Un viaggio non inizia nel momento in cui partiamo
né finisce nel momento in cui raggiungiamo la meta.
In realtà comincia molto prima e non finisce mai,
dato che il nastro dei ricordi continua a scorrerci
dentro anche dopo che ci siamo fermati.
È il virus del viaggio, malattia sostanzialmente incurabile.
R. Kapuscinski

 

1. Viaggio nel cuore dell’Europa. Una proposta

Per lo scrittore e viaggiatore Ryszard Kapuscinski il viaggio è un continuum tra il prima, l’attesa, la preparazione e il dopo, il ritorno, e con esso i ricordi che ogni viaggio lascia.

Nei viaggi della memoria, o meglio “viaggi di memoria”, come li definisce lo storico David Bidussa, questo continuum si realizza. Esiste sempre un prima, fatto di studio e preparazione, ma anche di attesa e aspettative dei partecipanti, ed esiste un dopo, fatto di ciò che si riporta a casa: immagini, riflessioni, apprendimenti e anche punti di domanda.

Un viaggio implica uno spostamento fisico ed il raggiungimento di una meta, un viaggio di memoria implica lo spostamento verso una meta alla quale si riconosce un valore storico e civile e, come sottolinea sempre Bidussa:

I viaggi di memoria sono un modo in cui nel corso del Novecento si è definita una coscienza politica; si è praticata una confidenza con la narrazione storica; si è costruita una sensibilità collettiva o di gruppo [Bidussa 2015].

I viaggi di memoria sono ormai un panorama variegato di proposte, più o meno strutturate e con destinazioni altrettanto variegate, ma che in generale fanno riferimento alla storia del Novecento. Sono pratiche che vengono da lontano [Bidussa 2015], ma che indubbiamente l’istituzione del Giorno della memoria ha moltiplicato e reso prassi didattica, indirizzando molti di questi viaggi soprattutto verso Auschwitz. L’Italia è al quarto posto nella classifica mondiale dei visitatori di quel luogo, e nei luoghi dello sterminio nazista.

Parallelamente si è costruita una didattica sulla deportazione e sulla Shoah, sono stati messi a punto strumenti e modalità d’insegnamento, comprendendo che per vedere, quindi prima del viaggio, occorre dotarsi di una “cassetta degli attrezzi” che consenta di sapere cosa c’è da vedere. Questa cassetta deve contenere innanzitutto la storia, quella con la S maiuscola.

I viaggi di memoria sono così diventati patrimonio formativo nazionale; non c’è pressoché regione in Italia che non abbia proposte in tal senso: scuole, istituti storici, associazioni si fanno promotori e referenti di viaggi, molto spesso legandoli al Giorno della memoria.

Chi scrive quest’articolo vive in una regione, l’Emilia-Romagna, e in un territorio che ha una lunga tradizione di viaggi di memoria che va di pari passo con la scansione temporale delle esperienze nazionali.

In particolare per quanto riguarda la provincia di Modena, complice la presenza di realtà quali l’Istituto storico di Modena e la Fondazione Fossoli (che ha promosso per 12 anni un progetto denominato Un treno per Auschwitz), questi viaggi sono diventati una realtà consolidata che si rivolge in primo luogo ai più giovani e ai docenti delle scuole medie e superiori.

Ma i viaggi di memoria non devono avere necessariamente come destinazione solo i campi di concentramento o i Lager del sistema concentrazionario nazista. Sono viaggi di memoria anche quelli che accompagnano studenti e docenti a conoscere i luoghi che sono stati teatri di conflitti più recenti. Purtroppo guerre, genocidi e spostamenti di popolazione hanno tristemente connotato tutto il Novecento e anche se c’è chi continua ad affermare che l’Europa stia conoscendo il più lungo periodo di pace dalla fine della Seconda guerra mondiale, ci si dimentica troppo spesso del conflitto nei Balcani. Un conflitto durato dieci anni e che ha riproposto in Europa campi di concentramento, fucilazioni di massa e un genocidio, quello di Srebrenica, dove vennero uccise in tre giorni oltre 8.000 persone, tutti uomini, giovani e anziani e quasi tutti musulmani.

La guerra in Bosnia non era affatto l’ultima del Novecento. Era la prima del terzo millennio. Esprimeva già il potenziale distruttivo delle tempeste a venire. C’era in essa l’impotenza dell’Europa di fronte alle crisi che riguardavano […]. La guerra in Bosnia, scatenata col pretesto di reprimere un fondamentalismo islamico che ancora non esisteva, lungi dal prevenire il terrorismo, lo svegliava dal suo torpore, lo chiamava in vita [Rumiz 2011].

Alla storia delle guerre di dissoluzione jugoslava è stato dedicato un progetto che l’Istituto storico di Modena sta realizzando dal 2017, inizialmente come proposta rivolta alla cittadinanza, docenti in prevalenza ma non solo, dal 2019 come proposta formativa per docenti e studenti delle scuole superiori, grazie alla legge a favore di interventi sulla memoria del Novecento (Legge regionale 3/2016) di cui la nostra regione si è dotata dal 2016. Nel 2018 anche l’Istituto storico di Parma, su sollecitazione e interesse di un gruppo di docenti, ha dato il via ad una proposta analoga. Il presente contributo, scritto a due mani, è il frutto di viaggi condivisi dagli autori e dell’esperienza fatta accompagnando studenti e docenti tra il 2018 e il 2019 [1]. Percorsi solo temporaneamente interrotti a causa della situazione pandemica, ma che gli autori riprenderanno appena sarà possibile ricominciare a viaggiare nel cuore dell’Europa. L’obiettivo dell’articolo è condividere una proposta di viaggio formativo basato su tre convinzioni: l’importanza, in egual misura, della fase preparatoria, del viaggio e del lavoro di restituzione al ritorno; l’approcciarsi non solo alle questioni storiche e memoriali, ma anche alle conseguenze di quegli eventi nel presente e la convinzione che l’oggettiva complessità delle questioni ex-jugoslave possa essere un'efficace leva per alimentare curiosità e passione verso un’area centrale per l’Europa e la sua storia. Le testimonianze riportate sono in parte, l’esito di un percorso di restituzione realizzato con gli studenti modenesi nel 2019 e raccolte in un quaderno di viaggio, in parte le riflessioni che i ragazzi di Parma hanno condiviso sulla stampa locale al rientro dal viaggio.

2. Da dove partire

Si è spesso detto che l’area balcanica produca più storia di quanta ne possa assorbire. Questo drammatico retaggio, unito ad una serie di altre visioni stereotipate, ha fatto sì che i Balcani fossero visti come un mondo altro, barbaro e tribale, e che quindi quello che accadeva “là” in Jugoslavia anche negli anni Novanta non ci riguardava, non era Europa, ma avveniva “là” nei Balcani.

La penna magistrale di Luca Rastello, prematuramente scomparso, con il suo straordinario libro La guerra in casa, svelò invece che quella guerra era vicina e che ci riguardava: era una guerra europea! I Balcani non sono altro dall’Europa, ma sono lo specchio dell’Europa stessa.

La complessità delle guerre jugoslave degli anni Novanta spesso ha scoraggiato progettualità e proposte rivolte alle scuole: «Non vengono approfondite, le trattiamo solo in modo schematico, di fretta come elenco di date e fatti in modo sommario, e poi da dove partire?». Questi alcuni dei primi commenti a caldo di alcuni docenti con i quali ci siamo confrontati in fase di stesura di una prima proposta didattica.

Complessità degli eventi e punto di partenza, da qui, da questi due nodi problematici, si è iniziato a riflettere per realizzare un progetto di viaggio formativo.

Le guerre degli anni Novanta nella Ex Jugoslavia sono indubbiamente complesse da comprendere nelle loro cause e nel loro svolgimento e avvicinarsi ad esse non è banale, tutt’altro, è addirittura disorientante, occorre un approccio geostorico per districarsi nel labirinto di quel periodo. Quindi nella cassetta degli attrezzi dei docenti e degli studenti, i primi strumenti sistemati, sono state delle carte geografiche che consentissero di conoscere i luoghi e comprendere il rapido modificarsi dei confini e degli assetti nell’area balcanica durante il conflitto [Cattaruzza e Sintès 2015]. Dopo i testi storiografici che raccontano quegli eventi, per orientarsi tra le varie pubblicazioni (a dir il vero pochi sono i testi disponibili in italiano sull’argomento) abbiamo approntato una bibliografia ragionata; a ciò abbiamo aggiunto una filmografia che potesse aiutare i ragazzi ad entrare, attraverso un linguaggio a loro più familiare, quello delle immagini, in tematiche spesso ostiche. Infine, fondamentale, è stato il lavoro fatto prima del viaggio con l’esperto di questioni jugoslave che ha fornito una cornice storica fondamentale entro cui comprendere le guerre dei dieci anni. Va tuttavia evidenziato che nel caso delle guerre jugoslave la formazione pre-viaggio necessiterebbe di molto più tempo rispetto a quello che si riesce a dedicare. I manuali attualmente in uso nelle nostre scuole dedicano pochissimo spazio alla vicenda jugoslava; questo impone un lavoro preparatorio al viaggio molto più articolato e che solo in parte si riesce a recuperare durante il viaggio.

3. Dove andare

La complessità e l’articolazione delle guerre jugoslave [Pirjevec 2001] impongono nella definizione di un viaggio per studenti delle scelte, che devono tener conto del tempo a disposizione, sempre troppo poco, delle loro conoscenze pregresse, della preparazione pre-viaggio.

Raccontano Giacomo Gasparini e Saverio Pivetti studenti dell’Itis Vinci di Carpi:

Sono rimasto colpito da questo viaggio, anche perché della guerra in Jugoslavia degli anni Novanta non ne sapevo quasi niente, i libri di storia ne parlano poco e sommariamente, in generale credo ci sia molta disinformazione sull’accaduto, cosa che mi ha lasciato parecchio perplesso [Gasparini 2019].
Prima del viaggio, in classe, con la nostra docente di storia e in un incontro a Modena con lo storico Eric Gobetti, abbiamo affrontato il contesto storico in cui è sviluppata la guerra in Jugoslavia. Ciò mi ha aiutato a prepararmi al viaggio, perché sono partito già con un’idea di ciò che avrei potuto vedere con i miei occhi [Pivetti 2019a].

Abbiamo fin qui privilegiato, come meta del viaggio, la regione della Bosnia Erzegovina, qui nasce e muore il Novecento e qui ci sono le radici plurali dell’Europa. Europa che, come ha ricordato più volte Michele Nardelli, compagno di diversi viaggi di formazione per docenti, prende non a caso il nome di quella principessa che, nella mitologia greca, viene dall’altra parte del Mediterraneo, metafora di un’idea geopolitica aperta che nasce fuori di sé, fatta di intrecci culturali e incontri [Nardelli s.d. b]. Attraversare questa regione permette non solo ragionamenti storici di lungo periodo, ma anche riflessioni sul nostro tempo presente. Invita il viaggiatore, come ha evidenziato Marco Abram, a confrontarsi con l’aderenza alla realtà dell’idealtipo di un’Europa monolitica, dalle frontiere definite e impermeabili. Invita a riflettere sul concetto di prossimità e su quanto gli scambi e le influenze transnazionali e transcontinentali evidenti in territori prossimi a un presunto “confine d’Europa” rendano questo confine mobile e relativo [Abram 2019].

Le tappe del progetto formativo hanno seguito la direttrice ovest-est quindi visitando alcuni luoghi simbolici della guerra degli anni Novanta, facendo, seppur brevemente, incursione nel passato più remoto di questa terra con sosta a Blagaj, e nel passato più recente con Jablanica e il suo complesso memoriale che ricorda l’epoca socialista della Jugoslavia.

Mostar, Sarajevo e Srebrenica, una giornata per ciascuna città, con la consapevolezza di aver operato una scelta parziale, che può rischiare di scivolare in una narrazione talvolta unilaterale, etno-nazionale e “vittimocentrica”. L’inevitabile necessità dei ragazzi di inserire quello che vedono e ascoltano all’interno di macro categorie quali vittime e carnefici, per cercare di capire chi sono i buoni e chi i cattivi, in questo tipo di viaggio si fa ancora più evidente e bisogna tenerne conto, come bisogna tener conto della carica emotiva che questi luoghi trasmettono. Ecco che il ruolo dell’esperto in viaggio diventa fondamentale per riportare quello che i ragazzi vedono, visitano o ascoltano dalle voci dei testimoni, all’interno di una cornice più ampia e complessa.

Raccontano Samuele Barbieri e Saverio Pivetti studenti dell’Itis Vinci di Carpi:

Vedere i fori delle pallottole sulle pareti delle case, sentire le testimonianze delle persone che hanno vissuto situazioni terribili, ci ha fatto comprendere, seppur in parte, come può essere assurdo veder morire amici e famigliari senza nemmeno sapere il perché [Barbieri 2019].
In me questo viaggio ha lasciato un’importante cicatrice perché ho potuto vedere con i miei occhi le conseguenze di una guerra di cui si parla davvero poco nonostante sia durata diversi anni [Pivetti 2019b].

4. Che cosa rimane

C’è una costante in questi viaggi ovvero le tante domande che accompagnano il ritorno, le discussioni fino a notte fonda in traghetto, l’incredulità per ciò che si è visto “là”, un altrove che si comprende essere non così lontano, un “là” dal quale ci separa un braccio di mare. Un’altra costante è la curiosità e la voglia di saperne di più, e questo vale non solo per i ragazzi ma anche per i loro docenti.

Ecco alcuni frammenti di quello che alcuni studenti modenesi hanno scritto dopo il viaggio del 2019, frutto di un percorso laboratoriale di scrittura e fotografia iniziato già prima della partenza che si è concretizzato in un vero e proprio foto-reportage che l’Istituto storico di Modena ha pubblicato online:

Arrivati a Mostar la cosa che subito mi ha colpito, e che non mi sarei mai immaginato, è stata il vedere molte abitazioni e strutture che ancora oggi sono segnate dai fori dei proiettili, segno indelebile della guerra e della sofferenza che ha invaso le città della Ex Jugoslavia [Gualtieri 2019].

Fig. 1. Mostar Ovest [foto di Linda Menghin, studentessa Viaggio della memoria 2019]
Fig. 1. Mostar Ovest [foto di Linda Menghin, studentessa Viaggio della memoria 2019]

La guerra non si combatte solo con le armi ma anche attraverso i simboli nei quali ci si identifica e con cui si vuole rimarcare l’appartenenza ad una certa etnia piuttosto che ad un’altra. I simboli, infatti, con il loro potere evocativo sono in grado di generare fratture insanabili all’interno della società: Mostar ci appare letteralmente divisa in due città. La parte turca si sviluppa attorno al celebre ponte Stari Most e la sua economia si basa su attività commerciali legate al turismo; la parte croata, lontana dal nucleo musulmano, è abitata in gran parte da operai impiegati nelle piccole e medie industrie. Nella città di Mostar prima della guerra venivano celebrati molti matrimoni misti, oggi è raro che un serbo o un croato si rechi nella zona della città che, per così dire, non gli appartiene [Pugliese 2019].

Devo ammettere che le mie aspettative su questa città si sono rivelate molto distanti dalla realtà: prima di partire pensavo di trovare una città arretrata, povera, inevitabilmente colpita da una pesante crisi economica. Insomma, la mia idea di Sarajevo era quella di città fantasma, del tutto diversa dalle vicine realtà europee […] La visita al War Childhood Museum mi ha molto colpita, offre un’insolita visione sulla guerra in quanto lo sguardo viene dal basso, ovvero dai bambini che abitavano Sarajevo al tempo dell’assedio […] vedere gli oggetti che per questi bambini rappresentano la guerra che hanno vissuto […]. Ho capito per la prima volta quanto la guerra influisca sulla vita di tutti i giorni delle persone, le quali ogni giorno si svegliano senza sapere se ci sarà un domani [Giacobazzi 2019].

Fig. 2. War Childhood Museum, Sarajevo [foto di Francesca Petrescu, studentessa Viaggio della memoria 2019]
Fig. 2. War Childhood Museum, Sarajevo [foto di Francesca Petrescu, studentessa Viaggio della memoria 2019]

Sarajevo è il luogo dove vita e morte coesistono. Tutti dovrebbero visitarla almeno una volta nella vita. L’ingente varietà di scenari che è capace di svelare, le diverse culture che in essa coesistono generano disorientamento nel visitatore che si trova così gettato fra le soleggiate vie di una città bizantina e le pietrose strade di rimando europeo; stride con questa multietnicità l’alone di dolore da cui essa è velata: indossa una corona di lapidi che, immobili, colorano le montagne circostanti di un bianco marmoreo; intermittenti rose rosse segnano il doloroso travaglio che ogni granata portava con sé, insieme alle vittime da lei mietute; incisi sulle mura dei palazzi silenti i segni dei proiettili scoccati dai cecchini [Casini 2019].

Fig. 3. Sarajevo, veduta dallo stadio [foto di Agnese Barbieri, studentessa Viaggio della memoria 2019]
Fig. 3. Sarajevo, veduta dallo stadio [foto di Agnese Barbieri, studentessa Viaggio della memoria 2019]

Irvin Mujcic, un ragazzo sulla trentina, racconta la storia dalle origini della cittadina di Srebrenica. Nel racconto, la sua voce inflessibile narra i soprusi dell’eccidio che lo hanno toccato personalmente. Fuggito da Srebrenica poco prima del massacro, Irvin perdette in quei giorni molti dei suoi parenti, amici, concittadini. Ma la voce di Irvin non è spezzata dal dolore: la sua testimonianza è un inno alla vita. Un inno all’amore per il prossimo. Un monito a ricordare, affinché massacri non si ripetano. Un inno alla realizzazione personale, all’inseguire i propri sogni. Un inno alla solidarietà nelle situazioni più difficili. Ecco come, nel momento più buio del viaggio, ho trovato una scintilla di speranza [Casini 2019].

Fig. 4. Incontro con Irvin Mujcic al memoriale di Srebrenica [foto di Sofia Crespi, studentessa Viaggio della memoria 2019]
Fig. 4. Incontro con Irvin Mujcic al memoriale di Srebrenica [foto di Sofia Crespi, studentessa Viaggio della memoria 2019]

È sconcertante pensare che, a soli 20 anni da un genocidio, ci siano persone (me compresa) che non sappiamo nulla di ciò che è successo davanti al loro naso.

Personalmente prima di questo viaggio non avevo idea che fossero esistite 8.372 persone che nell’arco di pochi giorni (e, ancora più avvilente, in un’epoca così vicina) hanno perso la vita in questo luogo.

Spesso quando si parla di genocidio si pensa alla Shoah, che è in realtà l’unico evento del genere che si arriva a studiare a scuola.

Non avendo mai affrontato questo argomento in classe non avevo idea dell’importanza dell’evento nella storia europea recente [Giacobazzi 2019].

Fig. 5. Memoriale di Srebrenica, Potočari [foto di Agnese Barbieri, studentessa Viaggio della memoria 2019]
Fig. 5. Memoriale di Srebrenica, Potočari [foto di Agnese Barbieri, studentessa Viaggio della memoria 2019]

Mi piace pensare, parafrasando il pensiero del nostro accompagnatore Irvin Mujcic, il quale ha perso gran parte della sua famiglia nel genocidio di Srebrenica, che dalla morte e da così tanta sofferenza e dolore non può che nascere nuova vita. Il suo discorso è stato un vero e proprio inno alla vita, autentico, potente, universale. Un messaggio di pace e di solidarietà tra i popoli mai come ora attuale e che affonda le proprie radici nell’importanza della memoria storica e dell’educazione delle nuove generazioni [Pugliese 2019].
Oggi la Jugoslavia si è dissolta, al suo posto sono sorti tanti stati nazionali immersi in una pace congelata. Molti di coloro che conservavano mentalità aperte sono emigrati per non essere assassinati. Quale futuro per l’area balcanica? Tra due o tre generazioni, quando la memoria di questa guerra sarà in parte sfumata nell’oblio, cosa succederà? Se non si valorizzerà la memoria di ciò che è stato e non si investirà sull’enorme potere dell’educazione, sarà sufficiente una scintilla per causare la degenerazione totale? [Giorgi 2019]

Da questi viaggi è nata, da parte di alcuni docenti che hanno partecipato alle due edizioni del viaggio, non solo l’esigenza di approfondire alcuni temi della storia di questa regione, ma anche il desiderio di condividere l’esperienza vissuta e trasporla su un piano didattico. È nato così un tavolo di lavoro composto da docenti e non solo docenti che ha avviato un progetto di didattica balcanica con lo scopo di realizzare percorsi multimediali pensati per docenti e studenti delle scuole superiori. È nato anche un progetto di raccolta di testimonianze orali, di persone, arrivate a seguito delle guerre degli anni Novanta, e ora residenti nella provincia di Modena; questo materiale potrà essere utile per future ricerche e attività didattiche.

L’efficacia di queste proposte è stata dimostrata dalle numerose richieste di partecipazione da parte di docenti e studenti ai due viaggi programmati nell’anno scolastico 2019/2020, rinviati a causa del Covid-19. I momenti di restituzione e di presentazione del viaggio, organizzati da tutti gli Istituti che avevano partecipato alle precedenti esperienze e gestiti autonomamente dai ragazzi nella logica della peer education, hanno forse contribuito a suscitare interesse, curiosità nei coetanei, creando quel circolo virtuoso che fa ben sperare nella prospettiva di poter presto riprendere questo percorso, solo momentaneamente interrotto.

5. Memoria, emozioni, conoscenza

I viaggi di memoria acquisiscono valore aggiunto se impostati secondo un equilibrio funzionale che permette di accostarsi alla complessità del contesto. Ciò vale ancora di più per i territori balcanici. Un primo equilibrio funzionale, che deve essere perseguito già in fase di progettazione del viaggio e poi nei vari luoghi di osservazione, è da ricercare fra trasmissione di conoscenze e partecipazione emotiva. Nelle esperienze balcaniche, la carica emotiva che trasmettono i luoghi, le narrazioni scritte, ma soprattutto le testimonianze orali, può prendere decisamente il sopravvento sugli studenti [Abram 2019]. A differenza di altre destinazioni, la possibilità di ascoltare e interagire con testimoni sopravvissuti o persone viventi durante la quotidianità della guerra dei dieci anni [Marzo Magno (ed.) 2015] è assolutamente concreta e comune. I racconti dei testimoni, come hanno potuto sperimentare le ragazze e i ragazzi parmensi del Viaggio della memoria 2018 e quelli modenesi del Viaggio 2019, sono, spesso, ricchi di dettagli, di ricostruzioni minuziose, di sfumature personali cariche di pathos, di ricordi soggettivi vivi. Non è difficile, quindi, lasciarsi prendere da un flusso di emozioni travolgente, condizione non sempre utile per accostarsi alla complessità e alla comprensione degli eventi. Per arginare questa condizione e valorizzarla nel giusto modo, è indispensabile impostare con gli studenti e gli insegnanti un lavoro preciso di preparazione pre-viaggio e pre-incontri. Insomma diventa fondamentale e non evitabile la costruzione della cassetta degli attrezzi prima richiamata.

La conoscenza analitica del contesto, considerando sempre il profilo dei viaggiatori, è uno strumento molto utile per arrivare a quell’equilibrio richiamato. L’interiorizzare dati e informazioni storiche e sociali permette di ancorare le spinte emozionali ad una realtà, a passaggi temporali, a trame di cause-effetti. Il bilanciamento permette di cogliere in modo critico e attento le varie narrazioni e testimonianze; così come appare di fondamentale importanza una decostruzione successiva effettuata dagli studenti con l’aiuto degli insegnanti e delle guide storiche.

Scrive Maria Chiara Grondelli, studentessa del Liceo Romagnosi di Parma:

Oggi, dopo la fine di questo viaggio in Bosnia, che ci ha insegnato con brutalità e delicatezza ad avere una nuova chiave d’interpretazione della realtà, possiamo dire che sono tantissime le cose che abbiamo imparato: l’idea di confine, ad esempio, sempre un po’ difficile, sicuramente mai univoca; il concetto di bellezza e di dolore, uniti in quelle strade di Sarajevo, che ancora portano impresso stancamente e tuttavia fieramente, il segno delle granate, il segno della guerra [Grondelli 2018].

In un video realizzato dalla studentessa Aurora Esposito (Liceo Sanvitale di Parma), la sua compagna Sara Ben M’Barka sottolinea:

È un viaggio che ti apre gli occhi. Neanche chi ha vissuto la guerra sa perché è iniziata. Bisogna sapere cosa è successo. Bisogna conoscere questa guerra per capire a cosa può portare un pregiudizio [Esposito 2018].

Fig. 6. Memoriale di Srebrenica, Potočari [foto di Matteo Diena, studente Viaggio della memoria 2018]
Fig. 6. Memoriale di Srebrenica, Potočari [foto di Matteo Diena, studente Viaggio della memoria 2018]

6. Non solo memoria. Il viaggio nel tempo presente

Una formazione ben strutturata, prima di mettersi in cammino, permette di arginare gli eccessi del “dark tourism”, concetto approfondito da Marco Abram per quanto riguarda l’area del Sud-Est Europa [Abram 2019]. Non solo: l’esperienza dei viaggi nei Balcani, ha dimostrato come sia auspicabile la conoscenza del tessuto sociale e delle spinte rinnovatrici in quei territori comunemente pensati in perenne difficoltà, senza un agire dal basso o caratterizzati solo da emigrazione giovanile. In modo particolare, tra Serbia, Croazia e Bosnia Erzegovina, sono riscontrabili esempi di attivismo civile che ricordano a tutti i viaggiatori come lo sviluppo storico di quelle terre, non sia l’unico punto di interesse da analizzare e su cui focalizzarsi. La convinzione è che un viaggio di memoria debba anche essere un viaggio nel tempo presente.

Un esempio significativo è l’area di Srebrenica: territorio conosciuto in tutto il mondo per il genocidio e la pulizia etnica del luglio 1995, perpetrato dai soldati, dalle forze di polizia e assecondato da molti civili serbo-bosniaci, con la complicità della comunità internazionale, contro la popolazione di fede musulmana [Dikic 2020; Hasanovic 2019]. A 25 anni da quegli eventi, il territorio compreso fra Srebrenica, Bratunac, Kravica e Blječeva appare ancora bloccato da quei massacri pianificati: la comunità è divisa; difficili sono il dialogo e il proporre progetti di riconciliazione. Dal 2003, migliaia di studenti europei hanno partecipato a viaggi d’istruzione verso il memoriale di Potočari (inaugurato proprio in quell’anno dall’ex presidente americano Bill Clinton) e il compound dei caschi blu delle Nazioni unite: luoghi di culto, di memoria, museali e didattici, geograficamente collocati sulla strada che porta verso Srebrenica [Abram 2020]. L’arrivo frequente e in aumento di studenti, ha dato linfa alla trasmissione conoscitiva di quel segmento così significativo della guerra dei dieci anni; allo stesso tempo ha creato un indotto economico nuovo per quelle municipalità, forse ancora poco sfruttato. Tuttavia, lo stigma di “terra del genocidio”; “luogo di efferati massacri”, “teatro di orrori e violenze”, si percepisce ovunque. Si può respirare nell’aria. Gli studenti che arrivano a Srebrenica sanno cosa è accaduto; quando ripartono, dopo un giorno di visite guidate, spiegazioni e testimonianze, è rafforzata in loro l’idea di essere stati esclusivamente in un luogo memoriale e di sterminio. Tuttavia Srebrenica non è solo distruzione; è un luogo strategico dal punto di vista ambientale, collocato in una zona montuosa al confine con la Serbia, non lontano dal fiume Drina. Prima della guerra erano attive miniere di argento ed era una località termale che richiamava turisti da tutta la Ex Jugoslavia. Nell’ottica di un viaggio nel tempo presente, è bene sottolineare come a Srebrenica siano attive diverse associazioni e collettivi, di impegno e resistenza civica, che tentano di produrre progettualità nuove, soprattutto facendo leva sulle risorse territoriali. Gli studenti di Parma e Modena, durante i due viaggi distinti nel 2018 e nel 2019, dopo aver visitato l’area museale del compound, hanno conosciuto l’esperienza dell’associazione Srebrenica City of Hope attraverso il suo presidente, Irvin Mujcic, profugo di guerra a Cevo (Val Camonica, provincia di Brescia) poi tornato nella sua terra d’origine nel 2014 [Tacconi e Coccia 2020; Ciccolella 2018; Volta 2017]. Mujcic accompagna studenti e insegnanti nel territorio di Srebrenica e si confronta, ogni volta, con la propria esperienza. Tuttavia cerca di lasciare nei visitatori l’idea che quella terra non è solo genocidio; è un insieme di tradizioni antiche, slanci verso il futuro, progetti di rinnovamento pur in un contesto di diffidenza e di problematiche sociali. Lui e i membri dell’associazione Srebrenica City of Hope cercano di proporre un esempio di attivismo civile legato alla cura dell’ambiente e all’accoglienza turistica secondo canoni di sostenibilità, coinvolgendo le comunità locali al di là delle differenze identitarie. L’attenzione per l’ambiente come riscatto sociale e comunitario, come affermazione del diritto a vivere bene nella propria terra: la proposta dell’associazione appare ancora più decisiva in una zona dove deregolazione, affari malavitosi e poca attenzione alla cura del territorio sono condizioni diffuse nell’oggi poiché trasformate in obiettivi cruciali durante il conflitto degli anni Novanta dai “signori della guerra” [Nardelli s.d. a]. La memoria diventa la base per una proposta di rinnovamento e di riconciliazione dal basso; gli studenti, in questo modo, hanno la possibilità di considerare, anche in un’altra ottica, l’esperienza della visita a Srebrenica.

Scrive Ottavio Pugliese, dell’Iis Selmi di Modena:

Irvin, dopo tanti anni trascorsi lontano dalla sua terra per via della guerra, ha deciso di farvi ritorno con la piena consapevolezza che era necessario cercare di ricostruire un senso di comunità e di umanità perduto. Sulle spalle dei giovani grava l’onere di credere in un futuro migliore e di cercare di costruirlo per il bene delle generazioni a venire [Pugliese 2019].

Fig. 7. CBИJEST (Consapevolezza), murales dello street artist Manu Invisible a Srebrenica [Un murales «italiano» per le strade di Srebrenica contro la guerra, https://www.corriere.it/foto-gallery/esteri/17_luglio_11/murales-italiano-le-strade-srebrenica-contro-guerra-6f5b5c98-6619-11e7-99cd-8ba21567bad4.shtml]
Fig. 7. CBИJEST (Consapevolezza), murales dello street artist Manu Invisible a Srebrenica [Un murales «italiano» per le strade di Srebrenica contro la guerra, https://www.corriere.it/foto-gallery/esteri/17_luglio_11/murales-italiano-le-strade-srebrenica-contro-guerra-6f5b5c98-6619-11e7-99cd-8ba21567bad4.shtml]

I viaggi di memoria in Bosnia Erzegovina, organizzati nella regione Emilia-Romagna, seguono solitamente la direttrice ovest-est: spostamenti su bus, sbarco in traghetto a Split, visita a Mostar, base a Sarajevo e visita nella zona della Drina; meno frequenti, in quanto richiedono tempi maggiori, sono gli spostamenti da nord a sud: confine Italia-Slovenia, Croazia, Bosnia (area Republika Srpska) [Antonini (ed.) 2018]. Anche i viaggi di istruzione verso Albania e Montenegro risultano meno frequenti [Abram 2020]. Gli spostamenti verso la Serbia appaiono, invece, in crescita, soprattutto nell’area metropolitana di Belgrado. La capitale del paese è un luogo unico per un percorso di apprendimento geopolitico e storico nella contemporaneità europea (e non solo): le mura di Kalemegdan, fortezza ottomana che domina la confluenza fra i fiumi Danubio e Sava, formano un’aula all’aperto nel cuore della civiltà continentale e delle sue stratificazioni cronologiche. Tuttavia non basta la riflessione storica e memoriale; è necessario accompagnare gli studenti e camminare con loro sulle tracce del mondo odierno, per essere concentrati sul proprio tempo e per aiutarsi nella costruzione della propria identità civica [Nardelli s.d. a]. Andare a Belgrado oggi (ma si può allargare la prospettiva a tutta l’area balcanica) significa confrontarsi, inevitabilmente, con il tema decisivo dei flussi migratori e degli spostamenti a piedi per raggiungere i paesi dell’Unione Europea (la Balkan Way) [Migrazioni. La rotta balcanica 2015]; significa riflettere sull’esistenza dei muri post 1989 (il muro di filo spinato fra Serbia e Ungheria per fermare il passaggio dei migranti) [Tacconi 2019]; significa osservare come gli interessi economici globalizzati travalichino la narrazione e la propaganda nazionalistica (Belgrado Waterfront, progetto di rinnovamento urbano finanziato quasi completamente dagli Emirati Arabi) [Marchesini 2015]. Questioni complesse, solitamente lontane dall’approfondimento e dalla formazione scolastica ordinaria. Anche in questo caso, possono venire in aiuto degli studenti, degli insegnanti e delle guide storiche, esperienze di impegno civico che concretamente lavorano nel tessuto sociale della città. È il caso del progetto Social Café, spazio di aggregazione ed educazione non formale, nel centro per richiedenti asilo di Bogovadja, gestito dall’organizzazione non governativa Ipsia e da Caritas [Corritore 2017; Solaini 2017]. L’incontro con i progettisti, gli operatori, i volontari, gli ospiti permette agli studenti di approcciarsi alle tematiche sopra ricordate con sguardo critico, osservando come da situazioni di svantaggio, di povertà materiale, di discriminazione possano nascere opportunità di lavoro, di integrazione, di resilienza in collaborazione stretta con le istituzioni cittadine. Perciò, nella preparazione di viaggi rivolti a studenti diventa un valore aggiunto la co-progettazione con realtà sociali operanti nel contesto balcanico; così come risulta arricchente il coinvolgimento delle associazioni di emigranti che possono fornire preziose informazioni, dati e competenze. Numerose sono le esperienze di viaggio verso la Serbia, anche extrascolastiche, organizzate partendo dall’Emilia-Romagna: si sottolineano le esperienze formative progettate dall’area Mondialità e giovani della Caritas della diocesi di Piacenza-Bobbio che, nel 2015 e nel 2016, accompagnò un gruppo di volontari e volontarie in un viaggio di approfondimento storico abbinato alla conoscenza del contesto odierno e che aveva in Belgrado una delle tappe più importanti e significative [Caritas Piacenza Bobbio 2016].

Fig. 8. Belgrado, confluenza tra i fiumi Sava e Danubio [foto di Diego Franchi, fotografo Viaggio nei Balcani 2016 a cura di Caritas Piacenza-Bobbio]
Fig. 8. Belgrado, confluenza tra i fiumi Sava e Danubio [foto di Diego Franchi, fotografo Viaggio nei Balcani 2016 a cura di Caritas Piacenza-Bobbio]

7. Il sincretismo culturale dei Balcani

Durante il viaggio nell’ottobre 2018, gli studenti e gli insegnanti di Parma hanno potuto visitare il villaggio di Blagaj, lungo la strada che da Mostar porta a Sarajevo. A Blagaj si trovano architetture di stile ottomano e mediterraneo, un monastero derviscio, la più grande sorgente europea per quantità d’acqua alla fonte, il fiume Buna. L’aspetto più interessante di questo luogo, tuttavia, è legato all’emanazione dell’Ahdnama di Fojnica (conosciuto anche come editto di Blagaj): un documento redatto nel 1463 per volere del sultano Mehmet II el Faith che aveva l’obiettivo di garantire i diritti fondamentali della popolazione bosniaca sotto il controllo ottomano, in particolar modo permetteva importanti concessioni e agibilità ai francescani bosniaci. Trent’anni dopo, Isabella di Castiglia e Ferdinando II d’Aragona firmarono il Decreto di Granada (conosciuto anche come decreto dell’Alhambra) con il quale veniva sancita l’espulsione delle comunità ebraiche dai regni spagnoli e dai loro possedimenti. Davanti al monastero derviscio, mediante la lettura e il confronto fra i due testi, gli studenti hanno potuto constatare come la narrazione di un impero ottomano oppressivo e oscurantista sia parziale e semplicistica; proprio da quell’esperienza è possibile sottolineare «[…] forse la più antica dichiarazione dei diritti umani conosciuta nella storia» [Nardelli 2008]. Concentrandosi sull’editto di Blagaj (con il valore aggiunto di essere sul posto), i viaggiatori hanno colto l’avvio di quell’intreccio di culture che rende la regione balcanica centro dell’Europa (o “cuore” dell’Europa secondo l’interpretazione di Michele Nardelli) e non come periferia [Selenica 2018]. Intreccio di culture che, oggi, si fa fatica a riconoscere come parte fondante della storia europea: mentre le radici cristiane vengono ribadite, difese, considerate aprioristicamente, la cultura e la religione islamica sono spesso rimosse, quasi fossero minacce per l’identità del vecchio continente. Tuttavia negare l’esistenza di più matrici culturali (e i Balcani sono stati un crocevia evidente) significa negare l’idea stessa di Europa [Nardelli 2008]. Il ragionamento sull’intreccio di culture nei Balcani permette agli studenti di considerare in ottica diversa il concetto di Europa: non più solo un continente dalla forte caratterizzazione prima giudaico-cristiana e poi franco-tedesca, ma un’area geograficamente più vasta, dove la multiculturalità ha rappresentato un dato di realtà, base «di un’identità europea che interiorizza la differenza, allergica alle frontiere, ad ogni fissità e finitezza» [Nardelli 2008].

La visita al villaggio di Blagaj introduce in modo efficace anche alla questione della “complessità balcanica”: culture, religioni, sincretismi, stratificazioni di epoche e ideologie si sono mischiate e si mischiano in quei territori. I Balcani richiedono il coraggio di non fermarsi davanti alla complessità, alle difficoltà interpretative, alla tentazione della semplificazione.

Fig. 9. Editto di Blagaj, il documento originale è conservato presso il monastero francescano di Fojnica [foto di Diego Franchi, fotografo Viaggio nei Balcani 2016 a cura di Caritas Piacenza-Bobbio]
Fig. 9. Editto di Blagaj, il documento originale è conservato presso il monastero francescano di Fojnica [foto di Diego Franchi, fotografo Viaggio nei Balcani 2016 a cura di Caritas Piacenza-Bobbio]

8. La paura della complessità

Nelle unità di apprendimento proposte a scuola, la storia dell’area balcanica è trattata, spesso, in modo rapido, senza approfondimenti mirati. Si sottolinea come i viaggi di memoria possano costituire «l’unica opportunità per conoscere il passato di luoghi geograficamente prossimi all’Italia» [Abram 2019]. Il pensiero pregresso circa l’area sudorientale europea è costellato da un immaginario fisso, stereotipi o veri e propri pregiudizi: “la polveriera balcanica”; “la violenza innata dei popoli balcanici”; “terra di odio, arretrata e stagnante”. Emerge, inoltre, un’opposizione Europa-Balcani, civiltà-barbarie che «si basa su un sistema binario di cliché e fantasmi, lontani dalle identità ibride della realtà» [Il fantasma di Tuđman 2013]. Anche per decostruire tale narrazione e riflettere sul perché sia così diffusa nella mentalità comune, appare necessaria una fase formativa accurata che parta proprio da queste convinzioni. In questo percorso preparatorio, gli studenti di Parma hanno potuto dialogare e confrontarsi con Mario Salzano, ricercatore dell’Università di Teramo, diplomato in Scienze islamiche all’Università di Sarajevo. Dall’incontro è emersa una possibile ipotesi sulle motivazioni di questa cristallizzazione dell’immaginario balcanico [Todorova 2001]: è evidente che l’area in questione sia un caso complesso da analizzare da un punto di vista storico, sociale e culturale; questa complessità diventa di difficile controllo e quindi si utilizzano le lenti della semplificazione per fornire categorie, spiegazioni, appigli e anche per marcare differenze con l’idea di avanzamento dell’Europa occidentale. Si cerca di allontanare la complessità per una più sicura e confortevole spiegazione. L’approccio di rimozione, di sottovalutazione, di analisi contradditoria della realtà ex-jugoslava ha contraddistinto, anche, la strategia delle organizzazioni europee e internazionali durante il periodo bellico [Abram 2018]; rincarando la dose, come scrive Paolo Rumiz, si potrebbe parlare di una vera e propria «cecità collettiva» [Rumiz 2011].

Francesca Poli, formatrice e progettista di viaggi di memoria, scrive:

Le guerre dei Balcani ci mettono di fronte a un compito difficile e doloroso. Questa storia è al tempo stesso estremamente complessa ed estremamente semplice. Se non si fa la fatica di coglierne la complessità, è impossibile capirne la semplicità. E soprattutto, ciò che è ancora più importante, la replicabilità [Poli 2018].

La relazione “estremamente complessa/estremamente semplice” in merito alla storia balcanica risulta ardua: approcciarsi alle questioni dell’Ex Jugoslavia significa aprire nuove piste, nuove scoperte, nuovi elementi che acutizzano la complessità di quello spazio geografico, ingarbugliandosi in un labirinto di difficile uscita. Cecilia Riani, studentessa del Liceo Ulivi di Parma, afferma:

Il ritorno ci lascia con più domande che risposte, perché abbiamo compreso che la guerra nei Balcani non è stata una guerra semplice ma complessa, nella quale i buoni e i cattivi non si distinguevano in base all’etnia e i ruoli si mescolavano, causando la morte dei civili di ogni appartenenza, in quello che è stato uno degli scontri più atroci e recenti del continente Europa, ma del quale non si è mai davvero parlato [Riani 2018].

Tuttavia i viaggiatori, con la fatica richiamata da Poli, hanno la possibilità di appassionarsi in modo viscerale alle vicende dei nostri vicini mediterranei, proprio per la complessità del labirinto.

C’è una costante nei viaggi balcanici: la difficoltà di comprensione che alimenta la curiosità e la conoscenza. Durante il viaggio nell’ottobre 2018, i momenti di dialogo con gli studenti sono stati numerosi. Fino a tarda notte si provava a condividere domande, dettagli, impressioni, dubbi sullo spazio bosniaco. Era una comunità di ricerca in movimento che provava a scavare in un mondo nuovo.

Sara Musimeci e Aurora Esposito (Liceo Sanvitale di Parma) pongono l’accento proprio sul viaggio come conoscenza:

Partiamo da Parma in 75, ragazzi e professori per affrontare un viaggio: il viaggio della “memoria”, ma di lì a poco ci accorgiamo che sappiamo poco o niente sulla guerra dei Balcani. Meglio ridefinirlo viaggio della “conoscenza” [Musimeci ed Esposito 2018].

Il 7 ottobre 2018, mentre il gruppo parmense si trovava a Sarajevo, si sono svolte le elezioni per il rinnovo di tutti gli organi del potere centrale e regionale della Bosnia Erzegovina. Lungo il fiume Miljacka, nelle vie e sui muri, campeggiavano i manifesti elettorali dei candidati. Tra i fattori di più difficile comprensione, dopo la dissoluzione della Jugoslavia e gli accordi di Dayton del 1995, vi è proprio il sistema politico bosniaco e la struttura dello Stato: tutto è tripartito (in base alla divisione etnica tra bosgnacchi, croati e serbi di Bosnia), dalla presidenza statale alle assemblee municipali. Gli studenti hanno dimostrato grande attenzione al contesto, interrogandosi su un sistema diverso da quello italiano. Durante il passaggio in traghetto verso Ancona, le discussioni sulla politica bosniaca sono state accese e appassionate in costante relazione con le informazioni storiche acquisite.

Viaggiare nei Balcani impedisce di “fuggire” dal difficile, dalla complicazione, dalla fatica di conoscere. La paura di non comprendere deve essere necessariamente affrontata con coraggio da studenti, insegnanti, guide storiche e progettisti. Si otterrà, diffusamente, la voglia di approfondire. Studiare. Tornare.

Scrive Giulia Lanzafame, viaggiatrice e studentessa del Liceo scientifico Marconi di Parma: «In fondo la Bosnia mi ha lasciata così, con molte domande, forse troppe, e con ancora poche risposte. Pronta nuovamente a ripartire» [Lanzafame 2018].

Fig. 10. Per le strade di Sarjevo [foto di Matteo Diena, studente Viaggio della memoria 2018]
Fig. 10. Per le strade di Sarjevo [foto di Matteo Diena, studente Viaggio della memoria 2018]

Fig. 11. Sarajevo-Sibilja, foto di gruppo [foto di Silvia Mantovani Viaggio della memoria 2019]
Fig. 11. Sarajevo-Sibilja, foto di gruppo [foto di Silvia Mantovani Viaggio della memoria 2019]


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Risorse


Note

1. Il Viaggio della memoria 2018 è stato realizzato a cura dell’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Parma in collaborazione con il Liceo classico Romagnosi, il Liceo delle scienze umane Sanvitale, il Liceo scientifico Ulivi e il Liceo Guglielmo Marconi; d’ora in poi indicato come Viaggio della memoria 2018. Il Viaggio della memoria 2019 è stato realizzato a cura dell’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Modena in collaborazione con l’Istituto superiore Selmi, l’Istituto tecnico Baggi, l’Istituto tecnico industriale Vinci, l’Istituto superiore Venturi e il Liceo scientifico Wiligelmo; d’ora in poi indicato come Viaggio della memoria 2019.