1. Una premessa che è anche una conclusione

Belvedere: zona libera o no?

Storicamente parlando: è davvero esistita la Zona libera del Belvedere? Innanzi tutto è opportuno riprendere il concetto di zona libera, ovvero un’area liberata all'interno del territorio occupato dal nemico. Anche se la questione potrebbe apparire capziosa non è certo di poco conto. Nel corso di questo studio ci limiteremo a riportare i fatti, così come abbiamo potuto ricostruirli, per cercare di chiarire sia lo svolgimento delle vicende, sia il significato che tale esperienza ha avuto, ma anche le conseguenze che ne sono derivate.

La particolarità di tale esperienza risiede nel fatto che inizia nel territorio occupato dai tedeschi, territorio che in seguito diviene terra di nessuno, fino a venire inglobato nel fronte di guerra alleato.

Lo premettiamo subito: riteniamo che tale esperienza – anche se un po' forzatamente, seppur per un breve periodo e pur non rispettando tutti i canoni – può e deve ascriversi nell'elenco delle zone libere: i partigiani hanno liberato alcuni Comuni della montagna bolognese, hanno instaurato le giunte, hanno difeso il territorio dai vari tentativi di riconquista da parte degli occupanti, anche se tutto questo si è svolto in concomitanza con l'arretramento del fronte difensivo tedesco e la lenta avanzata di quello americano, nel contesto della cosiddetta terra di nessuno; ed è proprio in quest'ultimo aspetto, certamente non secondario, che risiede l’unicità di tale esperienza, ma anche la stessa intrinseca problematicità.

Il nostro modesto contributo al dibattito passa attraverso l'evidenziazione di alcuni punti che riteniamo potersi considerare cardine.

Il primo è che i partigiani (più avanti vedremo quali sono le brigate coinvolte) combattono per conquistare i territori ritenuti d'importanza strategica per i tedeschi: in primis Castelluccio di Porretta e lo stesso Lizzano in Belvedere, tant'è che gli stessi tedeschi tentano più volte di riconquistarli entrambi.

Il secondo è che la terra di nessuno in cui si viene a trovare l'esperienza partigiana è uno spazio che sembra non essere originato dall'avanzata degli americani, in quanto questi ultimi, una volta arrivati al Passo della Collina, impiegano ben cinque giorni prima di entrare a Porretta, anche sapendo che tutto il versante ovest (da Sambuca Pistoiese fino a Castelluccio di Porretta) della strada n. 64 e il territorio di Castel di Casio a est, sono saldamente in mano ai partigiani; quindi, se sembra che siano stati gli stessi partigiani – nel loro piccolo – a far arretrare lo schieramento tedesco nella zona del Belvedere, privandolo di alcuni punti strategici (Castelluccio e Lizzano paese), è altrettanto vero che, riguardo le strategie tedesche, non ci è dato sapere quanto (anche se ciò, ovviamente, ha avuto un ruolo determinante) abbia influito l'avanzata dell'intero fronte alleato, dopo la conquista dei passi del Giogo e della Futa (Linea gotica I). In altre parole la questione è: dove avrebbe potuto l’esercito tedesco organizzare una prima linea difensiva a nord del Passo della Collina, se i partigiani non avessero occupato gran parte del territorio? Domanda a cui, ovviamente, non c’è risposta.

Il terzo e ultimo punto è che i partigiani in ogni Comune liberato hanno istituito delle proprie giunte e che queste, in seguito, sono state ratificate dall’Allied Military Government of Occupied Territories (Amg).

Dobbiamo anche ricordare, però, che le definizioni di «Zona libera del Belvedere», o di «Nuovo territorio liberato», sono ascrivibili al dopoguerra e solo ai partigiani di “Armando” (Mario Ricci), e che tali nomi non compaiono in alcun documento coevo. Comunque sia, su una cosa dobbiamo essere concordi: il territorio del Belvedere viene liberato e gestito dai partigiani e questo fatto rappresenta l'avvio dell'esperienza della Divisione Modena Armando a fianco degli Alleati.

Un ultimo problema si pone sull'uso delle fonti e in particolare quelle relative alle memorie dei protagonisti. Siamo consapevoli che utilizzare tali fonti possa rappresentare un problema, eppure queste, se le notizie possono essere verificate e confrontate con altre fonti, ugualmente riescono a fornire molte informazioni, soprattutto sul tenore delle relazioni tra le stesse brigate partigiane o tra queste ultime e gli Alleati. In particolare su due delle fonti utilizzate sono state elevate critiche per l'approssimazione storica di molti episodi contenuti e ci riferiamo al libro Armando Racconta [Tommasi De Micheli 1982] e ai tre volumi Guerra e guerra partigiana. 1940-1945 [Ferrari 2004]. Pur consapevoli di ciò, con tutte le cautele del caso e fatte le opportune verifiche, entrambi i libri contengono informazioni alquanto interessanti per le finalità dello studio stesso. A onor del vero, anche la documentazione ufficiale dovrebbe porre qualche problema di attendibilità, basta pensare alle numerose discussioni che abbiamo avuto con Ennio Tassinari a proposito dei Memorandum da lui redatti in qualità di membro dell’Organizzazione della resistenza italiana (Ori) in forza come agente all'Office of Strategic Services (Oss). Tassinari, messo di fronte alle citazioni riportate nei rapporti che lui stesso aveva stilato, sosteneva che spesso aveva scritto quello che i superiori avrebbero voluto leggere e non quello che era veramente successo, e che così – ribadiva – avevano fatto anche tutti gli altri agenti, compreso Gerald Sabatino quando aveva scritto il suo famoso Memorandum di cui parleremo più avanti.

Come si arriva alla Zona libera del Belvedere

La Zona libera del Belvedere nasce da due momenti contingenti: le azioni da parte della brigata Matteotti che liberano tre Comuni dell’Appennino bolognese, Granaglione, Castel di Casio e Castelluccio di Porretta (località all’epoca sede del Comune) con la conseguente nomina dei sindaci, e l'arrivo dei partigiani di Armando, i quali, a loro volta, liberano il Comune di Lizzano in Belvedere e anch’essi nominano il sindaco. Più tardi è la volta della brigata Giustizia e Libertà che occupa il Comune di Gaggio Montano e pure essa nomina il sindaco. Fondamentale è il rapporto non semplice con gli Alleati che pretendono un referente unico e tale richiesta dà avvio al processo di formazione della Divisione Modena Armando, processo che però, all’inizio, è oggetto di critiche da parte dei matteottini. Alla fine, ognuna delle brigate coinvolte manterrà una propria autonomia operativa, nonché decisionale. Nella Zona libera del Belvedere, relativamente al rapporto con gli Alleati, si pongono altri due problemi: il primo riguarda il numero troppo elevato dei partigiani presenti e principalmente sono quelli di Armando che, anche dopo la fine di settembre, continuano a ingrossare le proprie fila; il secondo è l’aspetto politico, legato all'immagine che gli Alleati si fanno dello stesso Armando, quale esponente del partito comunista e questo a causa del citato Memorandum scritto da Sabatino, comandante dell'Oss, il quale, raccogliendo voci tra alcuni degli stessi partigiani, delinea un quadro molto duro e non veritiero, ma che, a nostro avviso, condiziona e condizionerà pesantemente il rapporto tra le due parti.

Le frizioni tra americani e partigiani di Armando sono tangibili, tanto che alcune volte sfociano in episodi anche gravi, sintomi di una difficoltà oggettiva a fidarsi e a intendersi.

Ma ugualmente i partigiani, tutti i partigiani, hanno modo di dimostrare sul campo che meritano la fiducia loro accordata, e per tutto l'autunno e inverno 1944, fino alla primavera seguente, combattono assieme ai soldati americani in prima linea, vanno con loro in pattuglia, anzi li guidano e presidiano il territorio. Infine, nell’aprile del 1945 viene loro assegnato un tratto di fronte che, seppur secondario, è comunque sotto la loro diretta responsabilità.

L'esperienza della Zona libera del Belvedere rappresenta un caso particolare e molto significativo per la tenacia dimostrata dal movimento partigiano bolognese e modenese di non deporre le armi e di lavorare assieme, superando le difficoltà e i sospetti iniziali, non solo per agevolare l'avanzata americana, ma anche per la capacità di gestione del territorio liberato: nomina dei sindaci e delle giunte, istituzione di un reparto di polizia partigiana e allestimento di un ospedale partigiano. Con l'arrivo degli americani, i partigiani, in particolare quelli di Armando, rimangono uniti nel loro intento di voler collaborare con gli Alleati, fino a essere riconosciuti come co-belligeranti, arrivando a meritarsi la stima e l'apprezzamento dei comandi militari americani. È anche vero che se per i partigiani gli Alleati rappresentano i rifornimenti e le possibilità operative, e sono anche il viatico al riconoscimento dello status di co-belligeranti, dall'altro lato, gli Alleati provano una forte diffidenza verso i resistenti e basta un nonnulla per rimettere in discussione la collaborazione. In conclusione, però, entrambi sono consapevoli – e questo è indiscutibile – che ognuno ha bisogno dell'altro.

2. Il lungo viaggio dei «modenesi» da Montefiorino al Belvedere

Con la fine dell'esperienza del Territorio libero di Montefiorino (l’attacco tedesco inizia il 30 luglio 1944 e Montefiorino capitola il 1° agosto), Armando nelle sue memorie descrive chiaramente il proprio stato d'animo nei confronti degli Alleati:

Parlo ancora degli Alleati perché, si sa, la lingua batte dove il dente duole. Pur rinunciando a inutili recriminazioni espongo di nuovo i dati di fatto: non mandarono i paracadutisti del battaglione Nembo, non intervennero con gli aerei da bombardamento, fecero distruggere il deposito di armi, e proprio in quei drammatici giorni – lo ricordo benissimo – continuarono a raccomandarci «Resistete, resistete!» [Tommasi De Micheli 1982, 203].

Terminata l’esperienza di Montefiorino i circa 800 partigiani modenesi [1], stanchi, affamati e col pensiero dell’inverno ormai prossimo, il 22 settembre – dopo molte vicissitudini – si trasferiscono a Ca' Bonucci di Serrazzone (Fanano); questo il commento dell’ex sergente maggiore statunitense John Day [2]: una «ulteriore ritirata nelle inospitali montagne del Lago di Pratignano, dove i partigiani sopravvissero per una settimana mangiando castagne bollite e carne di mulo ed affrontarono i primi assalti dell’inverno con la sola precaria difesa dei loro vestiti estivi e con le scarpe rotte» [Day 1998, 156].

In quei giorni di fine settembre Armando (assieme ad Adelmo Bellelli “Ercole” e altri due partigiani) si reca da Ettore Sighieri (comandante di una delle formazioni della 7ª brigata Modena) a Poggiolforato di Lizzano in Belvedere e quest’ultimo lo invita a spostarsi nella valle del Dardagna dove sarebbe più facile ottenere gli approvvigionamenti necessari. All'incontro è presente anche Raul o Raoul, un agente di collegamento inglese che richiede subito un lancio di viveri e munizioni (forse), infine informa Armando della probabile ritirata dell'esercito tedesco su una nuova linea difensiva [Bellelli e Ricci 1977, 277-8]. Nel secondo incontro con Sighieri, sempre a Poggiolforato, nonostante la rassicurazione che la sua formazione controlla la zona, irrompono i tedeschi e ai due comandanti non rimane che calarsi dalla finestra posteriore della casa e nascondersi nel canale del mulino, rimanendo immersi nell'acqua fino a quando i soldati non se ne vanno [Tommasi De Micheli 1982, 220-1] [3]. Durante il ritorno a Ca' Bonucci una staffetta del Comando di Divisione informa Armando che i tedeschi si stanno organizzando per accerchiarli nuovamente; è in questo momento che Armando prende la decisione di spostarsi nel Bolognese e raggiungere Castelluccio.

Il giorno 26 [4] a Ca' Bonucci arriva l'agente dell'Oss “Mario Santini” (Ennio Tassinari) [5], col compito di fermare la discesa delle formazioni partigiane in pianura, il quale incontra Armando e riesce a convincerlo a non scendere a Bologna perché gli Alleati stanno avendo grosse difficoltà e non riusciranno a sfondare il fronte, tanto che l’offensiva su Bologna sicuramente verrà rinviata [Angeli e Tassinari 2012, 49]; infine, richiede insistentemente un lancio di rifornimenti. Nella notte del 27 settembre (verso le ore 22,30-23) al Lago di Pratignano avviene il lancio, ma alcuni contenitori scoppiano e, non solo i partigiani ricevono pochi rifornimenti, ma lo stesso lancio ha l’effetto di segnalare ai tedeschi la loro presenza. Infatti, al mattino vengono subito attaccati, dapprima da avanguardie tedesche, poi, nel pomeriggio, arrivano ingenti rinforzi e si scatena una vera e propria battaglia. I partigiani sono a corto di munizioni, ma resistono. Lo scontro termina sul far della sera, quando i tedeschi si ritirano, mentre i partigiani, col favore del buio e favoriti dalle avverse condizioni meteorologiche, riescono a sganciarsi: dal Passo della Riva scendono a Madonna dell'Acero, infine arrivano a Pianaccio dove la popolazione li accoglie calorosamente e dove trascorrono la notte nella ex-casa del Fascio. Il giorno seguente (29 settembre) la marcia riprende verso Monteacuto, fino a giungere a Castelluccio di Porretta, frazione già occupata dalla Brigata bolognese Matteotti, che proprio quel giorno sta respingendo un attacco tedesco; un gruppo di partigiani modenesi si unisce ai matteottini per respingere tale attacco. Armando insedia il proprio comando nella località Pennola (Porretta Terme) [Angeli e Tassinari 2012, 48-50; Tassinari 1996, 86-90; Bellelli 1966, 60; Cotti 1999, 6-7; Cotti 1994, 64-6; Cotti (ed.) 2013, 47-8].

3. Armando, la riorganizzazione della Divisione Modena e gli ordini del Cumer

Prima di proseguire dobbiamo parlare della riorganizzazione delle forze partigiane dopo Montefiorino, in particolare di quelle arrivate nella valle del Panaro. Tali forze si raggruppano nella Brigata Gramsci, al comando di “Andrea” (Franco Camellini); la brigata fa capo alla Divisione Modena e Comandante generale viene confermato Armando; “Davide” (Osvaldo Poppi) rimane commissario politico, Mario Nardi è confermato capo di stato maggiore, “Libero Villa” (Giovanni Vandelli) è l'intendente, “Peppino” (Giuseppe Barbolini) è il vicecomandante, mentre il democristiano “Lino” (Luigi Paganelli) e il comunista “Ercole” sono vice commissari [Silingardi, 1998, 350-1]. Il problema è che in seguito agli scontri con i tedeschi le brigate partigiane si sono disperse e i collegamenti sono molto difficoltosi, infatti se Armando si trova nella valle del Panaro, Barbolini, Nardi e Paganelli sono riparati nel reggiano. Il 7 settembre il Comando unico militare Emilia-Romagna (Cumer) invia alla divisione Modena l'ordine di dividere le forze in due raggruppamenti:

1) Due brigate al comando di Armando, col vice commissario, completando il comando, devono studiare le direttrici di marcia verso Bologna, e approssimarsi fin d'ora.

2) le altre due brigate, al comando del vice comandante e del comm. pol. Davide, completando il comando, debbono studiare la direttrice di marcia verso Modena. Da Modena un reparto dovrà dirigersi su Castelfranco e occuparla [Silingardi 1998, 354].

L'11 settembre il Comando della Divisione, per mano di Davide, risponde al Cumer scrivendo «di non avere forze sufficienti per l'occupazione contemporanea di Modena e Bologna». La risposta del Cumer non si fa attendere: devono attenersi agli ordini emanati. Lo stesso Cumer invia poi a Davide e Armando un richiamo alla disciplina politica e militare, richiamo che Davide contesta. Senza entrare nel merito della questione se fosse o meno opportuno dividere le forze su due obiettivi o se tali ordini avessero dovuto essere concordati col Comando stesso, quello che per noi è interessante è l'opinione di Armando riguardo l'ordine di occupare Bologna, infatti il 26 settembre lo stesso Armando, quando si trova a Ca' Bonucci (Serrazzone di Fanano), invia una lettera al Comando della Divisione Modena in cui scrive:

Sono dispiacente nel sentire che il Comando non è d'accordo sulle ultime direttive ricevute dal […] [Cumer] dove spiega i compiti da risolvere dalle nostre forze (l'occupazione di Bologna). Si deve far presente come militari appartenenti ad un Esercito regolare bisogna eseguire gli ordini ricevuti dal Comando da cui noi dipendiamo. […] Tengo a far presente che qualora un Comando dia ordini, ogni subalterno di qualsiasi grado ha l'obbligo di eseguirlo [sic] senza esitazione [Silingardi 1998, 356-7].

Infine, si deve considerare che lo spostamento di Armando nel Bolognese spariglia non solo i piani elaborati per il Modensese dal Cumer – che solo l'11 ottobre viene a conoscenza del fatto che Armando è passato nel Bolognese [Bergonzini L. 1970, 236] – tanto che gli stessi comandi modenesi dovranno organizzare un secondo corpo di spedizione verso Bologna, detto Gruppo Brigate Est [Gorrieri 1966, 478-87], ma anche quelli per il Bolognese, basti pensare al progetto di fine agosto 1944 di coordinare tutte le brigate partigiane della provincia attraverso comandi di zona, capaci di coordinare più brigate, in vista della presunta e imminente liberazione di Bologna grazie ai notevoli progressi degli americani. Il Comando di Vado (Monzuno) «avrebbe dovuto coordinare l’azione della brigata Stella Rossa - Leone, della 62a Garibaldi, della 63a Garibaldi, della 66a Garibaldi, della Giustizia e Libertà, della Matteotti e di alcuni distaccamenti minori» [Lippi 1989, 166]. Il Comandante dovrebbe essere Mario Musolesi “Lupo”, ma tutti gli incontri si rivelano infruttuosi, tanto che lo stesso Lupo, il 14 settembre, invia al Cumer una lettera in cui rifiuta tale comando [Lippi 1989, 167]. A fine settembre la riorganizzazione del movimento partigiano nell’Appennino bolognese si trova quindi in una fase di stallo, quando il giorno 29, del tutto inaspettatamente, prende avvio la strage di Monte Sole (oltre 770 persone vengono uccise) che decreta la fine della stessa Stella Rossa. Le altre brigate partigiane, quelle che si trovano più a sud, ovvero la Matteotti e Giustizia e Libertà, sono senza disposizioni i merito, quando, sempre il 29 settembre, sulla scena fanno la comparsa i partigiani di Armando.

4. L'arretramento della Linea Gotica, ovvero Linea Verde 2

Al di là della vexata quæstio Linea Gotica o Linea Verde [6], nei giorni di fine settembre, una volta crollato il fronte ai passi del Giogo e della Futa (Linea Gotica I), i tedeschi devono arretrare la loro linea di difesa, e tale riorganizzazione interessa anche il territorio dell'Appennino tra Modena e Bologna. L'esercito tedesco in ritirata posiziona le prime difese tra Porretta e Lizzano in Belvedere, il giorno 26 però i tedeschi perdono Castelluccio. Tra il 26 e il 27 settembre si ritirano definitivamente dalla zona a nord del passo della Collina: abbandonano Pracchia (Pistoia), Taviano (Sambuca Pistoiese) e lo stesso paese di Sambuca per concentrarsi nella zona di Silla (Gaggio Montano), lasciando campo libero ai guastatori. Il giorno 28 gli stessi tedeschi se ne vanno anche da Porretta Terme, attestandosi definitivamente oltre il torrente Silla. Il giorno 29 tentano di rioccupare Castelluccio, ritenuto un importante punto strategico, ma vengono respinti. Nello stesso periodo, dal Modenese giungono altre truppe tedesche che hanno il compito di preparare le fortificazioni nella zona dei Monti della Riva, Monte Belvedere, fino a Monte Pero di Vergato.

Questi giorni sono difficili per la popolazione e molte sono le stragi che la coinvolgono, per tutte ricordiamo quelle che interessano la Zona libera del Belvedere o sono a essa prossime: Ca' Berna di Lizzano in Belvedere (27 settembre: 29 vittime), Ronchidoso di Gaggio Montano (28-29 settembre: 72 vittime comprese le tre vittime di Castelluccio di Montese), Molinaccio di Silla (28-29 settembre: 3 vittime), ma anche Trignano di Fanano (28 settembre: 7 vittime), a cui dobbiamo aggiungere quella di Suviana di Castel di Casio (26 settembre: 4 vittime).

5. La Zona libera del Belvedere - Prima fase (26 settembre - 21 ottobre 1944)

Il ruolo della Brigata bolognese Matteotti

La Brigata Matteotti, al comando del capitano “Toni” (Antonio Giuriolo), il 24 settembre inizia le operazioni per liberare il territorio di Granaglione (da Monte Cavallo fino a Pracchia), Castel di Casio e Porretta Terme. I partigiani partono dalla base di Monte Cavallo e giunti a Pracchia (Pistoia) attaccano i tedeschi con un'azione volta a saggiare la loro consistenza. Il giorno 26 settembre, i matteottini, sempre da Monte Cavallo, assalgono un automezzo tedesco sulla strada di Castelluccio di Porretta e occupano la frazione.

Tra il 27 e il 28 settembre la brigata Matteotti occupa il paese di Granaglione e le località di Boschi, Molino del Pallone, Lustrola e Borgo Capanne.

Il distaccamento Sambuca della Matteotti (comandato da Walter Petreni), d'intesa con Toni e in concomitanza con la ritirata tedesca, il giorno 29 settembre occupa Badi (Castel di Casio), Treppio, Pavana e Ponte della Venturina (tutte frazioni di Sambuca Pistoiese), il 30 raggiunge la frazione di Suviana (Castel di Casio) e il 1° ottobre il Comune stesso. Nel suo avanzare il battaglione Sambuca riesce a salvare la diga di Pavana, ma non il bacino di Suviana (fatto saltare dai tedeschi il 26 settembre).

Il giorno 29 settembre a Taviano avviene il primo incontro con le avanguardie dell'esercito americano, sono unità del Combat Command B (Ccb). Durante la sfilata sono presenti il capitano Toni, comandante della Matteotti, e Walter Petreni, comandante del distaccamento Sambuca. I due battaglioni si riuniscono a Porretta il giorno 5 ottobre e poco più tardi quest'ultimo distaccamento si scioglie; nel suo diario, Toni afferma che la forza della brigata si riduce da 200 elementi a una cinquantina [Onofri 1965, 172].

Il 30 settembre a Lustrola di Granaglione, nella villa Lenzi, si riunisce il Comitato di liberazione nazionale (Cln) locale presieduto da Romolo Querzola che nomina sindaco Gastone Ferrari di Malalbergo, già componente del Cln stesso e partigiano della Brigata Matteotti [Borri 2002, 169-70]. Ferrari risulta essere il primo sindaco nominato nella zona Libera.

Il giorno seguente, 1° ottobre, nella sede delle scuole di Castelluccio, viene insediato il Cln di Porretta che nomina sindaco il dottor Emilio Buini [Ciucci 1981, 11]. Il 3 ottobre a Castel di Casio viene nominato Ferdinando Bertini, di Prato, anch'egli partigiano della Brigata Matteotti [Arbizzani 1998, 71].

In questo fermento operativo, il giorno 29 settembre giungono i partigiani modenesi e a proposito del loro arrivo nella frazione, lo stesso Armando scrive:

Al mio arrivo [a Castelluccio] il commissario politico di questa formazione mi aveva detto:

- Questa zona fa parte del bolognese, perciò tu non c'entri. Torna nel modenese, che a questi paesi ci pensiamo noi.

- I tedeschi e i fascisti sono nemici tanto nostri che vostri – risposi – Noi li combattiamo ovunque, come dovreste fare anche voi [Tommasi De Micheli 1982, 225].

Molto probabilmente il commissario politico di cui parla Ricci è Fernando Baroncini “Nino”, che poi ricoprirà lo stesso ruolo nella Divisione Modena Armando.

Infine, dopo la metà di ottobre, la Matteotti sposta il proprio comando da Castelluccio nella località Raspadore di Gabba (Lizzano in Belvedere) [Ardeni 2014, 266 e 268].

La Brigata Giustizia e Libertà

Verso la fine di settembre la Brigata Giustizia e Libertà, comandata dal “Capitano Pietro” (Pietro Pandiani), sta ultimando lo spostamento dalla base di Ronchidoso (Chiesina degli emigranti) di Gaggio Montano a Ca' Lenzi e a Pianaccio (Lizzano in Belvedere), quando alcuni partigiani, causa il maltempo, il 28 settembre involontariamente si scontrano alcune volte con i tedeschi che stanno prendendo possesso del crinale. Anche se nelle scaramucce solo un soldato tedesco risulta rimanere ferito, ugualmente il comandante del reparto ordina la strage di Ronchidoso (28-29 settembre), strage che continuerà fino al 4 ottobre.

Verso la metà di ottobre, in vista dell’attacco a Gaggio Montano, la Brigata Giustizia e Libertà sposta il proprio comando da Segavecchia, sopra a Pianaccio, a Pugitola, sotto Gaggio Montano [Ardeni 2014, 266 e 268].

Dopo la conquista del paese gli stessi partigiani rimangono in zona partecipando alle azioni assieme agli Alleati per tutto l'autunno e l'inverno. Col nuovo anno la brigata verrà spostata a Ca' di Landino (Castiglione dei Pepoli) e infine a Bisano (Monterenzio), dove gli uomini sceglieranno di venire inquadrati nel Gruppo combattimento Legnano del ricostituito esercito italiano.

La 7ª brigata Modena (Divisione Modena) parte alla conquista di Lizzano in Belvedere

Il 2 ottobre, la formazione di “Armandino” (Armando Lelli) della 7ª brigata Modena, assieme a unità dei partigiani di Armando, parte da Castelluccio e conquista Lizzano in Belvedere dopo un combattimento durato un paio d'ore. Racconta “Tito” (Giordano Lelli):

I tedeschi erano già scappati: rimaneva solo un gruppetto a Bargi con cui entrammo in conflitto a fuoco, in modo che furono costretti a ritirarsi, e un piccolo presidio al bivio (oggi Villaggio Europa) che attaccammo con un piccolo mortaio e una mitragliatrice; essi si ritirarono verso la Masera, poi salirono a Querciola e quindi si diressero a Monte Belvedere [Lelli 2003, 36].

Il giorno 3 ottobre, il dottor Giorgio Biagi del Cln locale viene nominato sindaco del paese. Anche se i tedeschi sono stati scacciati dalla zona, ugualmente tentano di riconquistarla, fin quando si stabiliscono sulla nuova linea difensiva lungo il crinale Vidiciatico, bivio della Masera, Querciola e Monte Belvedere.

Sempre il 3 ottobre, pattuglie esploranti del Ccb (unità della 1st Armored Division) raggiugono Taviano e Granaglione (SS 64). Il giorno 5 ottobre unità del 13th Tank Battalion (1st Armored Division) entrano a Porretta.

Per concludere, la formazione di “Pippo” (Emilio Betti) della 7ª Brigata Modena, rimasta isolata nel territorio di Gaggio Montano, la sera del 7 ottobre passa le linee. Dopo aver raggiunto Armando a Lizzano, la formazione riceve l’ordine di spostarsi nella zona di Gaggio Montano-Riola dove incontra pattuglie di soldati indiani (probabilmente appartengono al 4/13 Frontier Force Rifle, unità composta da personale della regione indiana del Punjab, della 11th Armoured Brigade, 6th South African Armoured Division) e, poco dopo, unità della 1st Armoured Division americana (Ccb) con le quali Pippo riesce a stabilire proficui rapporti di collaborazione, vista la conoscenza del territorio [Corsini (ed.) 2015, 207].

La conquista di Vidiciatico e l'occupazione di Gaggio Montano

Il 17 ottobre i partigiani di Armandino della 7ª Modena, in collaborazione con quelli di Armando liberano Vidiciatico. Nella relazione della Brigata Gramsci del 24 ottobre 1944 è scritto: «il combattimento fu breve, il nemico fu costretto anche questa volta a retrocedere» [Carpani (ed.) 1975, 72]. Vari sono i contrattacchi tedeschi per riconquistare la frazione, l’ultimo viene sferrato il 28 ottobre.

Dopo la presa di Vidiciatico la brigata 7ª Modena si posiziona sia lungo la valle del Dardagna, sia – come abbiamo visto – nella zona vicino al fiume Reno: Gaggio Montano-Vergato.

Nel frattempo sono entrati in azione anche i partigiani di Giustizia e Libertà, che lo stesso 17 ottobre approntano le prime postazioni nei pressi di Gaggio Montano e alcuni entrano nel paese scontrandosi con i tedeschi, mentre il giorno 20, la brigata prende possesso del paese lasciato libero. Lo stesso giorno viene nominato il Cln locale, presieduto da Francesco Marchioni del Partito d’Azione, che elegge sindaco Luigi Amaduzzi.

La prima fase della Zona Libera del Belvedere si conclude nella seconda metà di ottobre, dopo l'occupazione di Vidiciatico e Gaggio Montano, e dopo che la squadra di sei uomini del 5th Army Detachment dell’Oss (Partisan Detach. D), comandata dal tenente Gerald Sabatino, ha assunto il controllo delle formazioni partigiane che operano al fronte [Petracchi 1992, 25]. La squadra è ufficialmente arrivata a Lizzano in Belvedere il giorno 16, stabilendo il proprio comando nell'albergo Farneti di Lizzano. Sabatino vi rimarrà fino al 1° dicembre, quando verrà sostituito dal tenente Elton Kennedy.

Nel frattempo, prosegue l’avanzata Alleata lungo la valle del Reno. Il 24 ottobre il Ccb (1st Armored Division) conquista Riola e più tardi la frazione gaggese di Bombiana (Monte di Bombiana era stato raggiunto il 15 ottobre).

Dalla Zona libera del Belvedere alla costituzione della Divisione Modena Armando (settembre-ottobre 1944)

Com'è probabile, il «Nuovo territorio liberato» – così definito da Armando – non è ufficializzato e sembrerebbe rappresentare piuttosto una situazione de facto, ovvero un patto di collaborazione tra i comandanti partigiani. Con esso comunque prende avvio la creazione della Divisione Modena Armando, una delle esperienze più interessanti nel panorama della Resistenza.

Il primo problema da affrontare è il disarmo degli stessi partigiani, il secondo i rifornimenti: cibo, vestiario, armi e munizioni. A questo fine un ruolo fondamentale lo svolge Tassinari, il quale scrive:

In quegli stessi giorni avevo trasmesso all'OSS, per il Comando Supremo delle operazioni, le seguenti richieste dei partigiani: il comando partigiano della divisione Modena, essendo a conoscenza che a mano a mano che i partigiani prendevano contatto con le forze alleate venivano disarmati e inviati nelle retrolinee, chiedeva di rimanere sul fronte a combattere con la sua intera organizzazione a fianco dell'esercito alleato; di essere riforniti di armi e munizioni, e di ricevere il vestiario e il sostentamento necessario. Solo a queste condizioni erano a disposizione per prendere contatto con il comando e le truppe alleate. In caso di rifiuto di queste condizioni, sarebbero rientrati nelle linee nemiche nonostante le precarie condizioni [Tassinari 1996, 92-3].

Il primo incontro si svolge alla fine di settembre, quando a Castelluccio, una missione dell'Oss, comandata da Stephen Rossetti, riesce ad arrivare nella frazione dove incontra Tassinari e Armando. Tassinari ricorda che la situazione dei partigiani in quel momento è molto precaria, perché sono continuamente sottoposti al fuoco dell'artiglieria tedesca e per ovviare a ciò chiede l'intervento dell'aviazione americana che distrugge le postazioni dei cannoni. Dopo la conquista di Lizzano (2 ottobre) Tassinari torna al comando a Siena a perorare la causa dei partigiani, in primis per i rifornimenti, ma principalmente per ottenere di rimanere al fronte e più volte deve fare la spola tra Siena e Lizzano. Sempre secondo Tassinari l'assenso a che i partigiani possono rimanere al fronte viene dato dagli alti comandi militari anglo-americani [Gherardini e Zanaglia 2002].

Stando ai ricordi di Armando, alle fine di settembre – dopo il lavoro proficuo di Tassinari – ben due missioni partigiane partono per prendere contatto con gli Alleati; tali missioni si sarebbero svolte entrambe il giorno 28 settembre, sebbene ciò non risulti possibile in quanto Armando arriva a Castelluccio il giorno 29 e, sempre il giorno 29, Toni, Petreni della Matteotti e alcuni americani del Ccb sfilano lungo la strada statale 64 a Taviano. È più probabile che le missioni citate da Armando – ammesso che si svolgano lo stesso giorno – vengano effettuate i primi d’ottobre. Nella prima, Armando, da Castelluccio raggiunge il Quartier Generale del Ccb (1st Armored Division) insediatosi da pochi giorni nell'Albergo Signorini a Collina vecchia (Passo della Collina), mentre la seconda, comandata da Ercole, raggiunge la località Pennola, limite meridionale dello schieramento partigiano, dove incontra una missione dell'Oss di cui fa parte il maggiore Rossetti.

All'albergo Signorini si tiene il primo incontro fra Armando – coadiuvato da “Tancredi” Pio Dal Fiume, uomo inviato dal comandante Pandiani di Giustizia e Libertà [Ardeni 2014, 266] – e il comando americano. Il racconto che ne fa Armando è molto efficace e a nostro avviso rappresenta bene il clima in cui svolge ed è per questo motivo che riportiamo il brano di quando lui, dopo essere entrato nell’albergo e dopo i convenevoli, dispiega la sua mappa:

Io srotolo sul grande tavolo del comando la mia carta militare, con la sua brava legenda: Porretta, Passo della Porretta [o Collina], 932 m. sul livello del mare; una strada dissestata, ponti interrotti, ferrovia Pistoia-Bologna sabotata dai tedeschi; molte mulattiere percorribili a piedi, 1.500 partigiani (con armi, si sa, leggere) dislocati qui, qui e qui.

Il generale schiaccia dei bottoni, si accendono spie, parla velocemente con sfilze di O.K., accorrono esperti portando carte grandi come lenzuola, plastici e modellini colorati che sembrano paesaggi da presepio.

- Quanto distiamo, dunque, da voi? - chiede il generale.

- Circa 25 chilometri; possiamo congiungere le nostre forze nell'arco di una mattinata.

- Di una mattinata? Comandante! Se la ferrovia non va, come crede che ci arriveranno a Porretta?

- A piedi, generale, a piedi…

E intanto volgo lo sguardo al di là delle vetrate, vedo i miei partigiani, in gruppo presso il porticato, gesticolanti e inquieti: quelli della MP, polizia militare, gli avevano tolto le armi.

Mi parve che una nube rossa mi passasse davanti agli occhi, ma cercai di dominarmi: “Calma Armando – dicevo a me stesso – calma e sangue freddo”. Questi O.K. credono di avere a che fare con gli indiani delle riserve, ma si sbagliano, perché noi abbiamo bisogno di loro come loro di noi [Tommasi De Micheli 1982, 227-8].

Nelle difficoltà Armando – una volta che sono stati riconosciuti dagli Alleati – ricorda anche il problema dei partigiani che non sono impegnati nelle attività, problema che per gli americani è fondamentale: infatti, non amano vedere gente in giro che non fa nulla e cercano di risolvere la questione riconoscendo Armando quale unico loro referente e responsabile della disciplina di tutti i partigiani.

Adesso [gli americani] si lamentavano che i partigiani andavano troppo in giro di giorno e di notte e volevano che io assumessi personalmente la responsabilità disciplinare di tutte le formazioni. Risposi che non era possibile perché oltre a quelle garibaldine, c'erano le Matteotti, poi quelle di Giustizia e Libertà […] ciascuna seguiva per libera scelta il proprio indirizzo e i propri comandanti [Tommasi De Micheli 1982, 243-4; Bergonzini 1980, 326].

Non sappiamo se veramente i fatti si sono svolti in questo modo, ma questo riconoscimento non può non creare del malumore nelle altre brigate, in particolare nella Matteotti; infatti nella relazione senza data né firma, indirizzata al Comando della Divisione Modena [Onofri 1975, 39-40], conservata nell'archivio della brigata Matteotti montagna assieme ai documenti di Giuriolo, è scritto:

Ho rilevato che coll'arrivo delle truppe americane, immediatamente dopo e conseguentemente alla loro presenza, la situazione politico-militare si è resa incerta. […]

È opportuno sollevare a questo punto alcuni elementi di critica sull'indirizzo e sul contegno che il Comando, riconosciuto come magnifico esempio di sana collaborazione fra i Comandi delle Brigate Partigiane, deve attenersi con senso di obiettività e lealtà. […]

È noto che le forze alleate raggiunta la Zona del Belvedere hanno chiesto di trattare con un Comandante unico delle forze partigiane, e per rispondere a tale richiesta il Comando della Divisione Modena si è presentato deliberatamente, senza aver avuto accordi o aver comunicato con i comandanti delle Brigate consorelle. È noto che a seguito di questo presso il Governatorato Militare furono depositate 5 firme di persone designate dalla Divisione Modena, le sole riconosciute valide a tutti gli effetti per i partigiani.

Si riconosce fin da ora, che il Comandante Armando sia stato costretto a questo per ragioni di rapidità; ma tutte sono risoluzioni troppo unilaterali; è però utile che questo non si ripeta con troppa facilità, perché la convinzione di buona fede potrebbe cadere e diventare ragione di dissidi oggi, ragione ed elementi di critica domani.

Il comando deve intervenire perché fatti […] non avvengano più, e perché sia dato atto e dimostrato che esso tutela gli interessi di tutti i partigiani e non solo di quelli della Garibaldi.

In parole povere non deve esistere fra di noi chi si considera padrone e chi deve essere il servo.

Vaccari, “Regina”, fa un breve resoconto della prima riunione tra Armando e gli altri comandanti bolognesi, dopo che il primo ha incontrato gli americani. La riunione sarebbe avvenuta verso la fine di ottobre 1944, quando tutti i comandanti si ritrovano a Ca’ Marchetti, sotto Ca’ Franchi (Gaggio Montano) [Ardeni 2014, 273], per dare avvio all’unificazione delle forze, ovvero alla Divisione Modena Armando [Vaccari 2001, 77]:

Dopo una laboriosa e contrastata riunione i rappresentanti delle altre formazioni operanti in zona decisero di affidare il comando unico ad Armando invitandolo a continuare la trattativa con gli Alleati e impegnandosi a seguire la linea da lui tracciata. L'incontro con i dirigenti delle Brigate Matteotti e di Giustizia e libertà era incominciato in un clima pesante. Alcuni esponenti delle forze che avevano combattuto nelle montagne bolognesi non intendevano cedere il passo a partigiani provenienti da altre zone.

Dopo aver ascoltato qualche intervento ragionato e altri discorsi sopra le righe e privi di valide motivazioni, Ercole con la sua consueta calma prese la parola:

“I campanilismi e i personalismi dovrebbero essere esclusi in questa riunione indetta per trattare argomenti politici e militari. Armando ed io siamo qui per riferirvi una precisa richiesta degli americani: se non nominiamo un comandante unico non ci consentiranno di schierarci al loro fianco e ci negheranno ogni aiuto. Sono convinto che anche voi volete continuare a combattere contro i tedeschi e dobbiamo tutti ispirarci ai principi unitari nazionali. Se non troveremo un accordo è nostra intenzione ritornare nelle nostre valli e riprendere la guerriglia: per colpa di alcuni avremo perso l'occasione di aumentare il prestigio della Resistenza.”

“Voi siete venuti qui per comandare, non siete più a Montefiorino”, disse un partigiano dagli occhi spiritati.

“Vogliamo combattere i tedeschi fino alla Liberazione del paese – affermò Armando – non cerchiamo onori e galloni.”

Era conosciuto e stimato, alcuni erano suoi amici da tempo e la discussione terminò con espressioni di fiducia e di soddisfazione.

Quindi, se la nascita della Divisione Modena Armando è da ascriversi alle esigenze americane, è anche vero che, per il corretto funzionamento, gli stessi comandanti si devono porre degli obiettivi precisi e condivisi, come hanno scritto gli stessi Bellelli e Ricci [Bellelli e Ricci 1977, 279-80]:

- continuare la guerra in prima linea in attesa che arrivassero gli Alleati, cercando di spingere i tedeschi sempre più a nord;

- riorganizzare le brigate partigiane affinché fossero all'altezza del nuovo compito loro assegnato (combattere in prima linea);

- risolvere il problema del vestiario, della alimentazione dei partigiani i cui effettivi erano saliti a 800 uomini, appartenenti alla divisione garibaldina Modena-Armando, alle brigate Matteotti e “G.L.” bolognesi e alla 7ª Modena;

- unificare con la divisione Armando le tre brigate sopracitate. Ciò si rendeva necessario per ragioni militari e politiche; era infatti indispensabile presentarsi agli Alleati con una unica posizione su tutte le questioni in discussione. I rappresentanti delle brigate collaborarono strettamente con il comando di divisione, anche se talvolta sorsero divergenze su questioni operative ed anche nei rapporti con gli Alleati;

- ottenere un adeguato armamento per fronteggiare eventuali attacchi tedeschi prima dell'arrivo degli Alleati;

- definire i rapporti da tenere con gli Alleati, con il governo italiano, con i partiti del Cln del sud.

Si può sicuramente affermare che tutti questi problemi politico-militari furono affrontati con spirito unitario, con abnegazione e spirito di comprensione, e con la solidarietà dei membri del Cln locali e del Cln di Bologna.

[…] Si stabilì che i rapporti con gli Alleati sarebbero stati mantenuti da delegazioni nelle quali fossero presenti i rappresentanti delle quattro unità partigiane, mentre la direzione operativa veniva conferita ad Armando.

Dopo la conquista di Lizzano in Belvedere (2 ottobre), Armando trasferisce il proprio comando nella villa Faccetta Nera; poco più tardi viene costituito un reparto di Polizia partigiana inizialmente composto da sette partigiani che prendono alloggio a villa Figara [Ferrari 2004, 2016-7]. Solo il giorno 6 ottobre a Lizzano arriva la missione del 5th Army Detachment dell'Oss, composta dal maggiore Rossetti e da due soldati. Durante l'incontro Armando ottiene la promessa di rifornimenti per 350 partigiani – meno della meta degli effettivi – ma deve accettare di liberarsi dei commissari politici, di por fine alle requisizioni e, inoltre, di limitare i movimenti dei suoi uomini nelle immediate vicinanze di Lizzano. In seguito, le razioni vengono aumentate fino a 650, ancora al di sotto del fabbisogno, mentre le altre prescrizioni vengono più o meno ignorate [Day 1998, 163]. Quando gli americani vengono a conoscenza dell'esistenza del reparto di polizia partigiana, ne impongono l'immediata cancellazione, così ad Armando non rimane che togliere i sette nomi dall'elenco dei partigiani ufficiali, e, per precauzione, invia gli stessi a riposo a Ponte della Venturina (Granaglione). Quando i sette tornano a Lizzano, riprendono le stesse funzioni, svolgendole però in incognito [Ferrari 2004, 2022-3].

Nel frattempo, il 4 ottobre – lo stesso giorno che i tedeschi tentano di riconquistare il paese – i partigiani requisiscono il convalescenziario Dux per adibirlo a ospedale partigiano [Giacobazzi 2013]. Da segnalare inoltre che il 10 ottobre 1944, Biagi, sindaco di Lizzano in Belvedere, costituisce la Stazione dei Carabinieri del paese, comandante è nominato il vice brigadiere Giorgio Chiari [Carpani 1975, 69].

Negli accordi stipulati coi comandi Alleati, in conclusione, i partigiani sono inquadrati nell'Oss e, per esigenze d’ordine strategico-militare, di volta in volta vengono distaccati alle dipendenze dei comandi delle varie unità che si avvicendano nella zona: Ccb, Task Force 45, i brasiliani della Força Expediciònaria Brasileira, gli americani della 10th Mountain Division e, infine, gli afro-americani del 371st Infantry Regiment della Divisione Buffalo.

6. La Zona libera: rapporti tra partigiani, amministrazioni locali e Amg

Breve nota sull’attività delle giunte comunali nella zona libera e i rapporti con l’Amg

Come abbiamo visto, i partigiani, dopo aver liberato i Comuni dell’Appennino bolognese, in accordo col Cln provinciale, insediano le giunte per l’amministrazione quotidiana del territorio, le quali hanno un compito certamente non semplice, considerando gli enormi problemi che si trovano ad affrontare: gli sfollati, la ripresa della vita civile, la riparazione dei danni causati dalla guerra, gli approvvigionamenti alimentari e non solo. Le giunte, però, possono contare sui referenti dell’Amg. L’Amministrazione militare alleata dei territori occupati ha un’organizzazione su base regionale: a ogni regione – l’Appennino bolognese è compreso nella IX Regione – fanno riferimento i Provincial commissioners (Commissari provinciali), che dirigono il lavoro dei Civil affairs officers (Cao), equivalenti a governatori di distretto. Provincial commissioner dell’Alto Appennino bolognese viene nominato il colonnello Floyd E. Thomas. Per la zona di nostro interesse, tre sono le figure di riferimento [Paticchia 1994, 26]:

- capitano Y.A. Neal: Castel di Casio, Porretta Terme, Gaggio Montano e Lizzano in Belvedere;

- capitano Elliot: Granaglione (Bologna), Sambuca e Pracchia (Pistoia);

- capitano [illeggibile]: Grizzana e Riola di Vergato.

Nei rapporti che compilano vengono esplicitati i loro compiti: «Quantificazione e distruzione delle razioni alimentari», «Raccolta e trasferimento degli sfollanti nelle retrovie», «Ripristino di acquedotti, luce elettrica, strade, fognature» e «Ordine pubblico» [Paticchia 1994, 31], compiti, come si vede, strettamente legati alla fase del dopoguerra in un territorio a ridosso del fronte.

Gli ufficiali dell’Amg che si insediano nei paesi dell’Appennino bolognese «vi giunsero maturati dall’esperienza accumulata in oltre un anno di lavoro in Italia, una più ricca conoscenza del carattere degli italiani, una maggiore capacità di adattamento alle differenti realtà locali e a una buona ‘dose di umiltà’ sulle loro possibilità di imporre ordine e rispetto della legge con la confusione che regnava con la fine drammatica di un regime politico e una guerra ancora in corso» [Paticchia 1994, 24]. Tali ufficiali rappresentano «l'autorità alleata e la legge; garantiscono la sicurezza delle retrovie con un ferreo controllo sugli spostamenti degli sfollati; soddisfano le priorità delle truppe evitando conflitti con la popolazione civile; coordinano gli aiuti alimentari e curano la corretta distribuzione; stimolano la ripresa della vita sociale». [Paticchia 1994, 24-5].

In ogni caso i Cao «sono molto attenti a trovare comunque la soluzione che facilitasse il raggiungimento dei loro obiettivi, non solo non ostacolarono la nomina a sindaco o l’ingresso nelle giunte comunali di rappresentanti comunisti, ma in taluni casi li preferirono a elementi moderati se dimostravano di essere competenti e facilitavano il lavoro del Gma [Governo militare alleato]. Aiutarono i sindaci e le giunte a muovere i primi passi e non nascosero di apprezzare, al di là dell’appartenenza politica o religiosa, le capacità e l’abnegazione di coloro che dedicavano interamente i loro sforzi a rimettere in piedi il paese senza meschini tornaconti personali o di parte» [Paticchia (ed.) 1995, 15].

Ciò nonostante, il movimento resistenziale rappresenta un problema e la documentazione relativa ai rapporti tra Cao e partigiani nei Comuni interessati è scarsa. In un documento del 13 febbraio 1945 – quindi molto tardo – si parla proprio delle relazioni con i partigiani, è un rapporto sui Comuni di Porretta Terme, Gaggio Montano, Lizzano in Belvedere e Castel di Casio in cui, alla voce n. 5 Partisans, Neal scrive:

I problemi dei partigiani sono sempre nelle mani dell’OSS (T.te Kennedy), con il quale il Cao è in continuo contatto.

ASSOCIAZIONE NAZIONALE PARTIGIANI D’ITALIA: il Vice Sindaco Lorenzini di Porretta, ha portato da Pistoia un grande manifesto (allegato) che sollecita l’arruolamento nell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, sezione di Pistoia. Il Cao non ne ha autorizzato l’affissione in attesa di istruzioni. Il Generale partigiano Armando, che era lì per altri motivi, lo ha sottoscritto, ma sembrava non sapere molto al riguardo questa associazione. L’OSS non ne ha mai sentito parlare (Lt. Kennedy). Il Vice-Sindaco ha detto che serviva per promuovere un arruolamento nell’esercito italiano, ma il manifesto non dice questo. Esso invita ad arruolarsi come volontari nel “Corpo Italiano di Liberazione”, che il Cao non crede sia un nome nuovo per indicare l’esercito italiano. Il CAO ha spiegato al partigianato e agli ufficiali ex partigiani che il suo atteggiamento non comporta alcuna sottovalutazione del valore dei partigiani e dell’atteggiamento dei governi Alleati verso di essi. Comunque dato che è ovvio che gli italiani di questa area non vedono l’ora di fare attività politica, chiedo istruzioni su come comportarmi [Paticchia (ed.) 1995, 201].

Appare evidente che Neal esercita un ferreo controllo su quello che accade nella giurisdizione di propria competenza, è preoccupato che si possa fare politica e per questo diffida di tutto quello che non gli è chiaro, inoltre chiede istruzioni al suo superiore. A quello che si legge nel rapporto, il manifesto in questione è a nome dell’Anpi – associazione nata il 6 giugno 1944 a Roma – e ha lo scopo di convincere i partigiani ad arruolarsi nelle fila del Corpo italiano di liberazione (Cil, ovvero le truppe regolari del Regio esercito), nato il 18 aprile 1944 e disciolto nel settembre dello stesso anno per dar vita ai Gruppi di combattimento. Ma, come abbiamo visto, Neal non si fida e per non compromettere ulteriormente i rapporti con i partigiani li elogia. Interessante è notare anche l’atteggiamento distaccato di Armando che conosce quali sono le insidie celate nell’invito all’arruolamento, ma su questo ritorneremo in seguito.

Un’ultima considerazione: per quanto riguarda la questione politica Neal non transige, come si evince dal rapporto per i Comuni di Porretta Terme e Castel di Casio datato 20 marzo 1945, in cui il Cao scrive al punto n. 8 Opuscoli politici:

Il CAO sta trattenendo una piccola quantità di opuscoli di propaganda politica (comunista, per la maggior parte riguardanti il sistema sovietico) che un membro dell’amministrazione locale [probabilmente di Porretta] chiede di distribuire ai civili. Si chiedono istruzioni al riguardo [Paticchia (ed.) 1995, 213].

Rapporti tra le amministrazioni comunali della zona libera e partigiani: il caso di Lizzano in Belvedere

Elementi significativi, nonché intrinsechi alla stessa natura della Zona libera del Belvedere, sono i rapporti che i partigiani instaurano con le amministrazioni comunali; argomento, questo, alquanto interessante e che meriterebbe di essere oggetto di future ricerche e approfondimenti. 

Nello specifico siamo riusciti a reperire della documentazione per il solo Comune di Lizzano in Belvedere. Le carte, anche se scarse, riescono ugualmente a fornire un quadro sufficientemente chiaro del tenore di tali rapporti. Per quanto riguarda gli altri Comuni bolognesi possiamo tracciare solo un profilo generale, potendo basarci solo sul dato dei partigiani coinvolti nelle giunte.

Nel caso di Castel di Casio, il sindaco, Ferdinando Bertini, è un partigiano toscano della Matteotti [Arbizzani 1998, 71]. Per Gaggio Montano, quando viene nominato sindaco Luigi Amaduzzi – riconosciuto partigiano di Giustizia e Libertà [Ardeni 2014, 73] e tra i fondatori della brigata [Biagi 2009, 223] – viene nominato nella giunta anche il partigiano Silvio Monari [Berti Arnoaldi Veli 2008, 261]; mentre Francesco Berti Arnoaldi Veli, anch’egli partigiano, assume la carica di segretario comunale [Ardeni 2014, 317]. A Granaglione, invece, il partigiano Gastone Ferrari, uno dei fondatori della formazione matteottina Sambuca Pistoiese, viene nominato sindaco [Borri 2001, 171]. Infine, a Porretta Terme Folco Lorenzini – partigiano della Matteotti – entra nella giunta del sindaco Emilio Buini [Facci e Borri 1998, 323], a sua volta tra gli organizzatori della Brigata Matteotti, nonché sindaco di Porretta dal 1909 al 1914. Anche a Sambuca Pistoiese il sindaco Pietro Bartoletti è un partigiano della Matteotti, non solo, ma la stessa brigata «tramite il suo addetto militare, Sergio Giovannetti, dona alla popolazione lire 93.000, frutti del guadagno della vendita di materiali vari effettuata dalla Cooperativa di consumo» [Daghini 2014, 318].

Lizzano in Belvedere: dalla partenza del commissario prefettizio Max Montanari alla nomina a sindaco di Giorgio Biagi

Carpani, nel suo studio [Carpani 1975, 52-3], racconta che il 17 agosto 1944, con la partenza del presidio locale della Guardia nazionale repubblicana (Gnr), il commissario prefettizio Max Montanari si dimette per protesta contro tale decisione. L’unica autorità che rimane in paese almeno fino ai primi di settembre è quella di un facente funzione di commissario prefettizio [7], che probabilmente svolge solo compiti di ordinaria amministrazione. Solo il giorno 23 settembre 1944 il Cln locale rompe gli indugi e nomina Giorgio Biagi a ricoprire l’incarico di referente per il Comune. Come scrive Ardeni [Ardeni 2014, 267] «Biagi, che era stato podestà, era comunque persona molto rispettata in paese, e fu scelto col consenso unanime [dei capi partigiani]»; infatti, come ricorda lo stesso Biagi, egli assume l’incarico «in quanto autorizzato dai comandi partigiani della zona e dal Commissario del C.L.N. Emilia Romagna» [Carpani 1975, 68].

Dopo l’arrivo a Lizzano dei partigiani il 2 ottobre, il giorno seguente, Biagi viene ufficialmente nominato sindaco del Comune, inoltre il Cln locale designa anche la giunta che risulta così composta: Giuseppe Palmieri (Dc), Giorgio Lenzi (Dc), Virgilio Chiari (Psi), Ezio Fattori (Psi), Vittorio Betti (Pci), Giuseppe Orlandini (Pci) e Ciro Lanzi (Pci). Alcuni dei membri sono profondamente legati al movimento di Resistenza locale: basti pensare alle figure di Vittorio Betti, animatore dei primi gruppi di resistenti della zona nonché egli stesso partigiano della Matteotti; e Giuseppe Orlandini.

Rapporti tra Armando e l’amministrazione comunale di Lizzano in Belvedere [8]

A partire da questo momento i rapporti tra l’Amministrazione comunale di Lizzano e i partigiani di Armando si infittiscono, ne sono prova alcuni documenti conservati nell’archivio comunale e riportati nello studio di Carpani: il 27 ottobre 1944 Armando ringrazia Biagi della collaborazione per l’organizzazione dello spettacolo del 16 ottobre a favore dei partigiani feriti. Un documento decisivo, per capire come gli stessi partigiani rispettano l’autorità amministrativa costituita, è una risposta a una richiesta del 6 novembre 1944 da parte del Comune di Lizzano riguardo il conferimento del latte. Scrive Armando: «vi preciso che a Vidiciatico il latte viene già conferito alla latteria. Per Lizzano è già stato emanato l’ordine che le formazioni non debbono più prelevare il latte presso i produttori. Con ciò potrete disporre per il conferimento del latte presso una latteria del paese» [Carpani 1975, 76]. Di conseguenza, il 9 novembre, Biagi scrive al parroco di Lizzano allegando l’ordinanza emessa in accordo col comando partigiano che disciplina il conferimento del latte munto, precisando che tale azione si svolge nell’interesse di persone anziane, bambini e ammalati; infine, il sindaco invita il parroco a diffondere la notizia tra i parrocchiani.

Ma altre testimonianze di rapporti tra l’amministrazione comunale e i partigiani si possono riscontrare nella lettera del 4 novembre, quando Biagi scrive ad Armando in seguito al sequestro di merce attuato ai danni di un abitante del luogo: il sindaco afferma che dall’indagine effettuata la merce risulta regolarmente daziata e conclude che la persona l’ha avuta con regolare assegnazione, pertanto elenca i prezzi delle merci confiscate con cui conteggiare la somma che gli deve essere corrisposta. In un’altra lettera, il sindaco comunica a Corrado Marchioni di averlo nominato responsabile del servizio di distribuzione della benzina e della nafta, e che potrà erogare il carburante solo alle persone munite di un buono firmato da: generale Armando, Monti, Pizzarini oppure dal sindaco stesso.

Il 3 novembre Biagi informa Armando di aver provveduto, il medesimo giorno, a garantire alla «popolazione sfollata per ordine dei tedeschi» la «distribuzione di una minestra calda a mezzogiorno ed una alla sera. Questo per evitare eventuali richieste della popolazione alla sussistenza partigiana». Sempre lo stesso giorno il sindaco scrive un’altra lettera ad Armando raccomandando il ricovero nell’ospedale partigiano di un vecchio indigente, abitante a La Ca’, che, in seguito all’ordine di sfollamento dei tedeschi della zona, «nessuno è riuscito a trasportare». Il giorno seguente il sindaco invia ad Armando una lista del materiale esistente all’interno nel convalescenziario di Lizzano al momento della requisizione attuata dai partigiani il 4 ottobre, esortando lo stesso Armando a rilasciare all’ente un regolare buono di requisizione [Carpani 1975, 77-82]. Infine, segnaliamo che a Lelli, partigiano della 7ª Brigata Modena, dopo la morte del fratello Armando avvenuta il 29 ottobre 1944, viene chiesto di prendere il posto del fratello in qualità di impiegato comunale [Lelli s.d., 46].

7. La Zona Libera del Belvedere - Seconda fase (21 ottobre 1944 - 14 febbraio 1945)

Abbiamo ripercorso le complesse vicende che hanno portato alla creazione della Zona libera del Belvedere e la conseguente costituzione della Divisione Modena Armando. Nella seconda fase la stessa Divisione deve dimostrare di saper conseguire gli obiettivi predefiniti dalla strategia Alleata, sebbene questa, non sempre risulti chiara ai partigiani.

La prima battaglia del Monte Belvedere: 29 ottobre 1944

Il 28 ottobre, il comandante del Ccb, agendo su suggerimento di Pandiani di Giustizia e Libertà [9], che aveva occupato Gaggio Montano e Gabba, ordina un attacco partigiano per conquistare il Monte Belvedere. L’operazione – organizzata dal tenente Sabatino – coinvolge 160-180 partigiani suddivisi in tre colonne comandate rispettivamente da Toni, “Capitan Mario” (Mario Levi) della 7ª Modena e dallo stesso Pandiani. Il 29 ottobre la 7ª Brigata Modena avanza fino al Belvedere occupando la Querciola, il Buio e la Calcinara; alcuni partigiani di Armandino riescono ad arrivare fin sulla cima del Belvedere. La Matteotti, da Gabba, sale a destra dei Pianotti raggiungendo il crinale sul Monte Gorgolesco e congiungendosi alla chiesina di Ronchidoso con la Giustizia e Libertà, quest’ultima partita dal paese di Gaggio. Sabatino scrive nel rapporto che l’attacco viene sferrato la mattina presto sotto la pioggia e l’obiettivo è rapidamente conquistato, ma la reazione dei tedeschi riesce a ricacciare indietro gli attaccanti. Levi ha invece puntualizzato che l’ordine di proseguire viene revocato perché il Monte Belvedere è coperto dalla pioggia e dalla nebbia e che i partigiani vengono informati della revoca solo quando alcuni di loro hanno già raggiunto la cima, cosicché a quel punto, sono costretti a rientrare. La colpa della ritirata è attribuita al fatto che i rinforzi americani promessi non sono arrivati, anche a causa dell’intenso cannoneggiamento tedesco. Comunque l’azione viene osservata da ufficiali Alleati presenti a Vidiciatico e così la Divisione Modena Armando supera la prima prova.

A seguito dell’operazione del Monte Belvedere, il 1° novembre il Ccb attacca anche il fronte a Castelnuovo (Vergato) con l’aiuto dei partigiani di Armando (formazione d’assalto Falconi) e della 7ª Modena (formazione Pippo). Il 4 novembre 150 partigiani della 7ª Modena occupano Rocca Pitigliana (Gaggio Montano), sempre su richiesta del Ccb, mentre lo stesso giorno anche Palazzo d’Affrico (Gaggio Montano) viene occupato con un azione congiunta tra partigiani di Giustizia e Libertà e della Matteotti, anche questa condotta assieme a soldati americani [Turchi 2008, 66-8].

Spostamenti e aggregazioni di uomini

La notte del 28 ottobre un gruppo di partigiani di Vergato – circa una quarantina – comandati da “John” (Gino Costantini), passano le linee a Riola. Gli inglesi responsabili di quel settore erano, come ricorda Costantini, «barbuti con in testa il turbante» (come per Pippo, probabilmente appartengono al 4/13 Frontier Force Rifle). Il comandante dell’unità consiglia a John di prendere contatto con Armando a Lizzano e gli dice di sistemarsi con i suoi uomini a Castel di Casio, dove però devono sopravvivere con vari espedienti, considerato che nessuno li rifornisce. Il 9 novembre (o il 18), su ordine di Armando vengono inviati a Oreglia (Grizzana) per essere aggregati all’Imperial Light Horse/Kimberly Regiment della 6th South African Armoured Division con compiti d’avamposto e di pattugliamento [Day 1998, 164-5; Costantini e Ronchetti 2010, 59-63] e lì rimangono fino alla fine della guerra.

Il 10 novembre i partigiani delle Brigate Est, Brigata Gramsci di “Fulmine” (Otello Cavalieri), Roveda e altre formazioni minori – Tassinari afferma che sono 800 uomini [Angeli e Tassinari 2012, 52]) – comandati da “Angelo” (Renato Giorgi), reduci dal combattimento di Benedello [10], si stanno trasferendo oltre le linee, quando, durante il guado del fiume Dardagna, vengono coinvolti in uno scontro a fuoco che spezza in due la colonna e alcuni di loro vengono catturati. Quelli che hanno oltrepassato il fiume, circa una cinquantina, il giorno seguente guidati da Tassinari [11] riescono a passare il fronte [Turchi 2008, 80-1]. Solo il giorno 14 il resto della colonna riesce a passare le linee, gli ultimi arrivano il 6 dicembre, e tutti entrano nelle fila della Divisione Modena Armando. Con il loro arrivo, secondo Day, la Divisione arriva a contare 2.500 unità [Day 1998, 165], di certo comprendenti anche i partigiani delle brigate bolognesi.

Il 22 novembre è la volta della Brigata Costrignano, comandata da “Filippo” (Filippo Papa), che dopo aver passato le linee al Passo del Lancino di Fellicarolo (Fanano) giunge a Cutigliano (Pistoia) [Day 1998, 165]. I partigiani sono sporchi e infreddoliti e agiranno sotto il comando di “Pippo” (Manrico Ducceschi), anche se formalmente sono parte della Divisione Modena Armando.

La seconda battaglia del Monte Belvedere: 24 novembre 1944

Il 24 novembre, alle ore 6 del mattino, il 435th American Antiaircraft Artillery Automatic Weapons Battalion (Tf 45), col supporto di 180 partigiani  – formazioni della 7ª Modena e di Armando – e di quattro carri armati, parte con l’obiettivo di conquistare Querciola e Corona, sotto il Monte Belvedere. Il tempo è nuvoloso e nebbioso e questo limita il supporto aereo e d’artiglieria. Il primo gruppo dopo aver lasciato Vidiciatico occupa la Querciola e conquista Corona, mentre l’altro, partito da Lizzano, riesce a prendere il Monte di Gabba (Lizzano in Belvedere). L’attacco avviene in coordinamento con altre due azioni: quella dei brasiliani che devono conquistare Monte Castello, e quella dei soldati afro-americani, i quali puntano a Monte della Torraccia di Iola (Montese). Questi ultimi due attacchi, però, non conseguono gli obiettivi prefissati, cosicché sia i brasiliani che gli afro-americani devono ripiegare. Solo l'attacco dei partigiani verso il Monte Belvedere ottiene il successo sperato, ma dopo quattro giorni – il 28 novembre – i tedeschi contrattaccano violentemente riprendendo il controllo delle località che gli erano state sottratte [Day 1998, 165; Turchi 2008, 70]. Nel Memorandum scritto dal maggiore Rossetti vengono elencati tutti i punti deboli dell'utilizzo dei partigiani in qualità di truppe regolari di prima linea: pur sottolineando l'efficacia nella conquista, Rossetti lamenta la poca disciplina e l'abbandono delle postazioni, ma in parte li giustifica perché avevano «pochissime coperte e quasi nessun indumento impermeabile». Sull'impiego dei partigiani Rossetti conclude: «Qualsiasi scostamento dal modello di guerriglia, di conseguenza, è nuovo per loro e tende a lasciarli relativamente disorientati» [Day 1998, 194-6]. Molti partigiani ricordano che gli americani li avevano riforniti con degli indumenti invernali: dei giacconi blu scuro della marina, che molti di loro non hanno utilizzato perché sul terreno innevato sarebbero stati bersagli troppo facili.

Il terzo attacco al Monte Belvedere: 12 dicembre 1944

Il 12 dicembre il 900th American Antiaircraft Artillery Automatic Weapons Battalion (Tf 45) conduce una nuova offensiva di disturbo contro Rocca Corneta e la Corona, l’azione si svolge in concomitanza con l’attacco principale dei brasiliani a Monte Castello. L’unità è composta da un ufficiale, trenta soldati e quindici partigiani. A condurre l’azione è la Brigata Matteotti. Trentin racconta l’episodio in cui Toni guida personalmente una delle direttrici dell’attacco e riesce ad espugnare la Corona, costringendo i tedeschi alla fuga e a lasciare sul terreno un ingente bottino [Trentin 2012]. Poco dopo, improvvisamente, un gruppo di soldati tedeschi si affaccia alle spalle del borgo e inizia a sparare intensamente. Ai partigiani, per poter proseguire nell’azione, manca l’appoggio dei mezzi corazzati statunitensi in quanto questi sono rimasti bloccati dalle mine lungo la strada. I partigiani arretrano mentre, nell’estremo tentativo di disciplinare la ritirata e non abbandonare i feriti, Giuriolo rimane ucciso. A fine giornata i partigiani contano tre caduti e quattro feriti. Il Comandante dell’Oss, il capitano Robert Rovzar, inoltra ai suoi superiori la proposta di decorazione al valore per Toni. Dopo la morte del comandante la Brigata Matteotti si riunisce e decide di continuare la propria attività nel nome del capitano Toni senza scegliere un altro comandante [Turchi 2008, 82-3].

8. Le difficoltà con gli Alleati tra incomprensioni e pregiudizi

Il problema Armando

In questo paragrafo vogliamo affrontare le reciproche difficoltà incontrate dai comandi partigiani e americani durante la collaborazione. Gli americani appaiono infatti assillati dall'alto numero di partigiani presenti in zona e dai conseguenti problemi legati al loro rifornimento, ma anche da come utilizzarli nel contesto dei piani strategici Alleati. Armando, nelle sue memorie, evidenzia con chiarezza tali difficoltà:

[…] quando proponevo la nostra partecipazione agli spostamenti e in vista degli attacchi, il commento era questo:

- No, no, bastiamo noi! Voi siete in troppi e se vi muovete le cose si complicano.

- Ho sempre saputo – ribattevo – che l'unione fa la forza; insieme, li spazzeremo via più facilmente!

Questo discorso, che eravamo in troppi, sarà nei nostri confronti il leitmotiv preferito dagli Alleati fino al giorno della liberazione” [Tommasi De Micheli 1983, 232].

I partigiani sentono di non essere considerati come vorrebbero e di essere per di più mal tollerati anche per questioni politiche. E non è solo per un diverso modo di concepire le azioni. Gli americani sono improntati a una rigida gerarchia che presuppone una altrettanto rigida disciplina, mentre i partigiani – come scrivono Bernadotti e Casali [Bernadotti e Casali 1993] – secondo gli statunitensi hanno una «natura indefinita ed extra-legale», sono dei combattenti «irregolari, spesso esercito di cittadini» e questa è una discriminante non da poco. A onor del vero, l'esercito, in particolare quello americano, in cui gli ordini non si discutono e si eseguono e basta, fa molta fatica a comprendere il mondo partigiano: per gli americani è impensabile che le strategie di un'azione vengano discusse insieme e soprattutto non accettano la presenza dei commissari politici. Oltre a questo bisogna aggiungere che il comunista Armando rappresenta un problema, pur concordando con Silingardi sulla necessità di inquadrare la questione in un contesto più generale.

Non bisogna dimenticare che nello stesso periodo le vicende della Grecia – dove si arrivò a uno scontro aperto tra l'Elas, l'esercito di liberazione nazionale, e le truppe inglesi [autunno 1944] – determinarono forti preoccupazioni nei comandi Alleati operanti in Italia. Il quartier generale della Special force n. 1 raccolse in un rapporto le relazioni ricevute dalle missioni britanniche operanti in Italia, che non lasciava dubbi sul fatto «che coloro che controllano le bande comuniste stanno preparandosi a prendere il potere con la forza nel momento in cui i tedeschi saranno cacciati dagli Alleati», anche se si doveva ammettere che non c'era prova «che l'attitudine adottata dalle bande in questione sia dovuta a direttive centrali impartite dal Partito comunista italiano» [Silingardi 1996, 131].

Il rapporto sulle vicende della Grecia giungerà al Comando Alleato in Italia solo il 15 gennaio 1945. Comunque è un fatto che tali preoccupazioni esistano; ne è prova il rapporto scritto da Rossetti e riportato nel famoso Memorandum del 17 dicembre 1944 – Rapporto della settimana dal 12 al 17 dicembre – di cui è sufficiente citare l'incipit:

a. La Divisione Modena sotto il comando di “Armando” è decisamente comunista. Il comandante di ogni unità è affiancato da un commissario comunista (politico) che controlla e discute tutti gli ordini impartiti dal comandante dell'unità ed ha persino il potere di sospenderne l'esecuzione. Secondo parecchie affermazioni, sfuggite involontariamente ai partigiani della Divisione Modena, la posizione di “Armando” non è limpida. Al contrario gli vengono attribuiti vari atti di crudeltà e azioni violente eseguite in un modo piuttosto dittatoriale, specialmente nel periodo in cui la divisione stava occupando la zona di Montefiorino [Petracchi 1992, 101].

Senza entrare nel merito della questione di come l'esperienza di Montefiorino sia stata descritta in maniera negativa da Rossetti sulla base di voci circolanti tra alcuni degli stessi partigiani, ci preme sottolineare la data in cui viene redatto il rapporto: 17 dicembre 1944, dunque, dopo i tre gli attacchi portati al Monte Belvedere e dopo che i partigiani hanno potuto dimostrare tutta la loro efficacia operativa.

Ma chi è Rossetti? Tassinari ci fornisce un ritratto molto caustico del personaggio: «Un altro giorno, sempre in Appennino, a Pianaccio arrivò […] il tenente italo-americano Rossetti, uno di quei classici comandanti che sbraitano tanto e agiscono poco» [Angeli e Tassinari 2012, 88].

È però necessario riflettere sul fatto che, nel caso degli Alleati, anche in considerazione del momento storico contingente, lo sfondo culturale in cui avvengono queste vicende è notevolmente permeato dalla paura del comunismo, soprattutto da parte inglese, ma anche americana (Oss compreso, seppure la stessa organizzazione abbia molti elementi favorevoli a tale ideologia) [12]. Concordiamo con Tassinari quando afferma che nel dopoguerra tale paura sfocerà nel maccartismo, ma che in quel momento, in nuce, c’è la consapevolezza della guerra fredda, quale naturale conclusione del conflitto in corso. Ma lo stesso Tassinari ci illumina su un altro aspetto di non poco conto: a suo giudizio ai comandi dell'Oss – e probabilmente anche a quelli delle divisioni dell’esercito americano – non interessa molto a quale schieramento politico appartengono i partigiani, se questi sono utili al conseguimento degli obiettivi strategici Alleati; e ciò appare tipico del pragmatismo americano.

Comunque, l'elevato numero (in continua crescita) dei partigiani ascrivibili alle formazioni garibaldine di Armando alimenta un evidente fastidio da parte degli americani, tanto che questi ultimi cercano in vari modi di arginarne la crescita. Lo stesso “Angelo” (Renato Giorgi) ricorda che durante un incontro con Abrignani – riportato nello studio di Silingardi – si fosse fatto esplicito riferimento alla questione.

Questi gli aveva fatto intendere, con diplomazia, ma con inequivocabile chiarezza, che se io [Giorgi,] militando nel Partito d'Azione, avessi consentito di dividere la mia strada da quella di Armando che era comunista da loro ritenuto un leader militare del Pci, loro avrebbero assunto nei miei confronti e nei confronti degli uomini da me comandati un atteggiamento favorevole e ci avrebbero rifornito di armi, munizioni e viveri senza alcuna limitazione [Silingardi 1996, 130].

Partigiani e americani: una convivenza difficile

La convivenza tra partigiani e americani ha le sue difficoltà, in primis gli americani ritengono che i partigiani – soprattutto quelli di Armando – siano troppi, e come abbiamo ricordato tale leitmotiv durerà fino alla fine della guerra. Su questo problema se ne innesta un altro: quello degli approvvigionamenti. A causa dello stratagemma usato in accordo coi comandi Oss, cioè dichiarare di essere in soli 450 partigiani quando invece sono ben oltre il doppio, in pratica ognuno dei partigiani riceve la metà dei rifornimenti e la maggior parte di loro non è neppure impiegata (alcuni non sono neanche armati). Così quelli che non hanno compiti gironzolano qua e là nei paesi e sono proprio questi ultimi che gli americani notano con preoccupazione generando rapporti particolarmente tesi, come nel caso ricordato dallo stesso Armando:

[…] in dicembre, visto che nonostante ci avessero dimezzato le razioni dei viveri, non accennavamo a diminuire di numero, gli americani incominciarono a far pressione su di me perché la metà circa dei miei partigiani accettasse di andare nei “campi di raccolta” istituiti a Pracchia in Toscana. Dicevano:

- Là, senza più nessun pensiero per l'approvvigionamento, troverete vitto, alloggio e vestiario. Ogni giorno avrete anche la libera uscita. Naturalmente la selezione la farà il comandante Armando, questi sono gli ordini.

Cercai di obiettare che, dovendo controllare ben 25 chilometri di confine del Territorio Libero, mi occorrevano tutti quanti i miei partigiani. E loro:

- La metà sono più che sufficienti. Entro due giorni decida chi deve raggiungere i campi di raccolta, altrimenti lo decideremo noi.

Così a cinquecento partigiani avrei dovuto dire: “Voi andate a Pracchia, qui non servite più a nulla. […] Non dormii per due notti […]

[Alla fine presi la decisione:] “No, io non scelgo; lo facciano loro”.

E lo fecero. […]

Di lì a qualche giorno […] li vidi tornare a piedi, sfiniti dalla stanchezza e senza scarpe: volevano continuare a fare i partigiani.

- Restiamo con te, Armando – dicevano – costi quel che costi. Se ancora i nostri “cobelligeranti” avessero insistito per avviarci ai “campi di raccolta”, avremmo preferito aggregarci alle squadre di lavoro per la ricostruzione dell'Italia liberata [Tommasi De Micheli 1982, 242-3].

Abbiamo voluto riportare questo passaggio quale esemplificazione delle difficoltà a intendersi che hanno le due parti, ognuna con le proprie regole e il proprio modo di vedere le cose. In particolare non c'è comprensione della strategia Alleata giudicata troppo lenta dai partigiani, ma che nell’ottica alleata risponde a precisi criteri: la necessità di coordinamento con altre divisioni all'interno di una stessa armata, che a sua volta deve coordinarsi con l'armata a fianco, nel caso italiano V armata americana e VIII inglese; e il fatto che entrambe le armate sottostanno a piani strategici più grandi come, per esempio, quelli relativi allo scacchiere del Mediterraneo o dello stesso fronte occidentale; in più le armate alleate hanno una logistica ingombrante, che rende faticosi e lenti gli spostamenti sulle tortuose e strette strade dell'Appennino, per di più sterrate. Di contro, i partigiani si chiedono come mai gli Alleati non avanzano, perché ci mettono tanto e per questo li sollecitano continuamente.

Non solo i rapporti tra i comandi sono difficili, ma lo sono anche tra soldati e partigiani, così come riporta Silingardi citando il partigiano Giancarlo Bazzani: «Momenti di scontro con soldati americani furono numerosi, soprattutto in occasione delle feste da ballo, che spesso degeneravano in rissa» [Silingardi 1996, 147]. E poco oltre, lo stesso partigiano, ricorda: «Con gli americani non siamo mai andati d'accordo. Si andava d'accordo con i brasiliani, con i negri, con gli indiani; ma con gli americani e gli inglesi, mai! Perché erano dei 'bragoni', volevano essere dei superuomini».

Nel clima non proprio facile accade anche l'inevitabile. Per tutti ricordiamo due incidenti gravi: il primo occorso a “Primone” (Primo Manni), comandante di un battaglione della Brigata Gramsci, che il 9 gennaio 1945 durante il giro notturno per dare il cambio della guardia agli americani in un avamposto sulle pendici del Monte Belvedere, per sbaglio viene colpito a morte [Ferrari 2004, 1929]; il secondo a John P. Benson Jr., primo tenente dell'87th Infantry Regiment della 10th Mountain Division, ucciso il 20 febbraio 1945 per sbaglio dai partigiani in una postazione a Ca' Florio (Rocca Corneta) [Buckley Cullinane 2006, 47-8 e Ghirardato 2009, 34-5].

È il caso di menzionare anche un episodio che coinvolge Armando, mentre si sta recando a Roma per concordare l’ingresso dei suoi uomini nelle forze dell’esercito regolare.

Il 28 novembre “Armando” parte da Porretta Terme assieme a un ufficiale italiano, per recarsi a Roma, al fine di trattare l'arruolamento dei suoi uomini nei reparti dell'Esercito. Durante il viaggio tutti gli occupanti rimasero intossicati dai gas di scarico che sfogavano direttamente dentro la macchina [Silingardi 1996, 130].

Armando viene ricoverato in ospedale e vi rimane per molto tempo e, per sua stessa ammissione, porterà le conseguenze di tale intossicazione per il resto della vita. Sia lui che i suoi partigiani sono concordi nel ritenere che si è trattato di un attentato e questo di certo non ha favorito i rapporti di collaborazione con gli americani. Uno dei pochi, da subito, a non credere all'attentato è Tassinari. Comunque sia andata, è interessante notare come Armando nel suo libro di memorie abbia dedicato uno specifico paragrafo all’episodio, dal titolo: “Gli Alleati cercano di liquidarmi”.

Nonostante tutto, possiamo affermare che i partigiani della Divisione Modena Armando nei rapporti con gli statunitensi hanno conquistato sul campo il rispetto loro dovuto, come pure gli apprezzamenti sinceri da parte dei comandi Alleati, coi quali hanno condiviso i lunghi mesi di guerra. Lo stesso Rossetti, nel rapporto del 24 gennaio 1945 scrive:

1. I partigiani della zona sono stati coinvolti in uno degli attacchi principali a Mt. Belvedere ed hanno dimostrato di meritare tutto l'aiuto che abbiamo dato loro. […]

3. Ogni settore del IV Corps all'interno del quale i partigiani hanno collaborato con le truppe alleate, era soddisfatto del pattugliamento, dell'azione durante l'attacco e in generale del comportamento di questi uomini [Petracchi 1992, 142].

Difficile capire come e perché Rossetti, in poco tempo – appena due mesi – cambi idea sui partigiani di Armando e sullo stesso Armando. Ricordiamo solo che a guerra conclusa vennero scattate un paio di fotografie che ritraggono assieme Rossetti, Armando, Angelo e Fulmine, che sembrano sancire il rapporto di stima e amicizia che si era creato tra il comandante dell’Oss e i partigiani; non solo, anche in un articolo basato sui ricordi di guerra dello stesso Rossetti emerge un’immagine positiva di Armando e dei suoi partigiani [Petracchi 1992, 34], così come nell’intervento che lo stesso Sabatino ha tenuto nel convegno del 1994 [Sabatino 1995, 131-2].

Dobbiamo, infine, sottolineare come molti dei reduci americani della 10th Mountain Division che abbiamo intervistato hanno ricordato il legame di amicizia che si era creato con i civili e anche coi partigiani di Armando; e questo sembra attestato anche da alcune fotografie che li ritraggono insieme.

Partigiani e brasiliani: una spiacevole sorpresa contraddittoria

Nelle loro memorie quasi tutti i partigiani operanti nella zona sottolineano la grande amicizia che li aveva legati ai soldati brasiliani, sebbene lo studio di Bernadotti e Casali – che ha analizzato le pubblicazioni della memorialistica brasiliana – smentisca questa circostanza.

Infatti, gli autori si dimostrano sorpresi di non aver trovato alcun riscontro della collaborazione con i partigiani nei libri brasiliani. Benché la stragrande maggioranza di questi siano opera di ufficiali, il dato appare ugualmente molto strano. Bernadotti e Casali riportano infatti un unico esempio [Bernadotti e Casali 1993, 545-6], tratto dal libro scritto dal soldato brasiliano Rodrigues, di descrizione di combattenti italiani, che i due autori identificano come partigiani di Giustizia e Libertà, mentre abbiamo potuto appurare si tratti dei conduttori di muli della 210ª Divisione, unità ausiliaria del ricostituito esercito italiano aggregata alla V armata americana [Rodrigues 1981, 33-4]. L'interessante studio ci suggerisce che l'invisibilità dei partigiani nella memorialistica brasiliana sarebbe dovuta a varie cause: la prima risiederebbe nell'essenza stessa dei partigiani quali truppe irregolari; mentre la seconda sarebbe legata al momento contingente vissuto dal Brasile nel dopoguerra. A queste noi aggiungiamo la stessa storia del Brasile, in particolare quella dello Estado Novo brasiliano (1937-45) negli anni dell'entrata in guerra, a cui dobbiamo aggiungere quella relativa alla costituzione e all'addestramento della Força Expediciònaria Brasileira (Feb), un esercito basato sulle caste militari, ovvero sulla differenziazione tra gli ufficiali e la truppa.

In un altro studio, Morigi e Salmi scrivono della presenza di una componente comunista all'interno della Feb tollerata dai comandi e affermano che spesso i pracinhas (soldati brasiliani) «soprattutto quelli di più basso grado, erano soliti intrattenere discussioni politiche coi partigiani che si dichiaravano comunisti, di questi accettando sempre con rispetto e simpatia le idee e, a volte, manifestando addirittura consenso» [Morigi e Salmi 1999, 383-4].

Tanto che solo in una delle pochissime fotografie scattata sui Monti della Riva appare un partigiano, unica testimonianza di un rapporto completamente rimosso, almeno nell’ufficialità, al termine della guerra e forse anche mal tollerato durante il conflitto stesso dai comandi brasiliani.

Partigiani e afro-americani: un rapporto alla pari

I partigiani hanno sempre ricordato le relazioni avute coi soldati afro-americani della 92nd Infantry Division Buffalo e lo hanno fatto citando casi quali la loro cronica sofferenza per il clima rigido, la svogliatezza o l'inclinazione a ubriacarsi fino a diventare molesti.

Non ci addentreremo nelle problematiche legate alle vicende della divisione afro-americana e in particolare quelle relative reggimento 371st Infantry Regiment che nell'aprile 1945 prende in carico il tratto di fronte che riguarda anche la Zona libera del Belvedere. In realtà quando il reggimento viene dislocato nell'Appennino pistoiese e bolognese, vi vengono aggregati i partigiani di Pippo (zona Pievepelago-Abetone), della Brigata Costrignano (Cutigliano) e quelli di Armando (Monti della Riva-Monte Belvedere). In tutti i libri dedicati a questa divisione i partigiani vengono sempre menzionati, addirittura in quello di Hargrove, l’autore dedica loro un intero capitolo: The Partisans. E questa è la prima frase: «No story about the Fifth Army or any of its divisions would be complete without including the important part played by the partisan resitance movement» [13] [Hargrove 1985, 176].

Sebbene sul 371st Infantry Regiment esistano poche notizie, anche per i problemi disciplinari creati dai soldati, nell’unico – in base alle nostre conoscenze – libro esistente scritto da un reduce di questo reggimento l’autore descrive i partigiani italiani che guidano la sua pattuglia e il loro comandante [Daugherty 2009, 100-1].

9. La Divisione Modena Armando e il ricostituito esercito italiano: il problema del riconoscimento

La nascita del Corpo volontari della libertà (Cvl) e il suo difficoltoso riconoscimento da parte degli Alleati ha ripercussioni anche nella Zona libera del Belvedere. Da ricordare che solo il 7 dicembre 1944 il Supreme Allied Commander in the Mediterranean, l'inglese Henry Maitland Wilson, sigla l’intesa – detta Accordo Wilson – col quale il generale americano sancisce la subordinazione del Cvl agli Alleati, riconoscendo al Cvl l'autorità nel nord del paese, garantendone i finanziamenti e i rifornimenti, e programmando con esso una collaborazione operativa dopo aver avuto rassicurazioni che una volta terminata la guerra i partigiani consegnino tutte le armi. Con la ratifica dell'accordo i partigiani vengono sottoposti a un comando militare con a capo Raffaele Cadorna, generale dell’esercito regolare italiano. È il periodo in cui i partigiani vengono equiparati ai soldati del ricostituito esercito italiano. Solo il giorno prima, 6 dicembre 1944, a Porretta è arrivata, per far visita ai partigiani, una delegazione di alto livello dello Stato maggiore del Regio esercito. Tale visita – come ammette lo stesso Armando – è stata per lo più di circostanza:

Cominciai ad insistere per prender contatti col mio governo e in particolare col ministro Casati e il sottosegretario Palermo. Loro tergiversarono e in realtà non volevano questo contatto. Il governo, d'altra parte, aveva mandato a Lizzano degli ufficiali di Stato maggiore guidati dal colonnello Sampò, per fare, probabilmente, un rapporto al Ministro. Io avevo chiesto, tramite il generale Cerica, che rimase a lungo con noi, dei rinforzi di truppa e infatti arrivarono dei reparti alpini e someggiati e anche un tenente addetto agli alloggi: non un granché, ma era un riconoscimento. Tutto questo gli Alleati non lo gradivano. D'accordo con gli ufficiali italiani io partii per Firenze, per poi raggiungere Roma [Bergonzini 1980, 327].

Day sintetizza bene cosa sta bollendo in pentola nell'incontro ad alto livello tenutosi il 6 dicembre, adducendo che è proprio il ricostituito esercito italiano il primo a tentare di sciogliere le formazioni partigiane che combattono al fronte:

Se l’alto comando alleato rimaneva scettico sull’opportunità di usare guerriglieri sulla linea del fronte, sembra […] sia stato il ricostituito esercito italiano a iniziare un tentativo di sciogliere le bande. In un incontro del 6 dicembre con il capo di stato maggiore dell’esercito italiano, generale Berardo, accompagnato dal generale Cerica capo della missione militare italiana a Firenze, a cui partecipavano il maggiore Abrignani per l’OSS, Armando per la divisione Modena, quattro dei suoi comandanti di brigata e il capitano Gastaldo, ufficiale di collegamento di quest’ultimo con le autorità italiane, il generale Berardo propose che i partigiani venissero arruolati nell’esercito regolare come mulattieri o pionieri, come forza di lavoro locale nei propri paesi o come fanti, ma in ogni caso mai in unità più grandi di un plotone. Il problema del ruolo dei comandanti partigiani che precedentemente non possedevano alcun grado militare (come nel caso di Armando) sarebbe stato affrontato in seguito. Armando accettò di tentare di far arruolare i partigiani disarmati nei centri di raccolta di Firenze, Lucca e Pistoia nell’esercito regolare, come gli era stato suggerito. Non sembra però che da questo incontro, al quale dovevano seguire altri tra il generale Berardo e i generali Clark e Alexander per discutere dello stesso argomento, siano scaturiti grandi risultati. In realtà era stato già deciso dal comando alleato, quando era stato espresso il dubbio sulla legalità dell’operazione partigiana alla luce della Convenzione di Ginevra di ‘non svegliare il can che dorme’. Ancor più importante era stato il fatto che il generale Crittenberger, comandante del 4° corpo d’armata, aveva ottenuto una promessa in tal senso dal generale Berardo la sera prima dell’incontro del 6 dicembre, almeno per quanto riguardava i 600 partigiani della divisione Modena. Il rapporto dell’OSS nota che Armando fu ricevuto con grande cortesia, ma che non ottenne niente, e conclude dicendo che al contrario l’esercito italiano sembrava adoperarsi per ottenere pieno riconoscimento ‘per tutto quello che i partigiani fanno per noi’ [Day 1998, 173-4].

A onor del vero, Torquato Bignami, commissario politico della 7ª Modena e vice commissario della Divisione Modena Armando, nella testimonianza resa a Bergonzini, afferma a proposito del generale Cerica:

Il governo italiano cercò a più riprese di inquadrare le nostre forze nell’Esercito italiano, mantenendo i gradi che avevamo nei partigiani, ma noi rifiutammo perché intendevamo operare a fianco degli Alleati mantenendo la nostra fisionomia partigiana. Il Governo italiano ci aiutò nella persona del generale Angelo Cerica, il quale ci diede tutto il necessario per le cucine da campo; ci fu proposto di venire retribuiti in base al grado, come in uso nell’esercito regolare, ma noi chiedemmo di potere distribuire autonomamente la paga, per poterla dividere in parti uguali, a prescindere dal grado, ma la nostra richiesta non fu accettata e noi rifiutammo alla unanimità l’offerta di danaro [Bergonzini 1970, 236-7].

10. Nasce il giornale “Patrioti” della brigata Giustizia e Libertà

Il 21 dicembre 1944 esce il primo numero del giornale “Patrioti” curato da Enzo Biagi per la Brigata Giustizia e Libertà. Usciranno altri due numeri: il 15 febbraio e il 15 aprile 1945. Il giornalino ha una notevole diffusione tra tutti i partigiani della zona che discutono e commentano le notizie. Tutti e tre numeri non contengono articoli riguardanti la zona libera, comunque, anche se il giornale è rivolto alla Brigata Giustizia e Libertà (solo la morte di Giuriolo vi trova spazio), lo stesso lo si può considerare un importante evento di tutta la zona libera del Belvedere.

11. La Zona Libera del Belvedere - Terza fase (15 febbraio - aprile 1945)

L’arrivo della la 10th Mountain Division e l'Operazione Encore (19 febbraio - 5 marzo 1945)

La sera del 17 febbraio 1945 gli alpini americani dell’86th Infantry Regiment (10th Mountain Division) arrivano nella zona del Belvedere in previsione dell’attacco che la notte seguente dovranno effettuare. In quei giorni, i partigiani di Armando (esclusa la Brigata Matteotti) non sono presenti nella zona, in quanto sono stati trasferiti a Pescia (Pistoia) per un periodo di riposo. Inoltre, il giorno 18 febbraio 1945, lo stesso Armando si trova a Roma per prendere parte alla Giornata del Partigiano e del Soldato. I partigiani della Matteotti, gli unici rimasti nel Belvedere partecipano all'operazione Encore, comandata dalla 10th Mountain Division e vengono aggregati agli alpini americani dell'87th Infantry Regiment nel settore di Rocca Corneta, conquistando l'abitato il 22 febbraio, al comando di un americano. Invece alcuni partigiani della 7ª Modena della valle del Dardagna, pratici dei Monti della Riva, la notte del 18 febbraio 1945 fanno da guida ai soldati dell'86th Infantry Regiment per la conquista dei monti stessi. Ricordiamo che la brigata Giustizia e Libertà si trova in linea nel settore di Grizzana senza particolari compiti operativi.

Solo una breve considerazione sul fatto che “Armando” e i suoi partigiani non sono presenti durante l'operazione Encore. Nel libro di memorie scritto da Daniel Petruzzi, l'autore, dopo aver descritto la sua esperienza in Italia, già nel primo capitolo, ma più compiutamente nel penultimo intitolato Communist band threatened to kill three Americans – including your future dad [14], viene riportata la missione segreta che ha svolto [Petruzzi 2000]. Infatti il 24° capitolo inizia così: «Armando was my biggest Partisan problem» [15], poi prosegue ripetendo quanto scritto nel famoso Memorandum di Rossetti del 17 dicembre 1944. La missione di Petruzzi, come egli stesso scrive, è: «Just get that guy out of the middle of the 10th Mountain so that our boys can feel secure and free to launch our Spring offensive into the valley» [16]. Nell'incontro, che secondo l'autore si sarebbe svolto nel quartier generale di Armando a Castiglione dei Pepoli [sic], sono presenti il sergente Al Gallo e lo stesso Rossetti. Per prima cosa Petruzzi avrebbe proposto ad Armando che, se avesse deposto le armi, avrebbe fatto in modo di fornire loro cibo, vestiario etc. Mentre stanno negoziando, uno dei generali di Armando avrebbe detto, rivolto a un collega: «Stasera ci facciamo la pelle a questi tre!». Petruzzi, con uno stratagemma, avrebbe poi convinto Armando e i suoi a salire su un camion per condurli a Bologna sotto i cannoneggiamenti durante l'offensiva finale e, una volta arrivati in città, lo stesso Armando sarebbe stato arrestato.

A parte la conclusione alquanto inverosimile, in realtà un riscontro a questo episodio l'abbiamo trovato, ed è contenuto nel rapporto settimanale scritto il 19 febbraio 1945 per Lizzano, da parte del capitano Labre R. Garcia, ufficiale dell'Amg, citato da Paticchia:

[…] Tutti i partigiani del gruppo di Armando sono stati evacuati dal Tenente Petruzzi e dal sergente Gallo. Tre camion sono stati prestati al Corpo di Spedizione Brasiliano per completare l’evacuazione dell’ospedale. I soli partigiani (40) rimasti nell’area di Lizzano sono stati assorbiti dalla 10a Divisione di Montagna e vengono nutriti da loro. Il Cap. Mario [probabilmente Renzo Bacchelli [17]], Patriota Italiano, li dirige. Il sottoscritto ha lavorato col Cap. Mario per alcuni mesi e lo conosce come una brava persona [Paticchia 1995 (ed.), 203].

È molto interessante notare due cose: la prima è relativa all'eco suscitato dal famoso rapporto di Rossetti negli ambienti dei comandi americani e la seconda, conseguenza della prima, è che la 10th Mountain Division non avrebbe voluto – il condizionale è d’obbligo – utilizzare i partigiani di Armando. Vero o no che sia, né Armando né i suoi partigiani sono presenti durante l'Operazione Encore. 

I Brasiliani e gli Afro-americani nella zona Libera (28 febbraio - aprile 1945)

Alla metà di marzo dal riposo di Pescia (Pistoia) tornano i partigiani di Armando, mentre a turni vi vengono inviati quelli delle altre brigate che erano rimaste in linea. Nel frattempo, all'inizio di marzo, nel territorio del Belvedere i brasiliani hanno sostituito gli americani e gli stessi partigiani di Armando collaborano con unità brasiliane della 1° Divisão de Infantaria Expedicionària, e presidiano il fronte sui Monti della Riva, respingendo, tra l’altro, almeno tre attacchi dei tedeschi. Infine, tra la fine di marzo e gli inizi di aprile il 371st Infantry Regiment, distaccato dalla 92nd Infantry Division Buffalo, subentra ai brasiliani e prende il controllo del settore del Belvedere.

In vista dell'offensiva finale di aprile, il tratto di fronte che va dalla zona del Belvedere fino al Monte Spigolino (confine con Pistoia) è sotto la piena responsabilità dei partigiani modenesi; più a ovest agisce la Costrignano, mentre a est sono presenti i brasiliani. La Matteotti e la Giustizia e Libertà non hanno compiti di prima linea in zona, anzi – come ricordato – i partigiani della Giustizia e Libertà sono inquadrati nel Gruppo di combattimento Legnano a Monterenzio (Bologna). Il balzo finale è previsto per il giorno 16 aprile: gli obiettivi dei partigiani di Armando sono i centri di Fanano, Sestola, Montecreto, li seguiranno i fanti afro-americani del 371st Infantry Regiment. I partigiani, dopo aver raggiunto gli obiettivi prefissati, proseguono per Pavullo nel Frignano, Serramazzoni e, infine, Maranello e lì si fermano, entreranno a Modena durante i festeggiamenti per la liberazione.


 

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Note

1. Tassinari parla di 900 partigiani [Angeli e Tassinari 2012, 48].

2. John Day è un ex sergente maggiore della compagnia “C”, 81st Armored Recon Battalion. È autore di articoli e saggi sul rapporto tra americani e partigiani.

3. L’episodio dell’arrivo dei tedeschi nella valle del Dardagna in quei giorni è ricordato sia da Giordano Lelli, ma anche da Luciano Lanzi, entrambi partigiani della 7a Modena.

4. Anche se Tassinari nel suo libro [Tassinari 1996, 86] scrive che incontra Armando il 27 settembre, in quello scritto con Angeli, rettifica la data, anticipandola al giorno 26 [Angeli e Tassinari 2012, 48].

5. Ennio Tassinari, “Mario Santini”, agente Ori, in carico all’Oss, dal 18 settembre 1944 sta svolgendo la missione “Team Medlar II radio Victory” con il compito di «comunicare la consistenza e la dislocazione delle forze militari nemiche, e nell’organizzare e coordinare le forze partigiane con le forze alleate per sferrare l’offensiva su Bologna» [Tassinari 1996, 80].

6. La Linea Gotica viene così definita dallo stesso Hitler nel giugno 1944, poi, per il fatto che il nome scelto risulta troppo evocativo, viene denominata Linea Verde, ma per gli Alleati rimane Linea Gotica.

7. Nelle carte dell’archivio comunale sono presenti due fogli datati 31 agosto e 4 settembre 1944 a firma di un facente funzione della carica di Commissario prefettizio, ma il nome è illeggibile.

8. Ringrazio Eugenio Lanzi per la segnalazione.

9. Così afferma Pandiani: «[esposi] un piano di attacco del crinale al 4°Corpo americano. In esso le forze autonome partigiane chiedevano l'appoggio dell'artiglieria e l'intervento della fanteria alleata. Il piano fu approvato. A Lizzano ne parlai con Armando» [Bergonzini 1980, 373].

10. 5 novembre 1944: 32 partigiani caduti.

11. Tassinari sta compiendo un’altra missione: la “Team Medlar III, Victory II”, iniziata il 27 ottobre 1944.

12. Per un approfondimento sulla presenza all’interno dell’Oss di ufficiali filocomunisti – tanto che, scherzosamente, un’intera sezione della Company D veniva indicata come Communist Desk – rimandiamo alle brevi note contenute nell’introduzione del testo di Petracchi [Petracchi 1994, 6-7].

13. Nessuna storia riguardante la V Armata o di qualunque delle proprie divisioni potrebbe essere completa senza includere il ruolo importante avuto dai partigiani del movimento della resistenza.

14. Una formazione comunista minaccia di uccidere tre americani – incluso il vostro futuro padre, in quanto il libro è dedicato ai figli.

15. Armando era il mio più grande problema.

16. Togliere dai piedi della 10a Divisione da Montagna il ragazzo [Armando], affinché  i nostri ragazzi possano sentirsi sicuri e liberi di lanciare nella valle [del Reno] la nostra offensiva di primavera.

17. Renzo Bacchelli “Mario”, vice commissario politico della Matteotti, il quale, dopo la morte di Toni diviene comandante di fatto [Ardeni 2014, 295].