Il progetto Per una storia popolare di Parma, prodotto dall’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Parma (Isrec Parma), si propone di essere un innovativo esperimento di congiunzione tra Public history e ricerca storica attraverso il linguaggio filmico. L’idea che sta alla base prevede di mettere insieme un gruppo di film-maker e di storici al fine di realizzare una serie di cortometraggi; ogni gruppo di lavoro ha avuto una totale libertà sia in relazione alle modalità espressive da usare sia per quanto riguarda i contenuti del film stesso. Unico fil rouge dei vari progetti: raccontare un aspetto della storia popolare di Parma. Si è scelto di usare la definizione di “popolare” nel modo più ampio possibile andando così a includere le forme di intrattenimento di massa novecentesche (musica, cinema, sport) quanto l’adesione alla lotta politica (l’antifascismo dei borghi) e la storia di luoghi caratteristici (la piazza del mercato Ghiaia). Alla base dello script di ogni segmento stavano ricerche originali ed inedite realizzate dai diversi ricercatori che si sono confrontati con i registi per trovare la formula più idonea per tradurle in forma filmica. I diversi cortometraggi sono stati poi uniti in unico film e presentati in diverse occasioni, la prima ha avuto luogo al cinema D’Azeglio di Parma il 22 novembre 2021 [1]. I singoli filmati sono stati infine scorporati e resi visualizzabili singolarmente su YouTube [2] e sul sito del progetto [3]. Per una storia popolare di Parma può quindi essere fruito come un corpus filmico unitario o come “segmenti” autonomi. Nonostante la varietà e la diversità evidenti tra le cinque prospettive, si può comunque rintracciare una certa unitarietà tematica e stilistica tra i diversi cortometraggi che verrà enucleata nella conclusione di questo articolo. Si procederà ora a presentare i singoli lavori.

Fig. 1. Locandina della prima proiezione di “Per una storia popolare di Parma”, tenuta al cinema D’Azeglio il 22 novembre 2021.
Fig. 1. Locandina della prima proiezione di “Per una storia popolare di Parma”, tenuta al cinema D’Azeglio il 22 novembre 2021.

1. Tra il Beat e la via Emilia: anche a Parma amavano i Beatles e i Rolling Stones

Il corto, scritto da Giuseppe Tatalo e diretto da Michela Benvegnù, racconta un aspetto trascurato dalla letteratura storica locale sugli anni Sessanta; se sono stati ben studiati e analizzati i sommovimenti politici e sindacali dei Sixties nella provincia parmense [Mastrodonato 2020; Parma dentro la rivolta 2000], ancora troppo ignorato è lo studio dei consumi culturali del periodo, veri e propri progenitori di quella mutazione antropologica che trasformerà i giovani beat nei sessantottini, cugini del maggio parigino. Tra il Beat e la via Emilia si propone di raccontare il ruolo della musica come agente di cambiamento generazionale, focalizzandosi sulle specificità della città ducale. Non si pensi però che l’attenzione a una realtà locale presenti una storia limitata ai confini emiliani, il corto infatti è in grado abilmente di unire micro e marco, local e global presentando i fili che connettono le band locali a fenomeni globali.

Fig. 2. Un fotogramma di “Tra il Beat e la via Emilia: anche a Parma amavano i Beatles e i Rolling Stones”, disponibile su https://parmapopolarenovecento.it/.
Fig. 2. Un fotogramma di “Tra il Beat e la via Emilia: anche a Parma amavano i Beatles e i Rolling Stones”, disponibile su https://parmapopolarenovecento.it/.

Se il mondo dei Sessanta era in fermento, il cartello iniziale ci dice che Parma di questa rivoluzione fu «un inaspettato laboratorio». Costruito sulle interviste a testimoni di quella stagione piena di note e colori ma anche agli eredi di quella generazione, il film viene così costruito dalla narrazione in prima persona dei protagonisti che, tra rievocazione e bilanci personali, fanno un racconto divertito di come la musica e i ritmi beat calarono e si adattarono alla Pianura padana. L’unico sguardo analitico, seppur partecipe in quanto traspira in continuazione la sua passione per il tema, è quello dello storico Mimmo Franzinelli che, nel corso del corto, analizza la sottocultura pop e analizza le specificità delle lyrics delle hit parmigiane.

Cuore del racconto sono le vicende di due band locali, i Corvi e i Moschettieri. La vicenda dei primi è raccontata dal batterista, Claudio Benassi, e dagli eredi di Italo “Gimmi” Ferrari, bassista della formazione originale noto per tenere un corvo vivo sullo strumento durante i concerti; a raccontare la storia del secondo gruppo è Franz Dondi. La narrazione trova il cominciamento con dei giovani ragazzi che ascoltano Radio Luxemburg e suonano nei garage, il carattere di ingenuità di questi “ribelli” è rimarcato dal fatto che tutti loro ricordano che più che per amore della musica in sé, suonare significava per loro vivere esperienze nuove (leggi: l’uscita dal nucleo familiare, le ragazze e tanto divertimento) ed il desiderio di emulare quel mondo angloamericano che idolatravano. Dalle sale prove locali, nel 1965 i Corvi si costituiscono come una e vera propria band e dall’Oltretorrente iniziano un percorso che li porterà a diventare uno dei gruppi più conosciuti in Italia.

Il corto affronta così il tema delle band locali del parmense, del festival Rapallo Davoli dedicato ai gruppi emergenti e culmina con il successo della hit Un ragazzo di strada e con la partecipazione da parte dei Moschettieri a un concerto dei Rolling Stones. Domanda in sottotesto dell’intero corto è: come mai, visti questi fermenti culturali, il beat parmigiano non è riuscito a produrre fenomeni musicali perduranti come lo furono quelli di altre città emiliane? La risposta sembra essere che il successo sia avvenuto in modo troppo rapido e troppo improvviso per poter sopravvivere all’allargamento di scala e alle trasformazioni dell’industria discografica. Alternando grafiche animate, filmati e foto d’archivio a interviste ad hoc, il corto restituisce la freschezza e la vivacità di un periodo in cui Parma era un laboratorio di innovazione culturale e musicale fondendo pubblico e privato in un racconto collettivo che unisce il lambrusco ai Beatles.

2. Il primo goal. Sergio Verderi e il calcio a Parma nel dopoguerra

Il secondo corto è incentrato sulla vera e propria “religione” civile popolare italiana del Novecento, il calcio. Mentre il film sul beat si costruisce come un racconto polifonico, Il primo goal - scritto da Marco Minardi e diretto da Amedeo Cavalca - è incentrato su una narrazione individuale, la vita di Sergio Verderi. Il documentario limita anche il numero di voci narranti per focalizzarsi sulla biografia di una figura che allo stesso tempo stupisce per la sua ordinarietà e immediatezza ma anche per l’eccezionalità dei tempi in cui ha vissuto.

 

 

Commentato dalla stessa voce di Verderi riutilizzando un’intervista conservata presso Isrec Parma e dal racconto del figlio Maurizio, il corto inizia con il ritorno di Sergio dalle montagne in cui si era rifugiato per partecipare alla lotta partigiana inquadrato nelle Brigate Garibaldi e dal suo desiderio di riprendere a giocare a calcio. Nel mondo in rovina ma libero dell’immediato dopoguerra, il protagonista riesce grazie al suo impegno e talento a entrare nel calcio professionale, esordendo con il Parma in serie B nella stagione 1945-46. Viene così raccontato un contesto sportivo lontanissimo dalla commercializzazione e dalla spettacolarizzazione di oggi: ad esempio, i giocatori per recarsi a un torneo regionale a Bologna vengono caricati su un carro agricolo trainato da un trattore. A questo calcio “neorealista” però non manca la passione e, anzi, come in un film hollywoodiano, la metafora calcistica serve per raccontare la forza di una città (e di un paese) di rialzarsi dalle macerie della guerra. La solida linea narrativa del film segue questo moto ascendente che culmina nel goal che dà il nome al corto, quello segnato contro la storica antagonista Reggiana, il primo segnato dal Parma nell’allora stadio Mirabello di Reggio Emilia dopo quasi 45 anni. Questo gol è una sorta di marcatore di una ripresa nazionale e locale, un barometro dell’Anno zero di una generazione uscita dal fascismo e dalla guerra mondiale. A riconnettere la storia individuale di Verderi con quella della città, sono gli inserti storiografici con i commenti del direttore di Isrec Parma, Marco Minardi, che in apertura avvia la narrazione azionando il pulsante del registratore che contiene l’intervista al calciatore. Se l’arco temporale su cui il film è incentrato è principalmente quello della stagione calcistica 1945-46, viene raccontato in chiusura anche quanto avviene dopo: il successo popolare del Parma calcio e il suo consolidarsi come elemento centrale dell’identità cittadina; il trasferimento di Verderi al Genoa e l’infortunio che gli compromette la carriera; il lavoro alla cooperativa facchini dopo il ritiro e la passione per il canto lirico. Una storia sportiva permette così di raccontare la vita nel mercato della Ghiaia, la passione della gente comune per le arie operistiche e le eredità della guerra. Come dice Minardi nel corso del film, «la storia popolare allargava i suoi orizzonti e il calcio diventava sempre più parte di questa storia».

3. Isola. Una storia di antifascismo nella Parma popolare

Protagonisti del corto scritto da Domenico Vitale e diretto da Martina Rossetti, sono i borghi della città e un loro abitante, Giuseppe Isola (1881-1957). Isola declina il concetto di “Parma popolare” sulla partecipazione politica e sulla vita quotidiana degli oppositori del regime, una vita passata nelle osterie e nei rioni operai a complottare contro l’avanzata nera tra un bicchiere di lambrusco e l’altro. Realizzato “animando” il Ventennio con collage che trovano i loro materiali d’origine in ritagli di giornale, estratti di documenti ufficiali, foto e cartoline d’epoca, il film ricostruisce una Parma degli anni Venti ironica e colorata, una crasi tra i cartoon di Terry Gilliam e i film muti dell’inizio della storia del cinema.

 

 

A commentare le immagini e a condurre la narrazione, sono alcune testimonianze d’epoca (Otello Neva e Giuseppe Scalarini) assieme all’intervista ex novo a Francesca Speculati, nel doppio ruolo di storica presso l’Archivio storico comunale e bis-nipote di Spartaco, proprietario di un’osteria in cui si incontravano i “sovversivi” dei borghi. La prima parte del corto non ha un vero e proprio protagonista ma è piuttosto uno sguardo d’insieme sulla Parma rionale con il racconto delle Barricate dell’agosto del 1922, della miseria quotidiana, delle violenze squadriste e delle organizzazioni antifasciste [Cioci, Vitale 2022; Minardi 2013]. Le scelte registiche dipingono questo mondo in maniera vivida e gioiosa, la cutout animation permette di muovere e sovrapporre le figure delle foto d’epoca: i cappelli poggiati su una cornice “cadono” sulle teste dei loro possessori e le braccia degli avventori dell’osteria versano ai compagni i loro bicchieri. Con la presa del potere da parte di Mussolini, il corto trova il suo protagonista, Giuseppe Isola, ardito del popolo barricadero, e la narrazione adotta lo stile del biopic. L’antifascista, prima socialista poi comunista, subisce gli abusi della dittatura che culminano negli arresti continui e nei cinque anni di confino [Minardi 2018]. L’esperienza dell’allontanamento da casa e delle persecuzioni del regime sono rese dalla lettura da parte di attori dei rapporti di polizia e dei carteggi tra Isola e la moglie Adalgisa, costretta all’indigenza dalla lontananza del marito. Anche il taglio registico passa dall’ironia della prima parte a un ritmo più serrato, in questa seconda metà lo schermo è popolato da ritagli di relazione di sorveglianza e foto-segnaletiche. Il genere di afferenza è il thriller con punte di melodramma. Dopo 18 anni di carcere e confino, nel 1943, Isola tornerà a Parma, ottenendo in seguito la qualifica di partigiano combattente. L’epilogo ci ricorda la sua carriera politica nel dopoguerra, culminata nella carica di vicesindaco della città. Il film si chiude sulla foto dell’incontro tra l’ormai anziano Isola e il giovanissimo Enrico Berlinguer, quasi il simbolo di un passaggio di testimone.

4. Giära. Ricordi di un mercato popolare

Protagonista del quarto corto, scritto da Alessandra Mastrodonato e Teresa Malice e diretto da Stefano Tedesco, è il mercato della Ghiaia, un vero e proprio lieu de mémoire di Parma [Minardi 1996]. Il film inizia con la riproduzione di interviste ai protagonisti dell’epoca che ricordano come si viveva e si lavorava nella piazza, accompagnati da ritagli di giornali e foto d’archivio che un effetto di post-produzione fa assomigliare a filmati d’archivio. La voce off di Teresa Malice contestualizza il rapporto tra la Ghiaia e la città mentre scorrono foto dei luoghi e dei volti che popolavano questo mondo di banchi e di ambulanti.

 

 

La musica di una fisarmonica poi traghetta lo spettatore nel mercato del 2021 e, come ne Il mago di Oz, l’immagine in bianco e nero si popola di colori accesissimi degli espositori di frutta e vestiti a cui si aggiungono i vivaci cromatismi degli abiti delle diverse culture che abitano la città oggi e che donano alle panoramiche le tinte di un film di Bollywood. Il corto è costituito da una serie di interviste a chi lavora oggi nella Ghiaia, commercianti di ogni tipo che illustrano le trasformazioni che il mercato ha vissuto negli ultimi cinquant’anni. Dalla guerra passando per il boom economico, i ricordi personali dei testimoni raccontano l’epoca degli ambulanti, dei facchini e delle donne che animavano il mercato. La vita degli ambulanti segnava il tempo nella città dando origine a riti comunitari che superavano le barriere di classe: il giro in Ghiaia del sabato era una routine che accumunava famiglie di ogni provenienza sociale. Oltre a commercianti e acquirenti, tra le bancarelle si aggiravano personaggi caratteristici e mitici della memoria cittadina, figure a metà strada tra dropout, clochard e freak che popolavano il palco della vita quotidiana parmense, su tutti il celeberrimo Enzo Sicuri, detto “Màt Sicuri”, “filosofo” e barbone per scelta. Le interviste (e il corto) sono un vero e proprio “tuffo nel passato” popolato di una nostalgia per un mondo definitamente scomparso fatto di osterie mattutine e di solidarietà reciproca, un mondo forse perfino idealizzato immemore delle asperità di una vita fatta di freddo e sacrifici.

5. Il quadro e la carrellata: Pasolini/Bertolucci

L’ultimo corto, scritto e diretto da Carlo Ugolotti e Mortiz Drummer, sceglie il formato del video-essay, la rielaborazione critica di materiali cinematografici, per investigare il rapporto controverso tra due grandi registi del Novecento: Pier Paolo Pasolini e Bernardo Bertolucci. Per raccontare questa relazione segnata dall’ambiguità, tra l’ammirazione e la presa di distanza, il film seleziona e rimonta in una struttura a capitoli un film di ciascun regista: per il primo Accattone e, per il secondo, Prima della rivoluzione.

Fig. 3. Un fotogramma de “Il quadro e la carrellata: Pasolini/Bertolucci” ”, disponibile su https://parmapopo-larenovecento.it/.
Fig. 3. Un fotogramma de “Il quadro e la carrellata: Pasolini/Bertolucci” ”, disponibile su https://parmapopo-larenovecento.it/.

L’obbiettivo era dimostrare come attraverso l’adozione di uno stile cinematografico lontanissimo da quello del suo maestro, il regista parmense si volesse emancipare dall’ombra di Pasolini senza tuttavia riuscire a distaccarsene completamente. Una presa di distanza che enuclea anche quella generazionale di cui tratta il corto sul beat: il prologo costituito da una celeberrima scena di Prima della rivoluzione contiene un elogio della nouvelle vague e diventa un simbolo di quel desiderio del regista di allontanarsi dalla figura paterna, fosse essa il padre Attilio o il suo maestro Pier Paolo. Il primo capitolo mostra, attraverso un montaggio di scene e musiche dal film di Bertolucci, come Bernardo, battezzato cinematograficamente sul set di Accattone, si volesse distinguere in termini di stile e di contenuti: le inquadrature statiche e pittoriche di Pasolini sono sostituite da una cinepresa sempre in movimento e il racconto del proletariato romano viene rimpiazzato dalle nevrosi della piccola borghesia parmense. Bertolucci affermò che Parma filmata in quel modo era il punto più distante possibile dal suo maestro [Bertolucci 2021, 53-54]. Questa sezione vuole quindi individuare e isolare le caratteristiche stilistiche e contenutistiche del cinema bertolucciano che vengono messe in dialogo con quelle di Pasolini nel capitolo successivo. I registi hanno scelto di introdurre quest’ultimo con la scena del “dispositivo ottico” della scena a Fontanellato di Prima della rivoluzione per enfatizzare quanto l’approccio all’opera del regista del Decameron sia filtrata attraverso il giudizio di Bertolucci e non rappresenti la complessità del regista nato a Bologna. Il secondo capitolo, sulla scorta delle stesse dichiarazioni di Pasolini e di una sterminata letteratura, mostra come le inquadrature pasoliniane abbiano una matrice pittorica che gli permette di infondere di sacro il quotidiano. La parte finale vuole mettere in dubbio la giustapposizione fatta dalle prime due: nonostante le dichiarazioni di Bernardo circa la volontà di distanziarsi dallo stile del maestro, la scena dello Stagno Lombardo mostra come Bertolucci rimanga ancorato a un tipo di immagine legata a quella dei dipinti e alle riflessioni pasoliniane sulla modernità, queste ultime riscontrabili nel discorso di Puck. Il video-saggio si conclude, per sottolineare l’ambiguità e il la tensione del rapporto tra i due registi, con una sovrimpressione in cui i protagonisti dei due film si guardano per sottolineare l’imprescindibile dialogo tra due modi di concepire il far cinema. Il quadro e la carrellata affronta il tema dei rapporti tra le diverse generazioni di artisti e di come il cinema fosse un modo per i giovani film-maker di affermare la propria visione del mondo traducendo lo stile in una vera e propria considerazione etica sulla realtà. Inoltre le immagini catturate da Bertolucci in Prima della rivoluzione restituiscono allo spettatore uno spaccato unico della Parma borghese degli anni Sessanta.

6. Conclusioni

I diversi corti, seppur molto diversi nelle tematiche affrontate e nelle modalità di racconto, considerati nella loro globalità forniscono una panoramica sfaccettata della cultura popolare (e non solo) di Parma. Nella loro varietà, si possono enucleare alcuni elementi che costituiscono il trait d’union di tutti e cinque i film e l’idea stessa di un progetto a cavallo tra cinema e storia sia dal punto di vista del contenuto che stilistico:

1) Il tema del cambiamento e della nostalgia, tutti i corti parlano di una società in costante divenire e trasformazione che causa nei testimoni o nei pensatori che su di essa riflettono moti di nostalgia o repulsione;

2) La volontà di organizzare una tipologia di racconto che parta dalle sue radici locali ma con la volontà di iscriverlo in contesti più ampi (nazionali, quando non globali) che rispetto alla prospettiva adottata hanno rapporti di allontanamento, intersezione o avvicinamento (il fascismo, gli anni della ricostruzione, i Sixties etc…);

3) L’importanza del sonoro: fondamentale diventa il soundscape, molto spesso caratterizzato dall’uso di espressioni dialettali, chiave di accesso alla dimensione popolare della città;

4) L’equiparazione tra gli “oggetti” di costruzione filmica e la fonte storica: tutti i video esibiscono i materiali e li rielaborano (siano esse foto, filmati d’archivio, scene di fiction o documenti) esattamente come lo storico deve scomporre e analizzare le tracce del passato per poterlo ricostruire.

Per una storia popolare di Parma è quindi un ritratto plurale, attraverso geografie, decenni e linguaggi mediali diversi che ci permettono di “vedere” forme di cultura e di socialità troppo spesso messe in secondo piano dalla narrazione pubblica della storia.

Blibiografia

  • Alviani 2014
    Un’aspirina e un caffè con Bernardo Bertolucci: registi e attori si raccontano, a cura di Giancarlo Alviani, Milano, Mimesis Cinema, 2014.
  • Bertolucci 2021
    Bernardo Bertolucci, Il mistero del cinema, Milano, La nave di Teseo, 2021.
  • Casetti 1975
    Francesco Casetti, Bernardo Bertolucci, Il castoro cinema, Firenze, La nuova Italia, 1975.
  • Cioci, Vitale 2022
    Parma ’22. Squadrismo, antifascismo e società nel Parmense, a cura di Giulia Cioci, Domenico Vitale, Parma, Mup, 2022.
  • Lo Porto 2016
    Bernardo Bertolucci. Cinema per la prima volta: conversazioni sull'arte e la vita, a cura di Tiziana Lo Porto, Roma, Minimum fax, 2016.
  • Mastrodonato 2020
    Parma ’68. Gli anni della contestazione giovanile e la stagione dei movimenti, a cura di Alessandra Mastrodonato, Parma, Mup, 2020.
  • Minardi 1996
    Marco Minardi, Dal mercato di piazza Ghiaia. Storie di ambulanti e di venditori negli anni del dopoguerra, Parma, Edizioni Alfazeta, 1996.
  • Minardi 2013
    Marco Minardi, Le “trincee del popolo”. Borgo del Naviglio, rione Trinità, Parma 1922, Roma, Ediesse, 2013.
  • Minardi 2018
    Marco Minardi, Nemici in patria. Antifascisti al confino, Parma, Mup, 2018.
  • Parma dentro la rivolta 2000
    Parma dentro la rivolta. Tradizione e radicalità nelle lotte sociali e politiche di una città dell’Emilia rossa (1968-1968), Milano, Punto rosso, 2000.
  • Pasolini 1962
    Pier Paolo Pasolini, Mamma Roma, Milano, Rizzoli, 1962.
  • Zabagli 2019
    Mamma Roma. Un film scritto e diretto da Pier Paolo Pasolini, a cura di Franco Zabagli, Bologna, Edizioni Cineteca di Bologna, 2019.
  • Zabagli 2000
    Pier Paolo Pasolini. Dipinti e disegni dall’Archivio Contemporaneo del Gabinetto Visseux, a cura di Franco Zabagli, Firenze, Edizioni Polistampa, 2000.
  • Zigaina 1978
    Pier Paolo Pasolini. I disegni 1941-1975, a cura di Giuseppe Zigaina, Milano, Edizioni di Vanni Scheiwiller, 1978.

Risorse


Note

1. L’evento è stato inserito all’interno della programmazione di Parma capitale della cultura 2020+21.

2. https://www.youtube.com/channel/UCOPJgwvYeqaVjg7-ezt22ew.

3. https://parmapopolarenovecento.it/.