1. L’esigenza di smilitarizzare le colonie, dopo la Liberazione
Dopo la liberazione dal fascismo, riprendendo esperienze di diversi paesi europei, ma anche sviluppando una originale cultura autoctona scaturita dal ripudio dell’educazione giovanile fascista, in Italia le organizzazioni giovanili di sinistra sanno elaborare un proprio spazio rilevante nel promuovere l’attivismo pedagogico, che trova la propria espressione nella rivista dell’Associazione pionieri d’Italia (Api) «La Repubblica dei ragazzi», e in seguito in quella sempre gestita dall’Api, ma più influenzata da Ada Gobetti, «Esperienze educative». Fin dall’inizio il riferimento fondamentale di questo attivismo pedagogico è il Manuale del pioniere: un testo solo in minima parte influenzato da esperienze straniere, elaborazione collettiva dei dirigenti dell’associazione, ma apparso per convenienza a firma di Gianni Rodari, che già si sta facendo una fama di scrittore ed è effettivamente il suo principale autore, ma in questo caso abbastanza restio all’apposizione del proprio nome [Fincardi 2013; Roghi 2020, 58-61].
Subito dopo, viene edito l’opuscolo Colonia felice. Manuale per i dirigenti di colonie marine e montane, fatto stampare nel maggio 1951 da un Comitato nazionale di solidarietà popolare, che appare frutto di una collaborazione tra l’Api, il patronato Inca (Istituto nazionale confederale di assistenza) della Confederazione generale italiana del lavoro (Cgil) e probabilmente anche l’Unione donne italiane (Udi), l’Associazione nazionale partigiani (Anpi) e la Lega delle cooperative. Qui si cerca di sintetizzare molti contenuti della varia editoria per gli organizzatori dell’associazionismo per giovanissimi lanciata dall’Api al suo esordio. Vi si incentra però l’attenzione sulla specifica realtà delle colonie estive, con una riflessione originale e di significativo rilievo, data l’importanza cruciale che questo campo d’azione potrebbe avere per una pedagogia innovativa nel contesto italiano. La storia dell’impegno dell’Api nell’organizzare e animare le colonie è al momento tracciabile essenzialmente attraverso questi manuali. Non sono stati ancora individuati fondi archivistici che documentino come questi progetti all’avanguardia dell’attivismo pedagogico siano poi stati concretamente realizzati in esperienze socializzanti ed educative durante le vacanze dei bambini del secondo dopoguerra.
Il Manuale del pioniere presenta un articolato repertorio creativo di come caratterizzare il calendario di un’annata da praticare per i ragazzi facenti parte dell’associazione. Ma è in particolare l’estate che annuncia la massima concentrazione di attività per i Pionieri, «per considerarlo un campo di lavoro anche più fertile degli altri, perché si ha tutto il tempo a propria disposizione» [Rodari 1951, 248]. E a illustrazione di cosa si possa fare in uno spazio di gioco, la colonia viene vista come una situazione collettiva dove in ogni turno, per un intero mese, i metodi educativi dei Pionieri hanno modo di emergere con tempi e modalità che ne assicurino una buona efficacia. Oltre ai poco frequenti campeggi organizzati dall’Api e poi più spesso dal movimento cooperativo, proprio le colonie estive sono infatti i luoghi in cui l’Associazione pionieri cerca di immettere, come decisivo elemento vivacizzante, le proprie modalità comunicative e pratiche organizzativo-educative. Mentre l’originario modello socialdemocratico austrotedesco dei Falchi rossi prevede soprattutto escursioni e soggiorni nella natura basandosi sugli ostelli, o su attendamenti [Eppe 2000-2001; Fincardi 2000-2001; Fincardi 2008; Mishler 1998; Caroli 2006], e quello comunista sovietico e slavo prevede per questo scoutismo rosso dei ben strutturati “campi dei pionieri” e delle “città dell’infanzia”, i paesi latini dispongono più facilmente di colonie elioterapiche montane e soprattutto marine, che specialmente nella Francia degli anni Trenta hanno rielaborato il metodo dei Falchi rossi e dei Pionieri [Mercier 1998; Mercier 2000-2001; Lee Downs 2000; Lee Downs 2000-2001; Lee Downs 2002]. In Italia, nella sostanziale mancanza di simili strutture, Pionieri e Falchi rossi italiani federati nell’Api idealizzano semmai il campeggio, ma hanno mezzi economici limitatissimi e coi propri metodi educativi sanno di poter raggiungere più facilmente un ampio numero di bambini e ragazzi di ambo i sessi nelle colonie, di cui il regime fascista aveva promosso una diffusione straordinaria, in particolare sul litorale adriatico romagnolo e marchigiano. Rispetto alla sinistra francese, per quella italiana la stagione della possibilità di gestire colonie si è inevitabilmente aperta tardi: dopo la Liberazione, e con una sperimentazione pedagogica presto notevolmente limitata dalle pesanti censure politiche della Guerra fredda e del clericalismo, diventato già a fine anni Quaranta un nuovo occhiuto regime.
Come nelle colonie della sinistra francese, si cerca di non fare di tali strutture un circuito chiuso, ma di tenerle a contatto con le vicende emblematiche della società circostante, soprattutto per ciò che poteva riguardare la propaganda in difesa della pace, o il comprendere le ragioni di contingenti mobilitazioni dei lavoratori. Si cerca di presentare quel mese di vacanza estiva come un’esperienza all’avanguardia, che miri a proiettare il bambino nella dimensione di una ideale società futura, piuttosto che a integrarlo passivamente nella società borghese. Diversamente dalle indicazioni che strutture analoghe d’Oltralpe davano prima della Guerra fredda, nella difficile situazione politica nazionale, che sconta consistenti ritardi nell’elaborazione teorica, ma ha una forte spinta reattiva ad agire da antidoto verso l’educazione fascista [Pagliarini 2021, 171-187, 189-206], il manuale italiano Colonia felice non accenna a mostrare le sue educatrici come modelli a cui guardare proprio in quanto giovani militanti, anche se tali sono in non pochi casi. Gli organizzatori di queste associazioni sono letteralmente affamati di stimoli pedagogici, di cui fino ad allora erano stati tenuti digiuni dalla censura e dal provincialismo culturale autarchico fascista.
Nel definire i ruoli istituzionali del personale incaricato della gestione di una colonia, il Servizio benessere sociale dell’Inca-Cgil premette che «L’organizzazione di una colonia di vacanza, sia marina che montana, è la somma di opere di elementi capaci, competenti, volonterosi» [Colonia felice 1951, 3], cioè con una formazione adeguata di tutto il personale, tuttavia mai disgiunta da una forte motivazione soggettiva, che ne faccia un collettivo sensibile, concorde, entusiasta. Qualche aspetto della «repubblica dei ragazzi» dei Pionieri viene poi parzialmente ripreso nel progetto di «colonia felice», per creare tra i ragazzi delle leadership che si rapportino con l’istituzione, esponendo al direttore richieste e critiche riguardanti la gestione della vita della comunità.
Per rendere maggiormente democratica la vita della colonia e per dare concretamente ai bambini il senso della propria personalità, abbiamo notato quanto sia vantaggioso che i ragazzi stessi partecipino in forma diretta alla organizzazione ed al miglioramento della vita di colonia, provvedendo che essi stessi, tramite una simpatica, ma seria forma elettiva, costituiscano un comitato che abbia la facoltà di presentare in qualsiasi momento osservazioni e desideri al direttore [Colonia felice 1951, 8].
Nella «colonia felice» non si deve produrre una scissione e tanto meno una contrapposizione tra i ragazzi e l’autorità che guida la struttura. Uno degli obiettivi educativi fondamentali della colonia democratica è perciò investire parzialmente i più maturi e attivi tra i ragazzi nella sua conduzione, in un intenso rapporto collaborativo, pur senza mai illuderli che si tratti di un loro ampio autogoverno, o che vengano loro attribuite cariche fittizie di istituzioni adulte, mentre per i capigruppo «le responsabilità dei ragazzi debbono essere precise e chiare». Il «Consiglio dei ragazzi» selezionato facendo eleggere un rappresentante per ogni squadra, una volta chiarite con precisione le sue funzioni, deve invece essere un utile organo propositivo di partecipazione e responsabilizzazione dei ragazzi nella gestione della vita in comunità, oltre che pungolo per suggerire ai propri compagni e recepire da loro iniziative innovative [Colonia felice 1951, 10-11].
La gestione delle attività, come pure l’ordine interno, richiedono perciò organismi a cui partecipino i ragazzi, dove studiare e preparare i calendari delle iniziative e i loro contenuti, in una pratica di autodisciplina, il cui funzionamento deve essere discusso e deve maturare ogni qualvolta ce ne sia occasione. Si cerca di stimolare le squadre a proporre forme innovative di gestione, o il raggiungimento di determinati risultati e primati anche nella logistica della struttura, in modo che ne vengano ben compresi i meccanismi di funzionamento. Lo si fa per esempio nei semplici «lavori sociali» come i turni per la distribuzione di stoviglie e vivande nel refettorio, o per lasciare ordinate le camerate. Per il mantenimento di un’adeguata disciplina individuale e di gruppo nella struttura, intanto, si cerca di responsabilizzare il più possibile gli utenti, in modo che non si creino sfide contro le figure adulte e l’istituzione da parte di singoli o gruppi che cerchino di esibire una propria personalità forte [Colonia felice 1951, 18].
2. Mobilitare e responsabilizzare i ragazzi
La situazione considerata da evitare è di avere nei ragazzi una massa amorfa, come capitava nelle autoritarie colonie fasciste [Mira, Salustri 2019; Ginsborg 2013] e come all’epoca ancora si verifica facilmente nelle colonie che grandi aziende promuovono per i figli dei propri dipendenti. Inoltre, in tutte le colonie dell’epoca un numero ridotto di vigilatori, il più delle volte inesperti, deve occuparsi di un grande numero di ragazzi, spesso senza riuscire a conoscerli e a controllare le dinamiche che si creano tra loro; avere una distribuzione di responsabilità tra l’educatore e i ragazzi nel gestire il gruppo e promuoverne l’identità e lo spirito d’iniziativa porta invece a una collaborazione attiva. Si tratta perciò di stimolare quello che viene considerato l’«istinto associativo» dei ragazzi e di indirizzarlo a un competitivo spirito di gruppo, per spingere ogni singolo individuo a dare il meglio di sé per il successo del proprio micro-collettivo. Fin dall’arrivo in colonia vanno subito costituiti gruppi permanenti che possano risultare organici e dinamici, combinando tra loro fattori come l’età, gli interessi, le attitudini espressivo-creative o esplorative (in montagna) e la provenienza geografica. Già il fatto che esistano gruppi di ragazze e gruppi di ragazzi può sollecitarli a sfidarsi a chi fa meglio.
I piccoli gruppi permanenti così costituiti agiranno sui ragazzi creando tra loro una fraternità, uno stimolo all’aiuto reciproco, uno spirito di corpo che liberandoli dal loro egoismo li metteranno in grado di assolvere a compiti sociali. Ciò che i ragazzi non farebbero per la massa dei loro sconosciuti compagni (ad esempio tenere in ordine la camerata o il refettorio) lo faranno per il loro gruppo, per spirito di gruppo. I gruppi offriranno loro una magnifica occasione per dare libero corso al loro desiderio di emulazione. […] Gli stessi ragazzi, ad uno ad uno, renderanno di più, sentendosi parte viva di un gruppo che si deve classificare e piazzare tra gli altri, per la bravura o abilità, o l’ordine con cui adempie a particolari attività [Colonia felice 1951, 12-13].
Ogni gruppo elegge un proprio rappresentante, che sarà la sua guida, ma anche il componente di un consiglio che si rapporta col direttore della struttura e occasionalmente con una parte degli educatori. Il capogruppo viene sì eletto, ma può essere sostituito se non si dimostrasse abbastanza dinamico o rappresentativo, perché deve sapersi imporre come leader e come pungolo nel lanciare i compagni compatti in ogni attività collaborativa e allo stesso tempo porsi positivamente come intermediario tra i ragazzi e la direzione della colonia, consultandosi con gli educatori per alleviare le funzioni di guida e controllo di questi ultimi. Si possono tenere anche corsi e dibattiti per «curare la formazione dei piccoli capi-gruppo, studiarne il comportamento ed incoraggiarne le iniziative: crescerà lo spirito di emulazione tra un gruppo e l’altro». Ma l’attività di base per farli crescere in consapevolezza e attribuire loro un ruolo concreto e di partecipazione democratica sono le frequenti riunioni del loro consiglio. Queste dovrebbero essere quotidiane (al mattino per valutare il programma giornaliero, anche in rapporto alla situazione meteorologica del momento; oppure dopo cena, per fare un bilancio della giornata o fare programmi dei giorni seguenti) per programmare e coordinare le attività, per valutare l’impegno dei gruppi, raccogliere «i desideri espressi dai ragazzi, i suggerimenti relativi al programma della colonia, le attitudini particolari che si vengono scoprendo nei singoli coloni», ma soprattutto per fare una «critica della giornata trascorsa e di ogni ramo del funzionamento della colonia (mensa, dormitorio, bagni, o gite, ricreazione, attività culturale, ecc.)» [Colonia felice 1951, 17]. Il direttore, talvolta affiancato da altri educatori, presiede i loro consigli, dove «una discussione breve ma intensa ed ordinata permetterà ogni volta di fare il punto dell’andamento della colonia dal punto di vista della disciplina, dell’ordine e del rendimento educativo» [Colonia felice 1951, 18].
Ciascun gruppo si impegna nelle diverse attività ludico-creative, cercando di distinguervisi, e si dota di immagini ed elementi caratterizzanti da esibire anche davanti e dentro le camerate dei dormitori e tra le tavolate dei refettori: oggetti caratterizzanti (belle conchiglie al mare, pigne, ghiande o altro in montagna) o simboli in cartone, un motto, una parola d’ordine e «tradizioni», come un’allegra canzone con parole apposte a un motivo musicale che sia ben noto a tutti. Il gruppo comincia così ad amalgamarsi dalla scelta della propria denominazione, in parte analoga a quella delle squadre scout che si distinguono con un animale totem. Viene «scelto dai ragazzi stessi nome d’animale o di città, di personaggio celebre o di personaggio d’avventura e di fiaba» [Colonia felice 1951, 15]. Al pari degli scout hanno pure un «grido», slogan lanciato dal capogruppo, a cui rispondono in coro gli altri.
La programmazione della giornata interessante «va studiata in modo che il ragazzo abbia una continua e completa soddisfazione per il suo bisogno di moto e di attività», anche ai fini della disciplina, perché se tutti sono assorbiti da iniziative coinvolgenti «riesce impossibile pensare a marachelle, a tiri, a scherzi che possano danneggiare la colonia» [Colonia felice 1951, 20]. Per orientare meglio la partecipazione dei ragazzi, ogni giornata a tema deve avere un proprio motto, una parola d’ordine «di contenuto patriottico, sociale, educativo» proposta e spiegata ai ragazzi, eventualmente da scandire ad alta voce all’alzabandiera [Colonia felice 1951, 23]. Le proposte utili per rendere partecipe tutta la comunità partono dalle «risorse dell’ambiente», valutando cosa abbia in dotazione per attività ludiche la colonia, che dagli anni del regime può essere talvolta fornita di un campo sportivo o perfino di una palestra, o per lo meno di un cortile lastricato o ghiaiato, o di un prato, che possano diventare lo spazio per i giochi collettivi, preferibilmente a squadre. Nelle colonie di maggiori dimensioni va previsto un uso continuativo a rotazione degli spazi sportivi.
Fuori dall’edificio e dai cortili, sono il mare o la montagna ad offrire peculiari risorse ambientali. Al mare innanzitutto la sabbia, per effimere costruzioni di castelli, modellini della colonia, figure fantasiose, costruzioni a tema, piste per palline di plastica che simulino gare ciclistiche in velodromi, o addirittura un immaginario “giro d’Italia”. Tutte attività che diventano coinvolgenti per tutti e più emozionanti se impostate come gare a squadre; non lasciate all’improvvisazione spontanea, che facilmente escluderebbe alcuni ragazzi in una frustrante inattività. Per ragioni di sicurezza, una breve permanenza in acqua va rigorosamente disciplinata e sorvegliata come in qualsiasi altra colonia; dai manuali dell’Api non viene perciò neppure menzionata tra le risorse ambientali. Indicate sono invece ricerche esplorative sulla battigia, per raccogliere, sempre in gare tra gruppi, cose particolari depositate dalle onde e dalla marea: reperti da catalogare, da descrivere nei dettagli, da riprodurre in disegni, o da utilizzare – in particolare le conchiglie – come materiali per costruire oggetti decorativi.
In montagna gli spazi da esplorare e i reperti che si possono trarre dai boschi offrono risorse ludiche ben più notevoli, se i gruppi vengono instradati verso operazioni creative o di ricerca:
I ragazzi possono raccogliere insetti, fiori e foglie, minerali, ecc. Possono sorgere gruppi che si specializzano in questa o in quella raccolta e si interessano allo studio della natura. In montagna, inoltre, per i loro lavori, i ragazzi hanno a disposizione un materiale che si presta ad usi infiniti: il legno, la creta, l’ardesia. Possono intagliare o plasmare marionette, burattini, statuette, ecc.; possono costruire modellini di mobili, giocattoli, ecc. [Colonia felice 1951, 22].
È soprattutto in montagna che le attività escursionistiche possono riuscire meglio e assumere particolari funzioni educative per i gruppi, magari distinguendo le gite per i piccoli o per i grandi, data la loro differente energia; non però muovendosi a caso, perché «la gita acquista carattere dalla meta che le si pone».
È evidente che bisogna tener conto delle possibilità fisiche dei ragazzi, ma non bisogna nemmeno mortificarle […]. La gita serve innanzitutto a soddisfare il bisogno di attività fisica dei ragazzi, ma non deve essere vista solo per questa funzione limitativa. La gita anzi può avere mete educative, essere occasione di studio, oltre che di svago. Nelle vicinanze della colonia si possono trovare quasi sempre mete interessanti: il luogo che ricorda una battaglia partigiana, una fabbrica di prodotti locali, un’azienda agricola, una località storica [Colonia felice 1951, 37].
Ad animare le giornate e i momenti d’incontro collettivi o di gruppo va composto anche un Inno della colonia, con un testo allegro da adattare sul motivo di qualche canzonetta che sia ben nota. Se ne alternerà il canto agli inni patriottici durante gli alzabandiera o nelle gite, poi – cantato durante il ritorno dei ragazzi a casa – si prevede che si legherà nella loro memoria al ricordo di quell’esperienza fuori dell’ordinario.
Vanno poi curati spazi di comunicazione e insieme di riflessione, sempre in una dimensione competitiva tra gruppi. Ogni gruppo deve scrivere su un quaderno un quotidiano «diario di bordo» in cui raccontare cosa succede abitualmente, ma anche fatti significativi, risultati notevoli conseguiti, episodi divertenti, realizzazioni creative, giochi inventati. I dirigenti della colonia e il consiglio dei capigruppo devono dedicare molta cura a far partecipare i ragazzi alla redazione di un giornale murale che incuriosisca, diverta ed entusiasmi con proposte e commenti che contiene:
Deve mutare spesso ed essere divertente, molto illustrato, educativo. Vi disegnano e vi scrivono i ragazzi stessi, parlandovi della loro vita in colonia, scambiandosi le sfide sportive, descrivendo le loro costruzioni con la sabbia o col legno, pubblicandovi la canzone del loro gruppo, battute di spirito, vignette scherzose [Colonia felice 1951, 24].
Da una delle più originali e appassionanti pratiche dei Pionieri viene ripreso e proposto alle colonie democratiche il lavoro di ricerca sociale che coinvolga un ampio numero di ragazzi.
Se nelle vicinanze della colonia si trova un piccolo porto, una cava, una fornace, una segheria, una fabbrica interessante, la gita che abbia per meta questi luoghi può assumere facilmente il carattere di una inchiesta, ossia di uno studio vero e proprio. Ogni gruppo riceve il suo compito: studiare ed osservare particolarmente un aspetto dell’oggetto su cui si fa l’inchiesta. Se ha per meta il porto, ad esempio, un gruppo si interesserà della pesca, un altro del movimento delle navi e delle barche, un terzo dei magazzini, un quarto delle condizioni di navigazione, un quinto gruppo dei commerci più caratteristici del porto, e così via. Il gruppo dei pittori disegnerà vedute del porto, il gruppo dei cercatori dovrà riportare dalla gita del materiale interessante. I risultati delle varie osservazioni vengono poi commentati pubblicamente: ogni gruppo espone il risultato della sua inchiesta, ed ogni gruppo si sforzerà di segnalarsi per lo scrupolo e l’attenzione con cui ha partecipato all’iniziativa. I risultati possono anche essere messi per iscritto. I ragazzi non scriverebbero volentieri composizioni e diari su temi particolari, ma se ogni gruppo ha ricevuto il compito di fare una serie di «interviste», allora vedrete i ragazzi comportarsi con l’entusiasmo e la fantasia di piccoli giornalisti [Colonia felice 1951, 48-49].
Nella redazione dell’opuscolo Colonia felice si può dedurre che anche i capitoli doverosamente dedicati alle nozioni di pronto soccorso e alla prevenzione e cura di malattie infettive e contagiose siano a cura dell’Inca. Per le altre componenti del Comitato nazionale di solidarietà popolare che progetta la colonia democratica pare facile dedurre che i capitoli di carattere prettamente ludico-educative siano invece affidati all’Api, in cui confluiscono e vengono indirizzati pedagogicamente i giovani militanti-educatori di Udi, Federazione giovani comunisti italiani (Fgci), Federazione giovani socialisti (Fgs) e movimento cooperativo. E le differenze sono evidenti: non appartiene agli indirizzi dell’Api l’attribuzione al personale di un rigido, per quanto inevitabile, ruolo di vigilanza. A cominciare dal fatto che nelle pagine redatte dall’Api si chiarisce che sia direttori, sia vigilatori – ma più spesso si preferisce il termine «educatori» – è previsto possano essere indifferentemente dei due sessi [Colonia felice 1951, 12, 17]. L’originalità della colonia democratica viene prevista a partire dall’investire di un ruolo di protagoniste tutte le componenti che vivano quell’esperienza, anche nella precarietà delle strutture che inizialmente accolgono i ragazzi, a pochissimi anni dai disastri della guerra.
Per evitare che lo spirito competitivo limiti il senso di coralità che deve ispirare la strutturazione democratica, o crei contrasti stridenti tra squadre diverse per età e compattezza, o anche «carenze di capacità che esisteranno tra le vigilatrici», occorrerà stabilire periodici grandi raduni festosi di tutta la comunità, in cui ogni sua componente possa offrire il proprio utile contributo alla riuscita giocosa di una giornata o serata, producendo un senso generale di affratellamento. Si dovranno perciò preparare e coordinare alcuni di questi momenti solenni, in cui
Pervenire in un determinato giorno a sommare quanto di meglio è stato fatto nella colonia, organizzando in tale occasione una festa con canti, balletti, piccole recite, gare sportive, esposizione dei lavoretti manuali, ecc. alla quale noi riteniamo opportuno che sia invitata anche la popolazione del luogo [Colonia felice 1951, 8].
3. Un’associazione per promuovere un’infanzia nuova
L’Api, alle sue origini, è il nucleo essenziale di riflessione della sinistra, in questo campo. Il suo principio è di intervenire con elastica capacità d’adattamento in tutte le situazioni in cui si possano coinvolgere i ragazzi, rendendoli protagonisti di esperienze educative defascistizzate, a stretto contatto con le dinamiche sociali e culturali che richiedano il coinvolgimento della solidarietà popolare: «L’applicazione dei principi educativi si determina con attività locali e nazionali. Gli avvenimenti esterni derivati dalle lotte del Paese, così come dal contesto internazionale, suggeriscono sempre nuove iniziative e atti di solidarietà» [Pagliarini 2021, 64]. L’ingente patrimonio edilizio costruito a beneficio dell’Opera nazionale Balilla e della Gioventù italiana del littorio, di cui anche la maggior parte delle colonie faceva parte, una volta acquisito da un contenitore inconsistente come la Gioventù italiana, istituita nel 1943 dal governo Badoglio, nel dopoguerra è stato per lo più adibito ad altri usi, o trasferito con politiche clientelari a enti assistenziali, in prevalenza istituzioni confessionali cattoliche e in pochi casi a enti locali o assistenziali laici [De Lazzari 1972; Magnanini 1987]. L’Api – tanto più per la scomunica emanata dal Sant’Ufficio nel 1949 contro i suoi organizzatori e contro i bambini iscritti e le rispettive famiglie di questi ultimi – sa benissimo di non poter contare su numerose di queste strutture, per lo più controllate da organismi clericali. Infatti, fin dal suo esordio l’associazione si propone alle strutture educative gestite da enti locali di sinistra, dall’Anpi, da cooperative, o dall’Inca. Solo per fare qualche esempio, sono strutture di questo tipo la Colonia assistenza figli dei martiri della libertà, a Pesaro, destinata ai bambini di partigiani caduti [1], o di sindacalisti incarcerati, condotta da Anpi e Udi, associazioni che conducono pure una colonia a Riccione, mentre l’Udi ne gestisce in proprio un’altra a Miramare di Rimini e una montana a Castelluccio di Porretta Terme.
Dove enti locali si indirizzano alla gestione dell’Api, il clericalismo interviene sistematicamente nella denuncia politica, ma anche nel sollecitare censure governative e giudiziarie, o controlli delle forze dell’ordine [Fincardi 1997-1998; Soddu 1998]. Nel più noto dei vari opuscoli diffamatori dell’Api, don Lorenzo Bedeschi riporta gli interventi di una consigliera comunale democristiana per accusare nel 1951 il Comune di Genova di simulare nelle proprie colonie una libertà per i bambini di frequentare la messa nei giorni festivi, perché «lasciarli liberi di andare a messa è come lasciarli liberi di andare a scuola» [Bedeschi 1951, 49]; dunque la partecipazione ai riti religiosi viene considerata un obbligo istituzionale che un Comune dovrebbe mantenere. Inoltre si sostiene che di domenica – con intenti maligni – si tengono nelle colonie municipali genovesi passeggiate o giochi attrattivi, a cui nessun bambino vorrebbe rinunciare per andare invece a messa; dunque questo intervento della consigliera comunale cattolica indicava che in tali giorni i bambini vanno mantenuti nell’inattività, per essere indirizzati ai riti religiosi. Anche l’assedio, la denigrazione e la supervisione invadente dell’Azione cattolica e del clero verso queste colonie – raccogliendo, incitando e diffondendo ogni genere di vociferazione denigratoria – restano una costante fino a tutti gli anni Cinquanta, di cui va tenuto conto nel valutare il contesto che penalizza simili esperienze educative estive. Come nei campeggi dell’Api, a nessuno che lo richieda si impedisce la frequentazione di riti religiosi; ma nei programmi laici della colonia la dimensione religiosa rimane assente, non appartiene alla normale vita collettiva; e nei manuali dell’Api è normale non se ne faccia il minimo accenno.
Verso queste gestioni laiche, il metodo pedagogico dei Pionieri viene proposto dalla sinistra italiana come sistema organizzativo per orientare le colonie a un’animazione improntata in senso democratico progressista: «Dov’è possibile, per i rapporti esistenti con le organizzazioni democratiche, l’Api contribuisce all’organizzazione dell’attività nella colonia mettendo a disposizione dei dirigenti le sue pubblicazioni, le sue esperienze e i dirigenti stessi dell’Api» [Rodari 1951, 249]. Nel Manuale del pioniere si prospetta anzi che l’immissione in tali strutture di un reparto costituito di esperti pionieri ne possa divenire un trascinante elemento vivificante [Rodari 1951, 249-250]. Di tale ipotesi non si trova traccia nel successivo opuscolo Colonia felice: è subito abbandonata, per non creare distinzioni tra i ragazzi, compresi quelli che già siano associati all’Api. Del resto, nelle colonie estive che è chiamata a gestire, l’Api non cerca di monopolizzare la situazione e non pone problemi di reclutamento alla propria associazione. Anche quello che nel Manuale del pioniere era all’inizio chiamato «Comando» viene perciò subito ripensato come «Consiglio dei capigruppo», per coinvolgere il più possibile dei leader spontanei dei ragazzi, chiamati a funzionare da guide creative e dinamiche per i rispettivi gruppi, in una interazione sistematica tra i giovani operatori e i capigruppo.
Come per formare istruttori dei reparti di pionieri, per creare il personale educativo delle colonie l’Api istruisce i propri monitori, sempre ragazze e ragazzi aderenti alla Federazione giovanile comunista e a quella socialista, e in particolare ragazze dell’Udi [Pagliarini 2021, 67, 86, 88].
Ovviamente, per mancanza di mezzi, nessuno dei monitori dell’Api viene stipendiato, ma riceve solo la gratitudine dei ragazzi, delle loro famiglie e delle organizzazioni dei lavoratori, in qualche modo orgogliose di potere vedere in tale ruolo figli del popolo, anziché le fiduciarie e i fiduciari di origine borghese che durante il regime fascista assumevano ruoli di guide per i giovanissimi, per intrupparli fin da bambini. Ora la sinistra cerca invece di formare tra i ceti popolari i giovani educatori [Pagliarini 2021, 86, 88].
Per loro c’è l’acquisizione di una nuova cultura e di una antagonista dignità sociale, nell’elaborare insieme a tanti altri loro compagni e compagne delle forme educative alternative a quelle militaresche che il fascismo aveva riservato a loro, mentre tanti giovani di estrazione popolare le hanno rigettate con disgusto, soprattutto nel corso della guerra. Restano alternative anche all’educazione gentiliana e a quella confessionale, che prima avevano in buona parte pervaso le istituzioni scolastiche e culturali di regime, e poi nel dopoguerra rimangono a maggior ragione oppressivamente egemoniche.
Il giovane presidente dell’Api, Carlo Pagliarini, ha lasciato anche appunti specifici sulla formazione di assistenti impegnate e impegnati dall’Api nelle colonie. Incerto sulla datazione di questi corsi da lui tenuti a Roma, mezzo secolo dopo presume collocarli nel 1950 o 1951, cioè quando l’Api è appena sorta. L’impostazione dei corsi – tutta interna alle organizzazioni di sinistra – è caratterizzata da un’impronta ideologica classista e laicista decisamente più marcata ed esplicita rispetto alle istruzioni contenute nel Manuale del pioniere, e polemica verso l’educazione borghese che ispira tanto la scuola di base come lo scoutismo [2]. Pagliarini si rende conto che spazi, mezzi e tempi a disposizione per indirizzare la mentalità dei ragazzi sono esigui [3]. Eppure, l’ambizione dei giovani dirigenti dei Pionieri è di elaborare un’educazione progressista all’avanguardia, radicalmente differente da quella praticata nel regime fascista e in seguito da quella proposta dalle istituzioni cattoliche e borghesi [4]. Che il metodo proposto possa avere già incontrato una sperimentazione, da Pagliarini viene dato per scontato, nonostante l’Api sia stata appena istituita. Non sappiamo se contatti dell’Api con affini associazioni francesi e svizzere (cioè le sole con cui nel 1950 è consentito un collegamento a Pagliarini o ad altri giovani educatori dell’Api, a cui ancora viene impedito dalla Guerra fredda di viaggiare nell’Est Europa) abbia già permesso di recepire dei modelli educativi dai loro metodi già consolidati. Le esperienze che ci si preoccupa senza dubbio di menzionare sono però quelle dei paesi socialisti, dove lo spirito emulativo e la proiezione ideale nel futuro sarebbero insiti già implicitamente in quelle società, generose nel promuovere l’aggregazione dei ragazzi in strutture a loro destinate [5]. Pagliarini dà per scontato che il proprio modello aggregativo per i ragazzi superi in attrattività quelli vecchi del fascismo e pure dello scoutismo, ma tanto più quello dell’Azione cattolica, strutturalmente minato da insanabili ipocrisie [6]. Ci sarebbe tutto un rapporto di onesta lealtà nel mobilitare e guidare i gruppi di ragazzi a fare indagine sociale e culturale per avere chiavi interpretative del mondo in cui crescono, con obiettivo primario dichiarato «conoscere la realtà», anche utilizzando i percorsi di crescita impliciti nei giovani protagonisti delle fiabe quando partono alla scoperta del mondo [7]. Gli obiettivi di contenuto e di metodo sarebbero quelli ritenuti idonei a formare il giovane soggetto democratico, che non accetta passivamente i ruoli consueti al proprio ambiente, ma – pur privo di settarismi – diviene capace di trasformare in senso socialista la vita civile in Italia, a partire da giochi e studio tra i coetanei. Sarebbe in pratica una responsabilizzazione che non deve significare mai sottomissione a regole imposte dall’esterno [8].
4. Strutture e mezzi a disposizione, dal dopoguerra al boom economico
Limite evidente di questi fabbricati destinati ai ragazzi dei ceti popolari è di essere stati originariamente concepiti dal fascismo sul modello di caserme o di campi d’addestramento sportivo o paramilitare, prima che dotati di spazi e attrezzature per il divertimento. I giovani uomini e donne che costituiscono i quadri organizzativi dell’Api sanno – per avervi loro stessi soggiornato nel ventennio precedente – quanto quei luoghi siano da sempre recinti dove diverse ore della giornata vengono trascorse dai bambini in una noia che fa apparire costrittivo e a tratti penoso quel mese di permanenza lontano dalla famiglia. Si pone quindi con urgenza il problema di variare o scombussolare, con giochi che rendano protagonisti i ragazzi, una routine scandita solo dagli alza e ammainabandiera quotidiani al canto di inni patriottici, dall’accesso in squadra alla mensa, dalle ripetitive passeggiate all’esterno, rigorosamente in fila per due, da qualche scialbo gioco improvvisato – quando non piova – nel paio d’ore in spiaggia al mare, o alternativamente nelle pinete montane:
Il principale desiderio dei ragazzi e delle bambine che si trovano in una colonia marina o montana è quello di vivere intensamente la loro vacanza, di imparare cose nuove attraverso i giochi, le gite, le attività della lunga giornata del colono. Il pericolo principale è, al contrario, la noia, che nasce dall’ozio. Riposo non deve significare mai ozio. L’ozio è un terribile disorganizzatore, è un nemico della vita collettiva, e può minare il successo di una colonia [Rodari 1951, 249-250].
Non si tratta solo di superare l’isolamento malinconico a cui spesso vanno incontro alcuni dei bambini, ma di renderli partecipi del vivacizzare lo spirito della comunità e allo stesso tempo del formarsi personalmente un carattere da protagonisti, consapevoli di un proprio ruolo propositivo, necessario al gruppo: «attribuendo ai ragazzi delle responsabilità e incoraggiando la loro attività, si tiene desto il loro interesse nella vita della colonia, si migliora la disciplina collettiva ed il carattere individuale dei coloni» [Colonia felice 1951, 250]. La partecipazione democratica trova uno strumento nel consiglio dei capigruppo e l’intensità dell’esperienza è animata dalle numerose attività, un quotidiano giornale murale, un coro, una piccola filodrammatica, delle squadre sportive, un eventuale gruppo di aquilonisti, o altri intrattenimenti che possano divertire tutti i ragazzi.
Il ricco patrimonio di giochi descritto nel Manuale del pioniere e dalla rivista mensile «La Repubblica dei ragazzi», o elaborato spontaneamente in qualche reparto di pionieri, può costituire il repertorio base per dare a una colonia democratica la sua impronta essenzialmente ludica, che crei una cesura con le autoritarie e noiose gestioni militaresche del passato: «Il modo migliore di riposare è di cambiare gioco. Bisogna cambiare gioco spesso, prima che i ragazzi si annoino, anzi prima che si accorgano di annoiarsi» [Colonia felice 1951, 251]. L’esigenza di sondare aspirazioni e desideri dei bambini, per tenerne conto nella gestione della colonia e al contempo avere di conseguenza un’azione di autodisciplinamento della comunità infantile, resta un elemento caratterizzante con forza le proposte dell’Api. L’associazione mette al centro dei propri ideali la formazione di un cittadino nuovo, con ragazzi dotati della capacità di agire collettivamente, ma in autonomia, pur influenzati e ispirati alle figure dei propri giovani monitori. È questa la formazione che, da una comunità temporanea di ragazzi, si conta poi di trasferire stabilmente a una società futura improntata al collettivismo democratico.
Un impegno particolare lo si mette nel proporre attività per la sera, cioè il momento in cui spesso i ragazzi sfaccendati sentirebbero più la struggente nostalgia degli affetti famigliari e del proprio ambiente di provenienza, mentre il crepuscolo e il buio si presterebbe invece per molte coinvolgenti attività suggestive, a partire dallo stimolare le capacità di intrattenimento che i ragazzi stessi sentono di possedere.
Un numero stragrande di ragazzi, nel nostro paese così dotato di fantasia, sa fare qualcosa: una macchietta, un’imitazione, suonare uno strumento, cantare una canzone, compiere un salto mortale, recitare, danzare, raccontare barzellette. Di queste abilità il dirigente di colonia si serve continuamente, per animare le serate, per improvvisare piccoli trattenimenti dopo il pasto serale [Colonia felice 1951, 41-42].
Quello in cui occorre che i pionieri si impratichiscano è creare il gruppo che fa crescere il proprio orgoglio corale e un’identità collettiva in particolare attorno ai falò serali.
Il falò resterà tra le cose più suggestive e meravigliose della colonia. […] I ragazzi ricorderanno a lungo questi falò e le cose nuove che vi avranno appreso. La promessa di un bel falò potrà inoltre servire per ottenere una migliore disciplina nella colonia: il falò può essere considerato un premio alla piccola collettività per il suo buon comportamento [Colonia felice 1951, 46, 48].
Riprendendo la pratica imitata dai nativi americani e introdotta mezzo secolo prima nel metodo scout, cioè di usare il falò come momento dei «racconti di caccia», i Pionieri cercano di rendere quell’affascinante momento di riunione un momento di solenni o ilari narrazioni, con serate a tema, che diventino il principale momento galvanizzante nella vita della colonia:
I dirigenti della colonia possono tenere a turno i “racconti attorno al fuoco” o invitare visitatori particolarmente adatti. I temi dei “racconti” devono essere divertenti: l’astronomia, i libri dei ragazzi, il falò delle canzoni, il falò delle fiabe, il falò delle avventure e così via [Rodari 1951, 249-250].
Ci si distacca un po’ qui dai racconti su cui si vorrebbero invece far insistere i falò dei campeggi veri e propri dei Pionieri e dei Falchi rossi, dove i narratori più ricercati sono invece i partigiani che raccontino le imprese della guerriglia in montagna [Colonia felice 1951, 185-193; Boiardi 1951]. Tuttavia, tra le canzoni dei Pionieri che si ripropongono nella Colonia felice c’è il Canto del fuoco che cerca di vedere nei pionieri raccolti attorno al fuoco i ragazzi che ripercorrono idealmente le rivoluzionarie gesta eroiche di quelli che vengono presentati come i loro antesignani del Risorgimento e poi della Resistenza.
In silenzio si spegne la fiamma
E il Pioniere nel cuor sogna già
Di marciar sulle strade del mondo
Verso il sole della libertà [Colonia felice 1951, 96-97].
Nella colonia ispirata dall’Api sono le canzoni a richiamare attorno al falò il clima della Resistenza, o il senso di gruppo dei Pionieri, o anche le identità folkloriche italiane:
Attorno al fuoco un piccolo coro canta le canzoni dei partigiani, dei pionieri, le canzoni regionali. Di ogni canzone si parla brevemente, per illustrarne l’origine, per spiegarne il significato. Anche le canzoni possono essere «messe in scena»: il coro si dispone per formare un quadro vivente, ispirato al tema della canzone: si ha così una scena cantata. Particolarmente adatte per questo sono le canzoni partigiane [Colonia felice 1951, 46-47].
Di questi fuochi notturni si suggerisce di farne quattro o cinque ogni turno, magari il sabato sera, ciascuno con differenti caratteristiche tematiche; oppure si possono organizzare a coronamento di quattro giornate straordinarie da organizzare, come diremo, nel mese di permanenza, ricalcandone gli specifici temi: sport, lavoro, lunga marcia, pace. Nei falò del sabato, oltre ai repertori canori appena menzionati, possono esserci delle serate della canzone in cui ogni bambino che conosca canti interessanti viene invitato a esibirsi, e una graduatoria dei cantanti viene fatta in base all’intensità degli applausi. La stessa pratica si può realizzare invitando tutti i ragazzi che conoscano a memoria poesie, filastrocche o brani suggestivi in prosa a recitarle, sempre offrendo il riconoscimento di classificarli in base agli applausi ricevuti. Nel falò della fiaba, invece, qualche favola celebre viene narrata ad alta voce, mentre ragazzi e ragazze in costume ne rappresentano le scene, con sfilata o balletto finale dei personaggi attorno al «fuoco che fornirà la messinscena e la coreografia» [Colonia felice 1951, 46]. Nel falò dedicato ai romanzi per l’infanzia si declama una brevissima sintesi di diversi testi, ognuno dei quali è rappresentato da un ragazzo che regge un cartello con titolo e autore. Nel falò delle stelle un esperto mostra giocosamente le principali costellazioni, i pianeti e satelliti, spiegando modi semplici per riconoscerli, coadiuvato da un gruppo dei «piccoli astronomi» già ben istruito in precedenza.
Per le attività diurne, invece, la forte caratterizzazione di ogni turno dovrebbe venire da quattro momenti programmati e ritualizzati solennemente, in cui convergano tutte le principali attività ludico-creative o la voglia di scoperte in gruppo che animano i ragazzi. Gli scopi per “le quattro giornate” sono di scandire quel mese di permanenza in colonia e di creare nella coralità e nelle passioni di queste grandi occasioni d’incontro degli ulteriori affiatamenti di gruppo ristretto e di comunità:
L’attività sportiva, ricreativa, artistica e di lavoro dei ragazzi in colonia può essere programmata, per la durata del corso, attorno a quattro grandi “giornate”: la giornata dello sport, la giornata del lavoro, la giornata della “lunga marcia”, la giornata della pace e della fratellanza tra ragazzi di tutto il mondo [Rodari 1951, 252].
Di entusiasmante deve esserci la riuscita di quattro momenti straordinari di mobilitazione della colonia, annunciati con solennità all’inizio di ogni turno, e nei giorni precedenti agli eventi spiegati con precisione ed enfasi, in modo che i ragazzi preparino l’occorrente per ciascuna di esse e per accendere le loro aspettative e fantasie. Sono ricorrenze che intensificano la partecipazione e le mobilitazioni, per scandire il tempo di permanenza in colonia. In esse si cerca di attrarre pure i ragazzi dei centri abitati prospicienti, come momento conoscitivo di scambio tra la colonia e l’ambiente in cui si colloca [Colonia felice 1951, 25].
Il Manuale a firma di Rodari si ferma a sintetici suggerimenti organizzativi e suggestioni psicologiche su come organizzare le colonie secondo il metodo dei Pionieri. Ad addentrarsi nel dettaglio in consigli ed indicazioni pratiche – anche meno espressamente collegabile a una specifica etica politico-civile – è l’opuscolo Colonia felice, nel quale cinque dense appendici mostrano degli strumenti a disposizione degli animatori delle attività della colonia, siano questi adulti, oppure leader tra i ragazzi. In ordine, riguardano i temi strategici per le varie attività: 1) Materiale per la filodrammatica in colonia; 2) Poesie e filastrocche; 3) I canti; 4) Per le biblioteche in colonia; 5) Per il gioco. Sono un vero e proprio prontuario di percorsi utilizzabili per animare la colonia. Le prime tre appendici riguardano testi da declamare o cantare dai bambini che, singolarmente o in gruppo, si esibiscono durante le feste e i falò.
La lettura è poi necessaria per la recitazione e l’apprendimento di canzoni, o di giochi: tutte attività su cui parecchio si insiste. Il manuale Colonia felice non manca infatti di inserire la quarta appendice su apposite biblioteche. Alcuni libri possono in particolare servire a supporto di diverse ricerche di gruppo che vengono consigliate e sollecitate. In questo caso, si suppone che sia presente nell’ufficio della direzione una piccola specifica dotazione di libri a uso didattico su argomenti naturalistici, o illustrativi di un ambiente e delle sue caratteristiche geografiche ed economiche, o dei mestieri della popolazione locale. La proposta più originale dell’Api è infatti di mobilitare i ragazzi a intervistare persone, interpretando il ruolo di giornalisti in erba, sia all’interno che all’esterno della colonia [Colonia felice 1951, 49].
Per quanto non vengano mai esplicitati riferimenti ideologici – al di là della proclamata e praticata amicizia per i lavoratori, o l’utopica proiezione verso ideali di fratellanza universale e pace – la vita in colonia per questi giovanissimi è chiaramente impostata secondo un modello di piccola comunità ideale di tipo socialista. I ragazzi vengono portati a interiorizzare comportamenti ritenuti appropriati in una società collettivista, dove ciascuno autodisciplina la propria condotta in funzione del gruppo e della sua produttività, attenuando il più possibile l’autorità coercitiva degli adulti. Li si vorrebbe portare ad essere soggetti, anziché oggetto, di un percorso educativo radicale.
Negli anni Cinquanta la colonia democratica si distanzia nello spazio e nella gestione del tempo dalla quotidianità che i bambini vivono a casa e a scuola, o nell’avvio precoce al lavoro. E – a differenza della scuola o dell’apprendistato al lavoro – può farlo in una coinvolgente continuativa dimensione temporale di 24 ore al giorno, ininterrotta per un mese. Con quel mese di vita comunitaria organizzata in buona parte autonomamente dagli ospiti, la colonia democratica ci tiene assolutamente a differenziarsi da strutture analoghe gestite da istituzioni borghesi e confessionali, presentandosi come uno spazio “altro” egualitario e laico, dove si può sperimentare una società futura differente da quella dove i giovanissimi crescono normalmente. Una problematizzazione in tal senso dell’esperienza offerta viene resa chiara agli educatori, e probabilmente viene spontaneamente percepita da una parte dei ragazzi, coscienti di un orientamento di sinistra delle proprie famiglie; mentre gli altri vivono e possono apprezzare senza rifletterci quel vivace funzionamento di una struttura basata sull’attivismo pedagogico. Questo percorso educativo si colloca in una dimensione che Michel Foucault avrebbe definito “eterotopica” [Foucault 2010]: approfitta del distacco dei ragazzi dal tempo normale dell’anno e dalle relazioni sociali abituali, per immergerli in concrete dinamiche di un contro-mondo, di una piccola società con regole e pratiche alternative a quelle consuete, che nemmeno i lavoratori e le lavoratrici socialisti e comunisti – quali per lo più sono i genitori di quei bambini – riescono a praticare nella loro quotidianità. Si vogliono restituire – alla famiglia, alla scuola e al loro ambiente di vita – dei bambini transitati non solo in un percorso salutista, ma capaci di riflettere sulla propria posizione soggettiva, cambiati nei comportamenti, nella mentalità e nelle aspettative sociali, rispetto al loro primo ingresso nella colonia gestita coi metodi dell’Api.
Sciolta l’Api alla fine degli anni Cinquanta, pur con diversi dei reparti urbani meglio organizzati presto reinquadrati nel circuito dell’Arci (Associazione ricreativa e culturale italiana), sempre sotto la guida di Carlo Pagliarini, nel 1961 il manuale per le colonie amministrate dai Comuni di sinistra recepisce parzialmente il metodo dell’Api e lo sviluppa considerevolmente per adattarlo ai tempi, alle maggiori risorse di enti locali che stanno apprestandosi a sviluppare un moderno stato sociale, con programmi pedagogici per quanto possibile laico-progressisti; ma ovviamente anche con un apparato istituzionale che deve mostrare solide e inattaccabili garanzie giuridiche, attenuando lo spirito libertario e l’incoraggiamento alla spontaneità dei ragazzi, che negli anni Cinquanta ancora ha potuto entusiasmare l’associazionismo antifascista nel pervadere il proprio volontarismo con quello spirito garibaldino che nell’Api ha trovato piena e creativa voce. Il nuovo manuale La colonia di vacanza è un robusto volume destinato agli operatori assunti stagionalmente per gestire i soggiorni estivi dei bambini e per orientare il personale degli assessorati comunali di sinistra nel promuovere e gestire questo tipo di servizio. Se il libro è opera di undici collaboratori, di varie provenienze associativo-istituzionali, tra loro salta agli occhi la presenza di figure come Dina Rinaldi, Carlo Pagliarini e Girolamo Federici: la passata dirigenza dell’Api, ormai ben adulta, ma sempre entusiasta nel proporsi come solida guida nelle aggregazioni di ragazzi.
Bibliografia
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Risorse
Pioniere
Note
1. Foto e notizie su questa colonia, stabile riferimento dell’Api, nel sito web www.ilpioniere.org.
2. Archivio Fondazione Gramsci Emilia-Romagna, Fondo Pagliarini, b. 2, f. 36, API/Convegni, Seminari. Corso per assistenti di colonie, Roma, p. 2.
3. Ivi, p. 4.
4. Ivi, pp. 3-4.
5. Ivi, p. 4.
6. Ivi, pp. 3-4.
7. Ivi, p. 5.
8. Ivi, pp. 5-8.