1. Lo spettacolo

I fatti del 9 gennaio 1950, con lo sciopero degli operai delle Fonderie Riunite, il clima di forte contrapposizione tra i manifestanti e le forze di polizia, i sei operai morti e i duecento feriti, così come le reazioni a quegli eventi, hanno segnato fortemente la memoria dell’intera città di Modena.

Negli anni della Seconda guerra mondiale le Fonderie Riunite, fondate e dirette da Adolfo Orsi, erano state uno dei principali gruppi industriali della città, ma nel dopoguerra furono molte le difficoltà economiche che l’imprenditore dovette affrontare, non riuscendo ad adeguarsi alla riconversione. Sul finire del 1949 la fabbrica aveva chiuso, licenziando oltre 500 operai, e per riaprire nel gennaio 1950 Orsi impose di assumere meno della metà dei lavoratori, una scelta considerata quasi provocatoria dagli operai licenziati. Così la mattina della riapertura, il 9 gennaio, si radunarono circa 10.000 persone davanti ai cancelli della fabbrica, con l’obiettivo di impedire la riapertura alle condizioni imposte da Orsi, a cui sarebbe dovuta seguire una manifestazione autorizzata di protesta, organizzata dalla Fiom. Ma i disordini e lo scontro tra polizia e carabinieri, da una parte, e manifestanti dall’altra, fecero precipitare la situazione e segnarono il punto di non ritorno.

Una memoria complessa, quindi, composta da tante sfaccettature e che faticosamente tiene insieme diversi punti di vista e interpretazioni di quegli eventi, che si è fatta ancora più forte e sentita in occasione del 70° anniversario della strage.

Da qui l’esigenza di raccontare quei fatti, di farli conoscere anche alle nuove generazioni e di rielaborarli insieme alla cittadinanza, di riflettere collettivamente su quello che accadde con uno spettacolo dedicato ai protagonisti di quelle ore concitate. È così che ha preso forma Fonderie 9 gennaio 1950, un racconto spettacolo organizzato dall’Istituto storico di Modena, insieme al Centro documentazione donna e al Comitato per la storia e le memorie del Novecento del comune di Modena, in cui a narrare e ripercorre gli eventi è stata la voce di Carlo Lucarelli, accompagnato dagli attori Paolo Nori e Beatrice Renzi, insieme alla chitarra ed alla voce di Marco Dieci e al flauto di Franco d’Aniello.

Lo stesso Carlo Lucarelli ha descritto così il suo racconto:

La maggior parte delle brutte vicende come queste non sono così conosciute, ricordate e anche utilizzate come meriterebbero. Succede a storie accadute ieri, figuriamoci a quelle dell’altro ieri come questa. Che invece andrebbero ricordate perché raccontano un sacco di cose, cose che a volte succedono ancora e che sarebbe bello evitare, invece che dimenticare. Per questo, siccome non mi piacciono gli eccidi, non mi piacciono i segreti e la mancanza di memoria, ho accettato volentieri di cercare di raccontare quel fatto, già studiato ed esposto da altri più competenti di me, con l’unica chiave che mi compete che è quella della narrativa, aiutato da validi amici [1].

L’impostazione scelta da Lucarelli per la sua narrazione ha messo al centro dello spettacolo il racconto dei fatti partendo dai protagonisti, dagli uomini e dalle donne che hanno vissuto in prima persona quella giornata, e dagli aspetti più semplici e quotidiani, provando a descrivere timori, emozioni e pensieri dei sei giovani operai i cui nomi sono rimasti nella storia della città, e dell’intero paese.

In questo modo la voce di Lucarelli ha tratteggiato gli eventi principali e i protagonisti di quella giornata, guidando gli spettatori per le strade di Modena, permettendo loro di camminare accanto agli attori principali per le vie affollate dai manifestanti, fino a portarli davanti ai cancelli della fabbrica. Immaginare come fossero vestiti, cosa vedessero, chi incontrarono in quelle ore ha permesso agli spettatori di dare un volto e personificare i protagonisti, andando oltre il loro nome.

Seguendo i pensieri e le azioni di Angelo Appiani, Arturo Malagoli, Arturo Chiappelli, Roberto Rovatti, Ennio Garagnani e Renzo Bersani, il pubblico ha scoperto cosa accadde davanti ai cancelli della Fonderie Riunite e nelle strade limitrofe di quel 9 gennaio. Mentre le voci di Paolo Nori e Beatrice Renzi intervallavano il racconto con la lettura delle deposizioni dei partecipanti o delle forze dell’ordine su quanto accadde quella mattina. Con la stessa attenzione Lucarelli ha ricostruito anche l’operato delle forze dell’ordine, comprese le incertezze, le forzature e la confusione che caratterizzarono le scelte dei vertici, e che si ripercossero sull’intera catena di comando.

Gli eventi sono stati inseriti e contestualizzati all’interno del clima politico dell’epoca, in cui la tensione era ben presente nella vita quotidiana della popolazione e i conflitti sociali e sindacali erano piuttosto diffusi. E questo valeva ancora di più per Modena, e per l’Emilia, dove il partito comunista aveva una grande influenza, e presso le Fonderie, in cui gli operai erano in gran parte iscritti al sindacato e tanti tra loro avevano preso parte alla lotta partigiana.

La narrazione è stata impostata attraverso uno sguardo di lungo periodo per prendere in considerazione l’intera vicenda: il racconto ha dato spazio alle reazioni locali e nazionali dei giorni successivi, ha descritto i funerali e la loro rilevanza pubblica e politica in quel momento; e ha messo in luce anche gli anni successivi, rendendo conto delle fasi processuali e dei tanti strascichi che una vicenda così complessa ha portato con sé.

L’impostazione dello spettacolo ha permesso di far entrare in scena diverse tipologie di fonti, creando un quadro composito in cui testi, musica e immagini hanno contribuito alla ricostruzione puntuale degli eventi. Nello specifico, alle voci degli attori sono state affidate le testimonianze e le dichiarazioni che la polizia raccolse nelle ore e nei giorni successivi all’accaduto, ma anche le comunicazioni istituzionali e il pensiero dei funzionari modenesi, che hanno restituito il clima dell’epoca e la profonda distanza che vi era tra il sentimento delle istituzioni e quello della popolazione.

Le immagini, che scorrevano sul maxischermo alle spalle dei protagonisti sul palco, sono state utilizzate per mostrare come i quotidiani descrivevano quel periodo e per raccontare la città di quegli anni, e hanno permesso di mettere a fuoco visivamente alcuni dei luoghi e degli avvenimenti principali, oltre che i volti delle persone coinvolte. Ad accompagnare il racconto vi è stata poi la musica, con l’esecuzione dal vivo di alcune delle canzoni più significative delle proteste e delle lotte sociali che hanno contraddistinto gli anni del boom economico.

Si tratta di fonti molto diverse per forma, contenuto, contesto e soggetto produttore, ma è proprio la giustapposizione di materiali così diversi tra loro che ha dato al racconto molteplici sfumature, permettendo di includere punti di vista e memorie differenti di quella giornata.

2. La narrazione e la sua costruzione

La crescente domanda di storia, che da più parti è emersa negli ultimi anni, pone lo storico e chi si occupa di storia di fronte all’esigenza di trovare nuove forme di comunicazione. Per utilizzare le parole di Angelo Torre «lo storico non è il custode di una verità intangibile, ma il possessore di saperi che gli permettono di accostarsi alle fonti con uno spirito critico capace di costruire oggetti significativi», ed è a partire da queste competenze che può «applicare la storia alla realtà sociale, politica, economica e culturale» [Torre 2015, 622]. Nel contesto attuale appare sempre più centrale, soprattutto per chi si occupa di storia al di fuori dell’accademia, la riflessione sul patrimonio storico locale per rispondere alla domanda di storia proveniente dal tessuto sociale.

In questo senso, perché lo storico e la storia abbiano un ruolo significativo, è necessario che mettano in campo delle competenze peculiari, che gli permettano di individuare oggetti di indagine specifici, che tengano conto del contesto nel quale si dipanano e che dialoghino con altri saperi disciplinari:

Occorre in altri termini creare nuove forme di storia che mettano le competenze del nostro mestiere al servizio delle domande sociali che ci pongono oggi lo sviluppo scientifico e le condizioni sociali. Soprattutto, occorre vedere le condizioni nelle quali sia possibile crearle, e quali sono le mosse essenziali per farlo [Torre 2015, 627].

A questo proposito la storia dell’eccidio delle Fonderie Riunite di Modena ha rappresentato un momento cruciale per la città, e per tutta la sua comunità, dirompente per la portata e l’impatto di quegli eventi, e per questo anche così difficile da elaborare. Trovare forme di narrazione che andassero oltre il pubblico specialistico e permettessero di interagire e dialogare con un pubblico vasto, che in molti casi aveva un legame emotivo forte con quegli avvenimenti, era una condizione imprescindibile per poter realizzare una riflessione partecipata a settant’anni da quegli eventi.

Un altro aspetto centrale era di saper far dialogare le diverse fonti, oltre che amalgamare le differenti professionalità coinvolte, con l’obiettivo di offrire una ricostruzione in forma propositiva nei confronti del pubblico. Proprio quest’ultimo è stato il riferimento principale nella costruzione progettuale dello spettacolo: il dialogo tra attori, narratori e musicisti non ha potuto prescindere dalla centralità che l’evento storico narrato ha avuto nella storia cittadina, dall’emotività con cui l’anniversario sarebbe stato accolto e dall’importanza che la sua rielaborazione avrebbe avuto.

Tenere in considerazione come il pubblico di riferimento si relaziona alla storia che si vuole raccontare è cruciale per realizzare un percorso condiviso, così da «istituire un nesso saldo tra dimensione narrativa del racconto storico e prova fattuale (il documento), tra discorso e fatto (la fonte), il cui esito sia un’interpretazione fondata, basata su un’analisi critica delle fonti, cioè scientificamente provata» [Bertucelli 2017, 95]. In questo senso la scelta dei brani, delle immagini, dei documenti, di tutto ciò che ha contribuito al contenuto complessivo e del modo in cui è stato fruito dal pubblico è stata un elemento decisivo per la costruzione e la realizzazione finale dello spettacolo.

La musica rappresenta una fonte che negli ultimi anni ha acquisito sempre maggiore importanza nelle ricostruzioni storiche per la capacità, che le viene oggi riconosciuta, di aver concorso in maniera determinante a creare identità individuali o collettive, e in alcuni casi di essersi rivelata uno strumento potente per esternare bisogni e diffondere simboli generazionali. Allo stesso tempo si tratta di una fonte complessa, da trattare con estrema attenzione, per via dei numerosi aspetti che coinvolge, è «un documento che va inserito nel contesto in cui è stato prodotto, considerandone gli aspetti dal punto di vista artistico, culturale, sociale ed economico» [Silingardi 2017, 206], ma anche per il processo evolutivo che ha avuto nel tempo [2].

La scelta dei momenti musicali, effettuata dallo stesso Carlo Lucarelli, ha compreso brani di Pierangelo Bertoli, Italo Calvino, Ivan Della Mea, Sergio Endrigo, Enzo Jannacci e dei Modena City Ramblers, che tra musica e parole hanno aiutato a delineare le difficoltà sociali ed economiche della ricostruzione.

La stessa attenzione è stata posta nell’utilizzo delle immagini, fonte dal forte potenziale evocativo, che sono state inserite con grande attenzione all’interno dell’intera narrazione. L’apparato visivo ha aiutato a dare profondità al racconto, permettendo di rivedere e mettere a fuoco luoghi e volti, ma «ogni documento fotografico ha una molteplicità di vite» [Mignemi 2016, 37] e questo rende le immagini appropriate a molteplici usi [Mignemi 2017]. Le foto sono state tratte dall’archivio Cgil, conservato presso l’Istituto storico di Modena, e scelte in modo tale da creare un ponte emotivo con le parole di Lucarelli, creando così un legame ancora più suggestivo tra la narrazione e le immagini di quella giornata, affinché fossero un ulteriore strumento di coinvolgimento rispetto alle vicende narrate.

Dal medesimo archivio sono stati scelti anche i documenti letti dagli attori, in modo tale da dare la parola a chi aveva vissuto in prima persona quei fatti: manifestanti, cittadini, famigliari delle vittime e forze di polizia, cercando così di rendere conto della complessità della vicenda e del contesto in cui si svolgeva.

Come ha opportunamente segnalato David Bidussa, parlando delle nuove sfide a cui sono chiamati oggi gli storici, «la conoscenza del passato è un bene comune da non perdere. Per non perderlo dobbiamo anche prendere in carica la metamorfosi del racconto del passato e vivere questa metamorfosi non come un tradimento, un venir meno, ma come una chance» [Bidussa 2016, 33]. La narrazione pubblica diventa allora uno strumento particolarmente efficace perché in grado di esplicitare il legame tra la comunità e la sua storia, facendo leva su linguaggi e luoghi centrali nelle mappe cognitive individuali e collettive, così da veicolare un’argomentazione scientifica anche attraverso una connessione emotiva tra chi è sul palco e gli spettatori [3]. Sempre più chi fa storia deve avere la capacità di creare una sinergia con il pubblico, così da rendere l’interpretazione dei fatti e la relativa costruzione della memoria una prassi condivisa e partecipata, in cui lo storico mette a disposizione le conoscenze e le competenze che lo contraddistinguono alle comunità che vivono e ricostruiscono la storia. Se fra gli obiettivi della public history vi è sviluppare un approccio “civile” e rinnovare l’importanza del “senso pubblico” della storia, così da renderlo comprensibile e utile alla comunità, il racconto della storia deve saper essere coinvolgente. Un coinvolgimento attivo, che sappia tenere in considerazione anche le richieste di coloro che finora sono stati considerati solo come spettatori: «in breve, che non parli solo a loro, ma di loro e con loro» [Bidussa 2016, 43].


Bibliografia

  • Bertella Farnetti P., Bertucelli L. e Botti A. (eds.) 2017
    Public History. Discussioni e pratiche, Milano: Mimesis
  • Bertucelli L. 2012
    All’alba della repubblica. Modena 9 gennaio 1950. L’eccidio delle Fonderie Riunite, Milano: Unicopli
  • Bertucelli L. 2017
    La Public History in Italia. Metodologie, pratiche, obiettivi, in Bertella Farnetti P., Bertucelli L. e Botti A. (eds.) 2017, Public History. Discussioni e pratiche, Milano: Mimesis
  • Bidussa D. 2016
    Oltre il libro di storia, in Rumiz P., Greppi C. e Bidussa D. 2016, Il passato al presente. Raccontare la storia oggi, Milano: Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
  • Mignemi A. 2016
    Immagine bugiarda. La fotografia tra tecnica e fruizione, “Zapruder”, 39
  • Mignemi A. 2017
    La narrazione e l’uso delle immagini nella pratica della Public History, in Bertella Farnetti P., Bertucelli L. e Botti A. (eds.) 2017, Public History. Discussioni e pratiche, Milano: Mimesis
  • Moroni C. 2018
    La narrazione come strumento scientifico e creativo della ph, “Officina della storia”, 28 marzo
    https://www.officinadellastoria.eu/it/2018/03/28/la-narrazione-storica-come-strumento-scientifico-e-creativo-della-public-history/
  • Rumiz P., Greppi C. e Bidussa D. 2016
    Il passato al presente. Raccontare la storia oggi, Milano: Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
  • Silingardi C. 2017
    Musica e Public History. Appunti metodologici e pratici, in Bertella Farnetti P., Bertucelli L. e Botti A. (eds.) 2017, Public History. Discussioni e pratiche, Milano: Mimesis
  • Silingardi C. 2019
    Percorsi musicali negli anni Settanta, “Clionet. Per un senso del tempo e dei luoghi”, 3
    http://rivista.clionet.it/vol3/societa-e-cultura/rock_ieri/silingardi-percorsi-musicali-negli-anni-settanta
  • Torre A. 2015
    Premessa, “Quaderni Storici”, 3

Note

1. Per l’intervento integrale https://www.istitutostorico.com/fonderie-lucarelli.

2. «Numerosi gli elementi da prendere in considerazione nel momento in cui si lavora su una canzone: la sua capacità di agire nel tempo e di parlare a generazioni successive, attraverso usi attivi di individui e di collettività (canzoni cantate tra amici in occasioni di momenti ludici, nei cortei e nelle manifestazioni collettive); la presenza di elementi non intenzionali, perché il destino di una canzone può essere diverso da quello per cui è stata prodotta; la sua ricezione, l’impatto che ha avuto sull’opinione pubblica e nella società e da cosa questo è stato determinato; quali elementi di conoscenza offre su temi che i documenti ufficiali ci restituiscono in modo parziale o formale, come nel caso della storia della cultura, dei sentimenti, delle identità delle giovani generazioni» [Silingardi 2019].

3. «La forza emotiva delle narrazioni facilita la penetrazione di informazioni e costrutti cognitivi, questo potere rende le strategie narrative e i contenuti veicolati e trasmessi attraverso di esse, particolarmente efficaci in termini di apprendimento partecipato e quindi più duraturi nel tempo e più stratificati nell’ambito degli schemi mentali individuali. Il necessario legame tra produzione storica e pubblico può efficacemente svilupparsi in termini di narrazione, utilizzando linguaggi e schemi comunicativi basati sulla forza della costruzione di racconti» [Moroni 2018].