1. L’impossibilità del viaggio

Correndo sulle scale del civico 38 di Via Zamboni, in piena zona universitaria bolognese, i gradini si salgono a due a due. Sarà la balda giovinezza, sarà l’anelito per la conoscenza o magari il treno in ritardo. Le gambe corrono e la mente dietro, distraendosi, però, dall’ambiente circostante. Murales variopinti fanno da corrimano alla libertà di pensiero, a ogni svolta, a ogni rampa. Sulle scale del 38, anni fa, ve ne era uno in particolare, che recitava: «Lei è all’orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l’orizzonte si sposta dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l’utopia? Serve proprio a questo: a camminare» [Galeano 2006]. Le parole di Eduardo Galeano indicano, in forma verbale, l’immagine di un viaggio inesauribile. Un viaggio che sì, esiste, nei termini leediani del partire, transitare e arrivare [Leed 1992], ma che svanisce proprio in quest’ultima istanza, come un miraggio, ricomparendo sbiadito all’orizzonte. Una meta che, per quanto infissa sulla cartina e benché ci si intestardisca a raggiungere, rimane inafferrabile. Non importa quanto lungo il viaggio e quanto aspra la via – non vi si arriva. Altrimenti, del resto, non sarebbe un’utopia.

Nel secondo dopoguerra – ma, a conti fatti, anche nei venticinque anni antecedenti – l’Unione Sovietica rappresentava in modo sfolgorante il simbolo della terra promessa del Comunismo, il faro delle masse. E Mosca, sua capitale, il centro del potere del popolo. Proprio Mosca, nel 1957, fu la destinazione virtuale del convoglio storico, mnemonico e ferroviario, oggi rimasto inciso nelle pellicole del Fondo Pasi, conservato a Bologna presso Home Movies - Archivio nazionale del film di famiglia1. L’utopia proletaria, orfana di Stalin e affidata alle mani di un potere al tempo stesso saldo e in fieri, sembrava finalmente tangibile. Questa peculiare semantica del viaggio miscela da un lato il fenomeno del viaggio stesso come concezione ideologica e dall’altro, invece, lo assimila nella sua accezione fisica. Se quest’ultima si concretizza nel movimento ferro-tranviario – «un semplice spostamento nello spazio» [Leed 1992, 17] – tuttavia, la prima attinge invece all’ideologia di cui sopra, la fede politica della sinistra e del Pci (Partito comunista italiano). Proprio in riferimento a ciò, infatti, Sauro Ravaglia, fra gli intrepidi partiti per Mosca, ricorda come l’Unione Sovietica fosse inviolabile. Anzi,

Fu un avvenimento anche per Alfonsine, insomma, andare a Mosca, perché allora non c’era mica andato nessuno eh; c’era andato Togliatti, c’era andato [sic] i capi del Partito Comunista, ma… di gente non c’era andato nessuno. Nessuno!2.

Il viaggio in Urss era un viaggio politico, diplomatico, riservato alle alte sfere: estremamente elitario. Togliatti, in questo, sembra quasi rappresentare un profeta, foraggiando difatti la mitologia delle Repubbliche Sovietiche e il loro baluginare in un immaginario vigoroso quanto impalpabile. Un luogo precluso, insomma, che sussiste come racconto e come emanazione di un’idea. È per questo che l’estate del 1957 si staglia nel torpore della Guerra fredda. Nonostante le pressioni di regime sul comportamento da tenere verso lo straniero [Koivunen 2009, 57], fu un’atmosfera dai tratti «così distanti dal grigiore delle delegazioni ufficiali, dei diplomatici, dei pochi giornalisti o uomini d’affari che per anni avevano costituito l’unico ‘turismo’ straniero in Unione Sovietica» [Piretto 2018, 379]. Lo scafandro dell’utopia, insomma, sembrava sul punto di sgretolarsi e rivelare l’inclito tesoro a quanti, in quel raro agosto, avrebbero peregrinato fino alla Piazza rossa.

2. Il treno va a Mosca

La comunità di Alfonsine, in provincia di Ravenna, baluardo rosso della Romagna, era stato oggetto

della violenza bellica, tra la fine del 1944 e il 1945. Il 10 aprile ne avvenne la liberazione a opera, fra gli altri, del Gruppo di Combattimento “Cremona”, tra le cui fila era inquadrata la 28a Brigata Garibaldi della Resistenza partigiana. Della brigata, combatterono nella battaglia del Senio due partigiani alfonsinesi: Enzo Pasi e Luigi Pattuelli. Quest’ultimo, soprannominato “E Profes” per i suoi modi estremamente garbati, fu pioniere tra quelli che si iscrissero alla sezione locale del Pci dopo la guerra. Il primo, invece, era un meccanico che, nel 1954, comprò la prima cinepresa 8mm del paese. Nella febbre della ricostruzione Pasi, prima di dedicarsi precipuamente a soggetti familiari a partire dai tardi anni Sessanta, era stato un cineamatore della società. Nei suoi film compaiono il veglione del 1955 alla sede del Partito, la Festa dell’Unità del 1956 e gli ospiti illustri – dal sindaco Oreste Rambelli al senatore Ennio Cervellati, fino al padre costituente Giuliano Pajetta. Alfonsine, nei film di Pasi, oscilla tra politica e comunità, famiglia e amici, cortile e villaggio indaffarato. Sauro Ravaglia, invece, più giovane di questi, faceva il barbiere di mestiere, ed era a capo della sezione locale della Fgci (Federazione giovanile comunista italiana), ricostruita per volere di Enrico Berlinguer nel 1949 [Goretti 2011, 52-53].

In quel periodo, l’Unione Sovietica era impegnata su due fronti. Da un lato lasciarsi alle spalle lo stalinismo, condannandone le dottrine cultuali, e avviare la destalinizzazione; dall’altro affrontare competitivamente la politica globale, decurtando lo sforzo bellico e concentrandosi sull’economia e sulla cultura, nell’ambito della «coesistenza pacifica» di impronta chruščëviana. Mosca, tuttavia, risultava ancora inaccessibile. Le uniche aperture dell’Urss, a metà tra il confronto culturale e il turismo, erano rappresentate dal Festival mondiale della gioventù e degli studenti, organizzato con cadenza biennale sin dal 1947 nelle capitali in orbita all’Unione Sovietica. Nel 1957, tuttavia, dando seguito a un progetto di due anni prima, fu deciso di portarlo a Mosca [Koivunen 2009, 47-48]. Il festival, che serviva come megafono della politica comunista, ad attirare e “convertire” giovani da tutto ilmondo, dovevaessereal di fuori dellaRussia–nellaqualel’ideologiaeragià veicolata; inoltre, aprire le frontiere moscovite comportava il pericolo di essere travolti da una contro-cultura aliena e, non ultimo, vi era il rischio che la città non fosse presentabile, mentre sarebbe dovuta scintillare in quanto vetrinae cuoresovietico.Con 34.000 intervenuti da131 nazioni, fu il festival con più partecipanti in assoluto [Koivunen 2009, 49]. Di questi, sette provenivano da Alfonsine.

Sauro Ravaglia, assieme a Ilario Zaniboni, apparteneva a coloro che per età, nella Federazione, avrebbero partecipato di diritto al festival. Degli altri, invece, Enzo Pasi e Luigi Pattuelli erano, trentenni, troppo anziani per un invito d’ufficio. Ma, senza perdersi d’animo, si rivolsero per via epistolare direttamente all’organizzazione sovietica – all’ex generale Žukov, si rammenta in un’intervista – facendo valere la loro partecipazione alla Resistenza e l’adesione al Partito comunista. Nell’estate del 1957, ottenuto il nulla osta dalla Russia, erano tutti su un treno, con partenza da Venezia, diretti a Mosca attraversando l’Europa dell’Est. Con le sue «quaranta filmine», Enzo Pasi – coadiuvato da un principiante amatore come Ravaglia, con cui si spartiva la cinepresa – documentò l’intero viaggio. Due inquadrature inziali, alla stazione di Alfonsine, fungono da titoli di testa non-verbali, mostrando il gruppo in procinto di partire.

Fig. 1. La partenza dalla stazione di Alfonsine.
Fig. 1. La partenza dalla stazione di Alfonsine.

Poi Venezia, “tappa zero” dove salire sul convoglio. Infine, il viaggio ebbe inizio, incanalandosi nella terra incognita oltre i confini dell’Italia, fermandosi in stazioni ignote, accogliendo nuovi passeggeri a bordo della carovana e incrociando sguardi vispi e coetanei.

Fig. 2. Incontri in una stazione di transito.
Fig. 2. Incontri in una stazione di transito.

Giungere a Mosca fu un tripudio: la stazione era gremita, e così lo erano le strade, su cui sfilavano le centinaia di navette per il trasporto degli ospiti. Le persone, ai lati delle strade, improvvisamente ristrette, salutavano i forestieri con la gaiezza che si riserva a un capo di Stato. La cerimonia di inaugurazione, di caratura olimpionica – ripresa su 8mm a colori! – all’allora stadio Lenin (oggi Lužniki), dette inizio alle danze. Danze nello spirito e nei fatti: ripreso a colori vi è Pattuelli, che si muove a tempo con una donna, mentre sullo sfondo un altro alfonsinese – il Gianastri, immancabile personaggio del Fondo Pasi – fa lo smorfioso. E dopo la cerimonia di chiusura – un tripudio di giochi di luce e fiaccole – si possono vedere i “magnifici sette” accanto a una panchina, mentre suonano e ballano. Ravaglia, da spettatore coinvolto, prima segue il ritmo, poi si lascia trascinare dalla ragazza che gli danza di fronte.

Fig. 3. La folla.
Fig. 3. La folla.

Fig. 4. Il corteo dei pullman.
Fig. 4. Il corteo dei pullman.

Tra le tante sequenze salienti del film ve ne sono alcune particolarmente indimenticabili. C’è la Mosca celebrata e celebrativa, declamata come caput mundi rappresentata, in definitiva, dalla statua di Lenin, ai piedi della quale i viaggiatori deposero più di un mazzo di fiori. Le numerose riprese di questo evento rituale e irrinunciabile, appena sbarcati, svelano non solo la fede storica e politica nella figura e nel gesto, ma anche la goffaggine, magari un po’ nervosa, di poter conservare, bianco su nero, l’atto cruciale di tutta la visita in terra sovietica.

Fig. 5. Le danze di saluto.
Fig. 5. Le danze di saluto.

Fig. 6. La statua di Lenin.
Fig. 6. La statua di Lenin.

E se Gianastri, come un adolescente intimidito, si fa inquadrare alla chetichella dietro il pilota Piero Taruffi – un souvenir di soppiatto – vi è il momento in cui i romagnoli cominciarono «a girare da soli; senza l’interprete, senza la guida»3. Si ritrovarono ben presto, dopo i piacevoli incontri e tentativi di conversazione, alla periferia di Mosca, dove le retate e la politica correttiva di regime non erano giunte. Zone desolate, povertà, baracche in legno, casupole sbilenche e tirate su alla bell’e meglio. Il luogo in cui, in uno stillicidio perenne, cominciavano a venire meno le apodittiche convinzioni.

Fig. 7. La metropolitana di Mosca.
Fig. 7. La metropolitana di Mosca.

Fig. 8. Le baracche di Mosca.
Fig. 8. Le baracche di Mosca.

3. Quale viaggio?

«Alla base della decisione di partire […] c’è in buona sostanza sempre un immaginario» [Berrino 2011, 540]. Nell’immaginario alfonsinese, come si è accennato, l’Unione Sovietica ne rappresentava l’antonomasia – l’utopia. E guardando le immagini di Pasi, quello di Mosca, il festival all’insegna della“paceeamicizia”, sembravaproprio un’utopia.Utopia che, nonostante la suaparvenzaauratica, era capace di proiettare una simile percezione anche su chi il viaggio, in un certo senso, lo stava subendo:

Fu la prima volta che capimmo cosa fosse il vero internazionalismo – cameratismo generoso e pieno di gioia nei confronti di giovani persone da tutti i continenti, da tutte le nazioni, da paesi capitalisti e comunisti […] come se fossimo tutti cresciuti assieme e ci conoscessimo da tutta la vita [Koivunen 2009, 59]4.

Quella percezione caratteristica del viaggiatore, che si vede sradicato dalla propria «matrice sociale» [Leed 1992, 43] e che però accadde in parallelo da un lato e dall’altro, con il mutamento della prospettiva nei confronti dello straniero da parte dei cittadini di Mosca: non più spia (o presunta tale) ma, finalmente, persona. Dalle immagini amatoriali di Pasi, dai suoi, insomma, travelogues – più diaristici che documentari – si evince l’atmosfera distesa degli incontri tra personalità di nazioni diverse, diverse delegazioni, senza neanche, talvolta, conoscere la reciproca lingua.

Fig. 9. Incontro con una delegazione straniera.
Fig. 9. Incontro con una delegazione straniera.

Pasolini, inviato per «Vie Nuove», descrisse proprio quella «folla sterminata. Mal’ariaèpaesana: sembrala sagradi un villaggio di contadini. Non c’èniente, nemmeno un chiosco, niente. Solo questa folla sterminata di ragazzi e di ragazze» [Pasolini 1957]. Difatti, le “filmine” di Enzo Pasi rappresentano l’Urss come se fosse il cortile di casa – nello stesso stile sincero che contraddistingue il cineamatore, alla ricerca del sorriso, della burla e della situazione ai quattro angoli di Alfonsine.

Quegli stessi film, inoltre, sanciscono la dimensione pseudo-turistica che permeava l’avventura di Mosca. La rappresentazione su pellicola di quello specifico viaggio, infatti, tramanda una testimonianza odeporica itinerante, suddivisa – seppur senza etichette evidenti – in giornate e che prevede, come un travelogue richiede, un tragitto, in modo che risulti essere un «film dinamico», dove «l’itinerario permea almeno la strutturazione in quadri/sequenze» [Agostini, Mazzei 2014, 11]. Il fatto stesso che Pasi filmi l’esperienza del viaggio, poi, implica la volontà, insita nel medium, di mostrare quei film a un pubblico (famiglia, amici, parenti). E, perché ciò possa compiersi, è necessario un viaggio di ritorno. Il trinomio proposto da Leed, dunque, del partire, transitare e arrivare (che, comunque, vale per l’empirismo con cui il tragitto si sviluppa in treno) si completa; o meglio, è sostituito dalla triade «partenza, esplorazione, ritorno» [Ruoff 2002, 104], dove l’etimologia del tour-ismo, del “darsi attorno”, emerge. Il viaggio circolare cheil turismo rappresenta, nel caso della compagine di Alfonsine, non si conclude con l’arrivo a Mosca, ma prosegue al suo interno dandosi nella sua più genuina amatorialità, poiché «il travelogue è episodico, la deviazione il suo dispositivo narrativo più caratteristico» [Ruoff 2002, 105]. E il documentario di viaggio, amalgama di discontinuità e apertura [Education in the School of Dreams 2013], collima perfettamente con il film amatoriale, che consta nei suoi tratti salienti, appunto, di discontinuità e di una struttura «a buchi» – e dunque aperta [Odin 2001, 345].

Fig. 10. La fontana dell’amicizia tra i popoli.
Fig. 10. La fontana dell’amicizia tra i popoli.

La presenza stessa dei film di Pasi, verrebbe da dire, è ciò che fa levare l’ancora del ritorno, la zavorra essenziale che sospinge i viaggiatori, dopo averla saggiata, al di fuori dell’utopia. Un travelogue «vive soltanto quando il produttore e il suo pubblico sono insieme» [Ruoff 2002, 93]. Difatti, dopo i fiori sulla statua di Lenin, i balli, la metropolitana e il vagabondare, la comitiva tornò a casa. E viaggiò, per i cortili della Romagna, mostrando le immagini irraggiungibili – ma veraci! – di come loro avevano vissuto e percepito la città, la comunità e la politica sovietica.

In questa esperienza da travel lecture film, tuttavia, si ritrovarono sospesi tra due mondi. I fatti d’Ungheria del ’56, prima (che avevano comunque destabilizzato il panorama della sinistra internazionale, Fgci inclusa), e l’imperfezione della periferia moscovita – che constava di baracche e senzatetto – poi, causarono una sorta di principio di disillusione nei viaggiatori. Ravaglia ne parlava a bottega, quando gli veniva chiesto; Pasi e Pattuelli, ambulanti come nel periodo del muto, si trovarono di fronte un pubblico paesano che si turava le orecchie e rigettava le chiacchiere sulla povertà. Simultaneamente, non solo vennero denunciati (senza ripercussioni penali) per la propaganda comunista e le proiezioni illecite, sotto il naso arricciato del Partito, ma anche per il reato di espatrio clandestino (anche qui, senza conseguenza alcuna) con tanto di passaporto confiscato. L’utopia che tanto era stata bramata; raggiunta, si era disciolta nelle grida e nelle celebrazioni, nelle piazze e nei giardini; e, una volta tornati, la gente continuava a voler tener su, con spille e puntelli, il velo dell’illusione.

Il viaggio, infine, è come se non fosse mai esistito. A Mosca gli alfonsinesi erano arrivati, ma all’utopia no. Aleggia tuttavia nelle immagini, un po’ nitide, un po’ fantasmatiche, impresse su celluloide. Su quel materiale e quella materia, che è il cinema amatoriale, capace di spaziare dal film di famiglia alla conservazione della memoria storica, ma anche misurare una via intermedia – la memoria sociale, gli atti e le attività dei singoli, i cineamatori, la loro cerchia di amici e parenti (anche durante una sortita dall’altra parte della Cortina di ferro). Quel viaggio, amatorialmente ripreso, turisticamente compiuto e politicamente vissuto, si era fermato sulla soglia de «l’immensità [che] si frantuma in mille umili atti pieni di una storia di cose come non abbiamo mai visto né immaginato» [Pasolini 1957]. Tornati indietro, non erano rimasti che i film a dare testimonianza di un percorso fatuo, come un diario perpetuo, che ora scortava, deandreianamente, tra nostalgia e ricordo, il cadavere della stessa utopia.

Bibliografia

  • Agostini, Mazzei 2014
    Ilaria Agostini, Luca Mazzei, Sulle rotte dei travelogues. Primi itinerari italiani dal cinema al paesaggio e viceversa, in «Immagine. Note di storia del cinema», 10 (2014), pp. 7-33.
  • Berrino 2011
    Annunziata Berrino, La storia del turismo in Italia, in «Nuova informazione bibliografica», 3 (2011), pp. 539-554.
  • Galeano 2006
    Eduardo Galeano, Parole in cammino, Milano, Sperling & Kupfer, 2006 (ed. or. 1993).
  • Goretti 2011
    Leo Goretti, Young Partisans and “Ragazzi con la maglietta a strisce”. Communist Youth in Italy between the Resistance and July 1960. A Gender and Generational Study, Tesi di dottorato, University of Reading (UK), a.a. 2010-2011.
  • Koivunen 2009
    Pia Koivunen, The 1957 Moscow Youth Festival Propagating a New, Peaceful Image of the Soviet Union, in Soviet State and Society Under Nikita Khrushchev, a cura di Melanie Ilic, Jeremy Smith, London-New York, Routledge, 2009, pp. 46-65.
  • Leed 1992
    Eric J. Leed, La mente del viaggiatore: dall’Odissea al turismo globale, Bologna, Il Mulino, 1992.
  • Odin 2001
    Roger Odin, Il cinema amatoriale, in Storia del cinema mondiale, vol. V, Teorie, strumenti, memorie, a cura di Gian Piero Brunetta, Torino, Einaudi, 2001, pp. 319-352.
  • Pasolini 1957
    Pier Paolo Pasolini, Festa di paese per trentamila, in «Vie nuove», 10 agosto 1957.
  • Education in the School of Dreams 2013
    Education in the School of Dreams: Travelogues and Early Nonfiction Film, a cura di Jennifer Lynn Peterson, Durham, Duke University Press, 2013.
  • Piretto 2018
    Gian Piero Piretto, Quando c’era lURSS. 70 anni di storia culturale sovietica, Milano, Raffaello Cortina, 2018.
  • Ruoff 2002
    Jefferey Ruoff, Around the World in Eighty Minutes: The Travel Lecture Film, in «Visual Anthropology», 15 (2002), pp. 91-114.

Risorse

Note

1 Il Fondo Pasi, donato all’Archivio Home Movies (https://homemovies.it) nel 2008, consta di 60 pellicole 8mm, girate tra il 1955 e la seconda metà degli anni Settanta. Esse contengono i ricordi privati del cineamatore e della sua famiglia, ma anche la traccia di una comunità operosa e impegnata. Questo materiale è confluito, nel 2013, nel film Il treno va a Mosca. Le interviste realizzate ad alcuni dei partecipanti al viaggio, assieme al film stesso, hanno costituito una fonte importante per il presente articolo.

2 Il treno va a Mosca, coproduzione Kiné-Vezfilm, regia di Federico Ferrone e Michele Manzolini (Italia 2013).

3 Il treno va a Mosca (Italia 2013).

4 Traduzione dell’autore.