1. Premessa

Tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944 in provincia di Bologna avviene il più grande massacro di civili compiuto dai nazisti sul fronte occidentale. Nella zona delimitata dalle valli del Setta a est, del Reno a ovest, dominata da Monte Sole a nord e Monte Salvaro a sud, è organizzata una «vera e propria azione bellica» contro donne, anziani e bambini per impedire «qualsiasi forma di guerriglia», garantire la tenuta del fronte e «fare di questo territorio una terra di nessuno» [Baldissara 2016a, XXIV].

A partire dal primo anniversario degli eccidi, le istituzioni, le associazioni, i partiti e gli uomini di Chiesa cercano un senso in quanto accaduto e, nello stesso tempo, celebrano le vittime per parlare alla comunità locale e alla nazione. Dal palco delle cerimonie, e dalla più ampia arena del dibattito pubblico, gli appassionati interventi commemorativi proiettano linguaggi, simboli ed insegnamenti [Ventura 2020 e 2016; Monicelli 2020 e 2014; Baldassarri 2019; Rovatti 2013 e 2008; Bergamini, 2008; Magni 2008a, 2008b e 2000].

Sulle stragi si depongono dunque le parole delle liturgie del ricordo che, non di rado, rielaborano e strumentalizzano quanto è avvenuto. La memoria, come ricorda Enzo Traverso, è sempre una «costruzione» che viene «filtrata da conoscenze acquisite successivamente, dalla riflessione che segue l’evento, da altre esperienze che si sovrappongono alla prima, modificandone il ricordo» [Traverso 2006, 18]. In altre parole, la memoria non può che essere soggettiva e portatrice di passioni politiche e civili. Gli usi pubblici di essa, e le sue continue attualizzazioni e deformazioni, non devono quindi stupire.

Questo saggio si propone, da una parte, di ricostruire il ruolo del ricordo di Marzabotto nelle diverse fasi della storia repubblicana e, dall’altra, tenta di svelare le mutevoli identità di chi, nel corso dei decenni, ha sentito il dovere, o la necessità, di ricordare.

2. La fase del paradigma resistenziale e antifascista

La prima commemorazione della strage viene organizzata dal Comitato di liberazione nazionale (Cln) di Marzabotto il 30 settembre 1945. I luoghi reali delle uccisioni, collocati lontani dal paese, sono ancora disseminati di bombe, e la prima cerimonia si tiene a Marzabotto. Si tratta di un’iniziativa locale, la cui eco non giunge oltre Bologna.

Nella mattinata, monsignor Mario Brini, in rappresentanza dell’arcivescovo Giovan Battista Nasalli Rocca, celebra una messa in un capannone durante la quale mette in rilievo «l’unanime sentimento di pietà verso le povere vittime e il bisogno da tutti sentito di celebrarne cristianamente il primo anniversario della morte». Nel pomeriggio, all’ex Casa del fascio, si susseguono gli interventi del vicesindaco, Silvano Bonetti, di alcuni preti, dei rappresentanti del Cln, della Camera del lavoro, di Brini e del sindaco Amedeo Nerozzi. Monsignor Brini si sofferma sulla necessità di lasciare spazio «al vero amore», alla «concordia» e alla «carità cristiana». Il primo cittadino, invece, mette in rilievo le esigenze della ricostruzione della zona «tanto martirizzata dalla guerra» e la necessità di rimuovere le mine dai campi affinché la popolazione possa riprendere a lavorare e a vivere [1].

Bonetti precisa che solo i superstiti possono «testimoniare l’esattezza» di quanto si appresta a raccontare. Di fronte alle efferate violenze contro i civili, solo la parola di chi ha subito sulla propria pelle lo «straziante dolore» può dar voce alle comunità locali investite dai lutti. Bonetti ricorda che nei Comuni di Marzabotto, Monzuno e Grizzana sono morte 1.830 persone per «cause belliche varie» e parla della strage come di un vero e proprio martirio usando trame discorsive contigue alla retorica risorgimentale: lo spargimento di «sangue innocente» e il ricordo dei morti sono un monito per i vivi che non devono vanificare «il sacrificio di tanti fratelli» e impegnarsi nella ricostruzione. I partigiani, nel discorso di Bonetti, sono una presenza amica, radicata territorialmente sui monti circostanti, ma non sovrapponibile a tutte le vittime. Il nazismo è invece un fenomeno barbarico, criminale e irrazionale che ha prodotto la guerra e le stragi. I sacerdoti e i civili, il focus dell’intervento di Bonetti, si sono sacrificati per la pace e l’«eterna gloria» [2].

A partire dalla ricorrenza del 1946 interviene anche il governo con il ministro Emilio Sereni e i rappresentanti delle autorità militari e civili della Repubblica. È da questo momento che la memoria pubblica delle stragi si cristallizza nella formula del “martirio di Marzabotto”: i civili e i partigiani, secondo questo racconto, si sono immolati in un estremo sacrificio per la redenzione della patria. Il 24 aprile 1948 giunge il suggello di tale rappresentazione: il presidente della Repubblica Luigi Einaudi, dopo aver ricevuto il parere favorevole dell’apposita commissione istituita dal Ministero della difesa, firma il decreto di concessione della medaglia d’oro al valor militare al Comune di Marzabotto.

Secondo la prima bozza del testo, la strage era finalizzata a «sopraffare la invitta resistenza dei suoi partigiani». I «milleottocento trenta caduti di Marzabotto, civili e partigiani insieme abbracciati e ancora effusi in un unico alone di radiosa e imperitura gloria» [Comitato regionale per le onoranze ai caduti di Marzabotto 2008, 25-7]. Nelle elaborazioni successive del documento scompaiono i termini Resistenza e partigiani, e si mette invece in rilievo il sacrificio della popolazione civile, forse per timore che il riferimento alla lotta armata possa rafforzare il Partito comunista italiano (Pci).

L’area di Monte Sole, invece, disseminata di residuati bellici, rimane impraticabile per molto tempo e viene abbandonata a sé stessa: gli sforzi della ricostruzione si concentrano esclusivamente sui piccoli centri circostanti. Sull’altopiano domina così il silenzio e la natura riprende a crescere rigogliosa [Ventura 2016, 3-24].

La strage viene identificata erroneamente con Marzabotto, «più facilmente riconoscibile come luogo fisico ma anche pubblico, collettivo e amministrato da una particella del nuovo stato democratico sorto sulle rovine del fascismo». In questa cornice, le motivazioni dell’onorificenza del 1948 parlano di «1.830 morti» che «riposano sui monti e sulle valli a perenne monito alle future generazioni di quanto possa l’amor di patria» [Baldissara e Pezzino 2009, 9-25]. Da questo momento, nessuno documenterà l’equivoco sulle cifre fino al 1995, quando il massacro verrà ricondotto ai numeri reali di 770 morti accertati. In sintesi, la memoria pubblica della strage offusca fin da subito la storia della strage.

Tra l’immediato dopoguerra e la fine degli anni Settanta la Repubblica propone un paradigma resistenziale e antifascista: i morti “di Marzabotto” sono caduti per la lotta di Liberazione nazionale e il ricordo della strage si salda con la celebrazione dell’antifascismo e della Resistenza, definita come “secondo Risorgimento”. Di fronte a questo racconto, la Chiesa bolognese non propone un ricordo alternativo e si limita a celebrare le messe commemorative a Marzabotto.

La comunità locale, governata dal Pci, esprime una declinazione peculiare, internazionalista e pacifista, del canone resistenziale. In Emilia l’antifascismo non è solo funzionale al nazional-patriottismo, ma è anche il mezzo per disinnescare il pericolo di nuove guerre o di qualsiasi tensione autoritaria. In nome dell’unità antifascista e del “martirio” subito nella seconda guerra mondiale, il Comune inizia a tessere legami con numerose città estere.

Già durante la cerimonia di consegna dell’onorificenza a Marzabotto da parte del presidente Luigi Einaudi, nel 1949, è presente una delegazione di Coventry – la città britannica rasa al suolo dalla Luftwaffe – che testimonia una precoce capacità di “fare rete” in Europa. Negli anni successivi si moltiplicano i gemellaggi, le comuni iniziative di solidarietà e le prese di posizione unitarie in difesa della pace: si condannano il franchismo, gli esperimenti nucleari, la guerra in Corea e in Vietnam, la crisi dei missili a Cuba, l’invasione della Cecoslovacchia, il Cile di Pinochet, l’intervento sovietico in Afghanistan, l’aggressione israeliana al Libano e al popolo palestinese, il conflitto in Salvador, l’attacco degli Usa alla Libia, il Sud Africa dell’apartheid e molti altri scenari di violenza e di guerra [Magni 2008a, 50-1]. La “lotta al fascismo” è dunque un costrutto ampio, ed elastico: guerra e fascismo sono sinonimi, concetti sovrapponibili e spesso interscambiabili utilizzati per condannare tutte le violenze del Novecento.

In sostanza, in Emilia le istituzioni locali costruiscono le prime basi di una memoria autonoma, ed europea, della Seconda guerra mondiale. Il pacifismo progressista, e di sinistra, è espressione di un’identità emiliana che dialoga con il nazional-patriottismo delle istituzioni centrali ed interloquisce, nello stesso tempo, con identità locali sovranazionali. A volte, l’identità “marzabottese” confligge con quella “italiana”. Ad esempio, nel corso della commemorazione dell’8 ottobre 1961, circa 100.000 persone partecipano alla “marcia per la pace”, alla cerimonia ufficiale e all’inaugurazione del sacrario dei caduti a Marzabotto. Principale oratore è Giulio Andreotti, ministro della Difesa che, richiamando i pilastri del canone nazional-patriottico ed elogiando le forze armate, scatena i fischi e la contestazione della platea. I manifestanti non si riconoscono in un esponente politico che percepiscono come “guerrafondaio” e, a questa retorica dello Stato italiano, preferiscono l’internazionalismo pacifista: dal loro punto di vista, l’antifascismo si pratica in questo modo. Andreotti, rivolgendosi alle persone che alzano cartelli inneggianti alla pace e al disarmo, afferma che l’Italia non è mai stata militarista. Il ministro invita la platea ad applaudire tutte le forze armate nate per difendere, «in tradizionale continuità di spirito, l’intangibilità e sicurezza della grande terra italiana». Nessuna vendetta, dunque, ma «pace italiana», contributo essenziale per la «pace nel mondo» [3]. L’amnesia sul fascismo e i crimini italiani è speculare alla definizione del nazionalsocialismo come fenomeno alieno alla storia europea: la comunità politica proposta da Andreotti è nettamente divisa tra un “noi” (gli italiani, popolo di antifascisti) e un “loro” (i nazisti, fenomeno inspiegabile della vecchia Germania) [Baldissara 2016b, 6-20]. Il Comitato onoranze ai caduti e il Comune di Marzabotto cercano, invece, di ricordare gli eccidi del 1944 intrecciando una fitta trama di relazioni associative con le città europee che hanno subito la violenza nazista e fascista [Troilo 2013, 60-1].

La “diplomazia della pace” ed il canone nazional-patriottico marciano insieme, nonostante le tensioni: il Comune emiliano promuove l’associazionismo internazionale tra le “città martiri”; nelle cerimonie commemorative, invece, i presidenti del Consiglio e della Repubblica continuano a rappresentare la Resistenza come una lotta unitaria di liberazione nazionale.

Questa fase della memoria del massacro, che può definirsi politico-identitaria, si chiude con l’esaurirsi dell’emergenza del terrorismo e la fine del «lungo dopoguerra italiano, consumatosi nel fallimento del compromesso storico e nelle successive formule politiche del pentapartito» [Baldissara 2016a, XXX]. Questo scossone politico, che significa marginalizzazione del Pci, si palesa anche nella volontà di riformare la Costituzione “nata dalla Resistenza” da parte di Bettino Craxi. In questo contesto, l’unità antifascista ricopre un’importanza secondaria [Focardi 2005, 55-60].

Soprattutto dalla metà degli anni Ottanta, nel discorso pubblico si fanno largo molti argomenti polemici contro la Resistenza e in particolare contro i partigiani comunisti accusati di essere dei violenti interessati esclusivamente al potere. Gli attentati gappisti in via Rasella e ai danni di Giovanni Gentile, le foibe, il “triangolo della morte” nel dopoguerra emiliano, l’eliminazione dei partigiani cattolici a Porzûs sono utilizzati da alcuni media per attaccare la Resistenza e la “doppiezza” del Pci. In questo contesto, il Cln viene accusato di aver generato la partitocrazia e i malfunzionamenti delle istituzioni pubbliche. Allo stesso tempo, il fascismo viene rappresentato come un regime «bonario e paternalista» [Focardi 2005, 56-60].

3. La fase amministrativo-pedagogica e la “risalita” dei cattolici a Monte Sole

In occasione della sentenza del tribunale di Bari del 1980 con la quale viene disposta la liberazione condizionale di Walter Reder – condannato all’ergastolo per le stragi del settembre-ottobre 1944 – i familiari delle vittime, gli abitanti di Marzabotto e gli enti locali, probabilmente, percepiscono che l’antifascismo e la Resistenza non sono più una priorità per le istituzioni dello Stato [Ventura 2016, 80].

Alla crisi nazionale della retorica resistenziale, in Emilia si risponde con il rafforzamento del linguaggio pacifista e delle relazioni internazionali tra le “città martiri”. In questi territori l’antifascismo è riattualizzato in funzione pedagogica, ed il paesaggio storico di Monte Sole viene “riscoperto” dagli amministratori. Infatti, tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, il Comune di Marzabotto rivolge maggiore attenzione a quest’area e vengono compiuti alcuni passi per l’istituzione di un Parco storico-ambientale, oltreché interventi per rendere accessibili con maggiore facilità le valli. Per la realizzazione del progetto, insieme a Marzabotto, si attivano gli altri Comuni colpiti dalle stragi (Grizzana e Monzuno), la Regione, la Provincia e una Comunità montana dell’Appennino bolognese [Magni 2008a e 2008b]. Il Parco è il risultato dell’incontro tra l’impegno civile delle comunità locali ed il clima politico-culturale degli anni Ottanta, maggiormente sensibile ai temi del pacifismo e della non violenza.

Parallelamente alla crescita dell’attenzione per i luoghi reali delle stragi, il Comitato regionale per le onoranze ai caduti di Marzabotto avvia una ricerca – che approderà ad una pubblicazione nel 1995 – per chiarire l’equivoco relativo al numero delle vittime [Comitato regionale per le onoranze ai caduti di Marzabotto 1995]. Tuttavia, nella prima metà degli anni Ottanta la priorità non è l’analisi storica, ma la progettualità di una pedagogia del ricordo che, proprio in questo periodo, inizia ad incontrarsi con i luoghi reali delle stragi grazie all’autonomo impegno cattolico.

Già alla metà degli anni Settanta i vescovi italiani invitano la comunità cristiana a una «lettura costruttiva e prospettica» della guerra [4]. Il vescovo di Imola, monsignor Luigi Dardani, medaglia d’argento della Resistenza e ausiliare del cardinale Antonio Poma, raccoglie testimonianze e documenti relativi al clero e al popolo durante la guerra: non basta più ricordare, ma occorre capire e meditare tornando a Monte Sole. Dardani sollecita la ricostruzione delle biografie dei preti che nel 1943-1945 erano stati protagonisti di una Resistenza senza le armi fatta di assistenza ai civili, carità e mediazione con le forze di occupazione.

A Bologna don Luciano Gherardi accoglie l’invito di Dardani e fonda il centro di documentazione Comunità di fede e Resistenza avviando una paziente opera di raccolta di fonti sulla vita dei sacerdoti, delle suore e degli abitanti delle valli dove è avvenuto il massacro. «La ricerca», scrive Gherardi, «vuol uscire da certe schematizzazioni di comodo, per ristabilire la matrice evangelica della Resistenza disarmata delle popolazioni della montagna e situare all’interno di questo clima le figure emergenti, superando il cliché “preti e partigiani”» [cit. in Baldassarri 2019, 113].

Nel 1976, i cattolici di Gardeletta, diretti da don Ilario Machiavelli, in un lavoro faticoso e lontano da ogni riflettore, ripuliscono alcune aree sottostanti Monte Sole installando una prima segnaletica [Bergamini 2008, 256-7]. Il 13 settembre, a Sperticano, nel 32° anniversario dell’uccisione di don Fornasini, preti e laici sottoscrivono la richiesta dell’arcivescovo Poma per promuovere il processo di canonizzazione dei cinque «pastori uccisi insieme alle loro comunità», dei veri e propri «martiri» caduti a «coronamento di un esercizio eroico della carità pastorale» [cit. in Bergamini 2008, 256-7]. Nel 1984 sarebbe stata istituita una commissione per valutare il procedimento che, ad oggi, risulta ancora in corso.

Il 25 aprile 1978, mentre l’Italia è scossa dalla prigionia di Moro e l’unità antifascista dei governi di solidarietà nazionale viene alimentata dalle istituzioni centrali, presso il cimitero di San Martino di Caprara viene eretto un cippo memoriale. Il vescovo ausiliare, monsignor Benito Cocchi, officia il rito alla presenza di una gran folla di fedeli. Il cippo, costruito con le pietre della diroccata chiesa di San Martino, viene eretto sul luogo dove Luigi Fornasini, il 26 aprile 1945, aveva ritrovato il corpo straziato del fratello, parroco di Sperticano. Il monumento ricorda inoltre gli altri sacerdoti caduti e «le centinaia di fedeli accomunati nello stesso martirio dei loro pastori». Quei luoghi, per gli uomini di Chiesa, sono un «enorme santuario» che deve essere valorizzato: ogni rudere invita a meditare su «quanto alto e cruento» sia «il prezzo della libertà saldato dai nostri fratelli migliori» [5]. Poco dopo iniziano i lavori di recupero della chiesa di San Martino.

Anno dopo anno, i cattolici risalgono a Monte Sole. Sono soprattutto San Martino, Santa Maria Assunta di Casaglia, San Giovanni di Sotto a ospitare commosse liturgie, solitamente guidate da monsignor Benito Cocchi. Altri cippi e memoriali sono posti sui luoghi degli eccidi con il fine di mettere in luce una vicenda «in cui pastori e comunità morirono uniti, perché vivevano uniti» e così viene formulato espressamente il proposito: «Torniamo ad abitare Monte Sole!» [6]. Per le parrocchie del Setta e del Reno recuperare e valorizzare il territorio di Monte Sole significa salvare dall’oblio la memoria delle comunità cristiane che vivevano in queste montagne.

A partire dai primi anni Ottanta l’orizzonte commemorativo della Chiesa si allarga costantemente: viene celebrato un numero sempre maggiore di episodi avvenuti in luoghi differenti e sono ricordate le località di origine della vittime (come Pianaccio, Vimignano, Castelfranco). Nello stesso tempo, vengono recuperati alcuni simboli cattolici: ad esempio, la chiesa di Casaglia. Il ritmo delle iniziative cattoliche a Monte Sole diviene presto frenetico. Si tratta di una vera e propria ricostruzione di un immaginario cattolico che cerca di recuperare l’ambiente per donarlo ai fedeli [Ventura 2016, 71-3].

La strage è raffigurata come pagina del martirologio in cui «il pastore e il popolo di Dio» testimoniano «l’amore per la fede e per la libertà» [7]. Il 28 settembre 1980, don Dario Zanini e don Ilario Machiavelli chiamano superstiti, familiari e fedeli a un pellegrinaggio a Casaglia dove viene scoperto l’altare davanti al quale i convenuti si inginocchiano e pregano. Sempre a Casaglia, all’inizio del 1981, monsignor Cocchi celebra l’eucarestia, nel corso della quale alcuni ragazzi ricevono comunione e cresima. Alla fine della cerimonia, Cocchi afferma che le radici della Chiesa bolognese si trovano in questi colli [8].

Il 26 aprile 1981, a Gardeletta, si tiene un’assemblea congiunta dei due consigli diocesani, pastorale e presbiteriale, al termine della quale il cardinale Antonio Poma si porta sui luoghi delle stragi. Da lì nascono altre idee per ricordare gli avvenimenti dell’autunno del 1944. Sulle rovine «bagnate dal sangue dei martiri» sarebbero maturati i frutti di una «vita nuova» [9]. A Monte Sole arrivano le prime visite degli scouts per la settimana santa. Il 25 aprile 1983 viene organizzato il cammino delle comunità montane per l’inaugurazione della Via crucis dalla chiesa al cimitero di Casaglia, teatro, il 29 settembre 1944, di uno dei capitoli del massacro di Monte Sole. La Via crucis è realizzata da don Machiavelli sul disegno dello scultore Luciano Nenzioni. L’Associazione guide e scouts cattolici italiani (Agesci) durante le festività pasquali del 1983 organizza un campo mobile annuale – la route – facendo convergere a Monte Sole, da diverse località tra il Setta e il Reno, 18 gruppi formati da ragazzi che effettuano nove itinerari nel territorio degli eccidi [10].

L’incontro con gli abitanti dei centri montani di Vado, Luminasio, Gardeletta, Sperticano, oltre alle veglie intorno al fuoco e alle preghiere sui luoghi delle stragi, costituiscono, per la Chiesa bolognese, importanti strumenti per riavvicinare i giovani all’altopiano. Seguendo il motto scout, «scoprire, scegliere, inventare», la Chiesa si dice intenzionata a costruire una «strategia della pace e della speranza». Altre pratiche proposte dalla Chiesa sono le lezioni e i dialoghi con i parroci per condurre i convenuti alla conoscenza degli usi e dei costumi di quella montagna in cui la religione cattolica ha permeato, per molto tempo, la vita dei paesani stroncata dalla violenza nazista. Durante il sabato santo del 1983 i riolesi accolgono centinaia di ragazzi offrendo latte e miele. «Vi accogliamo come nella terra di Canaan», recita un grande cartello issato sulla piazza. La veglia pasquale, presieduta da monsignor Gianni Catti, conclude l’esperienza itinerante [11].

Sono quindi soprattutto i cattolici a comprendere la grande presa suggestiva del silenzio di Monte Sole e a riportare l’attenzione sui luoghi degli eccidi, lontani dal centro di Marzabotto che con la geografia delle uccisioni ha poco a che vedere.

Nel settembre del 1983 viene organizzato il primo pellegrinaggio diocesano a Monte Sole guidato da monsignor Enrico Manfredini a cui seguono numerosi incontri in alcuni luoghi degli eccidi: a La Botte e Pioppe di Salvaro, Creda, San Giovanni di Sotto, Quercia e Sperticano [12]. Al secondo pellegrinaggio diocesano a Monte Sole, il 16 settembre 1984, presso i ruderi della chiesa di San Martino a Caprara, la liturgia viene tenuta da Giacomo Biffi, nuovo arcivescovo di Bologna. L’omelia di Biffi si scaglia contro le ideologie contrapposte (fascismo e comunismo), «anticristiane e perciò disumane» [13], e ripropone con forza i capisaldi della lotta contro ogni totalitarismo che la Chiesa ha tentato di propagandare, a fasi alterne, fin dal secondo dopoguerra. In particolare è don Zanini, il confessore di Walter Reder, a mostrare un certo livore anticomunista e antipartigiano e in diverse occasioni indica la Stella Rossa come la brigata responsabile delle stragi [Ventura 2016, 76].

Il 16 settembre 1984, Biffi afferma che la Chiesa di Bologna possiede su quei monti «un tesoro» da custodire «con amore, onorare con fierezza, comprendere con intelligenza crescente nel suo valore e nel suo insegnamento». L’arcivescovo annuncia l’insediamento a Monte Sole della Piccola famiglia dell’Annunziata di Giuseppe Dossetti con l’obiettivo di pregare per la concordia tra i popoli e la conversione delle anime; di accogliere e illuminare i pellegrini che sarebbero giunti a Monte Sole per «ritemprarsi nella fede» e di «ricercare le motivazioni di una più coraggiosa coerenza cristiana» [14].

La comunità monastica si insedia presso l’ex fattoria di Casaglia di Caprara. Sulla legittimità e la moralità della Resistenza l’ex partigiano Dossetti ha una posizione antitetica a quella di Zanini e Biffi. Dossetti, padre costituente, possiede tutti i titoli per infondere una lettura “comunitarista” e cristiana della strage senza strappare con l’unità antifascista di cui è parte. Il 15 settembre 1985 è inaugurata La casetta, la dimora della Piccola famiglia dell’Annunziata. In quell’occasione circa 2.000 persone, guidate dall’arcivescovo Biffi, si recano in pellegrinaggio da San Martino a Casaglia di Caprara, ripercorrendo lo stesso tragitto compiuto da don Ubaldo Marchioni per stare accanto alla comunità nel momento dell’attacco nazista.

Il corteo dei fedeli, arrivato presso La casetta, assiste al momento topico della cerimonia itinerante, ovvero la consegna della pisside schiacciata a don Giuseppe Dossetti. Ricevendo il cimelio da Biffi, Dossetti pronuncia un breve discorso:

Lei, Venerato Padre, ci consegna il Corpo del Signore nella pisside schiacciata e perforata dai proiettili, trovata sotto le macerie della chiesa di S. Maria Assunta di Casaglia. Noi, ricevendola da Lei, la riceviamo idealmente da don Ubaldo Marchioni che fu l’ultimo a toccarla, poco prima dell’olocausto, nel giorno di S. Michele del 1944: egli la vuotò, questa pisside, distribuendo il Corpo di Cristo alla comunità riunita nella chiesa. Quasi immediatamente dopo egli fu ucciso sull’altare, e la comunità di donne, di vecchi e di bambini fu sterminata. […] Questa sera li sentiremo ben presenti, e speriamo che entrino con noi a prendere possesso della “Casetta”: soprattutto sentiamo presenti le anime dei bimbi, i cui angeli vedevano e vedono la faccia del Padre che è nei cieli [15].

Per Dossetti, come per Gherardi, l’obiettivo non è colpire la memoria partigiana, ma contribuire a rimettere al centro del ricordo le comunità che hanno vissuto con fede cristiana a Monte Sole. Per farlo, le pratiche commemorative cattoliche valorizzano il paesaggio di Monte Sole proprio mentre gli enti locali compiono passi in avanti per l’istituzione del Parco di Monte Sole.

L’approvazione ufficiale del Parco arriva nel maggio del 1989 dopo un lungo lavorio istituzionale. Le finalità sono quelle di tutelare, conservare e valorizzare il patrimonio storico e naturale; di «ricostruire, conservare e diffondere la memoria degli episodi dell’insorgenza partigiana e in particolare della Brigata Stella Rossa, per la liberazione d’Italia, unitamente a quella degli eventi accaduti nell’autunno 1944»; di «mantenere aperta la riflessione su quei fatti», partendo dalle motivazioni dell’assegnazione della medaglia d’oro e approfondendo la conoscenza storica della nascita e gli sviluppi dei fascismi, per trovare gli strumenti più consoni ad impedirne una riproposizione; di sostenere tutte le attività possibili per ripopolare la montagna. Questi obiettivi si inquadrano nella volontà di sviluppare i valori della Resistenza, nell’«unità più larga tra combattenti e le comunità locali, con il comune obiettivo di restituire la libertà a tutto il popolo e piena dignità alla Nazione» [16].

4. La fase normativa post-antifascista

Con la faglia del 1989-1991, con la caduta del Muro di Berlino e l’implosione dell’Unione Sovietica, gli stati dell’Unione Europea iniziano a raccontare il Novecento come il secolo della battaglia tra democrazie e totalitarismi. È l’ideologia politica in sé, e non il fascismo, a rappresentare la radice del male. Negli anni d’oro del canone antifascista i simboli celebrati erano il partigiano combattente e l’oppositore organizzato; ora, le figure emblematiche a cui ispirarsi divengono gli inermi e gli eroi che agiscono in base a convinzioni morali e apolitiche. Alla decontestualizzazione inscritta nelle commemorazioni pubbliche del lungo dopoguerra – quando il fascismo e il nazismo erano rappresentati come patologie morali e criminogene estranee al processo di civilizzazione – si sovrappone così la rappresentazione al di fuori della storia dei paesi socialisti, definiti come totalitari e intrinsecamente delinquenziali. I civili sono i protagonisti di un paradigma vittimario che invita i cittadini a schierarsi moralmente ed eticamente con coloro che hanno subito le violenze di ogni regime politico. In un simile quadro, i caduti delle stragi come quella di Monte Sole divengono delle vittime dei totalitarismi tout court [Baldissara 2016b].

Dopo il trattato di Maastricht del 1992 è l’Europa-istituzione a tentare la costruzione di una memoria comune: di fronte al riaffacciarsi della guerra nei primi anni Novanta, l’obiettivo è accompagnare l’unione monetaria con l’edificazione di uno spazio giuridico «dei diritti, della giustizia e della solidarietà» capace di proteggere ogni minoranza. I cittadini dei singoli Stati sono così chiamati ad abbandonare l’appartenenza nazionale per lasciare spazio a un’immateriale “identità europea” dalla quale risultano espunti gli aspetti sgradevoli del passato e in cui gli individui devono essere protetti da ogni progetto politico totalitario [Baldissara 2016b, 15-20].

In Italia, questo ambizioso disegno si innesta negli anni del berlusconismo dando vita a un eccentrico conflitto della memoria che vede nella Seconda guerra mondiale e nella Resistenza il terreno privilegiato dello scontro. Dopo lo scandalo di Tangentopoli e la fine della prima Repubblica, mentre in tutta Europa viene proposto il canone antitotalitario, in Italia il Cln e la Resistenza vengono accusati di essere all’origine della “partitocrazia”. Dal 1994, con la vittoria elettorale di Silvio Berlusconi, alleato di un partito erede del Movimento sociale italiano, la destra chiede una riconciliazione tra fascisti e antifascisti sotto il comune ombrello antitotalitario. In ogni ricorrenza, quest’area politica rappresenta le stragi naziste e fasciste come delle rappresaglie all’inutile violenza resistenziale e comunista [Focardi 2005, 77].

A Monte Sole, da un lato, si respinge la retorica antipartigiana della destra e, dall’altro, si fa spazio il lessico della memoria “europea”. La più efficace sintesi di questo nuovo paradigma giunge il 17 aprile 2002, quando in località San Martino si incontrano il presidente tedesco Joachim Rau e il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Il presidente italiano parla del nazismo come «ideologia luciferina» e condanna i totalitarismi e i nazionalismi. La «memoria» deve costituire:

monito, guida, a vigile garanzia della dignità della persona umana. Mai più! Lo giurammo a noi stessi, non appena cessò il fragore delle nostre armi, sulle tombe dei nostri fratelli, sulle macerie delle nostre case. Mai più odio, sangue tra i popoli d’Europa. Ci impegnammo a far regnare fra di noi la pace, la fraternità [17].

Rau prende la parola e afferma di volersi inchinare davanti ai morti nella strage. Dopo aver definito gli autori dell’«orrore» come «iene in uniforme nera», si rivolge direttamente ai presenti riannodando i fili dell’ultima fase della politica del ricordo:

Voi avete conservato e tenuto vivo il ricordo delle vittime del massacro. Non l’avete fatto per mantenere vivo l’odio o per vendicarvi. L’avete fatto per amore del futuro, per amore del nostro futuro comune. Nessuno deve dimenticare che ogni generazione deve acuire di nuovo e ininterrottamente lo sguardo per individuare ideologie criminose, piene di disprezzo per la vita umana. Noi dobbiamo combattere contro tali ideologie aberranti prima che possano conquistare il potere sugli uomini. [...] Possiamo essere grati e affermare con gioia che i nostri due Paesi hanno apportato un grande contributo e continuano ad apportarlo per costruire la nuova Europa, un’Europa unita. La grande opera di unificazione avrà successo duraturo solamente se le cittadine e i cittadini in Europa la sentiranno come propria – con il cuore e con la mente. Con la Scuola di Pace che avete fondato qui a Marzabotto, come luogo di studio e d’incontro, avete fornito un importante contributo in questo senso. Vi ringrazio per aver fatto diventare Marzabotto un luogo che non divide Italiani e Tedeschi. Quello che successe qui, fa parte della nostra storia comune ed è l’impegno per un futuro comune [18].

Per costruire una memoria europea, gli enti locali dell’Emilia preferiscono però mantenere un più stretto legame con l’antifascismo e non con l’antitotalitarismo come perorato da Ciampi e Rau. Nello stesso tempo, a Marzabotto si percepisce la valorizzazione dell’Europa riunificata come un segno della continuità con la rete delle “città martiri” e soprattutto come un discorso comunicativo coerente con il peculiare patrimonio culturale di questi luoghi. Nella fase in cui dominava il paradigma resistenziale, quando lo Stato veniva a Marzabotto a cercare le radici della Costituzione antifascista, il territorio cercava di declinare questo messaggio con parole antimilitariste. Adesso, in pieno canone post-antifascista, le diverse realtà che operano a Monte Sole continuano ad impegnarsi per il pacifismo tentando un dialogo con gli Stati dell’Unione che vorrebbero edificare una memoria comunitaria.

La Fondazione scuola di pace di Monte Sole a cui accenna Rau è il prodotto di questa storia e di queste contaminazioni culturali: nel suo statuto, infatti, emergono il linguaggio e gli obiettivi espressi dalla rete associativa costruita da Marzabotto nei decenni precedenti. Infatti, la Scuola di pace:

ha lo scopo di promuovere iniziative di formazione di educazione alla pace, alla trasformazione non violenta dei conflitti, al rispetto dei diritti umani, per la convivenza pacifica tra popoli e culture diverse, per una società senza xenofobia, razzismo ed ogni altra violenza verso la persona umana ed il suo ambiente [19].

La Scuola di pace propone lezioni per ogni fascia di età; seminari; percorsi di educazione alla cittadinanza attiva e alla pace; laboratori esperienziali; incontri tra persone di culture differenti e campi internazionali. Questi operatori dispongono, dal 2009, di una puntuale ricostruzione scientifica delle stragi e, nelle loro attività, possono saldare la storia e la memoria all’interno di luoghi in cui si trova tutta la complessità della Seconda guerra mondiale: Monte Sole è situato a ridosso della Linea Gotica, è uno spazio del fronte, un luogo dove nasce la brigata partigiana Stella Rossa e un territorio in cui le truppe tedesche scelgono l’opzione della strage eliminazionista [Baldissara e Pezzino 2009]. In questo paesaggio, infine, il tempo sembra essersi fermato: passeggiando per le strade e i sentieri di Monte Sole è possibile immaginare quel mondo contadino che, nell’autunno del 1944, è stato travolto dalla violenza nazista.

Intanto, la cerimonia ufficiale per l’anniversario del massacro continua ad essere organizzata a Marzabotto seguendo una scaletta simile a quella dei decenni precedenti: ricevimento delle delegazioni; messa per i caduti; deposizione delle corone commemorative e, infine, orazioni ufficiali. Della dimensione celebrativa di stampo nazionalistico-risorgimentale, come della retorica antifascista, rimangono solo i sedimenti discorsivi di qualche oratore che, di anno in anno, interviene alla commemorazione e, talvolta, ripropone perfino l’erroneo numero delle vittime. L’automatismo di routine delle commemorazioni si ripete: gli argomenti cambiano con il mutare delle urgenze all’ordine del giorno, ma le liturgie degli anniversari continuano a proporre un potere taumaturgico della memoria e a invocare la pace nel quadro di una memoria europea da contrapporre ai nuovi nazionalismi e ai populismi. Chi desidera incontrarsi con la storia deve invece attraversare il fiume Reno, proseguire qualche chilometro verso le montagne e fermarsi a Monte Sole. Magari non il 25 aprile, quando anche qui, insieme a piacevoli concerti e spettacoli teatrali, giunge la retorica deformante della memoria pubblica.


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Risorse


Note

1. Riti commemorativi a Marzabotto per le vittime delle atrocità tedesche, “L’Avvenire d’Italia”, 2 ottobre 1945.

2. Centro di documentazione di Marzabotto per lo studio delle stragi nazifasciste e delle rappresaglie di guerra (d’ora in poi CDM), b. Mario Degli Esposti, Relazione del Comitato di Liberazione Nazionale di Marzabotto, s.d.

3. CDM, b. E4, f. 3, Discorso integrale di Giulio Andreotti, «Sono morti, ma parlano!» in Soglia (ed.) 1977.

4. Ardono ancora le querce a Monte Sole sul candelabro della notte!, “Bologna missione. SS. Bartolomeo e Gaetano”, 15 ottobre 1994.

5. Assisi e Monte Sole; Il prezzo della libertà, “Bologna missione. Comunità parrocchiale”, 12 maggio 1978.

6. Anno santo a Monte Sole, “Bologna missione. SS. Bartolomeo e Gaetano”, 29 settembre 1983.

7. Santuario nuovo per il nostro tempo, “Bologna missione. SS. Bartolomeo e Gaetano”, 6 febbraio 1981.

8. Ibidem.

9. Anno santo a Monte Sole, cit.

10. Ibidem.

11. La “route” dei rovers in cima a Monte Sole, “Bologna missione. SS. Bartolomeo e Gaetano”, 13 maggio 1983 e Assisi e Monte Sole una sola lampada, “Bologna missione. SS. Bartolomeo e Gaetano”, 21 ottobre 1984.

12. Dai protomartiri bolognesi Vitale e Agricola ai martiri di Monte Sole, “Bologna missione. SS. Bartolomeo e Gaetano”, 18 febbraio 1984.

13. Assisi e Monte Sole una sola lampada, cit.; Sulle macerie di Casaglia fioriscono i ricordi, “Bologna missione. SS. Bartolomeo e Gaetano”, 27 settembre 1980.

14. Assisi e Monte Sole una sola lampada, cit.; Sulle macerie di Casaglia, cit.

15. Si è aperto a Monte Sole il Congresso Eucaristico ‘87, “Bologna missione. SS. Bartolomeo e Gaetano”, 1 ottobre 1985.

16. Statuto: www.enteparchi.bo.it/Ente/Statuto, ultimo accesso 18 settembre 2020.

17. CDM, b. N. 2, f. 2 bis, Intervento del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi in occasione della cerimonia commemorativa dei caduti di Marzabotto. San Martino, 17 aprile 2002.

18. CDM, b. N. 2, f. 2, Allocuzione pronunciata dal Presidente Federale Johannes Rau a Marzabotto il 17 aprile 2002.

19. I fondatori della Scuola di pace sono i Comuni di Marzabotto, Monzuno e Grizzana Morandi, la Regione Emilia-Romagna, il Land Hessen della Repubblica Federale Tedesca, la Provincia di Bologna, il Comune di Bologna, la Comunità montana Valli del Savena e dell’Idice-zona 11, la Comunità montana Alta e Media Valle del Reno-zona 10, il Consorzio di gestione del Parco storico di Monte Sole, il Comitato regionale per le onoranze ai caduti di Marzabotto, l’Università degli studi di Bologna, l’Istituto regionale Ferruccio Parri per la storia del movimento di liberazione e dell’età contemporanea in Emilia-Romagna, l’Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nella provincia di Bologna Luciano Bergonzini, il Coordinamento delle associazioni per la scuola di Pace di Monte Sole, il Centro di documentazione del manifesto pacifista internazionale, l’Associazione Nexus-cooperazione e solidarietà internazionale in Emilia-Romagna, l’Associazione per la pace, l’Ufficio scolastico per l’Emilia-Romagna-Direzione regionale.