1. Un paesaggio d’acqua. Un paesaggio della produzione

Nella Pianura Padana la vera Signora fu l’acqua

Franco Cazzola [Cazzola 2003]

La peculiarità del paesaggio della nostra regione sta nell’essere un vero e proprio paesaggio di produzione, dove l’acqua è la protagonista principale, individuabile operativamente tra carte e architetture idrauliche.

Un momento chiave nell’organizzazione dei paesaggi della produzione e gestione idrauliche si è verificato nella prima metà del Novecento quando interventi istituzionali, legislativi, tecnici e politiche di pianificazione si combinarono nella realizzazione dei lavori di bonifica. In tale contesto, la politica agraria del Fascismo si trovò a intervenire sulle precedenti opere di regimentazione ottocentesche delle acque, se non addirittura su quelle benedettine e rinascimentali, introducendo un nuovo ordine, razionalizzando e finalizzando all’incremento produttivo i processi di trasformazione del suolo [1].

Tali interventi avvennero dentro un regolare sistema di controllo e gestione della cosiddetta “bonifica idraulica meccanica”. Il primo aggettivo si riferisce alla “riduzione a coltura di terre idraulicamente dissestate o impaludate” [Serpieri 1947], mentre il secondo allude al ricorso a macchinari in grado di sollevare l’acqua drenata dai bacini o canali di bonifica per espellerla al di fuori di essi. È da qui che nascono i consorzi di bonifica come li conosciamo, seppur oggi modificati e accorpati. La legge determinante è stata la legge Serpieri, n. 3.256 del 30 dicembre 1923. Con essa furono fondati i consorzi gestiti e finanziati dallo Stato, attivi sia nella bonifica di aree paludose e malariche che per la gestione del patrimonio silvo-pastorale. Fu la cosiddetta legge della bonifica integrale, n. 215 del 1933 [2], che definì quali dovessero considerarsi opere di bonifica e quali scopi perseguire. Da allora diversi atti legislativi hanno normato i consorzi, regolati e talvolta anche unificati. Un esempio è il Consorzio di bonifica dell’Emilia centrale: nato nell’ottobre del 2009, in applicazione alla legge regionale n. 5 del 24 aprile 2009 sulla “ridelimitazione dei comprensori di bonifica e riordino dei consorzi”, è l’ultimo della lunga serie di organismi che nel corso dei secoli hanno amministrato il governo delle acque nei territori che vanno dalla provincia di Reggio Emilia a Mantova. In altre realtà, dentro e fuori Regione, non sempre è possibile ritrovare un vero e proprio iniziale “atto di nascita” delle congregazioni d’acque. Infatti,

[…] l’impresa di bonifica parte talora per un progetto speculativo di qualche potente o dello stesso principe, il quale scarica in tal modo su piccoli e medi proprietari, i cui terreni vengono ricompresi nel perimetro bonificando, parte di lavori di impianto e di successiva manutenzione delle opere eseguite. […] Alla base di queste forzate o volontarie unioni di consortes per realizzare opere di comune beneficio troviamo di regola un altro principio fondante: ciascuno pagherà e contribuirà all’opera in proporzione all’utilità effettivamente percepita dai suoi terreni dalla sua realizzazione [Cazzola 2003, 13].

L’Italia unita si interessò subito dello stato delle sue bonifiche, anche in seguito agli studi della Commissione Jacini [Jacini 1976], così come vennero commissionati studi e progetti per il miglioramento dei terreni agricoli e della loro irrigazione [Bevilacqua, Rossi-Doria 1984; Cavallo 2011]: le opere di bonificazione vengono intese dal legislatore quasi sempre come interventi di valore igienico-sanitario.

Fig. 1. La presa irrigua sul Po dalle aree golenali dell’area di Boretto (Re) in una fotografia degli anni Cinquanta del secolo scorso [archivio del Consorzio di bonifica dell’Emilia centrale].
Fig. 1. La presa irrigua sul Po dalle aree golenali dell’area di Boretto (Re) in una fotografia degli anni Cinquanta del secolo scorso [archivio del Consorzio di bonifica dell’Emilia centrale].

Nella prima legge organica sui lavori pubblici del 1865 non vennero comprese le opere di bonifica tra le opere idrauliche e anche la legge Baccarini (n. 869, del 25 giugno 1882) le codifica nell’ottica di strumenti per combattere la malaria. D’impostazione completamente diversa furono i successivi testi unici in materia, quello del 22 marzo 1900 fino alla già citata legge del 1933, momenti di partenza per quella bonifica integrale avviata negli anni della dittatura e che si sarebbe conclusa nel dopoguerra un po’ in tutta Italia. Molta della documentazione che testimonia tutto questo è custodita negli archivi dei consorzi, a cui dobbiamo la conservazione di un patrimonio di carte fondamentale.

Gli archivi dei consorzi di bonifica dell’Emilia-Romagna salvaguardano documentazione di indicibile interesse. Ancora oggi in queste carte che raccontano la regimentazione idraulica, si coglie la stretta alleanza dell’uomo con il paesaggio, dove agricoltura e ingegneria si sono messe a servizio del territorio. Entrambe rispettivamente necessarie per un grandioso progetto che ha cercato di essere unitario, cambiando la morfologia delle terre emiliano-romagnole e migliorando l’ambiente dal punto di vista della capacità produttiva agricola. Una tra le più alte accezioni di storia di civiltà: la forma, cioè, che l’uomo ha imposto coscientemente e sistematicamente nei territori con una serie di azioni mirate, come ci ha ricordato Emilio Sereni [Sereni 1961]. Sono proprio gli studi di Sereni, raccolti nell’enciclopedico suo archivio, con i quali tra l’altro si può intrecciare la documentazione presente negli archivi dei consorzi di bonifica, utili a spiegare quanto il paesaggio della produzione attuale funzioni pressoché nello stesso modo da oltre un secolo.

Tutta la Pianura padana, infatti, è stata – ed è tuttora - un grande laboratorio di ingegneria e di architettura idrauliche: argini, froldi, botti, coronelle, palificate, stramazzi, chiaviche, ponti, cavedani, sfioratori sono voci entrate a pieno diritto nel vocabolario tecnico del contadino emiliano, anche attualmente. Fondamentale, oggi come ieri, la necessarietà dell’uso delle carte d’archivio che per la bonifica sono soprattutto carte tecniche, mappe, etc: al presente si usano ancora documenti redatti cent’anni fa, ineguagliati strumenti di monitoraggio e controllo del territorio. La valorizzazione della memoria e dei depositi di patrimoni documentali parte da qui, dal loro impiego e riconoscimento. Medesima cosa per le architetture idrauliche, veri e propri patrimoni architettonici e artistici dalle caratteristiche storiche consolidate, grandi landmarks nel paesaggio. Riscoprire oggi queste carte e queste architetture diventa obbligo culturale e morale per la valorizzazione consapevole del nostro territorio e del suo processo produttivo individuando modelli, parti di un sistema che ha determinato i caratteri del paesaggio emiliano-romagnolo. Che è un paesaggio d’acque.

Tutto parte dal Po, una vasta risorsa paesaggistica, elemento naturale unico, esso può essere definito la “vera via Emilia” in luogo dell’antico decumano litico che taglia la Regione. L’asta di questo grande fiume dovrebbe essere nuovamente riconosciuta come principale via d’acqua navigabile, con un rilancio non solo per le alte potenzialità turistiche ma anche per nuovi contesti socioeconomici. Un nuovo approccio sistemico, dunque, pure per le aree golenali che vi si affacciano. È dal “grande fiume” che si intrecciano e si innescano le trame dei canali artificiali che segnano i territori padani, influenzate stagionalmente dalle piene o dalle siccità che sempre più spesso ormai ne regolano le produzioni e la vita.

L’acqua, sotto forma di fiumi, di laghi o di mari, ha determinato la morfologia degli insediamenti urbani e di interi territori. La storia di vasti ambiti europei – tra essi in Italia l’esempio principale è senza dubbio la Pianura padana – la loro forma, la loro connotazione socioculturale, sono decisamente legate ai corsi d’acqua, alla loro regimentazione, alle bonifiche, alle culture e ai commerci, resi possibili dai complessi sistemi idrici di irrigazione e di trasporto. All’opposto però rispetto a questi fattori di attrazione, il continuo rischio di inondazioni o la mancanza di acqua nei periodi di forti magre sono diventati nel tempo ovvi svantaggi, producendo propositi locali di abbandono non solo dei lavori tradizionali ma anche degli insediamenti abitativi. L’inconsistente attenzione, negli anni passati, di questi svantaggi ha portato oggi a dover ripensare le prossimità ai corsi d’acqua (sia naturali che artificiali) con nuove strategie. Il paesaggio, infatti, non è un’idea ma il luogo su cui stare. Pur essendo l’opposto della superficie calpestabile, l’acqua appartiene intimamente alla realtà vivente, la nutre e l’alimenta [Norberg-Schulz 1992]. Diventa quindi significativo il suo momento di incontro e fusione con la terra. Come prima risorsa di vita, in questa ha inizio il mito, la narrazione di un costante rapporto, spesso conflittuale, che l’uomo intrattiene con la natura e le sue leggi. Da sempre costretto alla fatica per addomesticare il territorio e appropriarsi di spazi idonei da vivere, l’uomo ha dato forma all’acqua. Ha innalzato argini e raddrizzato fiumi, fondato laghi, essiccato paludi, fabbricato darsene e golene, inalveato canali, utilizzandola come materia prima per i suoi artifici, come l’agricoltura. La “natura” nelle sue mani è divenuta “un’altra natura”: il paesaggio.

È questo il caso paradigmatico della Pianura padana, il cui vasto territorio ha origine ed esiste per il “congegno” che l’uomo-ingegnere con la regimazione delle acque del Po ne ha trasformato le terre aride o anfibie in terre da coltivare. L’Emilia-Romagna è la regione più depressa dal punto di vista geomorfologico tra le regioni italiane, quella in cui gli avvallamenti, le valli, gli acquitrini, i paduli coprono l’estensione maggiore rispetto ad altre aree della nostra Nazione [Gambi, Ginzburg 1979].

Un paesaggio “straordinario” (nell’esatta etimologia latina del termine extraordinarius, non ordinario, che esce dall’ordinario, dal normale, dal comune) quello della vasta pianura contenuta tra i confini amministrativi e territoriali dell’Emilia-Romagna. Spesso invece una frettolosa e comune lettura è quella di paesaggio “ordinario”, poco riconoscibile, quasi banale perché “sempre uguale”. A stento se ne riconosce il valore patrimoniale, sebbene frutto di un’intensa, continua e rapida trasformazione. Un paesaggio di pianura dove apparentemente vi è poco o nulla da vedere, in analogia a quello che Cesare Zavattini [3], in un aneddoto abbastanza noto disegnava con un’unica riga, tracciata orizzontalmente sopra un foglio bianco, dicendo che, quando c’era la nebbia, bastava cancellare il segno a matita. Un rapporto simbiotico che intercorre tra uomo e ambiente nel paesaggio padano; un paesaggio, apparentemente naturale, all’opposto fortemente “artificiale” nell’accezione etimologica primigenia, ovvero “costruito ad arte”.

2. Tessere la trama di un territorio: corografie e maglie idrauliche

Ma è possibile capire e agire senza tenere conto delle lezioni, degli avvertimenti, della misura della storia? Io non pensavo che così fosse.

Fernand Braudel [Braudel 1998]

La straordinarietà di questo territorio si esplicita quindi anche per la ricchezza documentale di cui è patrimonio. Documenti di carta e di “pietra”. Una rete di conoscenza e di nozioni che arricchisce il mosaico infrastrutturale organizzato dalla bonifica idraulica durante il secolo scorso. Tale redenzione ha avuto d’altra parte radici ben più antiche del XX secolo, epoche che hanno segnato e solcato il territorio, intrecciando le reti d’acqua e le maglie superficiali sulle quali la bonifica integrale si è saldamente ancorata. La natura ha più volte vanificato il tentativo di queste bonifiche, prevalendo sulla mancanza di continuità e di attenzione alla cura della terra e a una visione strategica globale.

Una determinante geometria infrastrutturale, tra canali, strade, ponti, ben individuabile anche nei suoi nodi di collegamento – le architetture idrovore, le chiaviche, le botti, come pure le fornaci, i mulini, i borghi agricoli e gli appoderamenti, che disegna un sistema di avvicendamento continuo tra forma costruita e dualità natura-artificio. Una trama raccontata con estrema precisione dalle carte.

Non occorre risalire molto lontano nel tempo per scoprire che gran parte delle fertili pianure, tra il delta del Po fino a Parma, erano malsani acquitrini, una trasformazione di un territorio diventato finalmente paesaggio nell’accezione sereniana «quella forma che l’uomo, […] coscientemente e sistematicamente imprime al paesaggio naturale» [Sereni 1961, 29]. Questa si integra con il successivo concetto ripreso dalla Convenzione europea del paesaggio [4] che in modo sintetico e oggettivo descrive «il paesaggio come una parte di territorio, così come è percepita dalla popolazione, il cui carattere deriva dall’azione di fattori umani e naturali e dalla loro interrelazione» (art.1, lett. a), toccando trasversalmente numerosi ambiti disciplinari, influenzando e influenzato da più fattori, culturali, storici, scientifici, artistici ed economici. Il segno umano si rende nel territorio linea evidente, segno esplicativo, manifestazione dell’identità di un luogo, dello “spirito del luogo”: manifesta la propria presenza tra le strutture preesistenti nella natura, dando origine a ciò che comunemente definiamo “paesaggio”.

La ricchezza dei paesaggi di bonifica è così testimoniata dai molti documenti originali conservati negli archivi, relativi alla loro ideazione e successiva rapida costruzione: un aspetto importante perché tale capitale di documenti, di studi e di disegni stabilisce una completezza insolita per un bene patrimoniale, individuando tra le carte la concretezza di manufatti che hanno costruito il territorio e ne determinano l’uso presente e futuro. Non è così scontato avere una corrispondenza di tale valore tra i manufatti e le carte che li rappresentano. Figurazioni grafiche, corografie, mappe, sezioni e contratti, e ancora, prototipi di macchinari, modelli di verifica, fotografie d’epoca, confermano la complessità dell’edificazione dei nostri territori di pianura, tutti artificiali, l’inventiva dell’ingegno profuso e delle tecniche impiegate, la qualità delle architetture idrauliche. Materiali presenti negli archivi storici e fotografici dei consorzi di bonifica che non solo si conservano ma anche si consultano e usano quotidianamente, come già indicato, per la gestione del territorio: non è un materiale custodito e “abbandonato” tra gli scaffali, perché ancor oggi il paesaggio necessita di essere compreso attraverso proprio carte coeve alla sua realizzazione. Da ciò il confronto, anche solo per la manutenzione e condizione delle macchine, dei manufatti idrovori, dei canali. Può sembrare una necessarietà operativa ma sottende molto di più: il valore della memoria e dell’eredità culturale non si preservano e non possono restare attive se affidate solo a una conservazione immobile. È fondamentale che quel valore continui a essere riconosciuto dalla collettività nella continuità di forme e processi che si evolvono, promuovendo in tal modo la conoscenza profonda di territori che diventano giorno dopo giorno sempre più fragili. È quindi indispensabile fondare l’approccio conoscitivo sia sul contesto che sul singolo edificio in esame, studiando le tecniche e le modalità costruttive, i materiali tradizionali e indagando quali interventi possano realizzarsi nel rispetto della rilevanza naturalistica, paesaggistica e della qualità architettonica. Lo scopo ultimo, quindi, è quello di riuscire a stabilire il rapporto corretto tra “sostenibilità” e “compatibilità”. Pur consapevoli che ciascuna costruzione ha un indiscutibile interesse paesaggistico, è realistico dire che si possono individuare diversi gradi di pregio architettonico e questo lo si evince anche dalle carte. Si possono quindi distinguere manufatti che hanno una valenza storico-artistica, quelli dotati di un valore storico-culturale nel loro complesso, e quelli apparentemente insignificanti dal punto di vista architettonico, sebbene acquisiscano interesse alla luce della funzione svolta.

Per individuare un ambito unitario di paesaggio è interessante leggerlo quindi nelle sue tendenze evolutive. La lettura dei contesti non si evince solo dalle caratteristiche geomorfologiche ma anche dalle culture e comunità locali, per meglio comprendere le mutazioni dei territori, le economie e gli assetti ambientali. Le carte codificano anche questo, in un linguaggio tutto loro, che seleziona e associa ciò che più interessa (una mappa militare sarà maggiormente precisa sulle strade, sui ponti o per la presenza di boschi o fiumi da attraversare, piuttosto che sulle case rurali o sulle preesistenze archeologiche). In ciò sta l’originalità e modernità (nel senso di cogliere lo spirito dei tempi) della cartografia. Una complessità identitaria, storica, architettonica, artistica e ambientale da riscoprire. Se Emilio Sereni nei suoi studi lamentava la mancanza di ricerche sul paesaggio agrario italiano [Gemignani 2016], nonostante riconoscesse il grande lavoro di preparati cultori di storia e di diritto agrario, come di geografia umana, oggi possiamo rivendicare un rinnovato interesse per l’indagine sul territorio, sulla sua salvaguardia, sul suo essere patrimonio collettivo, multiforme testimonianza tangibile della storia, della memoria e della cultura della comunità. A tutto questo poi dovrebbero corrispondere azioni mirate e consapevoli. Il trait d’union tra l’espressione di ricerca e l’azione è ben rappresentato proprio dal processo di bonifica: reale e metafisico, politico e sociale al contempo, è stato un momento fondamentale per la costruzione dei territori, continuando a esercitare oggi una funzione di salvaguardia e valorizzazione funzionale del paesaggio.

3. Archivi e architetture. Leggere le carte, misurare per edificare lo spazio

La visualizzazione mediante grafici o topografie […] è indispensabile così al lavoro dello storico come a quello del matematico o del fisico o del biologo.

Lucio Gambi [Gambi 1976]

Il paesaggio della bonifica è un paesaggio produttivo, uno scenario costantemente in trasformazione, un’infrastruttura tecnica, culturale e sociale dove la protezione e la salvaguardia non possono significare statica custodia. È un sistema di organizzazione territoriale inflessibile, persistente, costruito da una rigida e fitta trama tra macchine della bonifica, canalizzazioni, arginature, capifosso, scoline, strade interpoderali e strade principali, ponti e appoderamenti: un nuovo tracciato regolatore che ha reso immutabile e sicuro un suolo prima continuamente instabile e incostante. Nel paesaggio prima della bonifica, infatti, non esistevano limiti strutturanti il territorio se non le vaste distese liquide che avviluppano ogni cosa, facendo distinguere a malapena i confini spaziali dei suoli. I limiti tra città e campagna erano malamente segnati, non vi era un disegno unitario delle superfici. È il paesaggio di bonifica che inizia a costruire le aree, a definire gli spazi, a contrapporre, o unire, le realtà fisiche in esso presenti. In tal modo l’acqua unisce tutto in un’armonica struttura operativa. Formalmente e simbolicamente.

La percezione di un luogo avviene attraverso una serie di elementi e di strutture che colpiscono per la loro evidenza, bellezza, singolarità o perché magari si ripetono come leitmotiv caratteristici e inconfondibili. Sono quelli che il geografo Eugenio Turri [Turri 2001] definisce “iconemi” [5], caratteristiche in cui le comunità si riconoscono e su cui costruiscono il loro senso di appartenenza al territorio. I segni costruiti dalla bonifica, fortemente integrati, necessari per la sicurezza delle aree urbane, per la difesa dalle inondazioni o per gli interventi in montagna, sono tutti decifrabili nei documenti d’archivio. Il paesaggio si configura come essenziale chiave interpretativa e progettuale della storia culturale e sociale, dove agricoltura, insediamento umano e sistemazione idraulica sono una triangolazione indissolubile per vaste aree della pianura emiliano-romagnola, dove i caratteri si rintracciano nella rete idraulica costruita sulla antichissima maglia sedimentata già dall’età romana. Ha ben spiegato Umberto Eco in molti suoi studi che è l’uomo che si appropria del mondo e fa sì che la natura si trasformi continuamente in cultura. Un processo insomma di appropriazione reciproca.

Un esempio di esplicita evidenza è la grande mappa realizzata da Marcello Nizzoli: databile agli anni Trenta – o forse poco prima – del secolo scorso e oggi presente nel patrimonio artistico degli archivi del Consorzio di bonifica dell’Emilia centrale, presso il Palazzo delle bonifiche di Reggio Emilia. Non abbiamo riscontri di incarichi per tale opera e nemmeno perché sia stata realizzata, sta di fatto che l’opera è straordinaria nella sua unicità.

Gli unici elementi emersi da una prima indagine nell’archivio del Consorzio sono quelli del versamento di un acconto di L. 5.000 registrato nel bilancio del 1933 e che viene ribadito anche in anni successivi; tuttavia, non si sono registrate altre informazioni che permettano di collegare questo compenso ad uno specifico lavoro. Dobbiamo per altro notare che è la stessa carta a fornirci un termine post-quem: è infatti rappresentato il nodo di Boretto inaugurato nel 1930. A prescindere da tali elementi è utile ricondurre questo ‘telero’ ad una serie di interventi di Nizzoli del 1925 ca. [Zanella 2011, 183].

Protagonista è la pianura lambita a nord dal Po che si estende tra le province di Reggio Emilia e Mantova, magistralmente dipinta a tempera su tela di cotone in una grande raffigurazione di quasi 20 metri quadrati (5,30x3,50 metri) da un giovane e quasi sconosciuto Marcello Nizzoli [6]. Una percezione spaziale ripresa dalla tradizionalissima veduta a volo d’uccello, tanto cara al periodo post-rinascimentale, ma qui espressa attraverso una visione del tutto nuova, mentale e metafisica. L’opera di Nizzoli è una mappa, la descrizione del grande progetto di bonifica integrale della Val Padana in destra Po, realizzato agli inizi del Novecento, la rappresentazione della “messa in opera”, allora appena concretizzata in alcune sue parti e “in costruendo” in altri ambiti, delle sistemazioni idrauliche che hanno “inventato” il paesaggio contemporaneo della pianura.

Nizzoli sceglie volutamente un punto di vista innovatore, futurista: una “veduta a volo d’aeroplano” (più che a volo d’uccello) celebrativa e dal carattere quasi eroico. Una grande abilità nel rappresentare tutti i manufatti della bonifica, quelli già edificati e quelli che allora non potevano che essere ancora di progetto, redatti su carta: essi sono perfettamente configurati al vero, come anche gli insediamenti rurali e le vie di terra. Una sequenza di informazioni esatte, a quell’epoca difficilmente percepibili, che Nizzoli, qui artista e tecnico insieme, trasmette in maniera immediata in un’opera d’arte che a oggi rimane unica nel suo genere [7]. In questo caso la costruzione virtuale del territorio coincide alla perfezione con quella reale.

Fig. 2. Marcello Nizzoli, Il comprensorio di bonifica della Parmigiana-Moglia, tela dipinta, dimensioni 5,30x3,50 m, realizzata alla fine degli anni Venti del Novecento, [collezione Consorzio di bonifica dell’Emilia centrale].
Fig. 2. Marcello Nizzoli, Il comprensorio di bonifica della Parmigiana-Moglia, tela dipinta, dimensioni 5,30x3,50 m, realizzata alla fine degli anni Venti del Novecento, [collezione Consorzio di bonifica dell’Emilia centrale].

Fig. 3. Il Nodo idrovoro di Boretto, particolare, da: Marcello Nizzoli, Il comprensorio di bonifica della Parmigiana-Moglia, tela dipinta, dimensioni 5,30x3,50 m, realizzata alla fine degli anni Venti del Novecento, [collezione Consorzio di bonifica dell’Emilia centrale]. Da notare sulla destra la caratteristica firma dell’autore con la N del cognome rovesciata.
Fig. 3. Il Nodo idrovoro di Boretto, particolare, da: Marcello Nizzoli, Il comprensorio di bonifica della Parmigiana-Moglia, tela dipinta, dimensioni 5,30x3,50 m, realizzata alla fine degli anni Venti del Novecento, [collezione Consorzio di bonifica dell’Emilia centrale]. Da notare sulla destra la caratteristica firma dell’autore con la N del cognome rovesciata.

Rientra anch’essa di diritto nella grande tradizione delle vedute, prima a volo d’uccello, poi a volo d’aeroplano, attraverso cui ci si impossessa di tutto, riuscendo a comprendere il funzionamento del sistema delle acque, tra canali di scolo, irrigui, bacini scolanti, imbriferi e casse di espansione. La correttezza e precisione nel rappresentare il paesaggio delle acque alte e di quelle basse (vengono usati toni di azzurro differenti) è magistrale, degna di un cartografo con conoscenze di ingegneria idraulica. Interessante come le architetture di bonifica siano svelate con grande esattezza nella loro tipologia architettonica e a tratti anche nella scelta stilistica. Se una carta geografica è il frutto di meccanismi di selezione e di rappresentazione, di intenzione e di potere, insomma se la mappa sceglie e trasforma quel che vuole dire il cartografo (o sovente il suo committente), anche la percezione individuale, a scale diverse e autonome offre nuove e imprevedibili letture, e questo avviene solo conoscendo la maestosa realtà tangibile delle architetture rappresentate [Farinelli 2009].

Nizzoli realizza una combinazione di codici: quelli cartografici e progettuali nella restituzione essenziale delle vie di terra e di acqua e nella segnalazione degli impianti e dei nuovi insediamenti rurali, e quelli della fotografia aerea. Insomma, è un documento di progetto a tutti gli effetti, più che una rappresentazione artistica.

Questa grande immagine conferma la capacità di Nizzoli, come dimostra il confronto tra le incursioni nei differenti ambiti del progetto e il lavoro pressoché quotidiano documentato dai suoi carnet, di costruire immagini che possono mutare a seconda del contesto con una evidente sensibilità nei confronti delle differenti esigenze della committenza [Zanella 2011, 188].

In questo caso la fusione di codici è finalizzata a trasmettere in maniera immediata una sequenza di informazioni altrimenti difficilmente percepibili.

La rappresentazione di Nizzoli mostra anche i complessi poderali con le case rurali, le strade, i ponti per accedere ai fondi agricoli, il sistema insediativo nel paesaggio è ormai evidente: una dopo l’altra le case coloniche completano l’organizzazione del territorio. L’insieme è ben identificabile, in questa parte di Pianura padana ancora oggi poco edificata [8]. Negli anni Venti del Novecento, durante gli imponenti e faticosi lavori bonificatori vi era, tra i mille problemi da risolvere, anche la programmazione per una politica agricola: in breve, era inutile redimere la terra se poi nessuno sarebbe andato a coltivarla, viverla, lavorarla. I materiali utilizzati nelle opere si ripetono: sopra a tutti il laterizio, lasciato a vista o intonacato in pallido colore ocra. Non solo quindi le grandi idrovore, anche l’architettura minore disegna i territori di bonifica. La tipologia della casa colonica è chiara e razionale con evidenti stilemi da abitazione rurale [Barbieri, Gambi 1970]: sviluppata orizzontalmente su pianta rettangolare allungata, due piani, con l’abitazione e la stalla adiacente e separata dal porticato cosiddetto “porta morta” [9]. Cucina e stalla al piano terra, camere da letto e fienile al piano superiore. I contadini potevano usufruire di sovvenzioni da parte dei consorzi di bonifica dopo i grandi lavori di redenzione, per appoderare la campagna e renderla abitata, per ovviare così alla carenza di case coloniche completamente mancanti nelle terre che erano da poco state sottratte a paludi e acquitrini. L’edificio era riscattabile in cinque anni e composto tipologicamente e funzionalmente da tre camere da letto, il forno del pane, il pollaio, la vasca per abbeverare il bestiame, attrezzi agricoli vari, un carro, alcuni capi da allevare. Solitamente la facciata veniva rivolta a sud, la stalla-fienile a est e l’abitazione a ovest. Il portico serviva per gli attrezzi agricoli e da stoccaggio dei prodotti dei campi. Sebbene siano altre le architetture di bonifica che lasciano un evidente segno distintivo sul territorio, si pensi alle grandi idrovore appena accennate, la maglia degli insediamenti rurali che andava a popolare il paesaggio redento possiamo ben dire abbia oggi pari valore identitario dei manufatti idraulici, in Emilia-Romagna e non solo [10].

Questa premessa serve a inquadrare l’interesse del problema non soltanto per il contributo spirituale ed estetico che ci può fornire una indagine sulla funzionalità della casa rurale, ma anche per affrontare con conoscenza più approfondita il problema pratico delle nuove costruzioni rurali che il Governo fascista sta progettando in tutta Italia. Difatti uno dei problemi particolarmente importanti nel quadro dell’opera grandiosa della bonifica è la soluzione perfetta della casa colonica [Pagano, Daniel 1936, 21].

Natale Prampolini [11] affermò nel 1926 che la bonifica nel Reggiano-Modenese aveva favorito l’edificazione di ben 540 costruzioni rurali, oltre agli aiuti ai poderi privati. Per l’opera di bonifica idraulica, la casa colonica e gli ambiti di lavoro annessi erano di importanza fondamentale: la campagna in questo modo non veniva abbandonata, si incrementavano i prodotti agricoli basilari, che sarebbero divenuti in seguito una peculiarità territoriale d’eccezione, basti pensare al riso, o al Parmigiano-Reggiano o ai vitigni autoctoni, al granoturco e alla bietola o infine alla zootecnia.

Le famiglie, costituite da un numero elevato di figli (anche 12 o più) diventavano delle specie di agglomerati collettivi, non solo di lavoro ma anche di vita quotidiana. Si stavano fondando i presupposti per un effettivo benessere: in alcune zone la bonifica in Emilia-Romagna dotava perfino i fabbricati rurali di energia elettrica per gli usi agricoli, oltre che di strade consorziali, di ponti e fossati irrigui o di scolo.

Ben diverse erano le presenze delle architetture di bonifica: iconiche, immense, perché pensate in scala con il paesaggio a cui dovevano servire. Sebbene erette in gran velocità durante il Ventennio avevano caratteristiche formali, stilistiche e ornamentali di altissimo pregio. Sono molte che costellano la nostra Regione e territori limitrofi, da Saiarino fino a San Benedetto Po nel Mantovano e Boretto.

Fig. 4. Il Nodo idrovoro di San Siro a San Benedetto Po (Mn), fondamentale sistema idraulico all’incrocio di una decisiva zona di bonifica organizzata negli anni Venti del secolo scorso con la realizzazione dei collettori delle Acque Alte reggiane e modenesi e una rete di cavi secondari, edificazione 1919-1926.
Fig. 4. Il Nodo idrovoro di San Siro a San Benedetto Po (Mn), fondamentale sistema idraulico all’incrocio di una decisiva zona di bonifica organizzata negli anni Venti del secolo scorso con la realizzazione dei collettori delle Acque Alte reggiane e modenesi e una rete di cavi secondari, edificazione 1919-1926.

Fig. 5. La sala macchine nel Nodo idrovoro di San Siro a San Benedetto Po (Mn), con le otto pompe Riva-Milano datate 1925, ancora funzionanti, edificazione 1919-1926.
Fig. 5. La sala macchine nel Nodo idrovoro di San Siro a San Benedetto Po (Mn), con le otto pompe Riva-Milano datate 1925, ancora funzionanti, edificazione 1919-1926.

Basti in questo senso citare le sperimentazioni architettoniche degli impianti di Mondine e San Siro realizzati nel primo ventennio del Novecento, capaci di veicolare riferimenti stilistici ascrivibili a una ricerca d’avanguardia e al contempo eclettica, operante nei maggiori centri culturali del Paese [Visentin 2003]. In entrambi i casi citati il poderoso volume degli impianti, che ancora allude a una sobria impronta di architetture industriali ottocentesche, si ingentilisce mediante particolari di chiara derivazione déco, denotando un’avvenuta acquisizione “anche in Provincia” di stilemi allora sperimentali tipici dei maggiori centri urbani o di iconici villaggi operai (si pensi a Crespi d’Adda).

Fig. 6. Sezione dell’impianto idrovoro Bondanello, ora denominato Mondine a Moglia (Mn), impianto che serve i territori emiliani, 1920, [archivio del Consorzio di bonifica dell’Emilia centrale].
Fig. 6. Sezione dell’impianto idrovoro Bondanello, ora denominato Mondine a Moglia (Mn), impianto che serve i territori emiliani, 1920, [archivio del Consorzio di bonifica dell’Emilia centrale].

Una valenza costruttiva ineccepibile che rende tali edifici ancor oggi funzionanti per i territori in cui lavorano. Stilemi eclettici, motivi geometrici finemente decorati, lesene lapidee, raffinatezza cromatica tra laterizio e il bianco della pietra, modanature, vetrate infinite, colonnine e lesene in cemento artistico lavorato con capitelli a palmette ioniche, strutture metalliche in ferro battuto. In realtà questi fabbricati non dovrebbero essere altro che capannoni, grandi scatole per contenere e proteggere le imponenti macchine idrovore in ghisa. Il valore estetico che gli è stato dato a quel tempo e che oggi può sembrare scontato ha reso possibile fare diventar il paesaggio della bonifica un territorio di alto valore patrimoniale. Un esempio evidente è il sistema del nodo idrovoro di Mondine presso Moglia, oggi implementato da un ulteriore impianto, dopo il terremoto del 2012, ma perfettamente funzionante gemello, in scala di poco minore, del grande edificio idrovoro di San Siro presso San Benedetto Po. Benché situati in Lombardia a pochissimi chilometri dal confine con l’Emilia, sono stati eretti per servire i territori emiliani, perché, e questo è un elemento fondamentale per i paesaggi di bonifica, i territori seguono confini idrografici e non amministrativi. È l’acqua che decide e governa i grandi manufatti della bonifica, le canalizzazioni, le infrastrutture, cogliendone la struttura, le funzioni, il loro modo di stare sul territorio, i risultati stilistici. Tutta la documentazione per l’edificazione di tali edifici (e di quelli annessi, che non mancavano di minore raffinatezza estetica: la casa per gli operai, le chiaviche, i magazzini) è ancora presente tra gli archivi dei consorzi di bonifica e negli archivi di Stato e rende bene l’idea attraverso bellissimi disegni architettonici della cura e del valore che si volevano dare agli scenari in costruzione. Nodi altamente operativi che dovevano essere anche attrattivi. Complice allora una politica di propaganda, ancora oggi ornano i nostri paesaggi.

Fig. 7. Il Nodo idrovoro di Mondine durante la costruzione: la fotografia, datata 1923, ritrae lo scavo del bacino di scarico, [archivio del Consorzio di bonifica dell’Emilia centrale].
Fig. 7. Il Nodo idrovoro di Mondine durante la costruzione: la fotografia, datata 1923, ritrae lo scavo del bacino di scarico, [archivio del Consorzio di bonifica dell’Emilia centrale].

4. Uno sguardo unitario

Di solito, quando si parla di memoria e di emozione si pensa al tempo. Per me conta lo spazio, il rapporto sentimentale con la geografia. Più che nel tempo, è soprattutto attraverso lo spazio che la memoria si muove.

Giuliana Bruno [Bruno 1998]

Si comprende quindi come da una lettura comparata di documenti e cartografia, affiancata da disegni di dettaglio, spesso allegati ad altrettanti contratti e perizie, si possa ricostruire il complesso sistema di gestione delle acque. Una chiara comprensione che si affianca all’evidenza che ci offre una rapida occhiata di una vista satellitare della Pianura padana: questa rileva il riflesso antropologico e geografico dei processi di bonifica. Non solo quindi le viste prospettiche di Nizzoli o le carte Igm ci hanno chiarito l’immagine della stretta interdipendenza di terra, acqua e presenza umana. L’intreccio tra arte e tecnica, dove l’ordito e la trama rispettivamente delineano le infrastrutture, l’ambiente e la comunità di un paesaggio redento è ancora più comprensibile in un’altra celeberrima corografia. La carta del geografo Lucio Gambi. Organizzata per l’Atlante tematico d’Italia del Touring Club Italiano (tavola 62) nel 1992, esprime distintamente quanti territori sono stati riorganizzati e prosciugati fino al secolo scorso dalle operazioni di risanamento idraulico. In età contemporanea, nel XX secolo, spiccano la Sardegna (durante gli anni Trenta la piana di Terralba), la valle del Po tra Lombardia ed Emilia-Romagna, più a sud la Toscana e poi il Piemonte fino alla Puglia (il Tavoliere), per arrivare alla Sicilia (la piana di Catania). E ancora le bonifiche del basso Piave e del Veneto orientale e la vasta bonifica integrale dell’Agro Pontino, ancorché tutta la nostra Penisola sia stata trasformata radicalmente nella sua morfologia, negli assetti della comunità e degli insediamenti edilizi. Le aree segnalate da Gambi oggi sono indubbiamente le più produttive del Paese, dal punto di vista agricolo.

Ormai è praticamente tutto artificiale il paesaggio italiano, risultato di radicali operazioni che hanno riscattato in terreni produttivi i territori di bonifica, le paludi, le lagune, le depressioni: un’intensa e rapida trasformazione operata e compiuta dagli inizi del XX secolo, un evento per rapidità ed estensione unico. Franco Farinelli ci aiuta a leggerne l’interessante concetto sotteso:

Il problema centrale di ciò che sbrigativamente chiamiamo bonifica è il tentativo che facciamo nella comprensione del funzionamento del territorio. Chi ha una minima dimestichezza con i documenti d’archivio e si è dunque piegato qualche volta sulla cartografia storica per studiare il processo attraverso il quale in epoca moderna il volto dei paesi euro pei è cambiato, avrà sicuramente incontrato nelle sue ricerche una curiosa espressione, ricorrente nei documenti cartografici dalla fine del 1500 in avanti. Questa espressione, apparente curiosa e non immediatamente comprensibile, consiste in una parola in altri ambiti molto diffusa: la parola è ritratto, o retratto. […] Ritratto significa che le acque, appunto, si sono ritirate, ma ritratto è anche la radice del termine che vale quando vogliamo designare la fotografia oppure la pittura, anche in questi casi si tratta di superfici: banalmente una superficie dalla quale (o sulla quale) l’umidità – l’acqua […] - ad un certo punto si è ritirata. In questi casi, un dipinto o una fotografia, dopo che i colori, l’emulsione o i pigmenti si sono asciugati, noi con precisione capiamo di che cosa sia il ritratto, perché sebbene gli elementi si siano ritirati, noi vediamo comunque l’immagine che rimane. Nel caso invece della cartografia storica, che cosa è il ritratto che vediamo? Di che cosa è il ritratto e che cosa raffigura? Devo confessare che ci ho messo un bel po’ di tempo a capirlo […]. Per fare questo ho dovuto capovolgere completamente ciò che a scuola tradizionalmente ci hanno insegnato: un supposto che sembrava implicito, ma che nella realtà non è corretto. Se vogliamo infatti comprendere la natura e il processo della costruzione del territorio moderno bisogna mutare radicalmente quello che ci è stato detto a proposito della relazione tra la mappa e il territorio. A scuola ci hanno fatto credere che la mappa fosse la copia del territorio, ma se vogliamo cominciare a capire veramente qualcosa bisogna rovesciare questa relazione, e proprio la bonifica ci costringe a questo capovolgimento: pensare invece che la cifra complessiva della costruzione territoriale moderna consiste esattamente in un processo per il quale il territorio diventa la copia della mappa, ne assume la logica, ne assume la natura, ne assume la forma. Tutto questo si potrebbe dimostrare in tanti modi, scelgo il più semplice perché in verità mi interessa mostrare fino in fondo la centralità di ciò che chiamiamo bonifica all’interno del processo di cui sto parlando” [Farinelli 2011, 31].

La storia ci viene sempre in aiuto per meglio interpretare l’intensa lettura stratigrafica dei paesaggi, individuata dal metodo di Emilio Sereni e che bene si evince nel suo archivio, conservato all’Istituto Alcide Cervi [12]; qui il fondo Sereni, che comprende la sua biblioteca e parte dei suoi archivi, si configura come un archivio di persona e ancora più nello specifico un fondo di studio, una sorta di “specchio di carta” dello studioso romano, in quanto soggetto produttore [Albanese 2000, 201]. Il sedimento storico diventa quindi memoria e documento. La Storia, ma soprattutto le storie. Le molte storie di un’Italia fedelmente espressa, con pensiero illuminista, da Carlo Cattaneo a metà Ottocento come “patria artificiale”. Aveva ben inteso Cattaneo come i nostri territori da Nord a Sud fossero plasmati dall’uomo [Almagià 1934, 178-188]. L’esempio più evidente era già l’allora pianura lambita dal Po. E se Cattaneo si riferiva in verità a una specifica porzione dell’Italia, la Lombardia, allora abilmente riorganizzata dalle riforme di Maria Teresa d’Austria, «per nove decimi non è opera della natura, è opera delle nostre mani; è una patria artificiale» [Cattaneo 1972, 472], possiamo a pieno diritto, proprio leggendo ed esaminando le carte e i territori emiliani, usare la stessa frase per osservare la nostra Regione. Esperienze che raccontano tutte il faticoso, a volte drammatico, lungo e coraggioso lavoro dell’uomo, attivato per avviare il suolo a condizioni di prosperità e produttività. Una visione “umanistica” dell’uso del territorio, che aveva ben presente Sereni: «l’errore anche dei migliori storici dell’Urbanistica come il Lavedan è quello di considerare la città solo nella sua struttura materiale e isolata, senza comprendere che la città si può solo studiare in rapporto con la campagna, col paesaggio» (Emilio Sereni, 10 maggio 1948) [13].

Fig. 8. Rielaborazione grafica della Carta 62 “bonifiche”, redatta da Lucio Gambi per l’Atlante Tematico d’Italia del Touring Club Italiano del 1992, [rielaborazione di Chiara Visentin].
Fig. 8. Rielaborazione grafica della Carta 62 “bonifiche”, redatta da Lucio Gambi per l’Atlante Tematico d’Italia del Touring Club Italiano del 1992, [rielaborazione di Chiara Visentin].

Ne è manifesto esempio anche lo studio della toponomastica. Essa infatti rivela, dietro l’apparente semplicità di un nome, la profonda stratificazione semantica della natura geografico-morfologica dei luoghi. Questa ricerca etimologica, peraltro molto comune anche in altre realtà territoriali, si caratterizza nell’area padana spesso attraverso il richiamo al sistema di vascolarizzazione idrica del territorio. L’allusione alle fosse, alle chiaviche, ai canali, agli argini, alle valli che ritroviamo puntualmente nel nome dei paesi o dei luoghi, sancisce di fatto una reciprocità, sottolineando il vincolo che intercorre tra il delicato processo di regolamentazione delle acque e quello insediativo. Tutto questo lo ritroviamo raccontato e spiegato nei documenti d’archivio, conservati secondo le volontà e le modalità del soggetto intestatario:

Non si tratta di sciocca vanità personale ma semplicemente di una preoccupazione per la migliore utilizzazione, da parte dei compagni e degli studiosi, di tutti i materiali in questione. Non credo di esagerare, in effetti, se vi ricordo che nelle centinaia di migliaia di schede e di excerpta che trasmetto all’Istituto è raccolto il meglio e il più della mia attività scientifica: centinaia di lavori praticamente già fatti e compiuti, salvo per quanto riguarda la loro materiale stesura. Ma dato il metodo seguito nella registrazione delle mie note, questi lavori possono essere utilizzati da studiosi, che dispongano proprio della mia biblioteca, di quelle determinate edizioni, di quella determinata disposizione in cartelle degli opuscoli e degli estratti e così via. Proprio per questo, pertanto, vi chiedo di mantenere, se possibile, nella loro organica unità biblioteca e schedario [14].

5. Per concludere

Il nostro è un paesaggio storico, antichissimo e stratificato, in cui l’uomo in ogni dove ha manipolato per sue necessità di sostentamento, di esistenza, per ragion di Stato e così via, la morfologia e i segni dei territori in cui viveva o in cui transitava [Fincardi 2001]. Il paesaggio italiano è dunque un territorio compiuto, umanizzato. La nostra responsabilità individuale e consapevolezza collettiva si devono fare carico della tutela di questo ambiente, dei nostri scenari, delle nostre città, delle loro arti e architetture perché tutto questo è il patrimonio materiale che faticosamente l’uomo ha costruito nel tempo, corredandolo di beni immateriali preziosissimi, strettamente collegati al contesto. L’acqua è l’elemento che più di altri ha determinato la nascita e lo sviluppo dell’Emilia-Romagna, principalmente nel rapporto cittadino-agricoltore con la terra. Un’agricoltura ricca e moderna, resa possibile dalla bonificazione dei terreni, fino a nemmeno cent’anni fa ancora sottoposti a piene ed esondazioni dei fiumi. Tutto questo è inciso su carta e sulla terra del nostro territorio. La valorizzazione della memoria raccolta nei depositi di “patrimoni documentali” parte da questa consapevolezza [15]. Esattamente come per le architetture idrauliche, veri e propri “patrimoni architettonici e artistici” dalle caratteristiche storiche consolidate, estesi punti di riferimento nel paesaggio.

Fig. 9. Il canale artificiale della Parmigiana Moglia, lungo 40 chilometri ha funzione scolante e irrigua e bagna le province di Reggio Emilia, Modena e Mantova, [Foto di Giuliano Ferrari].
Fig. 9. Il canale artificiale della Parmigiana Moglia, lungo 40 chilometri ha funzione scolante e irrigua e bagna le province di Reggio Emilia, Modena e Mantova, [Foto di Giuliano Ferrari].

Il consiglio, quindi, è di intraprendere un viaggio, tra carte e luoghi. Solo in tal modo ci si sentirà protagonisti di un contesto che porta e preserva le nostre aspettative di modernità.

Bibliografia

  • Albanese 2000
    Francesco Albanese, Emilio Sereni: l’ultimo degli enciclopedisti. Fonti per la storia dei protagonisti dell’Italia del Novecento. Il fondo «Emilio Sereni», in «Annali dell’Istituto Alcide Cervi», 19, Bari, Edizioni Dedalo, 2000, pp. 197-209.
  • Almagià 1934
    Roberto Almagià, Le trasformazioni del paesaggio geografico nella regione pontina, in Atti del Congresso Internazionale di Varsavia, vol. 4, Warsaw, 1934, pp. 178-188.
  • Badini 2004
    Da qui all’antichità. Acque e canali nella Bonifica Bentivoglio Enza, a cura di Gino Badini, Reggio Emilia, Diabasis, 2004.
  • Barbieri, Gambi 1970
    La casa rurale in Italia, a cura di Giuseppe Barbieri, Lucio Gambi, Firenze, Olschki, 1970.
  • Baricchi 1983
    Walter Baricchi, La casa rurale reggiana, in «Reggio Storia», VI, 4 (1983).
  • Bevilacqua, Rossi-Doria 1984
    Piero Bevilacqua, Manlio Rossi-Doria, Le bonifiche in Italia dal ’700 a oggi, Bari, Laterza, 1984.
  • Bidussa
    David Bidussa, Studiare una biblioteca. Il fondo librario Emilio Sereni come documento, in Emilio Sereni. L’intellettuale e il politico, a cura di Giorgio Vecchio, Roma, Carrocci, 2019, pp. 21-37.
  • Braudel 1998
    Fernand Braudel, Storia, misura del mondo, Bologna, Il Mulino, 1998 (ed. or. Histoire, mesure du monde, 1997).
  • Bruno 2006
    Giuliana Bruno, Atlante delle emozioni. In viaggio tra arte, architettura e cinema, Milano, Mondadori, 2006.
  • Cattaneo 1972
    Carlo Cattaneo, Opere scelte, II. Scritti 1839-1846, a cura di Delia Castelnuovo Frigessi, Torino, Einaudi, 1972.
  • Cavallo 2011
    Federica Letizia Cavallo, Terre, acque, macchine. Geografie della bonifica tra Ottocento e Novecento, Reggio Emilia, Diabasis, 2011.
  • Cazzola 1977
    Franco Cazzola, Bonifiche e investimenti fondiari, in Storia dell’Emilia Romagna a cura di Aldo Berselli, Bologna, University Press, 1977, vol.II, pp. 209-228.
  • Cazzola 2003
    Franco Cazzola, Dalle carte dei Consorzi di bonifica: sviluppo agricolo e trasformazione del territorio, in Archivi storici nei Consorzi di bonifica dell’Emilia-Romagna. Guida generale, a cura di Euride Fregni, Bologna, Pàtron, 2003, pp. 11-19.
  • Farinelli 2009
    Franco Farinelli, Crisi della ragione cartografica, Torino, Einaudi, 2009.
  • Farinelli 2011
    Franco Farinelli, La mappa, leggere il paesaggio e le sue trasformazioni, in Visentin 2011, pp. 31-32
  • Ferrari, Gambi 2000
    Un Po di Terra, a cura di Carlo Ferrari, Lucio Gambi, Reggio Emilia, Diabasis, 2000.
  • Fincardi 2001
    Marco Fincardi, La terra disincantata. Trasformazioni dell’ambiente rurale e secolarizzazione nella bassa padana, Milano, Unicopli, 2001.
  • Fregni 2003
    Archivi storici nei Consorzi di bonifica dell’Emilia-Romagna. Guida generale, a cura di Euride Fregni, Bologna, Pàtron Editore, 2003.
  • Gambi 1976
    Lucio Gambi, Atlante, Storia D’Italia, Vol. 6, Torino, Einaudi, 1976.
  • Gambi, Ginzburg 1979
    Lucio Gambi, Carlo Ginzburg, L’Italia. Regioni e paesaggi. Corso di geografia, Bologna, Zanichelli, 1979.
  • Gemignani 2016
    Carlo Alberto Gemignani, Emilio Sereni e gli orizzonti del paesaggio agrario. Tracce archivistiche e bibliografiche di un percorso tra storia e geografia, in «Rivista geografica italiana», vol. 123, 4 (2016), pp. 503-524.
  • Jacini 1976
    Stefano Jacini, I risultati dell’inchiesta agraria. Relazione pubblicata negli Atti della Giunta per la Inchiesta agraria, Torino, Einaudi, 1976.
  • Mori 1923
    Anselmo Mori, Le antiche bonifiche della bassa reggiana, Parma, La bodoniana, 1923.
  • Norberg-Schulz 1992
    Christian Norberg-Schulz, Genius Loci. Paesaggio, ambiente, architettura, Documenti di architettura, Milano, Electa, 1992.
  • Pagano, Daniel 1936
    Architettura rurale italiana, quaderni della Triennale, a cura di Giuseppe Pagano, Guarniero Daniel, Milano, Ulrico Hoepli, 1936.
  • Sereni 1961
    Emilio Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano, Roma-Bari, Laterza, 1961.
  • Serpieri 1947
    Arrigo Serpieri, La Bonifica. Storia e dottrina, Bologna, Ed. Agricole, 1947.
  • Turri 2001
    Eugenio Turri, Il paesaggio come teatro. Dal territorio vissuto al territorio rappresentato, Venezia, Marsilio, 2001.
  • Turri 2013
    Eugenio Turri, Gli iconemi: storia e memoria del paesaggio, in «Diari di bordi», 8 ottobre, https://diaridibordi.wordpress.com/2013/10/08/gli-iconemi-storia-e-memoria-del-paesaggio_-eugenio-turri/
  • Vallerani 2004
    Francesco Vallerani, Acque a Nordest: da paesaggio moderno ai luoghi del tempo libero, Sommacampagna, Cierre, 2004.
  • Vie d’acqua 1990
    Giuseppe Adani, Gino Badini, Walter Baricchi, Maurizio Pellegrini, Fabio Massimo Pozzi, Angelo Spaggiari, Vie d’acqua nei Ducati Estensi, Reggio Emilia, Cassa di Risparmio di Reggio Emilia, 1990.
  • Visentin 2003
    Chiara Visentin, L’equivoco dell’eclettismo. Imitazione e memoria in architettura, Bologna, Pendragon, 2003.
  • Visentin 2011
    Il Paesaggio della Bonifica. Architetture e paesaggi d’acqua, a cura di Chiara Visentin, Roma, Aracne Editore, 2011.
  • Visentin 2012
    Chiara Visentin, Landscapecity limits: osmosis between urban quality and natural revelation of the landscape, in EURAU12 Porto | Espaço Público e Cidade Contemporânea, Actas do 6º European Symposium on Research in Architecture and Urban Design, a cura di Pinto Da Silva Maria, Porto, 2012, p. 176.
  • Zanella 2011
    Francesca Zanella (2011), La costruzione dell’immagine della bonifica. Le tele di Vittorio Venturini e di Marcello Nizzoli, in Visentin 2011, pp. 179-190.
  • Zavattini 2022
    Cesare Zavattini, Soggetti cinematografici mai realizzati, a cura di Nicola Dusi, Mauro Salvador, Venezia, Marsilio, 2022.

Note

1. Ricca e interessante la bibliografia di riferimento, a seguire alcuni testi che l’hanno ben inquadrata: Cazzola 1977; Mori 1923; Ferrari, Gambi 2000; Badini 2004; Vie d’acqua 1990.

2. Vedasi: https://www.legislazionetecnica.it/52198/normativa-edilizia-appalti-professioni-tecniche-sicurezza-ambiente/rd-13-02-1933-n-215.

3. L’immediato secondo dopoguerra, il clima del neorealismo in primo luogo cinematografico vede, di questa pianura, narrazioni straordinarie: la realizzazione di Ossessione di Visconti (1942) dove lo scenario antiretorico di un angolo della pianura ferrarese consente un narrare asciutto e intenso. Ma viene da pensare a un altro film, il cupo Cielo sulla palude (1949) di Augusto Genina, dove il paesaggio della redenzione idraulica sembra essere il vero protagonista. Come le molteplici sceneggiature di Cesare Zavattini per il cinema, mai divenute film, dove i paesaggi d’acque tra la Romagna e l’Emilia del Po, narrano la personale poetica dello scrittore.

4. Il riconoscimento della dimensione culturale del paesaggio sta diventando anno dopo anno buona pratica: tale consapevolezza è oggi, soprattutto dopo la stesura della Convenzione europea del paesaggio del 2000, più diffusa. Si comprende finalmente che il contesto è effettivamente parte di noi. Nell’accezione adottata dalla Convenzione, il paesaggio così come percepito dalla comunità (art. 1) è considerato «componente essenziale dell’ambiente di vita delle popolazioni» (art. 5, lettera a).

5. «La percezione di un paese avviene attraverso una serie di elementi costitutivi del territorio che impressionano per la loro evidenza, bellezza, grandiosità, singolarità, o perché magari si ripetono, come leitmotiv caratteristici e inconfondibili. Questi elementi visivi, rilevabili nel paesaggio (fiumi, ville, piazze, castelli, santuari …), parte integrante della storia e della cultura degli abitanti, possono essere chiamati con il termine di iconemi. Gli iconemi, le unità elementari della percezione, sommate con le altre in combinazione, formano l’immagine complessiva del paese» [Turri 2013].

6. Marcello Nizzoli nasce a Boretto nel 1887 iniziando la sua attività giovanissimo come pittore e illustratore, successivamente diventerà il designer industriale, architetto e pittore, tra i più importanti del Novecento italiano che conosciamo, il padre delle più famose macchine da scrivere Olivetti, simbolo della modernità italiana e della rinascita industriale non-bellica, con oggetti esposti anche al Moma di New York. I suoi studi li compie all’Istituto d’arte di Parma, realizzando poi manifesti pubblicitari per Campari. Nel 1966 riceve dal Politecnico di Milano la Laurea ad honorem in architettura, morirà tre anni più tardi.

7. A proposito di questa corografia su tela, parte del patrimonio del Consorzio di bonifica dell’Emilia Centrale, leggere Visentin 2011, 179-189.

8. In Italia purtroppo si continua a consumare suolo, impermeabilizzandolo, a ritmi vertiginosi: anche in Emilia-Romagna, che è la quarta regione in classifica dopo Lombardia, Veneto e Campania, come percentuale di suolo consumato, e seconda come incremento assoluto (815 ha) subito dopo il Veneto. Primato poco invidiabile a livello nazionale va a Ravenna che con l’aggiunta di altri 89 ettari, si pone tra i tre comuni italiani con il maggiore incremento tra il 2022 e il 2023. Dal report di Legambiente, Consumo di suolo – i dati ISPRA per l’Emilia-Romagna https://www.legambiente.emiliaromagna.it/2024/12/04/consumo-di-suolo-i-dati-ispra-per-lemilia-romagna/.

9. La porta morta è la grande apertura ad arco posta nel punto nodale di congiunzione tra rustico e abitazione.

10. «Questo studio rappresenta il risultato di una indagine sulla casa rurale italiana intrapresa con lo scopo di dimostrare il valore estetico della sua funzionalità. Il materiale che viene illustrato in questo quaderno fa parte di una speciale sezione della mostra di architettura, da noi allestita alla sesta triennale. […] ringraziamo tutti vivamente, con la speranza che questo nostro lavoro serva a far comprendere l’importanza estetica della casa rurale. La conoscenza delle leggi di funzionalità e il rispetto artistico del nostro imponente e poco conosciuto patrimonio di architettura rurale sana ed onesta, ci preserverà forse dalle ricadute accademiche, ci immunizzerà contro la rettorica ampollosa e soprattutto ci darà l’orgoglio di conoscere la vera tradizione autoctona dell’architettura italiana: chiara, logica, lineare, moralmente ed anche formalmente vicinissima al gusto contemporaneo. Giuseppe Pagano - Guarniero Daniel, Milano, agosto 1936-XIV» [Pagano, Daniel 1936]. Questa è l’introduzione al catalogo della mostra sulla architettura rurale del 1936 allestita alla Triennale di Milano da Giuseppe Pagano. Fino ad allora l’architettura rurale non aveva mai avuto un interesse tale da essere esposta in mostra. Anche le svariate mostre sulle bonifiche o sulla campagna rurale, soprattutto in periodo littorio, non indagavano il valore estetico «e contemporaneo» dell’architettura rurale continuando a tessere lodi alla ieratica architettura civile del Ventennio.

11. Natale Prampolini (Reggio Emilia, 1876- Roma, 1959), ingegnere, vicepresidente del Consorzio nazionale delle bonifiche, presidente e direttore generale della Bonifica dell’Agro Pontino, presidente del Consorzio di bonifica di Parmigiana Moglia, presidente delle Bonifiche del Mezzogiorno e delle Bonifiche ferraresi, senatore del Regno. Nella scheda biografica che compare ancora oggi sul sito del Senato della Repubblica, Natale Prampolini si definisce curiosamente industriale-agricoltore e agronomo. Nella realtà egli è comunemente conosciuto per essere stato, dal 1926 al 1943, il presidente e direttore generale della grande bonifica integrale dell’Agro Pontino: una redenzione di più di 127.000 ettari di paludi malariche e lugubri, ben descritte dal bel romanzo di Antonio Pennacchi, Canale Mussolini. Fiore all’occhiello del regno littorio, esempio ancor’oggi ineguagliato per dinamicità e ingegno. Un’opera faraonica per risanare una delle terre più selvagge d’Italia, come ricorderà Guido Piovene, nel 1957. Ben prima Prampolini aveva iniziato a recuperare i territori della grande Pianura padana, divenendo presidente, per trent’anni, del Consorzio di bonifica di Parmigiana-Moglia, dal 1915 al 1945, fautore principale della grande bonifica integrale di quello che oggi è un vastissimo comprensorio. Nella sua terra, potremmo dire, Natale si era fatto le ossa, conducendo i primi progetti per la realizzazione della bonifica dei terreni, per lo scolo delle acque, per l’irrigazione dei terreni, per un progresso necessario dell’agricoltura e quindi delle aree poco sviluppate di ampie porzioni della Valle padana. Non è un caso che Prampolini provenisse di nascita e famiglia proprio da queste zone, Reggio Emilia. Testo tratto da Natale Prampolini l’uomo della Bonifica Integrale Italiana, scheda redatta dalla sottoscritta per il sito web Il paesaggio della Bonifica, https://ilpaesaggiodellabonifica.it/.

12. Emilio Sereni in realtà dona la sua biblioteca all’Alleanza nazionale contadini che la concesse in uso, secondo le volontà dello stesso Sereni, all’Istituto Alcide Cervi (cfr. la lettera del 12 dicembre 1970, indirizzata ad Attilio Esposto, in copia in Archivio Sereni, b. 3, fasc. 10. Originale in Fondazione Istituto Gramsci, serie Corrispondenza).

13. Citazione da uno degli appunti autografi dello studioso, conservati oggi all’Archivio Emilio Sereni, presso l’Istituto Alcide Cervi a Gattatico.

14. Lettera a Luigi Longo, 1° marzo 1966, in copia in Archivio Sereni, b.3, fasc. 10. Originale in Fondazione Istituto Gramsci, serie Corrispondenza. Le parole sono sottolineate anche sull’originale manoscritto.

15. «In breve, ci troviamo di fronte a una biblioteca orientata allo studio economico e alla storia agraria italiana, ma anche a una biblioteca che esprime linee culturali e proposte di ricerca aperte alla metodologia, alla interdisciplinarità, alla costruzione di un’indagine sociale intorno alla cultura materiale e alla cultura sociale dell’Italia moderna all’interno di un panorama fortemente intrecciato con la storia d’Europa, ma senza trascurare la dimensione locale. Una biblioteca che per molti aspetti delinea un quadro di passioni e di attenzioni aperto, comunque non solo erudito», [Bidussa 2019, 34-35].