Il documentarista Alessandro Cavazza ha dedicato un suo recente lavoro alla Bologna dei primi anni del fascismo, proseguendo sulla strada della ricostruzione storica locale che lo ha già visto realizzare Bologna nel lungo Ottocento (2008) e La città rossa nella Grande Guerra (2008), oltre a Operazione Radium (2009), un docu-film sulla difesa del prezioso materiale da parte della Resistenza bolognese durante il periodo dell’occupazione tedesca.
Il titolo di Bologna la nera (2012, prodotto dal Comitato di Bologna dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano e da Isrebo, disponibile anche su YouTube) fa chiaramente il verso a quel rosso che da sempre nell’immaginario collettivo contraddistingue Bologna per proiettarci in un altro periodo storico della città, forse meno ricordato, ma altrettanto importante anche per capire attraverso quali processi storici si è arrivati alla comunità del dopoguerra.
Si tratta di un lavoro importante per l’ampia divulgazione che un film documentario riesce ad avere, ma anche poiché ci invita ad approfondire casi locali che inseriti nel contesto nazionale del fascismo contribuiscono a rendere più chiaro l’intero sistema del regime. Le continuità e le discontinuità che emergono dalle ricostruzioni di storia locale permettono, infatti, di cogliere al meglio le fasi dei mutamenti a livello nazionale, purché non si cada in un mero provincialismo.
Il documentario ripercorre quindi la storia di Bologna dalla fine della Grande guerra alla metà degli anni Trenta attraverso la figura di Leandro Arpinati, ras del fascismo locale e personaggio di spicco del fascismo nazionale per i suoi diretti legami con Mussolini. La parabola del fascismo bolognese, o per meglio dire del primo fascismo bolognese, viene proposta nel crescendo della narrazione che prende le mosse dagli avvenimenti del periodo 1919-22: dallo squadrismo della prima ora, quando gli agrari finanziano i fascisti dopo il concordato Paglia-Calda, allo scontro diretto con la giunta socialista di Ennio Gnudi che sfocia nei fatti di Palazzo d’Accursio del 21 novembre 1920; dal contrasto tra Arpinati e Dino Grandi, all’affermazione del primo a livello locale e nazionale che gli permette di elaborare un modello di fascismo rappresentato dalla realizzazione del Littoriale, fino alla sua defenestrazione per scontri interni al regime, che non coincide certo con la fine del fascismo a Bologna.
Ci auguriamo che nel prossimo documentario si possano riprendere i tanti fili rimasti in sospeso, che si inseriscano tutti quei fondamentali passaggi relativi alle organizzazioni di massa, alla propaganda, alle finalità totalitarie del regime, alle guerre coloniali, o alle leggi razziali, in modo tale da rilanciare la riflessione su una città che rimane importante per il fascismo, dove il Duce torna nel 1936, a dieci anni dall’attentato subito, per esaltare le realizzazioni del regime e dove il volontarismo ingrossa le schiere dei militi partiti per la Spagna prima e per il secondo conflitto mondiale poi, facendo venir meno il consenso al regime solo a guerra inoltrata, come d’altronde nel resto del paese.
Da un punto di vista storiografico la visione di Bologna la nera fa infatti sorgere qualche perplessità rispetto alla scelta cronologica, anche in rapporto all’ultimo documentario di questo ciclo che si vuole realizzare, in cui, probabilmente facendo ripartire il racconto dalla partecipazione dei bolognesi alla guerra civile spagnola, si porrà l’accento – almeno da quello che possiamo ipotizzare dal titolo Bologna città della Resistenza (1936-1946) – su una “lunga Resistenza”, come fenomeno durato un decennio.