sperone di roccia nel versante di una collina. Il paese si chiamava Predappio (oggi Predappio Alta), contava a fine XIX secolo circa 500 abitanti e vedeva una popolazione sparsa nelle terre circostanti di altre 2.000 persone. L’agglomerato di Dovìa, invece, appariva talmente esiguo da non possedere neppure una cappella per il culto religioso nonostante la secolare appartenenza allo Stato Pontificio. Dati demografici del 1894 [Rosetti 1984] (gli stessi a cui si è fatto riferimento sopra per il capoluogo) parlavano di 186 abitanti concentrati nella borgata e di una popolazione sparsa di 527 persone. In uno di questi casolari, in località Varano di Costa, abitarono Alessandro Mussolini (fabbro ferraio e militante internazionalista) e sua moglie Rosa Maltoni, maestra della zona. Qui, nel 1883, nacque il loro primogenito Benito.
Tirando le somme del ragionamento rispetto alla configurazione territoriale precedente alla grande trasformazione avvenuta nel territorio, si osserva che l’assetto vedeva gravitare attorno al capoluogo dell’epoca (oggi Predappio Alta) circa 2.500 residenti mentre Dovìa e dintorni si fermavano a quota 700 abitanti. Nell’arco di un ventennio, dal 1925 alla Seconda guerra mondiale, la gerarchia venne completamente ribaltata con la fondazione di un nuovo capoluogo: la cittadina di Predappio Nuova (oggi Predappio), sorta attorno alle case in pietra di Dovìa e sulle zolle della campagna limitrofa.
Percorrendo la strada verso valle, prima di entrare nel territorio forlivese, esisteva un altro Comune che sarebbe stato accorpato nell’ente amministrativo di Predappio Nuova. Si trattava di Fiumana che, sempre dal resoconto statistico elaborato da Emilio Rosetti nel 1894, contava complessivamente 1.032 persone, con appena 172 residenti fra la chiesa parrocchiale e il municipio. Sommando la popolazione dei due Comuni, il censimento del 1901 parlava di 6.507 abitanti che nel 1921 divennero 7.293. La crescita demografica aveva seguito un trend percentualmente simile a quello registrato dalle altre municipalità della fascia collinare romagnola mentre, nel periodo seguente, durante il fascismo e dopo l’invenzione del “paese del duce”, l’aumento di popolazione assunse un tasso più alto, certamente in virtù dei grandi mutamenti avvenuti.
Le cose cominciarono a cambiare dopo la marcia su Roma del 28 ottobre 1922, con l’affidamento a Mussolini, da parte del re, dell’incarico di guidare l’esecutivo. Se già dalle settimane seguenti la fondazione dei Fasci italiani di combattimento avvenuta a Milano nella primavera del 1919 qualche persona era comparsa nella vallata del Rabbi, il momento in cui prese forma l’idea di sfruttare i luoghi di origine del capo del fascismo fu in occasione della sua prima visita ufficiale in qualità di presidente del Consiglio dei ministri. Era il 15 aprile 1923. Il duce giunse a Forlì in treno. La stazione ferroviaria, all’epoca, era ancora nei pressi di Porta San Pietro (quello scalo oggi è chiamato Vecchia Stazione) e da qui, a bordo di un’auto scoperta, raggiunse il cimitero monumentale della via Ravegnana ove era sepolto il padre Alessandro. Quindi si trasferì alla sede della Prefettura all’epoca presso il palazzo municipale. Il tragitto continuò risalendo la vallata del Rabbi per circa 18 chilometri fino al cimitero di San Cassiano in Pennino nel quale riposava la madre. Tappa seguente fu il municipio di Predappio nell’antico centro e infine, macinati i pochi chilometri che separavano il capoluogo dell’epoca da Dovìa, fece visita alla casa dove era nato quarant’anni anni prima e dalla quale si era trasferito, insieme ai suoi, all’età di un anno.
Nell’occasione i predappiesi gli donarono l’edificio che, da quel momento, cominciò ad essere conosciuto come la casa natale di Mussolini. Contemporaneamente nella vicina cittadina di Meldola maturò la decisione di far regalo al duce del rudere del castello di Rocca delle Caminate, una antica fortificazione che sorgeva sulla collina fra la vallata del Bidente e Dovìa. In seguito alla donazione venne elaborato un progetto di restauro mentre i lavori furono finanziati attraverso una sottoscrizione pubblica gestita dal Partito nazionale fascista (Pnf).
Del percorso così avviato si ebbe notizia ufficiale a distanza di due anni. Il punto della situazione venne fatto a Roma, a Palazzo Chigi, il 13 giugno 1925. All’incontro con Mussolini erano presenti esponenti della Giunta comunale di Predappio e il prefetto di Forlì. I risultati del colloquio furono riportati ai paesani dal sindaco Pietro Baccanelli (ancora non era istituita la figura del podestà). Egli riferì che il territorio predappiese era stato inserito nell’elenco degli abitati italiani da trasferire perché gravati da problemi di sicurezza geologica. La ragione del provvedimento trovava fondamento nel movimento franoso che nell’inverno fra il 1923 e il 1924 aveva interessato la zona dell’antico capoluogo. L’elenco nazionale dei siti da tutelare con misure di salvaguardia e interventi di sicurezza era stato elaborato a partire dal 1911 e definito con il regio decreto legge n. 299 del 2 marzo 1916. Predappio venne inserita con regio decreto legge n. 1029 del 9 giugno 1925, ottenendo un corposo stanziamento di denaro pubblico al quale ne sarebbero seguiti altri [3]. Il provvedimento finanziava il trasferimento dell’abitato e della stessa sede del Comune che sarebbe stata realizzata a Palazzo Varano. Per evitare equivoci è opportuna una puntualizzazione sui toponimi. Nello spazio territoriale che corre per circa due chilometri fra la borgata di Dovìa e la pieve di San Cassiano in Pennino, un asse parallelo al sinuoso corso fluviale, si rincorrono poderi che declinano in vario modo il nome Varano. Nella casa di Varano di Costa nacque Benito Mussolini nel 1883; nell’abitazione di Palazzo Varano (a circa un chilometro) si trasferì la famiglia della maestra Rosa Maltoni (cioè i Mussolini) nel 1884 perché ospitava la sede scolastica; a breve distanza esiste inoltre un podere denominato Varanello.
Ma torniamo alle decisioni di impianto della nuova Predappio. La casa natale avrebbe ospitato un piccolo museo sull’origine popolare del duce, Palazzo Varano sarebbe diventata sede comunale previa una radicale ristrutturazione e lungo lo spazio compreso fra le due abitazioni avrebbe preso forma il paese secondo un impianto urbanistico incardinato su un lungo viale e due piazze collocate esattamente a ridosso dei due edifici-fulcro. A distanza di neanche un mese, il 1° luglio 1925, si svolse un altro incontro nella capitale. In quell’occasione vennero meglio definiti i connotati dell’ente amministrativo che sarebbe stato denominato Predappio Nuova (dal marzo 1936 semplicemente Predappio). Ciò presupponeva il declassamento dell’antico borgo al quale veniva mutato il nome in Predappio Vecchia (con regio decreto del marzo 1936 divenne Predappio Alta).
Fu inoltre decretata la soppressione di un Comune limitrofo, quello di Fiumana [4], con l’accorpamento di gran parte del suo territorio. I nuovi confini avrebbero compreso pure una porzione di territorio in precedenza in Comune di Meldola, in particolare il versante sul quale gravitava Rocca delle Caminate (ma non il castello che rimase sotto Meldola), e frustoli dei Comuni di Castrocaro, Civitella e Galeata, portando la superficie a oltre 9.000 ettari rispetto ai circa 5.000 precedenti.
Il progetto venne reso pubblico con una vera e propria cerimonia di fondazione della nuova Predappio che ebbe luogo il 30 agosto 1925 e consumò un rito di totale devozione del partito e delle istituzioni al capo del fascismo. Mentre i manifesti attribuivano la paternità alla volontà di Mussolini e il giornale della Federazione fascista forlivese “Il Popolo di Romagna” lo presentava quale «novello Romolo» artefice del «solco disegnante il piano regolatore della cittadella di Predappio Nuova», l’evento avvenne in sua assenza. Ciò non ne sminuì il clamore. Tutt’altro. L’assenza del duce, opportunamente “cucinata” dalla propaganda, contribuì a sedare pensieri di favoritismo che in sede locale erano balenati ed efficacemente smorzati [5]. L’iniziativa fu raccontata dai giornali, immortalata da obiettivi di fotografi e ripresa dalle telecamere del neonato Istituto Luce che confezionò uno dei primi documentari dal titolo Omaggio nazionale alla casa del Duce [6].
Le sequenze in muto e bianconero testimoniavano in poco meno di nove minuti le celebrazioni di un culto laico. Il concetto appariva chiaro fin dalla prima didascalia del filmato:
Da ogni lembo della forte terra di Romagna, da ogni città e regione d’Italia i gagliardetti della vittoria, le rappresentanze del fascismo, del governo, amministratori, deputati accorrono alla Casa del Duce per la celebrazione di un rito di possente amore per Benito Mussolini.
La manifestazione animò l’intero pomeriggio e fu guidata dal segretario nazionale del Pnf Roberto Farinacci mentre la famiglia Mussolini era rappresentata dal fratello Arnaldo, dalla sorella Edvige e dalla moglie Rachele. In un’atmosfera ridondante di simbologie, immersa in un contesto da sagra rurale, fra modesti edifici di campagna e covoni di fieno, nacque Predappio Nuova.
Nella stessa occasione vennero poste le prime pietre di una chiesa e di abitazioni popolari. Iniziava così un percorso edificatorio che sarebbe proseguito fino all’inizio degli anni Quaranta. Alla realizzazione di Predappio Nuova presero parte architetti e urbanisti di chiara fama come Cesare Bazzani, Cesare Valle e Gustavo Giovannoni, per citare i più affermati. Di particolare rilievo fu il contributo di un giovane ingegnere civile di origine laziale. Si chiamava Florestano Di Fausto e a lui spettò il compito di tramutare le prime indicazioni in progetti e cantieri che declinò in una forma di città-giardino [7].
Mussolini seguì da vicino il corso degli eventi e, in varie occasioni, verificò di persona lo stato dell’arte. Significativa la sua presenza al sopralluogo del 26 maggio 1926 durante la quale impartì direttive perentorie. La più evidente, riportata sulla stampa fascista, riguardò la lapide scoperta appena un anno prima nella facciata della casa natale in occasione della cerimonia di fondazione. Agli occhi di Mussolini l’impatto fu pessimo e ne ordinò la rimozione: «Toglietela. Tutt’al più potrete metterne un’altra con questa legenda: Qui esisteva una lapide che fu tolta per volontà del lapidato» [8]. La targa fu smontata secondo la logica che l’efficacia del messaggio sarebbe stata maggiore senza forme di auto-celebrazione. A conferma di questo approccio giunse un altro episodio, qualche anno dopo. In questo caso Mussolini ordinò la rimozione della monumentale scalinata e dell’apparato d’ingresso che collegava la casa natale con la sottostante piazza del Mercato Viveri. Quella salita trionfale era ciò che il duce non voleva. L’opera venne smontata e rimpiazzata con la piantumazione di un bosco all’interno del quale due sentieri conducevano al museo mussoliniano.
Il sopralluogo del maggio 1926 prese in esame pure Rocca delle Caminate, sua futura abitazione familiare, dove era in corso la ricostruzione del castello. Durante l’ispezione, Mussolini chiese la predisposizione di un faro in cima alla torre. La notizia del «Faro della Vittoria» (così venne chiamato dal committente) rimbalzò sui giornali che ne indicavano le caratteristiche: «elettrico a tre colori, girevole, come quello del Gianicolo, che si veda a trenta miglia, a più di cinquanta chilometri» [9]. Il fascio di luce tricolore doveva essere la luce del duce ed evocarne la presenza. Il suo raggio avrebbe abbracciato l’intera Romagna che nella propaganda fascista era stata ribattezzata terra del duce. Il contenuto empatico che la nuova Predappio doveva comunicare venne incardinato su quattro elementi: origini popolari del duce, modernità del fascismo attraverso le architetture; sentimento nazionale; valori della famiglia tradizionale.
A questi primi contenitori di elementi simbolici (casa natale, municipio e il faro tricolore) se ne aggiunse un altro: il nuovo cimitero di San Cassiano in Pennino. Il piccolo camposanto che custodiva la tomba di Rosa Maltoni venne infatti trasformato in un’opera monumentale incardinata sulla centralità della tomba dei Mussolini ove vennero riunite, post mortem, le salme dei genitori precedentemente sepolte in località diverse [10]. I lavori furono eseguiti fra il 1929 e il 1932 e interessarono anche la chiesa adiacente, letteralmente reinventata in stile neo-romanico. Significativa pure l’esaltazione in chiave simbolica di una pianta di quercia situata davanti alla chiesa che nello scenario mitico in corso di costruzione divenne la quercia del duce, adducendo il fatto che sotto quell’albero il giovane Mussolini si sarebbe fermato a elaborare il suo futuro pensiero.
Nel frattempo l’intero paese stava prendendo forma con un ritmo edificatorio elevato che portò in breve tempo alla nascita dell’ufficio postale, della caserma dei carabinieri (poi ampliata negli anni Trenta), di una prima chiesa (dedicata a Santa Rosa in onore della madre del duce) e di case popolari. Il furore architettonico proseguì arricchendo le geometrie urbane di un edificio scolastico con palestra, una seconda chiesa con convento annesso, un presidio sanitario, altre case popolari, economiche e ultraeconomiche, un luogo per gli spettacoli (anche questo venne modificato in un secondo momento), sedi per le attività di credito, negozi ed esercizi, un macello, due mercati (l’anfiteatro per i viveri e il foro boario), villette e palazzi, la pregevole Casa stadio della Gioventù italiana del littorio (Gil), la grande fabbrica di aeroplani dell’Aeronautica Caproni.
Da un punto di vista della ricettività, cioè di quanto fu pensato per accogliere i visitatori, vanno evidenziate due strutture. La prima è l’imponente Casa del fascio e dell’ospitalità (progettata dall’ingegner Arnaldo Fuzzi, già federale di Forlì) che venne inaugurata nell’aprile del 1937 e ospitava insieme agli uffici del partito anche un albergo diurno, sale per cerimonie e incontri, spazi per il servizio alle comitive.
Ultimo arrivato in ordine di tempo – dettaglio molto significativo della marginalità assegnata al fattore turistico vero e proprio – fu il palazzo dell’Istituto nazionale delle assicurazioni edificato fra il 1938 e il 1939 con, all’interno, l’unica struttura ordinaria in termini di in coming: l’albergo Appennino. Da notare che nelle vicine località termali di Castrocaro e Fratta erano sorti, negli stessi anni, hotel e alberghi secondo i criteri dettati dall’Ente nazionale turismo (Enit).
2. L’asse Predappio-Forlì: set, medium e format
Non si può prendere in esame il “caso Predappio” in modo a sé stante, cioè senza valutarlo in collegamento permanente con quanto avvenne nella vicina Forlì, soprattutto per un fattore logistico. Con il traffico automobilistico ai primordi, le strade in gran parte ancora non attrezzate con moderni tappeti d’asfalto e in assenza di autostrada (il casello della A14 a Forlì alzò la sbarra nel 1966), la rete ferroviaria rappresentava l’unica struttura capace di garantire comunicazioni terrestri efficaci su medie e lunghe distanze. Per questo, fin dall’inizio, venne ritenuto indispensabile predisporre un sistema adeguato alle impellenti necessità che il progetto mussoliniano avrebbe richiesto per poter funzionare in modo adeguato. Da questa necessità scaturì la decisione di dotare Forlì di una nuova stazione ferroviaria in sostituzione dello scalo attivo dal 1861.
C’è un significativo parallelismo che rende comprensibile l’asse Predappio-Forlì: al 1925 risalgono sia la fondazione di Predappio Nuova, sia la cerimonia di posa della prima pietra del nuovo scalo ferroviario (presente il ministro Costanzo Ciano); allo stesso giorno, il 30 ottobre 1927, l’inaugurazione della stazione dei treni e l’accensione del faro di Rocca delle Caminate.
Tra Forlì e Predappio stava prendendo forma una dimensione architettonica e urbanistica unica, più vicina alle logiche di allestimento dei set cinematografici e alle esigenze della comunicazione di massa che alle ragioni del “piccone risanatore” o delle città di fondazione fascista in auge nello stesso periodo.
Il caso della nuova stazione di Forlì è chiarificatore. Lo scalo moderno, su piano rialzato come quello di Milano, dotato di un enorme parco binari appariva agli occhi degli osservatori evidentemente sovradimensionato rispetto alle reali esigenze del territorio. Era tuttavia funzionale a dimostrare ordine e potenza ai viaggiatori e, comunque, pronto a supportare eventuali sviluppi. Tra gli obiettivi iniziali figurava infatti anche il sogno (rimasto nel cassetto) di fare della città il capolinea di una linea transappenninica verso Perugia e Roma. La politica ferroviaria nazionale optò per la Direttissima Bologna-Firenze.
La stazione costituiva un terminale del nuovo quartiere extraurbano di fondazione fascista, che prese forma fuori dal perimetro delle antiche mura (in gran parte atterrate a inizio secolo), e il piazzale esterno a Porta Cotogni, dal quale si accedeva al giardino pubblico e alla via per Cesena, ne divenne l’altro terminale. Fra i due poli correva un viale alberato lungo il quale, a partire dall’area prossima alla ferrovia, trovarono posto alcune industrie (gli stabilimenti di proprietà Orsi Mangelli, il Cantiere Benini e la fabbrica di rimorchi Bartoletti). Oltre il comparto produttivo vennero costruiti edifici residenziali per particolari tipologie di lavoratori (dipendenti pubblici, ferrovieri, postelegrafonici), quindi due scuole (l’elementare “Rosa Maltoni” e l’istituto industriale “Alessandro Mussolini”) e la Casa stadio della Gil. Il viale sfociava in un’amplissima area con al centro un complesso artistico con obelisco di 22 metri dedicato ai caduti della Grande guerra e della rivoluzione fascista. L’inaugurazione del monumento alla Vittoria offrì l’occasione per presentare all’Italia la città del duce attraverso la decisione di trasformare l’evento nella cerimonia nazionale dell’inizio del secondo decennale della cosiddetta era fascista. Era domenica 30 ottobre 1932. Questa la cronaca del “Corriere della Sera”:
Il Duce stesso, il figlio di questa Romagna alla quale egli torna come alla culla della propria famiglia, al luogo sacro delle sue più care memorie, al nido dell’infanzia e della prima battagliera giovinezza, ha voluto venire a Forlì e iniziare il secondo Decennale tra la sua gente, in vista di quelle campagne alle quali egli torna ogni volta che le opere della terra richiedano, anche fra i più umili, la sua presenza esemplare, a tu per tu con i conterranei, con le schiere dei figli di questa razza animosa, generosa e gentile, nata coi fermenti della passione nel sangue, cresciuta alla scuola di una virilità che fa dello spirito di sacrificio e dell’ardire le sue virtù migliori [11].
Nel perimetro della piazza sorsero altri edifici, fra i quali la stazione agraria, il collegio aeronautico e le palazzine Bazzani (dette gemelle) che, in sostituzione della vecchia Barriera di Porta Cotogni, facevano ala all’ingresso in città. Piazzale della Vittoria fungeva da punto di snodo per i visitatori giunti in treno. Da qui infatti si poteva entrare nel centro urbano di Forlì o proseguire in direzione di Predappio Nuova.
Il 1932, con i lavori di impianto ultimati, rappresenta un anno di svolta nella funzionalità del progetto anche perché vide l’insediamento definitivo nella cabina di regia di Achille Starace, da poco divenuto segretario nazionale del Pnf.
Per verificare di persona la situazione, Starace giunse in Romagna il 21 aprile di quell’anno e partecipò alla cerimonia della Leva fascista provinciale [12]. Nella stessa giornata ebbe luogo la prima edizione della Coppa del duce, una gara di regolarità motociclistica che toccava le principali località romagnole, da Cesenatico a Forlì attraverso Rimini, Santarcangelo, Savignano, Cesena, Forlimpopoli, Meldola, Rocca della Caminate e, ovviamente, Predappio Nuova. L’attenzione di Starace fu costante e si concretizzò attraverso un sistema organizzativo sempre più rodato che convogliò in Romagna centinaia di migliaia di persone all’anno: fascisti, studenti, lavoratori soprattutto delle categorie più proletarie. Nei luoghi dell’infanzia del capo del fascismo, l’esaltazione del mito delle origini e la progressiva identificazione di Mussolini con la sua terra rendevano la visita un surrogato della “visione” stessa del duce. Sotto il suo coordinamento il disegno si ampliò ulteriormente seguendo l’ispirazione dettata dal faro di Rocca delle Caminate definendo un pacchetto funzionale ad esaltare il genius loci di un’area che, fin dall’antichità, era legata alla grandezza di Roma. L’intera Romagna divenne la terra del duce, con le sue storie, le città, le spiagge nelle quali migliaia di bambini venivano portati nelle neonate colonie marine e la cui sensibilità emotiva veniva marchiata dalla luce tricolore che raggiungeva il loro sguardo nella notte estiva, preveniente da Predappio e direttamente dal luogo in cui Mussolini era nato e dal castello in cui viveva. Ogni tassello di questo percorso, vissuto in loco e a distanza, surrogava la presenza del duce. Fu esercitando questa funzione che la nuova Predappio, con il suo patrimonio di simboli, liturgie e stereotipi, contribuì all’allargamento dei livelli di adesione al fascismo durante gli anni del consenso, interagendo con la “didattica” e la propaganda del Ministero dell’Educazione nazionale.
Insieme alla realizzazione fisica degli edifici, il progetto fu sostenuto da un’opera di costruzione immaginifica che venne messa a punto attraverso l’uso combinato di diversi media. Sul rilievo delle opere autobiografiche, biografie e sull’attività giornalistica esistono molti studi [Passerini 1991] che, comunque, non bastano a dimostrare la capacità persuasiva che ebbe il progetto. Decisiva fu l’educazione dei giovani realizzata all’interno del mondo scolastico e nelle organizzazioni Onb (Opera nazionale balilla) e Gil. Fra le opere di divulgazione di massa ci furono varie versioni per bambini della vita di Benito Mussolini e del fratello Arnaldo [Biloni 1929 e 1938; Giacobbe 1926; Campana s.d.], il libro Mussolini svelato ai fanciulli di Federico Mastrigli con disegni che i piccoli lettori potevano colorare [Mastrigli 1926] nonché il volumetto intitolato Una favola vera scritto da Arduino Di Belmonte con illustrazioni di Anna Tommasini che iniziava così: «C’era una volta a Predappio, paesello della fertile terra di Romagna, una famiglia che viveva assai modestamente». Esemplare il finale:
Per ora ricordati solo che egli dedica la sua esistenza al bene della Patria, e abbi anche tu, sin d’ora, per lui della riconoscenza. Non lo vediamo quasi mai, ma si ha la sensazione che perfino l’aria che respiriamo è piena del suo fascino e della sua forza; e dalle capitali d’Europa e d’oltre Oceano si attende da Roma la parola del Duce [Di Belmonte 1933].
Fra gli strumenti di forte impatto su larga scala meritano una sottolineatura i media moderni, radio e cinema [Argentieri 1979; Laura 2000], che in una società connotata da bassi indici di istruzione (circa il 20% della popolazione risultava analfabeta e una percentuale analoga appena alfabetizzata) ebbero grandissima influenza. Altrettanto efficace risultò l’esperienza del viaggio [Gundle 1998, 172-89].
Della gestione delle gite si occuparono le organizzazioni di regime dei luoghi di provenienza (Pnf, Opera nazionale dopolavoro, Gil, corporazioni) oltre all’associazionismo combattentistico, al mondo scolastico e alle strutture militari. Tra Forlì e Predappio venne invece predisposto un format per l’accoglienza e la fruizione.
L’organizzazione stessa della gita divenne medium e contenuto grazie alla trafila dei passaparola, ai promemoria, alle scritte nelle bacheche aziendali, delle scuole delle sedi di balilla e avanguardisti, ai programmi stampati. Pervasiva risultava la stessa atmosfera del viaggio che, per molti italiani dell’epoca, rappresentava una rara (se non l’unica) occasione di uscita dagli angusti confini dei quartieri urbani, dei paesi o delle terre contadine in cui vivevano. La condivisione dell’esperienza, i luoghi carichi di enfasi, le cerimonie devozionali e le liturgie politiche, i canti, i ricordi, le fotografie, i racconti: tutto ciò contribuì a costruire un luogo-simbolo nell’immaginario nazionale che veniva vissuto direttamente e a distanza, di persona o attraverso l’evocazione.
Caratteristica di questo fenomeno fu l’economicità: la gita doveva limitarsi alla giornata, doveva essere accessibile a tutti, soprattutto alle persone non in grado di sostenere costi. Treni a tariffe ridotte o in certi casi gratuiti per i partecipanti, quindi a disposizione un sistema di autobus dalla stazione di Forlì per Predappio dove una liturgia laica della visita scandiva le tappe organizzative. L’impatto con i luoghi doveva suscitare emozioni, alternando l’esaltazione della modernità sociale impressa dal fascismo e incrociata fin dall’uscita dalla stazione di Forlì con la semplicità campestre della valle del Rabbi, per culminare con l’arrivo al paese del duce. Il momento solenne coincideva con l’omaggio alla tomba dei genitori al cimitero di San Cassiano in Pennino. Il copione prevedeva due varianti. O una marcia di circa due chilometri, dalla piazza di Predappio fino al camposanto (una sfilata che evocava, soprattutto nelle leve più giovani, il mito della marcia su Roma), oppure il concentramento nel piazzale antistante dove prendeva il via una processione. In fila composta, seguendo labari e gagliardetti, i visitatori approdavano al cospetto delle tombe di Alessandro Mussolini e Rosa Maltoni (dal 1941 si aggiunse il figlio Bruno, mentre il fratello Arnaldo scomparso nel 1931 trovò sepoltura a Paderno di Mercato Saraceno, nel Cesenate) dove si compiva il rito della deposizione di corone commemorative, di fiori o oggetti, accompagnato dall’esposizione di stendardi, squilli di tromba e dagli immancabili saluti romani. Non mancarono tributi singolari come la composizione di stelle alpine portata da una delegazione di mutilati altoatesini, una lampada in ferro dalla Federazione agricoltori fascisti della provincia di Mantova e il lancio aereo di corone floreali eseguito nell’anniversario della morte di Rosa Maltoni del 1930, a cantiere aperto, dal pilota Vasco Magrini. Frequenti furono le offerte di targhe votive e l’invio di somme di denaro per messe in suffragio di Rosa Maltoni, anche da parte di istituti scolastici. In segno di ringraziamento alla comunità predappiese giunsero pure doni in natura con casi eccezionali fra cui il regalo di due quintali di pesce fresco portati dai marinai di Fano. Successivamente l’itinerario proseguiva all’esterno con la visita alla chiesa e alla quercia del duce.
Anche la visita alla casa natale avveniva con sentimento di tipo religioso, in silenzio, con devozione, per non violare la sacralità degli spazi in cui il duce era stato concepito ed era venuto al mondo. Testimonianze e documenti restituiscono uno scenario da presepio laico.
Il format della visita prevedeva anche una sosta in municipio con il ricevimento dei capi delegazione nella sala di rappresentanza. Spesso l’ampio parco comunale era la base per consumare il pranzo al sacco. Ne riferiva, attraverso il dispositivo amministrativo di un atto, lo stesso podestà quando a inizio 1934 fece installare tavoli, panchine e costruire una fontana nel parco della residenza comunale:
per tre quarti dell’anno a Predappio Nuova si recano comitive di visitatori in Pellegrinaggio sulla tomba che accoglie le sacre spoglie dei genitori del Duce, ed alla terra che ha dato all’Italia ed al mondo intero “L’Uomo nuovo”, le quali comitive sostano spesso a brindare ed a mangiare nei parchi, senza trovare in essi modo di sedersi comodamente, né luogo a dissetarsi [13].
Al parco di Palazzo Varano si accedeva dalla piazza sottostante mediante una scalea a forma di freccia puntata, quale cannocchiale prospettico, in direzione del castello di Rocca delle Caminate situato sulla collina di fronte. Lungo la scalinata venne allestita una gabbia di metallo all’interno della quale venne posta un’aquila, richiamo alla romanità e all’impero.
Esattamente nel punto di contatto con la piazza venne costruita la Casa del fascio e dell’ospitalità che dall’aprile 1937 divenne il punto ricettivo dei visitatori. Qui avveniva anche la distribuzione di «una specie di sacchetto da viaggio, (con) due, tre panini» [Serenelli 2012] e all’interno dei locali, in caso di maltempo, i visitatori potevano consumare il pranzo al sacco al posto di usufruire dell’adiacente parco municipale.
Nel programma del viaggio veniva lasciato un po’ di tempo libero che, in assenza di cose da fare, portava le persone alla visita della chiesa di Sant’Antonio oppure alla ricerca di ricordini. Contrariamente allo sviluppo della vendita di gadget, cimeli e prodotti fascistizzati esploso negli anni Novanta del XX secolo, i souvenir dell’epoca si limitavano a due categorie: guide illustrate e cartoline [Balzani e Proli 2000; Proli 1998]. Addirittura senza prezzo erano le “reliquie” del viaggio, fosse un pezzetto di corteccia della quercia del duce o un pezzetto di quel pagliericcio che spuntava dall’interno dei materassi (le memorie parlano di pezzetti di foglie di granturco), realizzati appositamente con punti di rottura, che si trovavano nelle camere da letto del piccolo museo. Così come gratuito era il racconto che poteva viaggiare di bocca in bocca o essere fruito via radio, attraverso il cinegiornale Luce, grazie alle immagini su riviste e manifesti. Ciò che poteva fare la differenza nei confronti di una massa popolare connotata dal basso livello di istruzione (oltre all’uso della forza), erano strumenti in grado di attivare linguaggi semplici ed emozioni forti: la condivisione, l’ascolto, la fede.
3. Uno sguardo ai numeri
Ancora prima dell’entrata in esercizio della nuova stazione ferroviaria un evento aprì la stagione dei pellegrinaggi. Il 24 luglio 1927, proveniente da Ravenna dove si stava svolgendo il Raduno degli artisti fascisti presso il teatro “Dante Alighieri” (iniziativa alla quale parteciparono personaggi del calibro di Mascagni, Moretti, Panzini, Balilla Pratella, Marinetti, Beltramelli), arrivò a Predappio Nuova una delegazione di gerarchi e personaggi della cultura italiana, guidata dal segretario nazionale del Pnf Augusto Turati [14]. Arrivi eccellenti si erano già verificati nei mesi precedenti (nel 1925 il segretario del Pnf Farinacci, nel 1926 il ministro dell’Economia nazionale Giuseppe Belluzzo [15]) ed erano stati prontamente annotati dal giornale della Federazione fascista di Forlì “Il Popolo di Romagna”. La macchina della propaganda cominciò ad aggiungere al progetto anche eventi mondani. Grande clamore destò, nel 1928, la tappa Predappio-Arezzo del Giro d’Italia che inaugurò una stagione decennale di manifestazioni sportive, soprattutto ciclistiche e motociclistiche, mentre al 1930 risale l’istituzione della «linea di Gran Turismo» su torpedoni da Venezia a Firenze che, offrendo «le comodità di un viaggio di piacere», faceva una sosta di venti minuti a Predappio Nuova «per dare modo ai passeggeri di visitare la casa natale» [16].
Tutto questo fenomeno venne seguito da un osservatore particolare e riservato, che fin dagli albori annotò impressioni e numeri relativamente all’arrivo dei forestieri. Si trattava di don Pietro Zoli il parroco di San Cassiano in Pennino e alle sue notizie cominciò ad attingere direttamente l’ufficio di gabinetto di Mussolini. [17] Dalla metà degli anni Trenta la rendicontazione divenne assidua, in virtù del maggior numero di persone giunte al cospetto del cimitero di cui era amministratore ecclesiastico. Quadri statistici vennero stilati anche dalla Prefettura di Forlì che, in particolare, monitorava i maggiori raduni e i grandi eventi. [18] Gli elenchi di don Zoli e della Prefettura, conservati nelle carte della Segreteria particolare del duce presso l’Archivio centrale dello Stato di Roma, si riferiscono al periodo compreso fra il 1934 e il 1938. I numeri spaziavano da un migliaio di visitatori al mese nella stagione invernale fino a una media di 5.000 presenze al mese nel periodo estivo, con picchi di eccezionalità in occasione di alcuni eventi che verranno ricordati a breve [19]. Altre informazioni risultavano diramate dall’ufficio turistico presso il Dopolavoro di Forlì che venne creato per regolamentare l’«eccezionale e crescente afflusso di comitive, che giungevano talora simultaneamente ingenerando […] notevoli difficoltà» [20].
Dalla corrispondenza tra questo ufficio e la Prefettura emergeva la necessità di «ridurre al minimo indispensabile la permanenza sui luoghi, e quindi la spesa, per facilitare la partecipazione dei dipendenti provinciali di più modeste possibilità, così da assicurare all’iniziativa il raggiungimento del suo fine principale» [21] e cioè di creare consenso. [22] Il frenetico circuito veicolava decine di migliaia di persone all’anno e vide ampliarsi la gamma dei mezzi di trasporto utilizzati. Oltre alla navetta di torpedoni con Forlì e alle automobili delle autorità o delle persone facoltose, le strade della valle del Rabbi videro l’arrivo di grandi mezzi provenienti direttamente dai luoghi di partenza, spesso corriere ma in certi casi pure camion (col trasporto di persone nei cassoni!), motociclette, biciclette e, acuendo il valore sacrificale del pellegrinaggio, lunghi viaggi a piedi: da Torino [23], Udine [24], Firenze [25]. Clamoroso fu il caso di un parente del segretario del Pnf, tal Loreto Starace, le cui spoglie mortali vennero portate per volontà testamentaria in pellegrinaggio a Predappio all’interno di una bara [26].
Poi ci furono le visite ufficiali. Se fino al 1932 il libro delle firme della casa natale era stato vergato dalle firme di massimi esponenti in campo nazionale della politica e della cultura, un dato di novità giunse con gli omaggi di carattere internazionale. Sulla passerella degli ospiti più illustri spiccò, nel gennaio 1933, la figura dell’alto diplomatico giapponese Yosuke Matsouka [27] che proprio in quell’anno balzò alla ribalta mondiale per aver guidato l’uscita della delegazione nipponica dalla riunione della Società delle nazioni in seguito alle critiche ricevute per le operazioni militari in Manciuria (tale scelta sancì l’abbandono da parte del Giappone dell’organismo). Sempre al 1933 risalgono gli arrivi di una delegazione proveniente da Alessandria d’Egitto [28] e la visita di ufficiali della Marina britannica giunti «ad onorare, nelle memorie sue più care, l’uomo che il mondo ammira e ascolta» [29]. Altre presenze autorevoli furono quella del cancelliere austriaco Schuschnigg (1936) e dell’inviato giapponese Okura (1937). Quale segno dei tempi apparve la presenza dei «giovani hitleriani» che nel mese di agosto del 1937 marciarono a piedi provenendo da Rimini [30]. Non mancarono una delegazione di fascisti della Dalmazia [31] e, nell’estate del 1939, la rappresentanza albanese con esponenti del neo instaurato governo filo-fascista, famiglie di sposi e una missione della Chiesa ortodossa [32]. La consacrazione definitiva avvenne con il riconoscimento della famiglia Savoia. L’8 giugno 1938 Vittorio Emanuele III arrivò via treno, a bordo della carrozza reale, in visita ufficiale a Forlì e Predappio. La manifestazione fu preceduta da straordinarie misure di sicurezza, con tanto di fermi preventivi, ispezioni e avvertimenti [33], e si sviluppò attraverso una parata in auto per le vie cittadine, visita alla mostra dedicata al pittore Melozzo degli Ambrogi a Palazzo del Merenda e bagno di folla in piazza Saffi, con 50.000 persone adunate dall’intera provincia. Il saluto del monarca venne portato dal balcone del municipio, lo stesso dal quale il duce aveva parlato a una piazza altrettanto gremita il 30 ottobre 1932.
A seguire il corteo raggiunse Predappio con ricevimento del re a Palazzo Varano, saluto alla folla dal balcone del municipio, omaggio alla tomba Mussolini e visita della casa natale. Fra le autorità che seguivano gli spostamenti mancava il duce e spiccavano i nomi di Giuseppe Bottai, Achille Starace e Pietro Mascagni. Data la visibilità dell’evento, che fu oggetto di innumerevoli servizi giornalistici e di ben due cinegiornali Luce, la manifestazione fu preceduta da un finanziamento straordinario di 50.000 lire «per vestire i predappiesi in modo decente». Momento conclusivo dell’evento fu l’incontro privato fra il re e il duce nel castello sulla collina di Rocca delle Caminate, dove Mussolini attese l’omaggio [34].
Altra legittimazione da parte di Casa Savoia giunse nell’ottobre del 1938, nelle stesse ore in cui venivano emanate le leggi razziali, con la visita del principe di Piemonte accompagnato nel “pellegrinaggio” da circa 7.000 cooperatori [35].
Negli anni Trenta, a cadenzare il crescendo di visitatori furono adunate straordinarie. Il 15 aprile 1934 6.000 dopolavoristi bolognesi, nel settembre successivo 1.000 associati al Reale automobile club d’Italia Tre Venezie [36] e il 28 ottobre, in occasione dell’inaugurazione della chiesa di Sant’Antonio da Padova, i frati stimarono circa 10.000 presenze. Altro bagno di folla, con diverse migliaia di partecipanti, avvenne in occasione della festa del lavoro, il 21 aprile 1937, quando donna Rachele e il segretario Starace tennero a battesimo la nuova Casa del fascio. A inizio giugno di quell’anno la rete organizzativa riuscì a gestire il pellegrinaggio di ben 15.000 camicie nere pesaresi [37]. L’apparato ricettivo era ormai collaudato a reggere l’urto della crescente massa di visitatori. Il 29 luglio 1939, in occasione del compleanno di Mussolini, Starace tornò in paese per l’imponente adunata dei rurali [38] alla quale presero parte circa 10.000 rappresentanti del mondo agricolo con in testa il ministro dell’Agricoltura. A distanza di qualche mese, e dopo lo scoppio del conflitto fra Germania nazista Gran Bretagna e Francia, con l’Italia ancora assente dallo scenario bellico, il 29 ottobre 1939 venne comunicato l’avvicendamento alla guida del Pnf che fu affidato al romagnolo Ettore Muti. La fine della regia di Starace, i venti di guerra e le crescenti difficoltà economiche determinarono una graduale trasformazione nella “fruizione” del paese con una inversione drastica di tendenza nelle presenze dei visitatori. Dal 10 giugno del 1940 il numero delle presenze cominciò a diminuire drasticamente, il faro tricolore venne spento per ragioni di sicurezza militare, i bombardamenti aerei e il passaggio del fronte fecero il resto. Caduto il fascismo, persa la guerra, morto il duce, rimasero macerie ed edifici da rifunzionalizzare, non solo dal punto di vista dell’attività ma anche sotto il profilo dell’apparato simbolico. Il significato politico originario delle architetture divenne ingombrante, su Forlì calò quello che Giorgio Bocca chiamò «il complesso del dittatore» mentre Predappio si trovò a fare i conti con l’eredità ingombrante di essere ancora considerato il paese del duce.
4. Pellegrini o turisti?
È stato ampiamente dimostrato, e non solo dalla sintesi dei paragrafi precedenti, che il progetto “paese del duce” ambiva ad essere un tassello della macchina organizzata dal fascismo nella politica del consenso. L’obiettivo trascurava volutamente la possibilità di produrre ricchezza con i soldi incassati dai visitatori. Questo carattere rende evidente che non ci si trova di fronte a un elemento da industria turistica, così come veniva considerato all’epoca dalla politica dell’Enit. L’industria turistica aveva come finalità la creazione di lavoro, di rendita e di guadagno mentre nel caso della nuova Predappio avvenne sostanzialmente il contrario dal momento che prevalentemente fu la mano pubblica (Stato, enti locali e risorse gestite dal partito fascista) a sostenere gli oneri del progetto. Ci furono ovviamente eccezioni, sia per l’edilizia privata sia anche in termini di elargizioni liberali come l’iniziativa di un ammiratore cittadino britannico di nome William Becker che donò «la somma di L. 500.000 per il nuovo paese, e con le quali intendeva abbattere, per ricostruire con nuovi criteri tecnici, la parte di Dovia detta La Pescaccia, la più malsana della frazione» [Comune di Predappio 1927]. Ma nella Predappio dell’epoca, così come in età repubblicana (anche oggi), la quasi totalità degli abitanti del paese hanno vissuto, e vivono, d’altro rispetto all’indotto dei pellegrinaggi e di quello turistico. Indubbiamente il quindicennio di boom edilizio compreso fra il 1925 e il 1940 trasformò numerosi braccianti e contadini in muratori, carpentieri, addetti ai trasporti e ai servizi connessi con queste attività. In più la disponibilità di alloggi popolari moderni determinò un significativo miglioramento nella qualità della vita, così come la notorietà del luogo e i cantieri esercitarono capacità attrattiva con conseguente incremento della popolazione. Complice anche l’aumento dei tassi di natalità, dai 6.708 abitanti del 1925 il Comune di Predappio schizzò a quota 9.210 nel 1936, per oltrepassare la soglia dei 10.000 al passaggio di decennio. Il dato sociale, comunque, collocava Predappio ancora in una fascia a forte vocazione rurale e il territorio risultava egemonizzato dal mondo contadino. Guardando i dati del censimento generale della popolazione elaborato alla data del 21 aprile 1936, solo un terzo del totale dei residenti viveva nei nuclei urbani. Gli abitanti delle case sparse nelle campagne ammontavano a 5.969 unità, mentre quelli dei centri (Predappio, Predappio Alta, Fiumana, San Savino e Tontola) erano 3.241, con il capoluogo assestato a quota 1.188. Passando all’analisi delle attività professionali, l’agricoltura impegnava il 77,5% della popolazione attiva mentre il l5% era la porzione degli occupati nell’industria e trasporti (categoria nella quale venivano conteggiati gli addetti dell’edilizia) e che mostrava un livello di qualche tacca superiore rispetto a realtà analoghe per numero di abitanti [Istituto centrale di statistica 1937].
Se il dato sociale del territorio non costituiva alcun problema rispetto al progetto di costruzione del percorso simbolico mussoliniano, anzi si collocava perfettamente e in modo coerente nella linea politica di ruralizzazione e autarchia del fascismo, la questione lavoro aprì una seria riflessione soprattutto una volta che la spinta edilizia cessò. Per far sostenere la vita di questo paese inventato serviva qualcos’altro. Anche in questo caso l’interesse del duce fu diretto. Il 6 aprile 1935 Mussolini giunse in visita alla chiesa di Sant’Antonio, la basilica realizzata al culmine del viale del paese proprio ai piedi del municipio. Dopo aver «salutato in posizione d’attenti col saluto romano il S. S. Sacramento» il Duce si confrontò con i frati francescani sul dato sociale del paese e questi condivisero quanto avevano annotato nello stato d’anime: «l’affluenza dei forestieri che potrebbe costituire una fonte di guadagno, non produce alcun vantaggio, perché non vi sono alberghi, negozi, piccole industrie, ecc… ed il forestiero passa senza apportare nessun utile reale» [39].
Il paese era ormai costruito ed appariva chiaro che il flusso di denaro statale per sostenere i costi edificatori sarebbe terminato insieme allo spazio per ulteriori ampliamenti. Fallito il tentativo di riaprire una antica miniera di zolfo a metà anni Venti e terminata la campagna di bonifica del territorio (a guidare le squadre armate di pala era stato nel 1929 lo stesso Mussolini) [40], lo scenario produttivo extra agrario ed edilizio vedeva attiva solo una realtà di tipo artigianale moderno, la Società anonima ebanisteria dell’ingegner Cesare Castelli. A sbloccare la situazione intervenne la scelta dell’industriale Gianni Caproni che decise di costruire alle porte del paese una grande fabbrica di aeroplani. L’iniziativa risultava inquadrata all’interno di un distretto del volo che stava prendendo forma attorno a Forlì dove il 19 settembre 1936 era stato inaugurato l’aeroporto militare, sede del 30° stormo. Sotto la spinta militarizzatrice attuata dal fascismo rispetto all’economia italiana e lavorando in collaborazione con il Ministero dell’Aeronautica, la costruzione dello stabilimento era iniziata nel settembre 1935 con l’incorporamento della Società anonima ebanisteria e proseguì lanciando una nuova ondata edificatoria. Nel corso di alcuni anni furono realizzati amplissimi edifici per i reparti, un locale mensa, diverse strutture accessorie fra le quali una teleferica mentre parte della collina venne perforata per predisporre gallerie di protezione. Da un punto di vista dei collegamenti venne approvata (ma mai iniziata perché l’entrata in guerra vide destinare i finanziamenti ad altri interventi) la costruzione di una linea ferroviaria da Forlì a Predappio con il duplice obiettivo di convogliare i visitatori direttamente sui vagoni e di congiungere la base produttiva anche agli hangar di montaggio presso l’aeroporto forlivese. Nel suo picco occupazionale, a cavallo del decennio, l’Aeronautica Caproni Predappio diede lavoro a circa 1.200 persone innescando una ulteriore crescita demografica e attirando numerosi lavoratori fuori sede che alloggiavano, a pigione, nella case dei predappiesi. Da un punto di vista imprenditoriale – come fu appurato dalle autorità fasciste nel periodo della Repubblica sociale italiana – lo stabilimento non ebbe il tempo per decollare. L’ingresso dell’Italia in guerra bloccò investimenti e disponibilità di materie prime, molti operai furono costretti a partire per le armi e durante l’occupazione nazista, nel 1944, le truppe tedesche asportarono i macchinari per destinarli a siti produttivi considerati più sicuri e utili.
Se l’economia di Predappio viveva d’altro è comunque indubbio che il flusso di visitatori innescò un indotto di carattere economico, ma ciò mantenne un rilievo accessorio rispetto a un progetto pensato non per far cassa, bensì per inculcare fattori emotivi, spesso senza costo o a prezzo stracciato. D’altronde la mission era chiara. Alcuni punti di vista aiutano ad affinare l’analisi. Il primo è del giornalista e scrittore Antonio Beltramelli che pubblicando L’uomo nuovo nel 1923 aprì la serie di biografie di Mussolini. Questa la sua analisi:
Fra un’anima di elezione e la terra sua di origine si stabilisce un rapporto misterioso come da madre a figlio: un rapporto che perdurerà nel subcosciente anche quando la vita avrà trascinato questo eletto per vie remotissime e lo avrà costretto a costumi e a lingue diverse e fra uomini dissimili [Beltramelli 1923, 84].
La definizione tracciò una linea che venne seguita dai più stretti collaboratori del duce. Fra questi il fidato giornalista Manlio Morgagni al quale venne assegnata la guida della Agenzia Stefani, cioè della voce del regime che diramava le “veline” politiche ai giornali e li controllava. Oppure il diplomatico Giacomo Paulucci di Calboli, barone, che fu suo capo di gabinetto per gli Affari esteri e poi, dal 1933, presidente dell’Istituto Luce. Ovviamente il fratello Arnaldo al quale affidò la direzione del giornale “Il Popolo d’Italia” oltre che la guida amministrativa della Provincia, fino alla sua scomparsa nel 1931 [Gundle 1998, 173]. Fra i primi osservatori che colsero questo aspetto ci fu Margherita Sarfatti che enfatizzò il ruolo decisivo del rapporto con il territorio nativo in Dux e poi nell’altra opera biografica Il volo dell’aquila. Da Predappio a Roma [Sarfatti 1926; Marga 1927].
Pienamente consapevole al riguardo risultava il pensiero del sindaco-podestà di Predappio Pietro Baccanelli: «Dall’esame dell’attività svolta dall’Amministrazione nelle varie branche si ha l’esatta visione delle variazioni sostanziali avvenute in questo Comune, assurto, per virtù dell’illustre Uomo che vi è nato, a terra santa di ogni italiano» [Comune di Predappio 1927].
Lo stesso timbro, ma allargato all’intera Romagna secondo la visione affermatasi negli anni Trenta, risuonava in una pubblicazione che ebbe ampia divulgazione: La Terra del Duce. Alla vigilia del collasso del regime il libretto rappresentava il percorso di luoghi che da Predappio e Forlì si allargava ad un’area molto più ampia, coinvolgendo le altre città, da Rimini idealizzata dall’arco di Augusto a Ravenna con la tomba di Dante, i fiumi sacri per la romanità (Tevere e Rubicone), la marina e la montagna, con il fascio di luce tricolore emanata da Rocca delle Caminate a tracciare il perimetro di quest’area mitica: «la bella, generosa, ospitale e feconda Romagna – scriveva – meta ideale di ogni italiano» [La Terra del Duce, 1941].
La sacralità e l’idealità del luogo erano talmente marcate che risaltarono, non senza suscitare stupore, anche allo sguardo dei soldati del 2° corpo d’armata polacco ai quali, con loro estrema soddisfazione, spettò l’onore di liberare Predappio e che per primi si trovarono a fare i conti con i luoghi: la casa natale (davanti alla quale avevano piazzato una postazione di artiglieria), gli archivi della Casa del fascio e del municipio (che in quel periodo andarono soggetti a un incendio), il materiale (meglio ciò che rimaneva dopo una fase di saccheggio popolare) custodito a Rocca delle Caminate. I vertici della 5a divisione di fanteria “Kresowa” ne diedero questa descrizione:
Predappio Nuova è la Mecca del fascismo perché non è solo la sua culla ma anche la sua opera. Senza Predappio il piccolo Benito o il grande Mussolini sarebbe nato comunque, ma senza Mussolini non ci sarebbe Predappio. Basta una breve passeggiata per convincersi. Ci sono più palazzi pubblici che abitati. Ognuno rappresenta un’idea fascista [41].
Il 28 ottobre 1944 le truppe del 2° corpo d’armata polacco inquadrate nell’8a armata britannica annunciarono la liberazione di Predappio mentre continuava a infuriare la battaglia attorno a Forlì.
La città fu conquistata dagli inglesi il 9 novembre e la ritirata nazista spostò la linea del fronte sulle sponde del fiume Lamone, alle porte di Faenza. Se da un punto di vista militare la presa di Predappio rappresentò un obiettivo come altri nello scacchiere dell’avanzata britannica, la coincidenza della liberazione del paese del duce con l’anniversario della marcia su Roma sembrò un vero e proprio segno del destino. In realtà Predappio era stata presa almeno dal 26 ottobre, quando soldati polacchi e alcuni partigiani si presentarono alle gallerie dell’Aeronautica Caproni nelle quali aveva trovato rifugio parte della popolazione. A quel punto, fra comandi e intelligence, maturò una riflessione strategica: sarebbe bastato attendere due giorni per innescare un meccanismo utile alla propaganda perché capace di amplificare il potenziale simbolico della vittoriosa conquista. Così avvenne e la notizia fece il giro del mondo. A sancire il pregio assoluto della preda di guerra contribuì l’arrivo a Predappio nella primavera del 1945, del massimo comandante delle forze alleate in Italia, il generale americano Mark Clark. Accompagnato dal comandante dell’8a armata britannica Richard McCreery e da quello del 2° corpo d’armata polacco Wladislaw Anders, Clark passò in rassegna le truppe schierate fra la Casa del fascio e la chiesa di Sant’Antonio. Una parata di prim’ordine per rappresentanza militare che in zona ebbe rango equivalente solo a Bologna.
5. Memoria divisa
I mesi e gli anni della ricostruzione si rivelarono particolarmente duri per la comunità predappiese che si trovò impreparata ad affrontare le difficoltà contingenti, il cambiamento in atto e l’ingombrante eredità politica. Il dopoguerra si aprì in un clima di forti tensioni sociali, alimentate da una disoccupazione in crescita e dalla perdita definitiva della Caproni della quale rimaneva, ridotto a un piccolo nucleo, solo una propaggine del reparto ebanisteria che originò una nuova azienda denominata L’Arte.
Mentre per la Romagna del dopoguerra fu relativamente semplice sbarazzarsi del marchio di terra del duce per assumere nell’immaginario collettivo l’amata fisionomia di terra delle vacanze (con la riviera adriatica fra Cattolica e Ravenna diventata in un ventennio uno dei comparti turistici più importanti del mondo), il brand “Predappio, paese del duce” sopravvisse alla fine del fascismo e pure ai 12 anni di clandestinità cui fu soggetto il cadavere di Mussolini. Tutto questo nonostante un quadro locale che dalla Liberazione vide le sorti del Comune in mano a sindaci comunisti: prima Giuseppe Ferlini, quindi Benito Partisani. Predappio viveva nella consapevolezza dell’essere diventata improvvisamente una periferia e per di più reietta. E ciò non solo per il fatto di aver dato i natali al duce ma perché era stata il luogo centrale della costruzione del suo mito e aveva beneficiato di enormi finanziamenti pubblici. Gran parte dell’apparato simbolico precedente non esisteva più o era stato disinnescato. La casa natale confiscata dallo Stato come “profitto di regime”. Il museo interno svanito (molti oggetti furono razziati o asportati dalle truppe alleate). Il castello di Rocca delle Caminate bloccato da una lunga vertenza giudiziaria prima di tornare in proprietà di donna Rachele Guidi alla quale era intestato (nei primi anni Sessanta venne ceduto tramite compravendita alla Opera nazionale maternità e infanzia). L’imponente Casa del fascio, invece, fu riadattata per ospitare l’azienda L’Arte e, in una porzione del fabbricato, la Casa del popolo comunista e socialista. Di inalterato rimaneva solo la tomba al cimitero, con i sepolcri di Alessandro, Rosa e del figlio Bruno relegati a una condizione di isolamento ma ancora oggetto di rare visite clandestine con deposizione di fiori.
Dal 28 aprile 1945 (giorno dell’uccisione del duce) fino all’estate del 1957, il corpo di Benito Mussolini rimase in clandestinità [Luzzatto 1998]. I suoi resti mortali riemersero sulla scena pubblica il 30 agosto di quell’anno quando un’auto americana li accompagnò alla sepoltura nel cimitero di San Cassiano in Pennino. Le spoglie erano contenute in una cassa di legno. Ad attenderne l’arrivo donna Rachele e un drappello di persone [42]. La decisione era stata autorizzata dal presidente del Consiglio Adone Zoli, antifascista cattolico ed esponente di punta della Democrazia cristiana (Dc) che aveva vissuto la giovinezza fra Predappio e Cesena. Membro del Comitato di liberazione di Firenze, nella sua carriera politica Zoli rivestì numerose cariche pubbliche e di governo che culminarono con la responsabilità, nel 1957, di formare un governo monocolore democristiano che traghettò la situazione politica fino alle elezioni politiche della primavera seguente. Zoli morì il 20 febbraio del 1960 e volle essere sepolto nel cimitero di San Cassiano in Pennino. Prima di assumere la decisione si era confrontato con il sindaco comunista Egidio Proli e con il capo della Dc locale Bruno Sintoni. Entrambi non sollevarono rimostranze. La data della traslazione rimase segreta per suscitare minor clamore possibile. Non fu proprio così. La notizia uscì e il cimitero si animò di persone e giornalisti. Il sentimento diffuso nell’opinione pubblica concordava nel non manifestare preoccupazioni. Così commentò Enzo Biagi direttore del settimanale “Epoca”:
il Governo ha agito opportunamente e Mussolini riposa ora nel piccolo cimitero di Predappio. I suoi cari, i suoi ammiratori hanno una tomba su cui pregare; c’è un registro che raccoglie le firme, ci sono dei vasi nei quali – chi vuole – può deporre fiori. E davanti a una bara rancori ed esaltazioni non hanno alcun senso, i morti dovrebbero richiamare solo la nostra pietà. Il giudizio della Storia, del resto, non subisce l’influenza degli “Alalà”, né delle maledizioni. Non ci pare che le attuali istituzioni si reggano sull’esilio dei defunti. Non le vediamo minacciate da questi malinconici ritorni che hanno la tristezza consueta di tutti i funerali e l’amarezza che accompagna i bilanci fallimentari [43].
Lo stesso mondo comunista romagnolo rimase estremamente composto liquidando il “ritorno” del duce con una frase del compagno sindaco predappiese: «Non ci ha fatto paura da vivo, non ce la farà ora da morto» [Franzinelli 2009].
La notizia fece il giro del mondo e da quel momento iniziò una nuova stagione e Predappio divenne luogo della memoria contesa. L’organizzazione di manifestazioni e raduni di nostalgici cominciò ad alzare il livello di attenzione ma l’euforia degli anni del miracolo economico contribuì a stemperare i toni. A tutto ciò contribuirono anche gli effetti di una interpretazione “indulgente” nei confronti di Mussolini, propensa a dividere le caratteristiche dell’uomo, dalle responsabilità del politico costretto alle scelte da una situazione europea condizionata dal nazismo e dal comunismo sovietico [Baldassini 2008]. Il tutto funzionale al nuovo stereotipo degli “italiani brava gente” (il film con quel titolo è del 1965), un popolo di persone che possono aver compiuto o compiere errori, ma non cattive di natura [Bidussa 1994; Patriarca 2010]. Nel contesto della ricostruzione sociale del Paese alla quale non furono estranee le soluzioni di continuità col regime fascista, e con la volontà di ricomporre le lacerazioni della guerra civile (in tale contesto vanno considerate le concessioni di amnistia e la parziale, o mancata, epurazione nella pubblica amministrazione), il connubio tra cautela istituzionale e l’opera di alcuni giornalisti (da Montanelli a Monelli [Montanelli 1947; Monelli 1950]), contribuì all’affermazione di ciò che Renzo De Felice definì il «romanzo di Mussolini» [De Felice e Goglia 1983]. A spostare l’attenzione dalla politica alla mondanità contribuirono inoltre altre vicende. Come il matrimonio, celebrato a Predappio, fra Romano Mussolini e Maria Scicolone, sorella di Sofia Loren avvenuto nel marzo del 1962, con la grande diva del cinema presente alle nozze e uno stuolo di reporter e paparazzi.
A un lustro di distanza la situazione appariva radicalmente diversa. Nell’aprile del 1971 (nel frattempo c’erano stati gli anni della contestazione, il Sessantotto, le lotte operaie e il riaccendersi delle tensioni da Guerra fredda attorno ai fatti del Vietnam) l’estrema destra italiana annunciò una manifestazione a Predappio in corrispondenza con l’anniversario della morte del duce. La decisione conteneva forti caratteri di provocazione e le forze antifasciste romagnole si mobilitarono per impedirne la realizzazione. Il risultato furono alcuni giorni di violenza, tensione e guerriglia fra Forlì e Predappio, con strade bloccate da trattori e barricate degli antifascisti e scontri fisici. Il clima di contrapposizione non accennò a placarsi nonostante i fermi di polizia e l’avvio di istruttorie giudiziarie. Il culmine venne raggiunto nella notte di Natale del 1971 quando un ordigno esplose nella tomba del duce arrecando gravi danni. Nei giorni successivi avvennero scontri violenti fra opposte fazioni a Forlì [44] e mentre gli inquirenti cercarono un responsabile dell’attentato, senza mai riuscire ad attribuire una paternità, dopo il ripristino della tomba le manifestazioni ripresero e, seppur in un clima di tensioni con altri confronti e scontri, non più con gli eccessi del 1971.
In questo periodo prese forma un nuovo calendario annuale dei pellegrinaggi mussoliniani che risultava strutturato su tre date clou: il 28 ottobre (anniversario della marcia su Roma), il 28 aprile (anniversario della morte del duce), il 29 luglio (anniversario della nascita di Mussolini). Ovviamente nostalgici, fedelissimi mussoliniani e militanti del Movimento sociale italiano (Msi) giungevano in visita alla tomba in varie occasioni dell’anno ma alla spicciolata. I raduni partecipati da migliaia di persone venivano organizzati invece nella domenica più vicina alle tre date simbolo.
In questi anni molto incisivo fu lo sforzo normalizzatore e di controllo attuato da parte delle istituzioni dello Stato e delle forze dell’ordine, impegnate non solo ad evitare il verificarsi di scontri ma pure a scongiurare che Predappio diventasse un focolaio operativo di attivismo politico nell’Italia degli anni di piombo per le formazioni giovanili dell’estrema destra neofascista [Rao 2014].
Già al passaggio negli anni Ottanta le preoccupazioni su Predappio erano sfumate e la stessa emergenza determinata dal terrorismo nero con gli scontri e gli attentati che avevano insanguinato l’Italia da Milano a Brescia, da Roma a Bologna, appariva essere cosa distante dalle liturgie politiche che continuavano ad essere celebrate nel paese romagnolo e che di fatto erano guidate dal Msi sempre più improntato allo stile del “doppio petto” di Giorgio Almirante.
Al riparo da scossoni politici, paradossalmente nel periodo in cui tutte le principali località della Romagna erano guidate da sindaci comunisti o socialisti, Predappio visse la giornata con la più alta partecipazione di persone della sua storia stimata in diverse decine di migliaia di persone: il 29 luglio 1983, centenario della nascita del duce. La manifestazione impegnò i familiari e la macchina organizzativa missina con Giorgio Almirante a far da punto di riferimento con l’obiettivo di evitare eccessi e marginalizzare le frange più agitate, come testimonia la polemica montata nei suoi confronti a manifestazione in corso da un gruppo di neofascisti torinesi. Quello fu l’unico aspetto che vide per un breve momento alcuni animi agitarsi ma nulla di più e la giornata trascorse senza turbamenti, in un clamore più simile a una festa che a un raduno estremista [Rao 2014, 973].
L’evento sembrò dimostrare che il tempo della tensione fosse definitivamente terminato. Ma soprattutto che ciò che si trovava a Predappio potesse servire anche ad altro. Nelle stesse settimane, infatti, la Cantina sociale di Forlì e Predappio (storica istituzione mutualistica fra agricoltori di matrice cattolica) presentò sul mercato una bottiglia di Sangiovese con un nome evocativo: “L’Innominato”. Ovviamente il personaggio de I promessi sposi non c’entrava nulla mentre l’etichetta nera azzardava una provocazione che si dimostrò redditizia [45].
L’iniziativa aprì una nuova prospettiva incline all’idea di poter sfruttare il patrimonio storico per motivi economici. Ciò sembrò a portata di mano quando cominciò a girare la voce di un presunto interessamento da parte di un imprenditore straniero per trasformare la Casa del fascio in albergo, voce rispetto alla quale il sindaco del Partito comunista Mauro Strocchi mostrò interessamento. Localmente prese sempre più spazio la convinzione che attorno al patrimonio storico e architettonico si potessero costruire percorsi capaci di attrarre turisti (non più solo pellegrini) e di contribuire alla valorizzazione dei prodotti locali. Dell’imprenditore non si seppe più nulla ma localmente l’attenzione proseguì lungo quella prospettiva mentre agli occhi del resto d’Italia Predappio era sempre la stessa. Da un lato fascisti ed estimatori del duce rivendicavano il legame al loro mondo; dall’altro le forze antifasciste deploravano lo svolgimento di raduni e manifestazioni. Nel mezzo stavano i predappiesi che dopo circa mezzo secolo di marginalizzazione e di scontri speravano in qualcosa di diverso.
Con l’arrivo degli anni Novanta, dopo la caduta del muro di Berlino, la fine del blocco sovietico e il nuovo scenario politico nazionale e internazionale, il tema del patrimonio storico e la rifunzionalizzazione dei luoghi in disuso (in particolare la casa natale, il castello di Rocca delle Caminate e la Casa del fascio) divennero centrali nei programmi di tutte le forze politiche locali, soprattutto di quelle di sinistra e centrosinistra che fino al 2019 hanno guidato l’amministrazione comunale. A questo periodo risale la presentazione di alcuni progetti di legge per Predappio sottoscritti dai parlamentari del territorio di tutte le formazioni politiche. Nel frattempo il paese si trovava a fronteggiare un fenomeno inatteso. A partire dalla fine degli anni Ottanta alcuni abusivi avevano iniziato a svolgere attività illegali di vendita di gadget mussoliniani (cartoline, libri, spille, adesivi e pure bottiglie di vino) presso il cimitero di San Cassiano in Pennino. La cosa suscitò proteste e sfociò in raccolte di firme da parte di cittadini per sollecitare l’intervento da parte di istituzioni e forze dell’ordine. Una risposta portò alla nascita dei primi regolari negozi di souvenir che, se contribuirono a contrastare la pratica di vendita ambulante illegale, non eliminarono la presenza abusiva di persone al cimitero a caccia di visitatori per consegnare a loro bigliettini e materiale promozionale. Contemporaneamente avvenne che, in virtù della normativa sul commercio e in assenza di un orizzonte giuridico inequivocabile rispetto al reato di apologia del fascismo sancito dalla Costituzione (cosa è vietato fare o vendere? cosa comporta tale violazione?), il perimetro merceologico dei prodotti venduti si estese ben oltre il vino, le cartoline e le spille, spaziando dai calendari alle magliette, dai manganelli giocattolo alle uniformi, dalla vasta gamma di oggetti di bigiotteria e oreficeria fino ai materiali pensati per il mondo ultras. Con l’avvento del web, poi, il commercio in sede fissa vide affiancarsi quello online.
Altro aspetto della stagione iniziata nell’ultimo decennio del XX secolo è stato il profondo cambiamento del quadro politico nazionale, con la scomparsa dei partiti della cosiddetta prima Repubblica.
Per tanti anni il partito che aveva rivendicato il rapporto filiale con l’“uomo di Predappio” era stato il Msi. Dopo la sua fine nel 1995 con il congresso di Fiuggi e la svolta moderata della formazione che ne era stata epigono, Alleanza nazionale (An), a stabilire un rapporto con il luogo furono alcune formazioni politiche collocate all’estrema destra, in particolare Fiamma tricolore (nata nel 1995 in polemica con An) e successivamente Forza nuova, La destra, Fronte nazionale e, in ultimo, Fratelli d’Italia. Ad aprire la stagione della contesa interna fu un episodio avvenuto domenica 30 ottobre 1994. 3.000 persone (questo il dato riportato dai giornali) [46] gremivano il cimitero per la manifestazione in ricordo della marcia su Roma quando al suo arrivo Teodoro Buontempo, storico esponente del Msi romano, in attrito con il leader Gianfranco Fini ma deciso a non lasciare il partito, venne aggredito dall’ex parlamentare missino Domenico Leccisi (passato alla storia per aver trafugato nel 1946 la salma di Mussolini dal cimitero milanese del Musocco e averla trattenuta per un certo periodo) che gli piombò addosso al grido «Sei un traditore». Fatto sta che dopo gli eventi del 1995, il numero di presenti nelle domeniche prossime alle tre date clou (28 ottobre, 28 aprile e 29 luglio) si fece gradualmente sempre inferiore e dall’ordine di grandezza medio di alcune migliaia si è passati all’ordine di grandezza di diverse centinaia, negli eventi di maggior afflusso a oltre un migliaio. Si tratta ovviamente di stime tratte dalle cronache giornalistiche e non di dati statistici perché indisponibili.
Alla diminuzione numerica corrispose una maggior radicalizzazione dei partecipanti: più camicie nere, più gruppi estremisti (skinhead, ultras, centri sociali), più personaggi vestiti con moderne uniformi da gerarchi e con insegne di associazioni filo-militari.
Su un altro versante proseguiva il tentativo di valorizzazione culturale del patrimonio storico guidato dall’amministrazione comunale che vide concretizzarsi un primo tassello a inizio 1999: il recupero e l’apertura al pubblico della casa natale di Mussolini come sede di esposizioni storiche e documentarie organizzate insieme a docenti universitari e ricercatori di storia locale. L’iniziativa, concretizzata dal sindaco Ivo Marcelli, ebbe un riscontro incoraggiante in termini numerici con visitatori durante l’intero periodo dell’anno, fra i quali immancabili nostalgici ma anche curiosi, appassionati di storia, turisti provenienti dalla vicina riviera romagnola e gruppi di studenti. Il tutto documentato dai biglietti d’ingresso.
Altro elemento di forte novità intervenuto al passaggio di millennio è stato l’affievolimento della relazione fra Predappio e gli eredi Mussolini culminato con la vendita della storica dimora di Villa Carpena, ultima loro proprietà in zona ad eccezione della tomba di famiglia. Villa Carpena, che pur essendo vicina a Predappio si trova nel Comune di Forlì, venne rilevata da un imprenditore lombardo che la trasformò in una sede espositiva di cimeli aperta il 29 luglio del 2001. Un luogo del ricordo mitizzato, privo di un solido piano scientifico e orientato a rilanciare (questa volta in chiave commerciale) il flusso di pellegrini. Una nuova regia, tutt’ora attiva ed estranea alla radice locale, rilanciò la linea del culto con suggestioni di stampo militaresco (uso di uniformi da parte dei partecipanti agli anniversari e per un certo periodo la comparsa di una specie di corpo di guardia alla tomba Mussolini composto con persone in mantello nero) e la presenza nelle cerimonie di una enorme croce di legno portata a spalla da diverse persone e funzioni religiose celebrate con rito lefebvriano. Nulla a che fare con quanto avvenuto prima. Né durante il fascismo in cui la liturgia mussoliniana era totalmente laica, né durante il periodo successivo all’inumazione della salma.
6. Uno sguardo sul presente
Il dualismo fra le due impostazioni, storia/cultura e militanza/fede, è proseguito nel corso dei primi due decenni del nuovo millennio, con le istituzioni locali impegnate a cercare una via possibile per fare i conti con la memoria in modo da valorizzare in modo “sostenibile” e coerente con i valori della Costituzione le possibili ricadute economiche puntando anche a contrastare la deregulation commerciale e la radicalizzazione delle iniziative che non hanno mancato di far registrare picchi di gravità grottesca. Alcuni di questi sono balzati recentemente alle cronache in occasione del 28 ottobre 2018 (quando una ardente “fedelissima” mussoliniana si presentò in maglietta con la scritta “Auschwitzland”) [47] e del 28 luglio 2019 (incredibili le interviste raccolte in un servizio di Fanpage pubblicato online il 31 luglio 2019) [48]. Nei programmi politici delle amministrazioni comunali di centrosinistra un ruolo centrale risultava assegnato al progetto Predappio paese della memoria contemporanea e del confronto. Oltre il recupero della casa natale, lo sforzo delle istituzioni locali ha portato al restauro del castello di Rocca delle Caminate (ora di proprietà della Provincia di Forlì-Cesena) che, insieme al laboratorio scientifico Ciclope per gli studi sulle turbolenze allestito negli hangar dell’ex fabbrica Caproni, è divenuto sede del Tecnopolo per gli studi aerospaziali. Un progetto di rilievo internazionale realizzato insieme alla Regione Emilia Romagna, all’Ateneo di Bologna e al mondo universitario americano e svedese. Oltre a questa funzione, il castello e il suo parco sono stati aperti alle visite proponendo un percorso di approfondimento storico e ambientale, mettendo a disposizione un camminamento panoramico e ospitando iniziative culturali, convegni ed eventi di promozione dei prodotti [49].
Da segnalare la decisione dei Comuni di Predappio e Forlì di dar vita al progetto Atrium, Rotta culturale del Consiglio d’Europa che unisce luoghi dal patrimonio architettonico legato ai regimi dittatoriali. Agli ultimi anni risale il progetto di recuperare l’ormai fatiscente Casa del fascio, da decenni in stato di abbandono, e trasformarla in museo con centro di documentazione sul fascismo. Il progetto [50], che ha coinvolto un comitato scientifico autorevole presieduto da Marcello Flores, era in corso d’opera ma sul suo futuro sono giunte alcune incognite che sembrano al momento averlo posto in una situazione di stallo. Una è legata al completamento della raccolta dei finanziamenti per l’investimento, l’allestimento e la gestione, in buona parte reperiti ma non in modo esaustivo.
La seconda è il mutamento di quadro politico locale dal momento che, a seguito delle elezioni comunali del maggio 2019, la guida del Comune è passata nelle mani di una lista civica di centrodestra sostenuta anche da Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia. Si tratta della prima rottura della linea di continuità che aveva caratterizzato il governo locale nell’intero secondo dopoguerra. I primi mesi di mandato amministrativo hanno visto il nuovo sindaco e la Giunta assumere prese di posizione e atti che evidenziano in modo esplicito la volontà di non dare corso al progetto del museo, e pure al rapporto con la memoria mussoliniana, nel modo con cui era stato impostato. Quindi, ai primi del 2020, l’emergenza Covid-19 con le drammatiche conseguenze anche in loco ha visto il progetto uscire dal tavolo del dibattito politico, culturale e giornalistico.
Si tratta di un percorso complesso che necessita di approfondimenti e maggior affinamento d’analisi oltre che di un arco temporale tale da poter permettere di valutare con oggettività il corso dei fatti.
Ultima annotazione. Da un paio d’anni la famiglia Mussolini ha deciso di chiudere la porta della loro tomba nel cimitero monumentale e di renderla accessibile al pubblico solo in determinate occasioni e alla presenza di un servizio d’ordine da loro incaricato. Di recente ciò è avvenuto domenica 28 luglio 2019, il giorno prima del 136° compleanno del duce alla presenza di circa 200 persone e domenica 27 ottobre 2019 con 3.000 partecipanti (stima diramata dagli organizzatori) giunti per celebrare, approfittando della festività domenicale e con un giorno di anticipo, l’anniversario della marcia su Roma [51].
A causa della impossibilità di visitare la tomba del duce se non in occasioni straordinarie, non solo i tre negozi di souvenir esistenti in loco ma pure alcuni esercizi commerciali e ristoranti lamentano minori incassi. Una motivazione circa la chiusura della cripta Mussolini, emersa nel dibattito pubblico, attraverso articoli sulla stampa locale e sui social network, accredita l’idea che sia necessario eseguire alcuni lavori all’interno. Un’altra ragione viene individuata nella polemica fra alcuni familiari, in particolare l’onorevole Alessandra Mussolini, e il precedente sindaco del Partito democratico Giorgio Frassineti, reo di aver violato il rispetto alla tomba di famiglia per una visita effettuata insieme al presidente provinciale dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia Gianfranco Miro Gori, divenuta di dominio pubblico attraverso i giornali e nel web. Certamente sarebbe interessante comprendere chiaramente le ragioni del perché i Mussolini hanno deciso, dopo tanti anni, di chiudere l’accesso alla tomba (rivalsa politica? mancanza dei requisiti di legge necessari all’accesso pubblico? obbligo di ulteriori lavori o di interventi rispetto ai lavori già eseguiti?). Certo che se la motivazione fosse stata solamente di natura politica la conquista del Comune di Predappio, come quello della vicina Forlì, da parte delle forze di centrodestra avrebbe dovuto già essere sufficiente per decidere in favore della riapertura. Una cosa è comunque assodata e cioè che la decisione sul “che fare” di quel luogo spetta solo alla famiglia Mussolini. In merito si erano create confusione e false aspettative. L’argomento infatti era entrato in modo deciso nella recente campagna elettorale per il rinnovo dell’amministrazione comunale figurando fra i punti centrali della lista civica di centrodestra che poi, vincendo la competizione elettorale, ha portato il nuovo sindaco Roberto Canali a misurarsi immediatamente con il tema.
Significativo il suo approccio d’esordio con l’espressione di contrarietà a manifestazioni estremiste e connotate da abbigliamenti, gesti o simboli inneggianti al fascismo [52]. Fra le prime dichiarazioni anche la conferma dell’impegno a confrontarsi con la famiglia Mussolini per far riaprire la tomba che nel programma di governo civico è considerata una risorsa.
È una cripta di famiglia. Noi, come amministrazione comunale, abbiamo sempre detto che siamo a disposizione se ci sono delle valutazioni da fare, ma sarà poi la famiglia a decidere e prenderemo atto delle decisioni. Noi abbiamo sempre auspicato l’apertura fissa della tomba perché per Predappio è un risorsa e fonte di turismo [53].
Qui si ferma il percorso di ricerca che ha compendiato il mestiere dello storico e un approccio giornalistico. Il lungo sguardo ha attraversato cent'anni e consegna una vicenda unica, interessante, per tanti aspetti inattesa. Il “caso Predappio” è uno spaccato originale del rapporto fra un luogo, un personaggio e la grande macchina della comunicazione di massa. Aiuta anche a comprendere, ad esempio, come la differente combinazione di questi fattori possa determinare effetti con caratteristiche profondamente diverse. Se c’è una cosa che distingue un luogo di culto da una meta turistica è l’approccio dei suoi fruitori: in un caso si tratta prioritariamente di una questione di una fede; nell’altro possiamo trovare tutto il resto (curiosità, divertimento, cultura, bellezza, riposo, istruzione, benessere, passione, salute). Predappio è stata inventata come luogo di culto e di pellegrinaggio e questa impronta è chiaramente rimasta fino ad oggi, pur affievolendosi e trasformandosi in modo profondo, ma riemergendo in modo inaspettato e a distanza di tempo, come un fiume carsico. Dagli anni Ottanta quella flebile linea turistica che aveva comunque connotato il percorso ha rivendicato la possibilità di giocare un proprio ruolo, anche con una chiave pedagogica e democratica, ma non è riuscita (ancora?) ad affermare l’importanza del valore culturale. Che, probabilmente, riuscirà ad emergere solo quando il potere simbolico capace di generare il culto dei fedeli perderà definitivamente la sua energia, come un vecchio idolo che agli occhi dei posteri risulta essere solamente una statua. A quel punto i visitatori non saranno più pellegrini ma turisti. In questo incrocio di fenomeni, come in quello polveroso dell’antica Dovìa, si intrecciano le strade attuali la cui destinazione è più che mai incerta.
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Note
1. Fra le opere edite dagli anni Novanta: Passerini 1991; Lodovici (ed.) 1993; Ridolfi (ed.) 1993; Baioni 1996; Gentile 1998; Balzani 1998; Luzzatto 1998; Lodovici (ed.) 1998; Dogliani 1999; Balzani e Proli 2000; Milza 2000; Balzani 2001; Dogliani 2003; Clark 2005; Dogliani (ed.) 2006; Dogliani 2008; Sassoon 2010; Bosworth 2010; Roghi (ed.) 2011; “Studi Romagnoli” 2012; De Maria ed. 2016; D’Emilio e Gatta 2017.
2. Per una riflessione preliminare a questa trattazione: Proli 2017.
3. Documenti relativi al trasferimento di Predappio sono conservati in Archivio di Stato di Forlì (d’ora in poi ASFO), Prefettura, Archivio di Gabinetto, b. 752. Il primo stanziamento fu di due milioni di lire.
4. Il Comune di Fiumana, collocato fra Predappio e Forlì, venne ufficialmente soppresso il 1° novembre 1925 e incorporato nel nuovo ente amministrativo di Predappio.
5. I grandi avvenimenti di Predappio – Discesa fisica, ascesa morale, “Il Popolo di Romagna”, pubblicato in prima pagina il 30 agosto 1925.
6. Archivio Istituto Luce, Omaggio nazionale alla casa del Duce. Cerimonia a Predappio, anno 1925, durata: 8:52 minuti, b/n, muto.
7. Opere fondamentali per lo studio del caso Predappio al punto di vista architettonico e urbanistico sono: Tramonti 1993, 1997, 2016; Tramonti e Prati 1999; Van Riel e Ridolfi 2005; Gatta 2018.
8. Il Duce ha visitato i lavori di Predappio Nuova, “Il Popolo di Romagna”, 30 maggio 1926.
9. Ibidem. Notizie dell’inaugurazione del faro sono riportate anche nella guida turistica del 1937 Predappio e dintorni, 115.
10. Sulla vita di Alessandro Mussolini: Proli e Moschi 2003.
11. Un forte discorso di Mussolini a Forlì, “Corriere della sera”, 31 ottobre 1932. Una rassegna stampa che documenta l’evento è conservata dalla Biblioteca comunale di Forlì “A. Saffi”, Collezione Mussolini, cartella III. Relativamente all’organizzazione della cerimonia del 30 ottobre 1932, così come anche della manifestazione carducciana di Polenta, ASFO, Prefettura, Archivio di Gabinetto, b. 304.
12. L’On. Starace accolto entusiasticamente in Romagna, “Corriere della sera”, 22 aprile 1932, articolo in prima pagina.
13. ASFO, Prefettura, Archivio di Gabinetto, b. 108, f. Affari comunali.
14. Le informazioni sono tratte da “Il Popolo di Romagna”, 24 luglio 1927.
15. Belluzzo partecipò il 27 giugno del 1926 alla cerimonia di riapertura di una miniera di zolfo da tempo inoperosa e che fu riattivata con la speranza (che si rivelò mal riposta) di un possibile sviluppo dell’industria estrattiva.
16. Predappio Nuova. Linea di Gran Turismo, “Il Popolo di Romagna”, 7 aprile 1930.
17. Nella corrispondenza tra la Segreteria particolare del duce e don Pietro Zoli, in Archivio centrale dello Stato (d’ora in poi ACS), Segreteria particolare del duce (d’ora in poi SPD), Carteggio ordinario (d’ora in poi CO), b. 1031, f. 509.138.1 una lettera di don Zoli del 5 agosto 1927 riferisce del «continuo e sempre crescente affluire di tanti ammiratori e visitatori, […] da ogni parte d’Italia e dall’estero».
18. Corrispondenza prefetto di Forlì-Segreteria particolare del duce: elenco dei raduni. ACS, SPD, CO, f. 501.028/ I-1, 11 giugno 1938.
19. Gli elenchi sono conservati dal 1934 al 1938. Cfr. ACS, SPD, CO, b. 1031, f. 509.138.2.
20. Pellegrinaggi ai luoghi mussoliniani. Ufficio Turistico del Dopolavoro, “Il Popolo di Romagna”, 3 aprile 1934 e documenti in ASFO, Prefettura, Archivio di Gabinetto, b. 336.
21. Lettera al prefetto di Forlì dal presidente del Dopolavoro di Roma, 16 settembre 1938, ASFO, Prefettura, Archivio di Gabinetto, b. 340, f. 34.
22. Telegramma di Mussolini, 28 febbraio 1934, ACS, SPD, CO, b. 404, f. 150.904, Albergo a Predappio.
23. Da Torino a Predappio a piedi, “Il Popolo di Romagna”, 15 luglio 1933.
24. Omaggio ai Luoghi mussoliniani di due giovani Camicie Nere, “Il Popolo di Romagna”, 3 febbraio 1934.
25. Predappio Nuova. Omaggi ai luoghi Mussoliniani, “Il Popolo di Romagna”, 29 aprile 1933.
26. Le spoglie di Loreto Starace, cugino del Segretario del Partito, sostano a Predappio Nuova, “Il Popolo di Romagna”, 21 aprile 1933.
27. Un ministro del Giappone ai luoghi mussoliniani, “Il Popolo di Romagna”, 14 gennaio 1933.
28. Omaggio alle Tombe dei Genitori del Duce, “Il Popolo di Romagna”, 10 giugno 1933.
29. Ufficiali della Marina Britannica ai luoghi mussoliniani, “Il Popolo di Romagna”, 27 luglio 1933.
30. Giovani hitleriani, “Il Popolo di Romagna”, 14 agosto 1937.
31. I giovani fascisti della Dalmazia a Predappio, “Il Popolo di Romagna”, 20 agosto 1936.
32. Gli sposi Albanesi in pellegrinaggio a Predappio, “Il Popolo di Romagna”, 26 agosto 1939 e Una missione ortodossa Albanese rende omaggio a Predappio, “Il Popolo di Romagna”, 2 settembre 1939.
33. ASFO, Prefettura, Archivio di Gabinetto, b. 339, lettera della Questura in data 31 maggio 1938 con oggetto Servizi preventivi in occasione della visita di S.M. il Re Imperatore a Forlì e Predappio.
34. Archivio Istituto Luce, giornale Luce B1322, Forlì - La visita di Vittorio Emanuele III, 15 giugno 1938, durata 3:02 minuti, b/n - sonoro e giornale Luce B1323, Predappio. La visita di Vittorio Emanuele III, 15 giugno 1938, durata 2:49 minuti, b/n - sonoro.
35. Archivio Istituto Luce, Il Principe di Piemonte visita le tombe dei genitori di Mussolini e la sua casa natale insieme ad un gruppo di radunisti, giornale Luce B1397, 26 ottobre 1938.
36. Archivio Istituto Luce, Mille radunisti del RACI delle tre Venezie hanno reso omaggio alla tomba dei genitori di Mussolini ed hanno visitato la sua casa natale, giornale Luce, B0560, 09/1934.
37. Archivio Istituto Luce, Raduno per rendere omaggio alla tomba Mussolini, giornale Luce B1104 del 2 giugno 1937. Articolo L’omaggio del fascismo di Pesaro alla tomba dei genitori del Duce, “Il Popolo di Romagna”, 5 giugno 1937.
38. Archivio Istituto Luce, giornale Luce B1559, Adunata di rurali a Predappio e omaggio alle tombe dei genitori del Duce, 2 agosto 1939.
39. Archivio Provincia Frati Minori di Bologna, Cronaca del Convento di S. Antonio in Predappio, manoscritto.
40. Articoli dell’aprile 1929 su “Il popolo di Romagna” e Archivio Istituto Luce, giornale Luce A0305, Mussolini a Predappio, b/n – muto, 1929.
41. Il documento intitolato Ritorno in Romagna è conservato al Polish Institute di Londra recuperato dall’Istituto per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea di Forlì-Cesena presso cui sono disponibili copia e traduzione.
42. Un punto di vista particolare di grande interesse, benché ovviamente fortemente connotato su queste e altre memorie, è offerto dal libro-intervista di Anita Pensotti: Pensotti 1983.
43. Il testo è tratto dalla rubrica Lettere al Direttore del settimanale “Epoca”, 363, 15 settembre 1957.
44. Gli eventi furono al centro delle cronache nazionali. La rassegna utile a questa ricerca è stata realizzata grazie a “Il Resto del Carlino” a partire dal 27 dicembre 1971 (il 25 e 26 dicembre il giornale non venne stampato).
45. Su quest’ultimo aspetto, spunti interessanti, autorevoli e coevi in Emiliani 1984.
46. La vicenda venne riportata dai principali media nazionali. L’Autore era presente in qualità di collaboratore della redazione forlivese de “Il Resto del Carlino”. Questa ultima porzione del saggio si avvale prevalentemente di fonti giornalistiche e di testimonianze dirette raccolte sul campo. Gli indirizzi dei contenuti online utili agli approfondimenti sono inseriti in nota.
47. https://www.youtube.com/watch?v=oRZ0ozYT5yQ
48. https://youmedia.fanpage.it/video/aa/XUF3SeSwn7vl2Bki
49. https://www.roccadellecaminate.com/
50. https://progettopredappio.it/
51. Agenzia di stampa Ansa, lancio di domenica 28 aprile 2019, ore 13:48.
52. Intervista di Marco Bilancioni su “Il Resto” del Carlino – Cronaca di Forlì del 29 maggio 2019.
53. Adnkronos, lancio pubblicato il 22 luglio 2019, ore 11:58, di Sara Di Sciullo.